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What Is Not Yours Is Not Yours: traduzione e commento dei racconti di Helen Oyeyemi

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN

LINGUISTICA E TRADUZIONE

TESI DI LAUREA

What Is Not Yours Is Not Yours:

traduzione e commento dei racconti di Helen Oyeyemi

CANDIDATO

RELATORE

Francesco Cristaudo

Prof.ssa Biancamaria Rizzardi

CONTRORELATORE

Prof. Norman Gobetti

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Indice

Introduzione……….……….…….. 4

1. Helen Oyeyemi……….….. 5

1.1 Ritratto della scrittrice………..……….. 5

1.2 Stile e influenze……….……. 6

2 Puppets……… 9

2.1 Dare vita all’inanimato………..……….... 10

2.2 Il potere curativo del racconto…..………. 17

3. La fiaba………. 22

3.1 L’infanzia………..………. 22

3.2 Il meraviglioso………..………. 24

3.3 La tradizione………..……….... 29

4. Commento alla traduzione………. 38

4.1 Cenni storici sui Translation Studies………. 38

4.2 La traduzione come interpretazione………... 39

4.3 Lettore modello e dominante……..……… 41

4.4 Riformulazione sintattica………..……….. 43

4.5 Toponimi e nomi propri………..……… 47

4.6 Altri aspetti…………..……… 50

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Bibliografia……….………. 57

Traduzione………... 61

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Introduzione

Il presente elaborato si propone di analizzare e commentare quattro racconti tratti dal volume What Is Not Yours Is Not Yours di Helen Oyeyemi, pubblicato nel 2016.

La scelta è stata effettuata in base alla loro aderenza al nostro obiettivo di ricerca, il quale intende, in una prima fase, esplorare le analogie tra il mondo dei burattini e quello delle parole, e in seguito, analizzare l’influenza che le fiabe hanno avuto nella stesura di racconti quali: “Books and Roses”, “Is Your Blood As Red As This”, “Drownings” e “Dornička and the St Martin’s Day Goose”.

Il lavoro è diviso in tre capitoli principali, anticipati da una breve biografia dell’autrice. Nel primo capitolo si esplorerà il mondo dei puppets, i quali hanno uno statuto simile a quello delle parole nel loro essere al confine tra l’immaginazione e la realtà. Nel secondo capitolo verrà analizzata l’importanza delle fiabe e il rapporto con l’infanzia, il meraviglioso e la tradizione in relazione ai racconti di Helen Oyeyemi. Nel terzo capitolo, infine, verranno discusse le scelte traduttive e sarà presentata la traduzione in italiano dei quattro racconti presi in esame.

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1 Helen Oyeyemi

1.1 Biografia

Helen Olajumoke Oyeyemi nasce in Nigeria nel 1984 e si trasferisce a Londra con i genitori all’età di quattro anni. A diciotto anni, mentre si trova ancora al liceo, scrive The

Icarus Girl1, pubblicato nel 2005 dalla Bloomsbury Publishing. L’autrice viene accolta come un prodigio letterario e questa etichetta le rimarrà attaccata anche dopo la pubblicazione degli altri romanzi. Durante gli anni dell’università scrive due opere teatrali

Juniper’s Whitening e Victimese2, che grazie al buon successo di pubblico vengono pubblicate dalla Bloomsbury Publishing.

Dopo essere stata aggredita in un parco da un uomo che ha tentato di violentarla, comincia a viaggiare per il mondo alla ricerca di un luogo da chiamare casa. Vive per qualche periodo a Berlino, Parigi e Budapest, tentando di stabilire un legame profondo con queste città. Come dice la stessa autrice:

Home is where your teapots are. I packed up my teapots and began to roam, usually for six to eight months at a time, though there was recently a year-long spell in Cambridge. What can I tell you about the behaviour of cities? I’m greedy about cities – I like to form my impressions of them on my own, and on foot as far as possible, looking and listening, having conversations with bridges and streets and riverbanks, conversations I tend not to be aware of until a little later, when I find myself returning to those places to say hello again, even if only in memory3.

Riesce infine a trovare il posto che fa per lei: Praga, dove abita stabilmente dal 2013.

1 Oyeyemi, H., The Icarus Girl, London, Bloomsbury Publishing, 2005.

2 Oyeyemi, H., Juniper’s Whitening and Victimese, London, Bloomsbury Publishing, 2005.

3https://www.theguardian.com/lifeandstyle/2011/jun/26/helen-oyeyemi-once-upon-a-life (Ultimo

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6 The first time I came to Prague was in 2010, when I stayed for six months. I missed it so much that I came back in 2013 and it’s where I’ve been for the past six years. The surrealists loved it and it’s a very layered city; it could be a film set; it could be a fairytale; it could be a gritty, brutalist corner. It’s a combination of hard and soft4.

Nel 2007 pubblica il secondo romanzo The Opposite House, che trae ispirazione dalla mitologia cubana e che rientra nella rosa dei finalisti del Hurston/Wright Legacy

Award del 2008.

Nel 2009 pubblica il terzo romanzo White Is for Witching5, con il quale vince il Somerset Maugham Award nel 2010 e la fa arrivare in finale allo Shirley Jackson Award.

Nel 2010 viene selezionata anche per il BBC National Short Story Award con il racconto

My Daughter, the Racist.

I due romanzi successivi, Mr Fox (2011)6 e Boy, Snow, Bird (2014)7 traggono spunto da due celebri fiabe: il primo è una riscrittura di “Barbablù”, mentre il secondo rielabora “Biancaneve”, ambientandola nell’America degli anni Cinquanta.

What Is Not Yours Is Not Yours (2016)8, è una raccolta di racconti dove si esplora

il tema della chiave declinato in diverse forme. Alcuni dei testi presenti nell’antologia erano stati precedentemente pubblicati: “Books and Roses” su Granta 129: Fate; “Drownings” su The White Review; “Sorry Doesn’t Sweeten Her Tea” su Ploughshares e “Dornička and the St. Martin’s Day Goose” nell’antologia Carsten Höller: Decision.

1.2 Stile e influenze

Lo stile di Helen Oyeyemi viene spesso identificato nel genere del realismo magico, ma come leggiamo in un’intervista a cura di Annalisa Quinn: «Critics like to call Oyeyemi’s

4https://www.theguardian.com/books/2019/mar/02/helen-oyeyemi-gingerbread-interview (Ultimo

accesso: 25/03/2019).

5 Oyeyemi, H., White Is for Witching, London, Picador, 2009. 6 Oyeyemi, H., Mr Fox, New York, Riverhead Books, 2011. 7 Oyeyemi H., Boy, Snow, Bird, New Yok, Riverhead Books, 2014.

