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4. Commento alla traduzione

4.6 Altri aspetti

I racconti di What Is Not Yours Is Not Yours presentano accadimenti e personaggi diversi dal solito, dal normale, dal consueto92, in una parola, strani. Si pensi in particolare ai personaggi femminili, che presentano un’idea di femminile che si discosta da quella tradizionale; non si può certo che dire che le donne di Oyeyemi siano uguali a quelle delle fiabe. Spesso vengono presentati personaggi attratti da persone dello stesso sesso, come in “Books and Roses”, se non addirittura da bozzi di carne, come in “Dornička and the St Martin’s Day Goose”.

In traduzione si è deciso di riflettere questa stranezza, presente anche nello stile della scrittrice, e si è tentato di proporre una scrittura che non risulti piatta e stereotipata.

91 Oyeyemi H., WNYNY, p. 93.

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Un esempio di resa fuori dall’ordinario è presente in “Is Your Blood As Red As This”, dove è presente un fantasma, di genere femminile, l’unica creatura alla quale Radha si rivolga, oltre a suo fratello Jyoti.

Dal momento che il sostantivo “fantasma” è di genere maschile, ma il fantasma del racconto è femmina, in traduzione si è compiuta una scelta che si allontana dallo standard ma che si spera possa conferire una punta di stranezza alla resa italiana.

Myrna, before you I could only really talk to my brother and the ghost. There was something disorganized about the way she spoke that rubbed off on me. Plus she (the ghost) had warned me that the minute I grew up I wouldn’t be able to see her any more. «How will I know when I’ve grown up?» When I started using words I didn’t really know the meaning of, she said. I said I did that already, and she said yes, but I worried about it and grown-ups didn’t. (Of course I’m paraphrasing her; when I think back on her syntax it’s like hearing a song played backwards93).

Che è stato tradotto:

Myrna, prima di te riuscivo a parlare soltanto con mio fratello e con il fantasma. C’era un che di disorganizzato nella maniera in cui parlava che mi si attaccava addosso. Inoltre lei (la fantasma) mi aveva avvertito del fatto che, nel momento stesso in cui fossi cresciuta, non sarei più stata capace di vederla. «Come farò a sapere quando sono cresciuta?» Quando comincerò a usare parole di non cui non conosco davvero il significato, disse. Dissi che lo facevo già, e lei dissi sì, ma che me ne preoccupavo, al contrario degli adulti. (Ovviamente la sto parafrasando; quando ripenso alla sua sintassi è un po’ come sentire una canzone al contrario).

La prima volta in cui comprare la parola ghost si è deciso di lasciare l’articolo al maschile poiché anche nell’originale non è chiaro il genere del fantasma. Si è cominciato a usare l’articolo femminile nel momento in cui viene specificato che il fantasma è di sesso femminile; ovviamente la scelta è stata mantenuta per tutto il racconto.

Una scelta analoga è stata fatta più avanti nel racconto, quando viene presentato il

wooden devil, che, anche in questo caso, è femmina.

52 The Topols and Myrna followed this trail, switching wrestling arenas for about a month, scrambling through swathes of undergrowth, administering the occasional surprise fly-kick (no matter how many times it’s happened before, it’s always startling to be assaulted by a bush) before they discovered the little wooden devil. The wooden devil had been aware of them for weeks. She was carved of rowan wood, and she retained the opinions of the trees94.

Che è stato tradotto con:

I Topol e Myrna seguirono questo sentiero, cambiando arene da wrestling per circa un mese, destreggiandosi attraverso strisce di sottobosco, sferrando l’occasionale calcio volante a sorpresa (non importa quante volte sia capitato prima, è sempre una sorpresa essere assaliti da un cespuglio) prima di trovare la piccola diavola di legno. Era da settimana che la diavola di legno era consapevole della loro presenza. Era stato ricavata da legno di sorbo rosso, e conservava le opinioni degli alberi.

Un altro problema di traduzione si pone quando l’autrice descrive Rowan Wayland:

Rowan is male to me, since he moves and speaks with a grace that reminds me of the boy and men of my Venetian youth. He’s female to Myrna. For Radha and Gustav, Rowan is both male and female. Perhaps we read him along the lines of our attractions; perhaps it really is as arbitrary as that. He just shrugs and says, «Take your pick. I’m mostly tree though.» His fellow students already had all those confusing hormone surges to deal with. So most of them stayed away, though I’m sure they all dreamt of him, her, hir, zir, a body with a tantalizing abundance of contours, this Rowan who is everything but mostly tree. I’m sure Rowan Wayland was dreamt of non-stop95.

