• Non ci sono risultati.

1.5 Gli investimenti cinesi all’estero

1.5.3 M&A cinesi in Italia

Stando ai dati forniti dal Ministero del Commercio Cinese (MofCom), gli inve- stimenti cinesi in Italia dal 2004 (anno della firma del partenariato strategico Italia-Cina) non hanno mai superato la soglia dei 50 milioni di dollari, fatta ec- cezione per il 2011 e il 2012, quando hanno raggiunto valori superiori ai 200 e i 100 milioni di dollari rispettivamente[17]. Anche nel loro picco massimo, gli in- vestimenti cinesi in Italia rispetto al totale degli investimenti cinesi nel mondo – circa 87,8 miliardi di dollari nel 2012 - sono stati molto limitati. Questa situa- zione è rimasta invariata fino al 2014 quando si è registrato un netto cambio di tendenza e l’Italia è diventato il secondo mercato per gli investimenti cinesi in Europa dopo il Regno Unito e il quinto su scala mondiale[91]. Tra le maggiori operazioni IDE concluse nel 2014 compaiono: l’acquisizione del 40% di Ansal-

do Energia da parte di Shanghai Electric per un valore di 400 milioni di euro, l’acquisizione del 90% del pacchetto azionario del gruppo oleario Salov da par- te di una SOE, Shanghai Bright Food, e l’acquisizione del brand Krizia da parte di Shenzhen Marisfrolg. Il 2014 registra il picco anche degli investimenti di por- tafoglio (in totale 3,7 miliardi di dollari) e vede China Holding al secondo posto tra gli investitori della Borsa di Milano; secondo i dati forniti dalla banca dati Reprint, in Italia sarebbero presenti più di 300 aziende partecipate da investito- ri cinesi per un totale di quasi 18 mila dipendenti e un PIL pari a 8,4 miliardi di euro[14], situate per la stragrande maggioranza in nord Italia.

Figura 1.6: Principali investimenti cinesi in Italia nel biennio 2014-15 (M&A e portafoglio)

maggioranza quasi assoluta di aziende cinesi nel caso di IDE e di istituti finan- ziari di Stato nei casi di investimento di portafoglio. Il crescente numero di inve- stimenti cinesi in Italia è legato sia all’elevata specializzazione dei distretti indu- striali regionali, sia alla posizione strategica del Paese e alla presenza di aziende di piccole e medie dimensioni facilmente rilevabili, specialmente in questi anni di recessione economica. Tra i settori più attraenti per gli investitori cinesi vi sono finanza, meccanica, telecomunicazioni ed elettronica, logistica e abbiglia- mento, mentre ad oggi la singola operazione più importante per valore investito è l’acquisizione di Pirelli da parte di Chem China: il gigante cinese nel 2015 ha rilevato tramite OPA una quota di maggioranza della società di Milano con un esborso di circa 7 miliardi di euro. Nella meccanica e nel settore automobilistico le motivazioni principali dietro alle acquisizioni cinesi sono la ricerca di brand affermati, conoscenze e tecnologie avanzate: ne sono un esempio l’acquisizione di Benelli da parte del Gruppo Qianjiang e l’acquisizione della quota di maggio- ranza di Ferretti, il più grande produttore globale di yacht di lusso, da parte del gruppo Weichai. Per quanto riguarda telecomunicazioni ed elettronica, invece, l’obiettivo principale è il mercato: è il caso di Huawei, che, insieme a Vodafone, ha aperto un centro di ricerca che collabora con il Politecnico di Milano e l’Uni- versità di Pavia.