8 Oyeyemi H., What Is Not Yours Is Not Yours, London, Picador, 2016. Tutte le citazioni nel testo faranno

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books “magical realism,” but she hates that tag. “It’s not what I write,” she says, flinging her hands up in exasperation. “I don’t have a style. I just try to write what the story demands9”».

Per quanto la scrittrice non si identifichi in un genere la sua scrittura è tutt’altro che anonima. Attinge a piene mani alla tradizione Yoruba, al gotico, rivista il mito e la fiaba, dando vita a un affresco vitale di influenze eterogenee.

She does have a style, a kind of jolly gruesomeness, though it isn’t easy to categorize. In the way that a child might, without any real malice, pluck the legs off an insect and watch it squirm, Oyeyemi pins her subjects to the wall and makes them wriggle. It’s a little wry, a little earnest, a little dangerous – weird and familiar at the same time10.

All’interno dei suoi romanzi e dei suoi racconti vengono inoltre presentate figure femminili atipiche, strane:

I’m very interested in […] strange women, I suppose, women who are for some reason not able to express emotion in a way that wins them friends. So I like unsympathetic heroines and the wicked stepmothers and the evil fairy that shows up in the Sleeping Beauty, like I’m always interested in that character in the story11.

Per quanto riguarda i suoi autori e le sue autrici di riferimento, tra i classici spiccano Edgar Allan Poe, Shirley Jackson e in particolare Emily Dickinson a cui fa riferimento in molte delle sue opere. Anche in What Is Not Yours Is Not Yours troviamo una sua frase, «open me carefully», presa da una lettera indirizzata a Susan Huntingdon Gilbert. Oyeyemi ha sempre dichiarato, inoltre, di essere cresciuta leggendo dei classici come Little Women e Pollyanna, che hanno influenzato il suo modello di figura femminile.

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https://www.npr.org/2014/03/07/282065410/the-professionally-haunted-life-of-helen-oyeyemi?t=1553540388532 (Ultimo accesso: 25/03/2019).

10 Supra, nota 9.

11https://www.youtube.com/watch?v=tR9ffRxyrjw (Ultimo accesso: 25/03/2019). La trascrizione delle

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Passando ai contemporanei, una delle scrittrici più amate da Oyeyemi è Ali Smith, «She does things with language that really, really excite me12». Altri punti di riferimento sono Jeanette Winterson, Aimee Bender13 e Barbara Comyns Carr che con la sua riscrittura della fiaba “Juniper Tree” ha ispirato la stesura di Boy, Snow, Bird.

12 Supra, nota 11.

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Capitolo 2 – Puppets

Con l’espressione teatro di figura si intende quel teatro «[…] costituito dalle manifestazioni tradizionali e contemporanee di marionette, burattini, pupi, ombre, oggetti in scena14». In questa sede non è possibile parlarne in maniera esaustiva e ci si limiterà a esplorare i rapporti che intercorrono tra puppets e letteratura, con particolare riferimento a What Is Not Yours Is Not Yours. Si vedranno le somiglianze tra i burattini e le parole, entrambi in grado di portare alla luce mondi altrimenti invisibili grazie alla loro capacità di prendere vita e generare storie, e si vedrà quanto questa capacità generatrice sia importante e potenzialmente illimitata.

Una piccola nota sul lessico utilizzato nell’elaborato: in inglese «A puppet is a doll that you can move, either by pulling strings which are attached to it or by putting your hand inside its body and moving your fingers15.» Col termine puppet, quindi, si indicano sia i burattini che le marionette. Infatti, in italiano un burattino è un «fantoccio per rappresentazioni teatrali popolari o infantili, costituito da una testa di legno o cartapesta e un ampio vestito sotto cui il burattinaio infila la mano per animarlo16», mentre la marionetta è un «fantoccio, spec. di legno o cartapesta, azionato dall’alto, sulla scena di appositi teatrini, dal marionettista, mediante fili collegati con il capo e con gli arti17». È altresì vero che in inglese esiste il termine marionette che corrisponde all’italiano “marionetta”, ma la sua frequenza d’uso è molto inferiore rispetto a puppet come testimoniato dal Collins Dictionary18. Nel presente lavoro verrà utilizzata principalmente

la parola “burattino” che per estensione indica anche la marionetta19, dal momento che,

ai fini dell’analisi non c’è una differenza sostanziale fra burattino e marionetta.

14 Allegri L., Bambozzi M., Premessa in Allegri L., Bambozzi M. (a cura di), Il mondo delle figure: burattini,

marionette, pupi, ombre, Roma, Carocci, 2012, p. 12.

15https://www.collinsdictionary.com/it/dizionario/inglese/puppet (Ultimo accesso: 31/01/2019).

16https://dizionario.internazionale.it/parola/burattino (Ultimo accesso: 31/01/2019).

17https://dizionario.internazionale.it/parola/marionetta (Ultimo accesso: 31/01/2019).

18https://www.collinsdictionary.com/it/dizionario/inglese/marionette (Ultimo accesso: 31/01/2019).

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2.1 Dare vita all’inanimato

Parlare di letteratura vuol dire parlare di mondi immaginari: non esiste opera letteraria tangibile al di fuori del mondo che si crea nella mente del lettore o dello scrittore. La fruizione di un’opera implica ovviamente il contatto con la materia (che siano i caratteri impressi sulla carta o sullo schermo di un dispositivo elettronico, o la voce di un narratore) la quale si limita, però, a fungere da medium del discorso e non diviene sostanza. La storia raccontata, invece, si dipana nei cervelli dei fruitori grazie a un processo creativo insito nella natura umana o quantomeno diffuso in maniera capillare nelle civiltà umane nel corso dei millenni.

Questa capacità generatrice porta con sé una visione del mondo, e delle storie che lo popolano, altamente soggettiva, in quanto ognuno di noi vive e interpreta in maniera diversa il mondo che lo circonda. Quando guardiamo un film, leggiamo un libro o ascoltiamo una storia, il prodotto creato dalle nostre menti non sarà mai completamente identico a quello di un’altra persona che abbia visto lo stesso film, letto lo stesso libro o ascoltato la stessa storia. Un discorso equivalente vale per la creazione di un’opera. Basti pensare al processo di traduzione: se dessimo a cento diverse persone lo stesso testo da tradurre, difficilmente otterremmo due versioni completamente identiche tra loro.

Ogni fruitore di un’opera applicherà il proprio bagaglio di conoscenze alla lettura del testo in questione e ne ricaverà conclusioni diverse, rendendo possibile lo scambio di idee e punti di vista differenti. In questa mutevolezza si può forse riscontrare uno dei tanti motivi del bisogno di produzione artistica nelle società umane: permette infatti contatto e scambio di idee. Siamo tutti immersi in un mondo di racconti, miti e leggende, un mondo che ci permette di essere continuamente creatori, anche nei momenti di ricezione passiva. Ogni essere umano compie, infatti, un processo di traduzione endolinguistica o riformulazione20 quando si trova a dover capire il significato di una locuzione.