Che è stato tradotto con:

Rowan è maschio secondo me, perché si muove e parla con una grazia che mi ricordano i ragazzi e gli uomini della mia gioventù veneziana. È femmina secondo Myrna. Per Radha e Gustav, Rowan è sia maschio che femmina. Forse lo decidiamo

94 Oyeyemi H., WNYNY, p. 114. 95 Oyeyemi H., WNYNY, p. 105.

53 in base alla nostra attrazione; forse è davvero una cosa arbitraria. Lui si limita ad alzare le spalle e dire, «Scegliete voi. In ogni caso, sono soprattutto albero.» I suoi compagni di scuola avevano già tutti quei frastornanti impeti ormonali con cui avere a che fare. Per questo la maggior parte di loro gli stava alla larga, anche se sono sicura che tutti lo/la/l* sognassero, un corpo con una stuzzicante abbondanza di curve, questo Rowan che è tutto, ma soprattutto albero. Sono sicura che Rowan Wayland sia sognato costantemente da qualcuno.

Il genere di Rowan viene definito dunque in base all’attrazione che il parlante prova; il che ci fa capire i gusti sessuali di tutti i personaggi: a Geppetta piacciono gli uomini, a Myrna piacciono le donne e a Radha e Gustav piacciono sia le donne che gli uomini. Questa ambiguità si riflette nell’uso dei pronomi neutri hir e zir i quali sono stati inventati per evitare che un pronome definisca il genere di un soggetto:

A gender neutral or gender inclusive pronoun is a pronoun which does not associate a gender with the individual who is being discussed.

Some languages, such as English, do not have a gender neutral or third gender pronoun available, and this has been criticized, since in many instances, writers, speakers, etc. use “he/his” when referring to a generic individual in the third person. Also, the dichotomy of “he and she” in English does not leave room for other gender identities, which is a source of frustration to the transgender and gender queer communities.

People who are limited by languages which do not include gender neutral pronouns have attempted to create them, in the interest of greater equality96.

Una tendenza simile si ha anche in Italia dove agli articoli maschile e femminile si è aggiunto un terzo articolo, neutro, che tenta di essere inclusivo e di non discriminare nessuno in base all’appartenenza di genere.

Come abbiamo visto in precedenza, la lingua parlata dalla fantasma amica di Radha, è bizzarra e ricorda una canzone suonata al contrario. Per la maggior parte del tempo tuttavia le parole della fantasma vengono tradotte da Radha, che le riporta un inglese standard. Si è dovuta però trovare una traduzione della sua lingua quando scrive il suo incitamento a Radha su una finestra:

54 This terrified me, but the ghost breathed on the windowpane and wrote FOR GO IT on the misted glass97.

Che è stato tradotto con:

Era una cosa che mi terrorizzava, però la fantasma respirò sul vetro e scrisse PROVARCI DEVI sul vetro appannato.

Le parole della fantasma, in inglese, corrispondono all’espressione go for it che significa «To put forth the necessary effort or energy to do or pursue something, especially in the face of any doubt or trepidation. Often used as words of encouragement98.» In italiano si è dunque cercata una traduzione che conservasse la sintassi rimescolata dell’originale e che mantenesse un significato di incoraggiamento.

In generale si è tentato di evitare l’inserimento di note, le quali rendono più pesante la lettura, ma si è dovuta tuttavia fare un’eccezione in “Dornička and the St Martin’s Day Goose”, dove all’inizio viene citato un passo tratto da “The Golden Spinning Wheel”, la fiaba ceca alla quale l’autrice in parte si è ispirata per scrivere il racconto. Dal momento che oltre al testo viene esplicitata la traduttrice inglese, in italiano si è deciso di lasciare invariata la citazione e di inserire in nota una possibile traduzione99.

,Matko, Matičko! Řekněte, nač s sebou ten nůž béřete?

Mother, dear mother, tell me, do, Why have you brought that knife with you?

97 Oyeyemi H., WNYNY, p. 87.

98https://idioms.thefreedictionary.com/go+for+it (Ultimo accesso: 23/03/2019).

99 Dal momento che si tratta di un componimento in versi si è deciso di lasciare la formattazione

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From “The Golden Spinning Wheel”, Karel Jarmoir Erben, translated by Susan Reynolds

Che è stato tradotto con:

,Matko, Matičko! Řekněte, nač s sebou ten nůž béřete?