Se fino al 2013 l’Italia si configura come una destinazione marginale per gli in- vestimenti cinesi, il 2014 si può considerare l’anno di svolta, nonostante la dif- fidenza dell’opinione pubblica nei confronti della Cina rimanga alta, anche, e soprattutto, in virtù degli effetti di spiazzamento provocati dall’integrazione del gigante asiatico nel mercato globale. La crescente espansione delle attività di

M&A ha accentuato le preoccupazioni degli Stati Europei, Italia compresa, sia per l’elevata percentuale di operazioni non concluse con successo, sia per l’in- cidenza dei casi di fallimento dovuti a problematiche legate alla fase di post- acquisizione. Vi sono inoltre timori legati all’influenza del governo cinese poi- ché molte imprese investitrici sono a capitale pubblico, e nel caso di M&A, si aggiunge la preoccupazione relativa all’occupazione locale e al rischio di trasfe- rire in Cina tecnologie e competenze avanzate. Invece tra gli aspetti positivi de- gli investimenti cinesi in Italia vi è l’iniezione di nuovi capitali, particolarmente importante in questo momento di stagnazione economica, nonché la possibili- tà di salvare imprese in condizioni di difficoltà finanziaria rivitalizzando il mer- cato. È utile precisare che il dibattito tra detrattori e sostenitori della presenza cinese all’interno dell’economia italiana è spesso basato su informazioni vaghe e imprecise, su opinioni personali e su pochi casi di acquisizioni da parte di im- prese note su scala globale.

In controtendenza rispetto a questa situazione di diffuso scetticismo vanno le iniziative di diplomazia economica a favore delle relazioni bilaterali portate avan- ti prima dai governi Monti e Letta, poi dall’attuale governo Renzi, che si dimo- stra pronto a un “reale rilancio” del partenariato con la Cina. La firma del “Pia- no di azione per il rafforzamento della cooperazione economica tra Italia e Cina per il biennio 2014-2016” porta con sé l’impegno comune ai due Paesi di coo- perare “agendo sui fattori di complementarità esistenti tra i due sistemi econo- mici ed avendo presente l’obiettivo condiviso di giungere con gradualità ad un riequilibrio dei flussi commerciali bilaterali e degli investimenti reciproci”[4].

Post-merger integration

2.1 Definizione di post-merger integration

Il ricorso a operazioni di M&A è pratica diffusa da oltre 120 anni, invece la ri- cerca accademica relativa a queste operazioni ha una storia di appena 60 anni. Sebbene sia rilevabile un crescente interesse nei confronti di questa tipologia di transazioni, la letteratura in materia rimane frammentaria e caratterizzata da una molteplicità di ricerche che analizzano il fenomeno da prospettive distinte. Per questo motivo anche il concetto di post-merger integration (PMI) viene de- clinato in modo leggermente diverso da autore ad autore.

Di seguito vengono riportate alcune definizioni proposte in letteratura per illu- strare il concetto di PMI:

"È il processo mediante il quale si realizza il coordinamento delle aziende e si rag- giunge un pieno controllo dei sistemi e di altri elementi utili a permettere alle due imprese di operare all’unisono. Questo termine include tutte quelle attività volte al raggiungimento dell’integrazione in ambito procedurale, strutturale, manage-

riale e socio-culturale che una fusione e un’acquisizione comportano[89]."

- Shrivastava, 1986

"L’integrazione è un processo interattivo e graduale durante il quale individui di due organizzazioni imparano a lavorare insieme e a cooperare per il trasferimen- to di competenze strategiche[42]."

- Haspeslagh & Jamison, 1991

"L’integrazione può essere definita come una serie di modifiche apportate alle funzioni operative, alle strutture organizzative, ai sistemi e alle culture delle or- ganizzazioni che si uniscono con il fine di agevolarne il consolidamento in una singola entità[74]."

- Pablo 1994

"Il termine integrazione post-M&A si riferisce all’arte di combinare due o più im- prese (non solo sulla carta, ma anche nella realtà) dopo che sono state unite sot- to uno stesso assetto proprietario. Il termine M&A indica l’attività di fusione o acquisizione che conduce all’unione, mentre con integrazione si intende la com- binazione di elementi che permetteranno alle due imprese di operare come una sola[33]."

Pur non esistendo una definizione di PMI universalmente accettata, si può os- servare come nell’evoluzione della ricerca in materia permangano invariati una serie di concetti (p.e. cultura, fattore umano).