20 Jakobson R., Saggi di linguistica generale, trad.it. Luigi Heilmann e Letizia Grassi, Milano, Feltrinelli,

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Constatata l’importanza del processo creativo, non ci stupiamo dell’aumento vertiginoso del numero di libri pubblicati ogni anno:

[…] nel mondo, ogni anno, vengono stampati oltre due milioni e mezzo di libri. Non di volumi: di titoli. Sono quasi settemila al giorno, sabati e domeniche compresi. Poco meno di seicento ogni ora, quasi dieci al minuto, ogni minuto di ogni giorno, uno ogni sette secondi. In quantità di volumi fisici possiamo stimare che siano almeno due miliardi di copie all’anno, una ogni tre individui viventi sul pianeta21.

Va da sé che l’aumento della produzione di libri è un fenomeno complesso e ricco di sfaccettature che dipende da una moltitudine di fattori, primo tra tutti lo sviluppo della tecnologia e la maggiore accessibilità da parte di tutti a questo mercato, tuttavia, a mio avviso, la produzione massiccia di libri rispecchia anche il bisogno profondo dell’essere umano di raccontare e, dunque di creare, dare vita alla materia inerte grazie al solo ausilio dell’immaginazione. Come dice Luigi Allegri parafrasando Bruno Schulz «[…] noi umani abbiamo sempre invidiato il demiurgo per la sua possibilità di creare, ma questa possibilità appartiene anche a noi, con la differenza che la nostra opera può portare non a un universo perfetto e concluso ma a un universo più labile22.»

La letteratura non è l’unica arte in grado di dare vita all’inanimato, e Helen Oyeyemi lo sa bene. Il suo racconto “Is Your Blood As Red As This” infatti mette in scena una storia di burattini assolutamente atipica che diviene una riflessione sulla potenza creatrice dell’arte.

Il racconto si divide in due parti: nella prima la narratrice è Radha, una giovane ragazza che si infatua di Myrna, una burattinaia più grande incontrata per caso a una festa. Per amore, la protagonista si iscriverà alla scuola di burattinai frequentata da Myrna, ma non verrà scelta dalla sua amata che preferirà prendere sotto la sua ala protettrice Tyche Shaw, e finirà invece a essere l’apprendista di un burattinaio di nome Gustav Grimaldi.

21 The Book Fools Bunch, Guida tascabile per maniaci dei libri, Firenze, Edizioni Clichy, 2017, p. 7. 22 Allegri L., Bambozzi M. (a cura di), Il mondo delle figure: burattini marionette, pupi, ombre, cit., p. 20.

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La prima parte si conclude con la delusione di Radha, e la seconda parte si apre con un cambio di prospettiva: il narratore diventa infatti Geppetta (il burattino di Radha), la quale ci racconta le vicende scolastiche e amorose della sua burattinaia.

«A puppet in its very stillness and abandonment may be charged with potential motion, becoming an object of reverie, patiently awaiting some further life23». Come dice Kenneth Gross nel saggio Puppet: An Essay on Uncanny Life, i burattini sono esseri in attesa di vita.

Voice is another matter. Puppet actors are often mute. They can seem most persuasive in wordless dances, where unspeaking figures are moved by music, or in dumb shows and pantomimes. Or when they assume the forms of voiceless animals, real or invented. Silence and speechlessness indeed seem natural to the puppet. This is partly because puppets are more like word themselves – abstract yet object-like things with an intractable life of their own – and so do not need words. It is also because a puppet’s words can never come from inside24.

Non sono capaci di parlare e spesso non ne hanno bisogno, in quanto «[puppets]are more like words themselves». Difatti, proprio come le parole, hanno bisogno di un agente esterno che li utilizzi e gli attribuisca significato; come le parole, possono essere disposti nello spazio in ordine diverso. Hanno dunque una sintassi che viene espressa dal rapporto che intercorre tra un burattino e l’altro, o, più in generale, del rapporto tra burattini e mondo esterno. Sono dotati di una forma specifica, una morfologia, che varia da burattino a burattino e di conseguenza la funzione all’interno del discorso cambia.

Grazie ai burattini, e di conseguenza alle parole, riusciamo allora a soddisfare il bisogno di creare, quel bisogno che invidiamo al demiurgo.

Nel racconto “Is Your Blood As Red As This”, il concetto di dare vita all’inanimato viene portato all’estremo: ci troviamo di fronte a pupazzi che agiscono in autonomia, anche senza l’aiuto del burattinaio; sono dotati di una coscienza e sono loro stessi a dar voce ai pensieri e alle emozioni che li animano. Prendiamo ad esempio il

23 Gross K. Puppet: An Essay on Uncanny Life, Chicago, The University of Chicago Press, 2011, p. 66. 24 Ivi.

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burattino di Tyche Shaw: lo spettacolo che mettono in scena alle audizioni per entrare nella scuola di burattino consiste nella ripetizione di una singola domanda, l’unica che Tyche riesce a fargli dire:

“Did you make her yourself?”

“No, I found her. I know she doesn’t look like a puppet, but she is one. I know it because when I first picked her up I said something I’d never said before. I put her down and then when I picked her up I said the thing without meaning to, and again it was something I hadn’t said before, even though the words were the same.” “What’s her routine?”

“At the moment she only asks this one question, but I’m hoping to learn how to get her to ask another.”

“What’s her question?”

The girl looked uncomfortable. She pointed at her nametag: “This is me, by the way.” Thyche Shaw. My own nametag was lost inn my hair, so I shook hands with her and said: “Rada Chaundhry. What’s your puppet question? Tyche mumbled something, too low for me to hear. I’d just decided not to ask again – maybe she was saving it up for the audition – when she repeated herself: “Is your blood as red as this?”

A chess piece asking a personal question, possibly one of the most personal questions that could be asked. I didn’t know how to answer. At my instruction my glove puppet shook its head, No, surely your blood is redder25.

Salta subito all’occhio il pronome personale che viene usato per indicare il puppet di Tyche. Radha, infatti, invece di usare it, il pronome neutro usato per riferirsi agli oggetti inanimati, utilizza her attribuendo dunque un carattere umano al piccolo oggetto, e portandolo nella sfera dell’affettività. Pensiamo infatti all’utilizzo dei pronomi per riferirsi agli animali: si usa it fintanto che parliamo di un animale generico, mentre usiamo

her o him per riferirci agli animali domestici, che rientrano nella nostra cerchia degli

affetti, e che guadagnano uno statuto di umanità, prima quasi del tutto assente.

