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Altre sfide nelle attività di M&A cross-border

Come per ogni operazione che esce dai confini nazionali, le fusioni ed acqui- sizioni internazionali devono far fronte a maggiori sfide rispetto a quelle che rimangono nel mercato domestico. Oltre alle difficoltà appena analizzate di ca- rattere culturale, le operazioni di M&A cross-border si scontrano con ostacoli di carattere legale, finanziario e politico[72]. Ciascuna impresa che si avvia lungo un percorso di acquisizione o fusione al di fuori del proprio Paese si trova ad operare in un contesto nuovo che non di rado pone delle resistenze: non è dif- ficile che un governo prima favorevole ad un’operazione internazionale di M&A opponga resistenza in un secondo momento, a seguito, per esempio, di un peg- gioramento delle condizione del mercato, o a seguito di proteste di dipenden-

ti. In altri casi la resistenza deriva dalla tipologia dell’azienda target: qualora si tratti di un’impresa operante in un settore strategico, è più probabile che ci sia resistenza da parte del governo del Paese in cui essa risiede. Le attività inter- nazionali richiedono una grande capacità finanziaria, e in alcune circostanze, come nel caso delle imprese cinesi, il sistema di credito prevede un limite non solo sull’ammontare del prestito, ma anche sulla riserva di moneta straniera, cosa che impedisce a certe imprese di espandersi in mercati esteri.

China, Go Global!

C’è stato un tempo in cui le imprese operanti in economie sviluppate erano coinvolte in investimenti greenfield e brownfield nei paesi emergenti: si trat- tava principalmente di dislocare una parte o l’intera filiera produttiva allo sco- po di tagliare i costi relativi alla manodopera. Negli ultimi vent’anni sulla sce- na economica mondiale sono avanzate sempre più impetuose le multinazio- nali provenienti dai paesi emergenti, di cui il fenomeno cinese è un esempio emblematico.

3.1 La Cina sulla scena economica globale

A partire dal 2010, la Cina ha spostato i riflettori sull’enorme bacino di consu- matori di cui dispone e sulla sua crescente domanda interna: molte grandi im- prese cinesi già presenti sul mercato globale in qualità di esportatori di prodotti Made in China hanno intrapreso la strada delle acquisizioni internazionali per accedere ad asset strategici come brand e know-how specifici[70]. La fusione di Lenovo con il gigante americano IBM e l’acquisizione di Volvo da parte della

privata Geely Automotive sono tra i casi di successo più citati di questa politica di crescita. Espandersi sul mercato globale, tuttavia, non è cosa facile: un’offerta di prodotti e di tecnologie troppo standardizzata, la scarsa conoscenza dei mer- cati di sbocco e la poca fiducia nutrita in Occidente nei confronti dei prodotti e dei servizi cinesi sono alcune delle principali barriere all’internazionalizzazio- ne. A questo si aggiunge l’esperienza di alcune note aziende cinesi che hanno intrapreso M&A rivelatisi in un secondo momento fallimentari, in parte a causa dell’elevato premium pagato per la transazione, in parte perché non sono stati in grado di realizzare le sinergie previste e di integrare le risorse acquisite[104]. A queste difficoltà si accompagna il timore che la tutela dei brevetti tecnologici, l’occupazione del personale e, più in generale, le condizioni di welfare possano risentire negativamente di un cambio di proprietà.

La globalizzazione cinese è per molti aspetti simile a quella vissuta dal Giappone negli anni ’80. La Cina, proprio come il Giappone di trent’anni fa, sta passando da un’economia principalmente caratterizzata da prodotti a basso costo a una che offre servizi e prodotti a più alto valore aggiunto. Le aziende cinesi stan- no acquisendo gradualmente tecnologie e competenze e, in alcuni casi, han- no già lanciato sui mercati esteri dei prodotti utilizzando i propri brand. Una serie di elementi rendono tuttavia la globalizzazione della Cina molto diversa da quella giapponese: in primo luogo, la Cina ha goduto dei vantaggi derivanti dalle dimensioni delle proprie imprese e del proprio mercato; in secondo luo- go, l’apertura del mercato alle imprese straniere è avvenuta molto prima che in Giappone, il quale ha adottato misure protezionistiche per permettere alle proprie aziende di crescere e svilupparsi prima di competere direttamente con

quelle straniere sui mercati esteri. Se da una parte l’entrata della Cina nel WTO ha significato una maggiore competizione “in casa”, dall’altra ha permesso al- l’industria cinese di accedere a talenti, competenze, tecnologie e best practices provenienti dalle multinazionali occidentali. Infine, a differenza del Giappone, che ha studiato politiche industriali volte a consolidare dei “campioni globali” come Sony e Toyota, la Cina non possiede un organo di governo centrale che guidi la globalizzazione in modo sistematico.

Queste e altre differenze suggeriscono che le imprese cinesi dovranno affrontare molte più sfide rispetto a quelle che si presentarono al Giappone nelle prime fasi del suo sviluppo. Studi recenti hanno sottolineato i punti di debolezza di questo processo di internazionalizzazione “indotto”[94], in particolare molte società di consulenza hanno riportato casi di bancarotta o di gravi difficoltà incontrate dalle multinazionali cinesi nei mercati globali, specialmente in relazione agli accordi di M&A: stando ai dati della società di consulenza Boston Consulting Group e della China Devlopment Research Foundation, le operazioni di M&A cinesi non portati a termine rappresentano il 67% delle transazioni relative al 2014, mentre su un campione di 33 imprese cinesi coinvolte in M&A tra 2010 e 2014, gli M&A conclusi ogni anno sono meno del 20% del totale (Figura 3.1). Per fare un esempio, il gigante cinese degli elettrodomestici TCL, nel 2005 ha attribuito la perdita netta di 320 milioni di RMB (circa 40 milioni di dollari) al- l’acquisizione della divisione TV di Thomson e della divisione telefonia mobile di Alcatel, avvenuta l’anno precedente.

Figura 3.1: A sinistra: M&A realizzati da Cina, USA, Giappone e Europa Occidentale (2008-2014); a destra: percentuale di operazioni cross-border cinesi concluse (2010-2014)

L’appetito delle imprese cinesi, tuttavia, non è stato scoraggiato né dai noti ca- si di fallimento, né dalla crisi economica che ha colpito in particolar modo il mondo occidentale nel 2008: il numero di acquisizioni cinesi all’estero ha con- tinuato a crescere fino a toccare un picco 41 miliardi di dollari nel 2010, per poi attestarsi tra i 22 e i 32 miliardi tra 2010 e 2014[11].

3.2 Problemi e difficoltà maggiormente riscontrati in M&A ci-