Mother, dear mother, tell me, do, Why have you brought that knife with you?100

Da “The Golden Spinning Wheel”, Karel Jarmoir Erben, traduzione di Susan Reynolds

Come si può vedere il testo è stato lasciato inalterato sia nell’originale ceco che in inglese; si sono tradotte soltanto le parole, non appartenenti al testo, che fanno riferimento al testo citato, all’autore e alla traduttrice.

Conclusioni

Nel presente elaborato si è tentato di stabilire un nesso tra la figura del puppet e le parole, osservando come entrambi gli elementi si collochino al limite tra due mondi, quello immaginario e quello reale, e agiscano come ponte tra queste realtà. Si è poi osservata l’importanza che rivestono le storie per Helen Oyeyemi, la quale attinge a piene mani dalla tradizione, dal folklore e in particolar modo dalle fiabe, rivisitandole e proponendo modelli alternativi del femminile e della narrazione in generale.

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Alla fine di questo lavoro si è capito come il processo traduttivo sia innanzitutto un’interpretazione che richiede dunque una profonda conoscenza del testo e dell’universo mentale dell’autrice. Nel caso di What Is Not Yours Is Not Yours una delle sfide più grandi è stata quella di restituire lo stile dell’autrice, vivido e mai banale. In tal senso si sono effettuate delle scelte traduttive che possono essere condivisibili o meno, ma che tentano di seguire un percorso logico e interpretativo coerente. In traduzione si è tentato di essere il più onesti possibile nei confronti dell’autrice e del testo, delle sue dominanti e sotto- dominanti, e delle sfumature di significato e di stile che caratterizzano i racconti.

In conclusione il lavoro di traduzione è stato decisamente stimolante in quanto la scrittura di Helen Oyeyemi è semplice solo all’apparenza; sotto uno strato di schiettezza e immediatezza si nasconde una profonda conoscenza della tradizione e una grande capacità di rielaborazione creativa.

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Bibliografia

Testi primari

Oyeyemi H., What Is Not Yours Is Not Yours, London, Picador, 2016.

Oyeyemi, H., The Icarus Girl, London, Bloomsbury Publishing, 2005.

Oyeyemi, H., Juniper’s Whitening and Victimese, London, Bloomsbury Publishing, 2005.

Oyeyemi, H., White Is for Witching, London, Picador, 2009.

Oyeyemi, H., Mr Fox, New York, Riverhead Books, 2011.

Oyeyemi H., Boy, Snow, Bird, New Yok, Riverhead Books, 2014.

Testi secondari

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delle figure: burattini, marionette, pupi, ombre, Roma, Carocci, 2012.

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Eco U., Lector in fabula: la cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979.

Eco U., Dire quasi la stessa cosa: esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003.

Fruttero C., Lucentini F., “La traduzione” in I ferri del mestiere: manuale involontario di

scrittura con esercizi svolti, Torino, Einaudi, 2003.

Gross K. Puppet: An Essay on Uncanny Life, Chicago, The University of Chicago Press, 2011.

Hatim B., Mason I., Discourse and the Translator, London, Longman, 1990.

Jakobson R., Saggi di linguistica generale, trad.it. Luigi Heilmann e Letizia Grassi, Milano, Feltrinelli, 1966.

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Nergaard S. (a cura di), Teorie contemporanee della traduzione, Milano, Bompiani, 1995.

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Sitografia

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Traduzione

libri e rose

per Jaume Vallcorba

C’era una volta, in Catalogna, una bambina che fu trovata in una cappella. La cappella si trovava a Santa Maria de Montserrat. Era una mattina di aprile. E la bambina si dimenava così tanto ed era così minuscola, che la cesta in cui fu trovata sembrava vuota, a prima vista. La bambina si era persa in un angolo, ma si dimenò con coraggio fino alla piega superiore della coperta, così da poter sbirciare fuori. Il monaco che aveva trovato la cesta cercò disperatamente una spiegazione. I suoi occhi incontrarono quelli di legno della Vergine di Montserrat, una madre che ha tenuto il figlio in grembo per secoli, un bambino dorato che non respira né cresce. Mentre guardava in alto verso la grande signora, il monaco percepì parte del suo amore incondizionato e cadde in ginocchio a pregarla di mostrargli la via, per poi scoprire di essersi inginocchiato su un foglietto di carta che la bambina aveva spostato dimenandosi. C’era scritto:

1. Qui avete una Madonna Nera, quindi saprete amare questa bambina quasi quanto la amo io. Per favore chiamatela Montserrat.