Continuando nella lettura, possiamo osservare innanzitutto come ogni oggetto possa diventare un burattino. Difatti un semplice oggetto, in questo caso la pedina di una

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scacchiera, diventa una marionetta che agisce su Tyche, modificandone i comportamenti e i pensieri. Come dice Didier Plassard:

Che cosa è, in fondo, una marionetta? Questa domanda, che sarebbe sembrata ingenua agli inizi del Novecento, cento anni più tardi può legittimamente porsi, e per diverse ragioni.

In primo luogo, per la diversità degli oggetti animati o manipolati negli spettacoli contemporanei, che molto spesso non si richiamano alle marionette nel senso di oggetti scolpiti a somiglianza di un essere vivente e poi animati. Giocattoli industriali, sassi e pezzi di legno, mucchi di argilla, utensili da cucina, attrezzi, frutti e legumi, carta igienica, un pollo morto e spennato, un disegno rapido su un post-it, una scultura iperrealista, tutti gli oggetti del nostro ambiente quotidiano, tutte le forme uscite dalle mani di uno scultore possono diventare marionette, trascinando lo spettatore verso il piacere dell’immaginazione ludica o la fascinazione inquieta che suscita il doppio26.

Che ogni cosa attorno a noi possa diventare burattino significa che il loro mondo permea tutto ciò che ci circonda con la conseguenza che possiamo dare vita a tutto grazie alla nostra immaginazione. Se così è, il potere d’influenza della nostra fantasia diventa pressoché illimitato e si estende anche al potere delle parole che, al pari dei burattini possono dar vita a infiniti mondi e infinite storie. Ritroviamo dunque, nelle righe sopracitate, un inno alla forza del racconto, capace di fare cose che la sola vita materiale non sarebbe in grado di fare o di farci fare.

Nel racconto della Oyeyemi sono i burattini a dare vita agli esseri umani al punto che Tyche si rende conto di essere davanti a uno di essi quando, prendendolo in mano, pronuncia parole che non ha mai detto prima. E ancora, ogni volta che lo prende in mano quelle stesse parole assumono un significato nuovo, pur non mutando la forma dell’enunciato. Ritroviamo qui un concetto a cui si è già accennato, ovvero che ogni frase, ogni racconto e ogni storia che creiamo assumono un significato diverso di volta in volta, di lettore in lettore, di ascoltatore in ascoltatore. Questa è probabilmente una delle ragioni per cui ci sono storie che si incastonano nella cultura dei vari popoli (ad esempio le fiabe, di cui parleremo più avanti) e vengono ripetute nel corso dei secoli, fungendo da base per altre storie, un pozzo infinito a cui attingere dal momento che ogni essere umano vive in

26 Plassard D., “L’epoca contemporanea”, in Allegri L., Bambozzi M. (a cura di), Il mondo delle figure:

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maniera diversa le stesse storie. Ed è così che Cappuccetto Rosso può avere, nella mente di tanti lettori, il vestito di un’infinità di gradazioni di rosso diverse, il bosco può essere più o meno fitto, popolato da alberi di diversa natura, e il lupo può essere alto un metro oppure dieci, a seconda di cosa immagini il fruitore della storia.

Siamo fatti di storie, di parole. Le parole che leggiamo, le parole che scriviamo, le parole che pronunciamo o quelle che soltanto pensiamo. Siamo parole in grado di dar vita a tutto ciò che ci circonda e, altresì, di ricevere la vita da tutto ciò che ci circonda. Se osserviamo attentamente il brano citato, ci accorgiamo come Radha sia poco più umana del burattino di Tyche: il suo unico ruolo nella conversazione è quello di fare domande, semplici, talvolta ripetute, similmente alla regina degli scacchi, che continua a ripetere la sua domanda «is your blood as red as this?» ogni volta che Tyche la prende in mano.

L’interesse verso il mondo degli oggetti è testimoniato dalle parole della stessa Oyeyemi che a proposito della genesi di What Is Not Yours Is Not Yours dice:

I wanted to write a book about keys and I wanted to take the figure of a key and try to say something about what keys are in our lives and by extension, I suppose, what the objects that we live with know about us, in some way, because they’re witnesses to so much of our everyday and thought processes and to our dreams and our hopes and our interior lives; so the ways that keys can unlock minds and characters27.

Gli oggetti (e per estensione i burattini e le parole) ci conoscono più intimamente di quanto potremmo sospettare. Sono infatti testimoni della nostra vita, e non soltanto di quella materiale, bensì della nostra vita interiore, dei pensieri e dei sogni; penetrano nel profondo dei nostri animi e agiscono in maniera attiva nella creazione della nostra coscienza. Non sono spettatori inermi in attesa di essere usati, hanno un’agentività28, spesso sottovalutata, che ci porta a compiere azioni, a pensare e a sentire il mondo in

27https://www.youtube.com/watch?v=vxtUBjteG4s&t=759s (Ultimo accesso: 21/01/2019).

28 “Agentività” è un termine preso in prestito all’antropologia e si riferisce alla capacità di far accadere le

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maniera diversa. Gli oggetti sono compagni silenziosi che ci ascoltano e ci parlano con la loro lingua muta, sono chiavi che aprono le porte della nostra mente.

Nella stessa intervista, Oyeyemi racconta come abbia scelto di inserire i burattini all’interno del libro; la scelta deriva dalla lettura del libro Puppet: An Essay on Uncanny

Life di Kenneth Gross. Poi racconta come, dopo aver scritto “Books and Roses” scrivere

altri otto racconti le pareva un’impresa colossale. Afferma infatti:

I was trying to think about how keys sometimes seem to have a life of their own and just because a key that you swore you knew where it was and has vanished almost as if it’s just got upon their legs and walked away. And the book about puppets managed to talk about objects in a way that made them seem as if they could have consciousness and I drew a book with puppets in on the side of keys29.

A tutti, almeno una volta nella vita, è capitato di perdere un oggetto e aver pensato che avesse una vita propria e che avesse deciso di nascondersi o fuggire da noi. Questa è l’intuizione che ha portato l’autrice a concentrarsi sugli oggetti e sui puppets in generale, la possibilità che siano dotati di una coscienza propria e siano dunque soggetti autonomi, simili a esseri umani in quanto capaci di agire sul mondo che li circonda.

Inoltre, Oyeyemi decide di mettere i burattini al fianco delle chiavi, creando così un immaginario complesso in cui gli oggetti agiscono su di noi aiutandoci a scoprire cose nuove e regalandoci un nuovo sguardo sul mondo. Come scritto in precedenza, burattini e parole svolgono una funzione analoga, sono entrambi oggetti in grado di essere portati alla vita e di influenzare il nostro mondo. Per questo motivo possiamo dire che le parole, al pari delle chiavi di cui parla l’autrice, hanno una forza creativa capace di aprire la nostra mente in maniera spesso inaspettata. A conferma di ciò si riportano le parole della Oyeyemi a proposito del processo di creazione delle immagini nei suoi racconti: «They just seemed to emerge; the whole process of writing, it was like unlocking doors and unlocking doors and sometimes it was a surprise to me what was behind each door30.»

29 Supra, nota 28. 30 Supra, nota 28.

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2.2 Il potere curativo del racconto

Noi, in quanto esseri umani, diamo dunque vita alle storie, creando mondi che prima non c’erano e che non esistono nel mondo materiale; la scuola di burattini in cui entra Radha non è un luogo fisico, realmente esistente, tuttavia esiste nella nostra mente, nei nostri pensieri, e il suo esistere influenza la vita del fruitore della storia allo stesso modo in cui visitare un paese straniero può modificare la vita di un viaggiatore. Questi mondi agiscono attivamente su di noi, talvolta in maniera terapeutica.

Esiste a Firenze una piccola farmacia letteraria nella quale i libri vengono “prescritti” in base al malessere. «Ogni libro è contrassegnato da un bugiardino che elenca le persone a cui è rivolto, la posologia e i possibili effetti collaterali31.» I libri vengono trattati dunque come vere e proprie medicine32; mondi immaginari che vengono in soccorso nel mondo materiale e agiscono in maniera tangibile. La stessa idea è presente in “Is Your Blood As Red As This”:

You told me about how stories come to our aid in times of need. You’d recently been on a flight from Prague, you told me, and the plane had gone through a terrifyingly long tunnel of turbulence up there in the clouds. «Everyone on the plane was freaking out, except the girl beside me,» you said. «She was just reading her book – maybe a little bit faster than usual, but otherwise untroubled. I said to her: «Have you noticed that we might be about to crash?» And she said: «Yes, I did notice actually, which makes it even more important for me to know how this ends33».

È significativo che per descrivere il potere del racconto, Oyeyemi si serva di un racconto all’interno del racconto; la storia della ragazza sull’aereo è infatti riportata da Myrna a Radha, il che rende il potere preso in esame effettivo, evidente, non più qualcosa di astratto, ma una realtà che possiamo constatare tra le parole del testo. Non è questo un

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https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/01/21/libri-come-medicine-apre-a-firenze-la-piccola-farmacia-letteraria-sono-prodotti-artistici-e-possono-curare-le-persone/4883078/ (Ultimo accesso: 22/01/2019).

32 Ovviamente gli effetti non sono scientificamente provati e va considerato il fattore economico che

può aver portato all’apertura di una libreria bizzarra, così da portare più clienti e dunque aumentare il fatturato; detto ciò l’idea alla base rimane, significativa e affascinante.

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caso isolato di racconto nel racconto, che sono infatti presenti in tutto il libro, e in particolare ne ritroviamo uno poche righe più avanti, che testimonia come, al pari delle parole, i burattini possano avere un effetto curativo sulle persone:

You believed in the work that puppet-play can do – you’d seen it with your own eyes. Before your father began teaching, back in the days when he performed, you had seen a rod puppet of his go down on its knees before a girl who sat a little aside from his audience of schoolchildren. This girl had been looking on with her hair hanging over her face, only partly hiding a cruel-looking scar; her eyes shone with hatred. Not necessarily hatred of your father or of puppets or the other children, but a hatred of make-believe, which did not heal, but was only useful to the people who didn’t need it. Man and long-bearded puppet left the stage, walked over to the girl and knelt – the puppet’s kneeling was of course guided by your father’s hand, and every eye in the audience was on your father’s face, but his uncertain expression convinced everyone that the puppet had suddenly expressed a will of its own. «Princess, I am Merlin, your Merlin,» the puppet man said to the girl. «At your service for ever.»

«Me? the girl said, suspicious, on the edge of wrath – you just try and make me the butt of your joke - «Me, a princess? You at my service?»

«It’s no mistake.» The puppet’s hand moved slowly, reverently; it held its breath despite having no breath to hold, the girl allowed that wooden hand to fondly brush her cheek – watching, you were absolutely sure that no hand of flesh and bone would have been allowed to come that close. «This is the sign by which we recognize you,» the puppet said, «but if you wish you may continue as you are, in disguise.»

And your father and his puppet returned to the stage, never turning their backs on the girl, as is the protocol regarding walking away from royalty. The girl’s teacher cried, but the girl herself just looked as if she was thinking. She continued to think through the second act of the puppet play, but by the third act she was clapping and laughing as loudly as the rest of them34.

Qui, una delle cose più interessanti è come il cambiamento nella bambina, il suo guadagnare fiducia in sé stessa e nello spettacolo a cui assiste, avvenga nel momento in cui viene portata in un mondo diverso dal suo. Le viene permesso di essere parte di qualcosa da cui prima si sentiva completamente estranea e questo sentimento di appartenenza si traduce in un maggior coinvolgimento nel mondo esterno e dunque una maggior capacità di vivere in entrambe le realtà. Prima della messinscena, la bambina non apparteneva né all’universo abitato dalle persone, né a quello della fantasia; era in

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una sorta di limbo che le causava malessere e un sentimento di inadeguatezza. L’immedesimazione all’interno di una storia, invece, riesce ad annullare lo iato tra lei e i due mondi a cui prima non riusciva ad appartenere.

Come afferma Oyeyemi in un podcast parlando della magia nelle sue opere: «magic is real and so is the world35». Non c’è quindi una vera differenza tra quello che leggiamo e quello che viviamo; tutti i racconti con cui entriamo in contatto, infatti, sono reali in quanto esistono nella nostra mente, e hanno un effetto tangibile anche sul mondo reale, come testimoniato dalle storie presentate in queste pagine. In fondo la maggior parte delle azioni che compiamo sono dettate da esigenze che nascono al nostro interno, e non soltanto come reazione al mondo che ci circonda fisicamente. I due universi, reale e immaginario, si influenzano e si legittimano a vicenda ma hanno potenzialità diverse: il mondo reale è, infatti, strettamente legato alla materia e alle leggi della fisica, che non possono in alcun modo essere aggirate. Se saltiamo, siamo costretti a tornare giù a causa della forza di gravità. Il mondo immaginario invece, per quanto tragga origine dal mondo materiale (senza il quale non potrebbe esistere), non è vincolato ai dettami della materia, o quantomeno lo è in maniera diversa rispetto al mondo in cui viviamo. Qui si può pensare di non tornare coi piedi per terra dopo un salto; le leggi della fisica non governano la fantasia.

È altresì vero che questi due piani non sono completamente scollegati e, anzi, si generano e si influenzano a vicenda. Il mondo reale trae forza da quello immaginario e continua a esistere grazie a esso, mentre il mondo immaginario dipende da quello reale, dal momento che gli esseri umani, che danno vita alla fantasia, esistono nel mondo della materia. Si delinea, dunque, un rapporto complesso di interrelazione e dipendenza che non può ammettere che una delle due realtà venga esclusa dall’altra.