2. Aspettami.

Aveva una catenina d’oro allacciata al collo, con una chiave attaccata. Crescendo aveva testato ogni porta e sgabuzzino del monastero, senza successo. Doveva aspettare. Per Montse era sia un sollievo sia una frustrazione, quella… come poteva chiamarla, nozione, avvertenza, promessa? Quella promessa che qualcuno sarebbe tornato per lei. Se fosse stata una bambina bianca i monaci di Santa Maria di Montserrat l’avrebbero potuta affidare alle cure di una famiglia locale, ma lei era nera come il volto e le mani della Vergine che loro adoravano. Le era stato dato il cognome“Fosc”, non solo perché era nera, ma anche perché la sua origine era oscura. E i monaci si erano dati il compito di imparare tutto il possibile sui bisogni di una bambina. La maggior parte delle volte peccavano di indulgenza, e si chiedevano, discutendo tra loro, se quella estrema tenerezza

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fosse un peccato mortale o un peccato veniale. In ogni caso furono i monaci benedettini a nutrire vestire e cullareMontse, e ad attraversare gli orrori della dentizione con lei, e a suonare la campana della cappella per ore il giorno in cui disse la sua prima parola. Montse non dubitò mai, né da ragazza né da donna, della devozione dei suoi tanti padri, e, in parte, era la certezza di questa devozione che la aiutava a tirare avanti quando la gente la guardava stranamente o la insultava, a scuola e in città; le parole e gli sguardi a volte le facevano abbassare la testa per qualche passo, ma mai troppo a lungo. Era la figlia della Vergine di Montserrat, e sentiva istintivamente, ed ereticamente, è chiaro, che la Vergine era solo il simbolo di una più grande sorella-madre, allo stesso tempo serena e addolorata, una dea che non ti guidava, né ti proteggeva, ma si limitava ad accompagnarti da un posto all’altro, e aggiungeva una presenza tangibile alla tua, quando serviva.

Quando Montse fu abbastanza grande, trovò un lavoro in una merceria a Les Corts Sarrià e ci lavorò fino a quando i parenti della Señora Cabella rifiutarono di portare avanti gli affari di famiglia e il negozio chiuse. «Sei una gran lavoratrice, Montse» le disse la Señora Cabella «e so che diventerai qualcuno se te ne sarà data la possibilità. Hai visto quel pugno in un occhio lungo il Passeig de Gracià. È Casa Milà. La gente la chiama La Pedrera perché sembra una pietraia, un mucchio di sassi ammassati l’uno sull’altro. Una ragazza onesta e affidabile può lavorarci come lavandaia. Lo sai fare? Molto bene – vai dalla Señora Molina, la moglie del conserje. Dille che ti manda Emma Cabella. Dalle questo.» E la donna scrisse una raccomandazione che, quando la lesse, fece arrossire Montse.

Si presentò alla señora Molina, alla Pedrera, il mattino successivo, e la moglie del

conserje la mandò al piano superiore dalla señora Gaeta, che dichiarò Montse adeguata e

le legò addosso un grembiule. Dopodiché fu lavoro, lavoro, lavoro e le settimane diventarono mesi. Montse doveva lavorare più velocemente del normale per far sì che la señora Gaeta non si accorgesse che stava lavando i vestiti della famiglia Cabella insieme a quelli degli ospiti che le erano stati assegnati. Il ricambio del personale alla Pedrera era rapido; ogni settimana c’erano nuove ragazze che si univano ai ranghi, senza preavviso, e ragazze che scomparivano senza avvertire. La señora Gaeta ricordava ogni nome e ogni volto, anche se le uniformi identiche rendevano difficile persino alle ragazze riconoscersi

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l’una con l’altra. Era la señora Gaeta che assumeva le ragazze e che le licenziava se i loro sforzi non si dimostravano all’altezza. Compariva all’improvviso nella soffitta frustando l’aria col suo ventaglio laccato di rosso, mentre controllava diverse attività. Gli ospiti di Casa Milà chiamavano la señora Gaeta un tesoro, e alle lavandaie piaceva perché, a volte, si univa a loro quando cantavano; sembrava che un tempo fosse stata proprio come loro, nonostante portasse tutti quei damaschie quegli anelli con cammei. La señora Gaeta era molto amata anche perché era emozionante sentirla parlare: pronunciava le più poderose e insolite imprecazioni che avessero mai sentito, roba veramente irripetibile, e lo faceva con una voce che vibrava dolcemente, come il suono di un’arpa. La sua politica era assumere donne dall’aspetto sano che sembravano non essere predisposte al mal di

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