Il punto di contatto tra questi due mondi diventa evidente nella figura del puppet, il quale si colloca tra queste dimensioni e funziona da tramite fra i due mondi.

«Inoltre» disse «quei fantocci hanno il vantaggio di non essere soggetti alla legge di gravità. Della pigrizia della materia, di questa fra tutte le proprietà la più avversa alla danza, essi non sanno nulla; perché la forza, che li solleva in aria, è maggiore di quella che li incatena alla terra. […] Le marionette hanno bisogno del terreno

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20 solo, come gli elfi, per sfiorarlo e rianimare l’impeto delle membra col momentaneo arresto. Noi invece ne abbiamo bisogno per posare su di esso36.

Come intuisce Kleist nel saggio Sul teatro di marionette, queste ultime non sono strettamente legate al mondo materiale, non sono soggette alla legge di gravità. Il loro statuto risulta complesso in quanto, proprio come noi, esistono fisicamente ma non sono schiave della loro corporalità che, piuttosto, permette loro di esistere a pieno titolo in entrambe le realtà. Kleist afferma che la loro «forza» è maggiore rispetto a quella di gravità e tale affermazione ci sembra un ottimo modo per esprimere il grande potere di influenza che hanno i burattini, i quali possono agire sia sul mondo reale sia su quello immaginario.

La forza che posseggono i burattini è presente anche nelle parole, che svolgono una funzione analoga di tramite fra i due mondi e possono evitare di seguire le leggi della fisica. Una capacità, questa, testimoniata in tutte le epoche da racconti che inseriscono elementi fantastici, a partire dai grandi racconti degli antichi37 fino a quelli dei giorni nostri, dove il fantasy è uno dei generi più in voga tra i lettori, soprattutto tra i giovani adulti.

I burattini, grazie alla loro condizione che si colloca a cavallo tra due dimensioni, sono capaci di farci vedere cose provenienti da un altro modo e riescono a farlo in maniera tangibile, oltre che mentale, in quanto esistono nel mondo materiale pur non sottostando alle leggi che lo governano. Allora, assistere a uno spettacolo di burattini può essere un’esperienza che ci porta a una sensazione di meraviglia assoluta, una meraviglia che esiste solo se gli occhi di chi guarda sono disposti ad accettarla. e i bambini sono i più propensi ad accogliere il meraviglioso nella loro vita e a godere dunque della bellezza strepitosa suscitata dalla fantasia. Una bellezza che agisce e influenza l’osservatore, una bellezza che non si limita a esistere inerte, ma guida le nostre azioni e il nostro essere. In questo senso è fondamentale che, come scrive Oyeyemi in “Is Your Blood As Red As This”, questa apertura al meraviglioso sia preservata per tutta la vita e non si limiti a esistere solo negli anni della fanciullezza. Citando le sue parole «The role of the puppeteer

36 Kleist H., “Sul teatro di marionette”, in Pastore L. (a cura di), Bambole, giocattoli e marionette, Firenze,

Passigli editore, 2007, pp. 81-83.

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is to preserve childlike wonder throughout our life spans38». È una capacità a cui non si può rinunciare, quella di essere aperti al meraviglioso. Per dirla con le parole di Baudelaire nel saggio Morale del giocattolo:

Credo che generalmente i fanciulli agiscano sui loro giocattoli, in altri termini, che la loro scelta sia diretta da disposizioni e desideri, vaghi, è vero, non formulati, ma ben reali. Tuttavia non affermerei che non avvenga anche il contrario, cioè che i balocchi non agiscano sul fanciullo, soprattutto in caso di predestinazione letteraria o artistica. Non sarebbe da stupirsi se un bambino di questa specie, cui i genitori regalassero principalmente i teatrini, perché da solo possa continuare il piacere dello spettacolo e delle marionette, s’abituasse già a considerare il teatro come la forma più deliziosa del bello39.

38 Oyeyemi H., WNYNY p. 107.

39 Baudelaire C., “Morale del giocattolo” in Pastore L. (a cura di), Bambole, giocattoli e marionette, cit.p.

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Capitolo 3 – La fiaba

Come abbiamo rilevato nel precedente capitolo, il teatro di figura è generalmente associato all’infanzia40. Oyeyemi appare sinceramente interessata a questo stadio della vita, come testimonia il suo costante attingere alla fiaba, genere dell’infanzia per antonomasia. Tutte le opere dell’autrice sono in stretto rapporto con le fiabe, talvolta riscritte (si veda il caso del romanzo Mr Fox che opera una rilettura del popolare racconto inglese, oppure Boy, Snow, Bird, rilocalizzazione di “Biancaneve” nell’America degli anni Cinquanta) e talvolta prese come modello stilistico; è questo il di What Is Not Yours

Is Not Yours. Infatti, come sottolinea in un’intervista la stessa autrice: «With these key

stories it was more a fairy tale tone I was borrowing; there was no particular fairy tale, it was more a way of telling the story41».

3.1 – Infanzia

Nei racconti della Oyeyemi si intuisce che essere bambini è qualcosa di positivo, non si considera l’infanzia come uno stato embrionale della vita dell’essere umano, uno stadio inferiore di vita, piuttosto, è vero il contrario; i bambini sono in grado di vedere cose che gli adulti non sanno più riconoscere:

Myrna, before you I could only really talk to my brother and the ghost. There was something disorganized about the way she spoke that rubbed off on me. Plus she (the ghost) had warned me that the minute I grew up I wouldn’t be able to see her any more. “How will I know when I’ve grown up?” When I started using words I didn’t really know the meaning of, she said. I said I did that already, and she said yes, but I worried about it and grown-ups didn’t. (Of course I’m paraphrasing her;

40 Per una trattazione più estesa, che non si limita a definire il teatro di figura in relazione all’infanzia,

rimando alla lettura di Il mondo delle figure: burattini, marionette, pupi, ombre, a cura di Luigi Allegri e Manuela Bambozzi.

41 Supra, nota 28. L’affermazione in questione non va presa alla lettera in quanto il racconto “Dornička

and the St Martin’s Day Goose” presenta un evidente riferimento a “Cappuccetto Rosso” e alla fiaba ceca “The Golden Spinning Wheel” di Karl Jaromír Erben. Tuttavia queste sono le uniche fiabe a cui l’autrice allude in What Is Not Yours Is Not Yours.

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23 when I think back on her syntax it’s like hearing a song played backwards.) So then there’s this trepidation that you’re going to suddenly find yourself having a conversation that turns you into a grown-up, a conversation that stops you being able to see things and people that are actually there42.

Myrna parla con una fantasma, una figura che non esiste nel mondo fisico ma che, in questo racconto, viene trattata al pari di una persona reale dalla protagonista, che dialoga con lei e le confida tutte le sue paure. È importante a dunque capire come il nostro mondo sia composto da una componente fisica, fatta di cose tangibili e visibili da tutti, e da una componente immaginaria, non tangibile ma altrettanto reale in quanto capace di influenzare la nostra vita. Si potrebbe definire il fantasma come rappresentante del mondo immaginario, che esiste tanto quanto quello fisico; per accedere a questo mondo immaginario c’è bisogno di un requisito specifico, ovvero la capacità di vedere il meraviglioso con gli occhi di un bambino. Ricordiamolo: «The role of a puppeteer is to preserve childlike wonder throughout our life spans». Ovviamente anche uno scrittore deve adempiere a questo dovere morale e Helen Oyeyemi lo fa con grande capacità, presentando una costellazione di immagini meravigliose e fuori dall’ordinario.

Benché nel sentire comune le fiabe siano strettamente intrecciate all’infanzia esse non nascono per intrattenere i bambini ma:

Per secoli la fiaba è stata una forma di intrattenimento di società adulte, siano esse le comunità del villaggio raccolta attorno al focolare, il pubblico colto a cui si rivolgevano le fiabe di Straparola e di Basile, o le aristocratiche francesi a corte. La prima edizione delle fiabe grimmiane, tanto per citare una raccolta che viene percepita come inscindibile dal suo destinatario infantile, non era affatto rivolta ai bambini; rispondeva invece a un’esigenza filologica tutta intellettuale e all’interesse per l’esaltazione di una tradizione popolare germanica comune che potesse preludere all’unificazione nazionale.

Lo spostamento della destinazione della fiaba, dal pubblico adulto a quello prevalentemente infantile, è fenomeno relativamente recente che in genere si fa risalire al formarsi del concetto di infanzia come momento separato e privilegiato tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento43.

42 Oyeyemi H., WNYNY, p. 80.

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Appare dunque chiaro come la fiaba non nasca intrinsecamente legata all’infanzia, ma lo sia diventata grazie a un fenomeno culturale che ha cambiato il ricevente della narrazione. Come gran parte della letteratura per l’infanzia dunque, anche la fiaba si caratterizza per la presenza di un doppio destinatario, quello infantile e quello adulto. Ciò permette di inserire al suo interno messaggi e personaggi all’apparenza innocui, ma che nascondono un messaggio più profondo per il lettore più esperto che sia capace di cogliere i riferimenti.

Allo stesso modo in cui nel corso dei secoli scrittori e intellettuali come i fratelli Grimm o Charles Perrault hanno adattato narrazioni orali indirizzate agli adulti trasformandole in storie scritte, che si sono tramutate in narrazioni per l’infanzia, la riscrittura delle fiabe può portare alla creazione di mondi nuovi e inesplorati; si possono così scardinare modi di pensare che si sono radicati nel sentire comune della gente aprendo «squarci inquietanti su destini che la familiarità con la fiaba ha reso scontati44». È questo uno dei punti di forza delle riscritture: farci vedere cose che abbiamo sotto gli occhi, ma che abbiamo smesso di vedere, proprio come gli adulti hanno perso la capacità di vedere i fantasmi perché non hanno più il loro senso della meraviglia.

3.2 Il meraviglioso

Nel suo libro La letteratura fantastica, Tvetan Todorov afferma che: «Nel […] meraviglioso, gli elementi soprannaturali non provocano nessuna reazione particolare, né nei personaggi, né nel lettore implicito. Non è un atteggiamento verso gli avvenimenti narrati a caratterizzare il meraviglioso, bensì la natura stessa di quegli avvenimenti45». In questo modo il meraviglioso si distanzia dal fantastico, il quale invece «dura soltanto il tempo di un’esitazione46 e si caratterizza dunque non tanto per gli avvenimenti narrati in

sé, quanto per la reazione che suscitano all’interno del racconto.

44 Ibidem, p. 58.

45 Todorov T., La letteratura fantastica, trad. it. Elina Klersy Imberciadori, Milano, Garzanti, 2000 [1970],

p. 57.

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Si potrebbe pensare che fiaba e meraviglioso coincidano, in quanto questo tipo di narrazioni accoglie al suo interno avvenimenti assolutamente fuori dall’ordinario, ma Todorov specifica che:

Di solito si associa il genere del meraviglioso a quello del racconto di fate. In realtà il racconto di fate non è che una delle varietà del meraviglioso e gli avvenimenti soprannaturali non vi destano alcuna sorpresa: né il sonno di cent’anni, né il lupo che parla, né i doni magici delle fate (per non citare che alcuni elementi dei racconti di Perrault). Quel che distingue il racconto di fate è un certo modo di scrivere, non lo statuto del soprannaturale47.

Questa distinzione conferma che la Oyeyemi si inserisce all’interno del genere meraviglioso; come abbiamo visto in precedenza, infatti, in What Is Not Yours Is Not

Yours, l’autrice non prende come riferimento delle fiabe specifiche, quanto piuttosto un

modo di narrare, quello appunto del meraviglioso. Ciò risulta evidente fin dal primo racconto, “Books and Roses”, il quale comincia con la formula tipica delle fiabe, e che permette al lettore di entrare in un mondo dove si può aspettare qualsiasi tipo di avvenimento. Come dice Angela Carter: «When we hear the formula “Once upon a time”, or any of its variants, we know in advance that we are about to hear isn’t going to pretend to be true48». Abbandoniamo così ogni pretesa di realismo e siamo pronti ad accogliere avvenimenti che si discostano dalla norma, senza porci domande o senza storcere il naso per l’insensatezza della storia. È importante notare che questa formula di ingresso in un mondo altro viene posta all’inizio della raccolta; sono queste le prime parole che trova il lettore di questo libro. Lo stato d’animo con cui si affronterà la lettura dovrà dunque essere quello di accettazione dell’irreale, si dovrà essere pronti a tutto e aperti a ogni possibilità. E la Oyeyemi avverte che la lettura di questi racconti non può essere presa alla leggera; nell’esergo leggiamo infatti tre parole scritte su una busta contenente una lettera di Emily Dickinson e indirizzata a Susan Huntingdon Gilbert: «Open me carefully».

Il mondo che ci troviamo davanti sarà dunque molto vicino al mondo delle fiabe, ma non sarà necessariamente una fairy tale. L’incipit di “Books and Roses” è infatti

47 Todorov T., op. cit., p. 57.

48 Carter A., “Introduction”, in Carter A. (a cura di), The Virago Book Of Fairy Tales, London, Virago Press,

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«Once upon a time in Catalonia49», il che si allontana subito dagli stilemi della fiaba, solitamente non collocata in uno spazio preciso ma che, anzi, vive di indeterminatezza. Il racconto che ci troviamo a leggere invece risulta essere tutt’altro che semplice e lineare; la narrazione va avanti grazie soprattutto a narrazioni e lettere che testimoniano un passato che non viene messo direttamente in scena.

“Books and Roses” racconta la storia di Montserrat, un’orfanella che viene accolta in un convento a Santa Maria de Montserrat, in Catalogna (da qui il nome che le viene attribuito, Montse), la quale comincia a lavorare a Casa Milà, a Barcellona. Qui conosce Lucy, un’artista che le racconta la sua storia: prima di stabilizzare la sua vita e diventare pittrice era una ladra. Lucy va a una riunione di studenti a Siviglia per provare a rubare qualcosa di valore e lì conosce Safiye, un’altra ladra che ha i suoi stessi progetti. Nessuna delle due conosce nessuno a quella festa ma riescono a intrufolarsi con successo. Le due ladre si derubano a vicenda e subito dopo si innamorano, ma sono costrette a separarsi molto spesso, anche per mesi, a causa del loro “lavoro”. Dopo Natale Safiye va a Barcellona, mentre Lucy va a Grenoble. Decidono di scambiarsi libri e rose il 23 aprile, il giorno di Sant Jordi, come da tradizione in Catalogna. Lucy si impegna molto per fare un libro con i disegni di tutti i fiori che riesce a ricordare, mentre Safiye le invia soltanto una chiave e una mappa con una rosa nera disegnata su una piccola zona della città. Lucy è delusa dal regalo, ma mentre è in fila alle poste legge per caso su un giornale che Safiye è ricercata per omicidio e per questo motivo si precipita a Barcellona, dove scopre che la chiave che le ha regalato l’amata conduce a un enorme giardino di fiori. Capisce che Safiye potrebbe aver ucciso la sua datrice di lavoro a causa della chiave, ma ritorna a Grenoble dal momento che non riesce a trovare Safiye. Qualche settimana dopo il suo ritorno in Francia, durante una tempesta primaverile, sente l’amata che bussa alla finestra, la fa entrare e si fa raccontare la sua storia: la donna è andata a lavorare per la señora del Olmo, che aveva bisogno di qualcuno che badasse al suo immenso giardino. Una notte, però, Safiye scopre il cadavere della señora del Olmo, la quale tiene in mano una rosa macchiata di sangue; decide allora di rubare la chiave del giardino e scappare. Lucy non è convinta della veridicità della storia e quando si sveglia non trova più l’amata, ma solo un bigliettino con scritto “aspettami”. Qualche giorno dopo aver ascoltato il racconto di

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Lucy, Montse scopre dai giornali che qualcuno sta cercando una certa Montserrat della chiave. La ragazza si presenta all’appuntamento e scopre di aver ereditato da Zacarias Salazar, un gallerista molto ricco, la sua enorme biblioteca. Le viene anche consegnata una lettera scritta dalla madre, la quale racconta del suo innamoramento con Isidoro Salazar, il fratello di Zacarias, e di come sia stata incastrata da un’altra cameriera, la quale ha fatto credere a tutti gli altri che Aurelie, la madre di Montse, fosse una ladra. Nel finale scopriamo che la biblioteca di Montse e il giardino di Lucy sono comunicanti e si intuisce che le due cominceranno una relazione.

Il fatto che il racconto si concluda con la frase «Swap you a rose for a book50» ci

fa capire come il meraviglioso sia pregnante in questo racconto. Todorov distingue infatti il meraviglioso in cinque sottocategorie51: il meraviglioso iperbolico, il meraviglioso esotico, il meraviglioso strumentale, il meraviglioso scientifico e, infine, il meraviglioso puro. In “Books and Roses” ci troviamo di fronte al primo tipo di meraviglioso presentato, quello iperbolico. Difatti qui la dimensione del regalo eccede rispetto alla norma; non ci troviamo di fronte a avvenimenti eccezionali di per sé, ma assistiamo piuttosto a un’esagerazione di quello che, altrimenti, sarebbe un semplice scambio di regali tra innamorati.

Even being in Barcelona and hearing about the exchange of books and roses, that immediately, like, filled my mind with lots of images and that was why I had to change the scale of it so that it wasn’t just one book and one rose that was exchanged, but a library and a garden. So, images tend to sort of bloom in my mind52.

Queste le parole dell’autrice riguardo alla creazione di “Books and Roses”; c’è un cambiamento nella dimensione dei regali, le amate non si scambiano solo un libro e una rosa, bensì una libreria e un giardino. Anche il verbo che utilizza l’autrice per descrivere questo processo, bloom, rimanda a un’idea di rigogliosità e vitalità. Questo aumento della quantità di libri e rose appare dunque come un modo per dare vita a qualcosa che non si

50 Oyeyemi H., WNYNY, p. 43. 51 Todorov T., op. cit., pp. 58-61. 52 Supra, nota 28.

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limita a restare nei binari dell’ordinario, ma che si espande andando a germogliare in luoghi nuovi e inesplorati.

Non è questo l’unico tipo di meraviglioso che incontriamo in questi racconti. Difatti i primi quattro tipi che individua Todorov (iperbolico, esotico, strumentale e scientifico) sono in qualche modo giustificati. «A tutte queste varietà di meraviglioso “scusato”, giustificato, imperfetto, si oppone il meraviglioso puro, che non si spiega in alcun modo53» ed è questo il caso di “Is Your Blood As Red As This” dove i burattini vengono presentati come esseri umani e la protagonista parla con un fantasma. Potremmo anche dire che la scelta del punto di vista nella seconda parte del racconto provochi un effetto di meraviglia: il fatto che sia un burattino a parlare e raccontare la storia è qualcosa di inspiegabile, che non viene giustificata in alcun modo e ci piomba addosso inaspettatamente.

Questa aderenza al meraviglioso è sottintesa anche dalla scelta di riferirsi alla festa di Sant Jordi in Catalogna, la quale coincide con la morte di Cervantes e Shakespeare, deceduti entrambi lo stesso giorno dello stesso anno, il 23 aprile del 1616. Il fatto che i due autori siano morti lo stesso giorno è solo una coincidenza, ma è una coincidenza che assume un significato particolare se si pensa allo stile della Oyeyemi che si distacca vivacemente dal realismo per abbracciare la letteratura di fantasia. Come dice Borges in un’intervista con Alberto Arbasino:

Il realismo è un episodio, solo un momento della storia della letteratura; la grande letteratura non è mai stata realista. Anche in un libro che si crede realista, Don Chisciotte di Cervantes […], ci sono sempre i due elementi, realistico e fantastico, ma quello che domina è l’elemento fantastico perché Cervantes è dalla parte di Don Chisciotte e non dalla parte dei contadini o degli altri. Anche il lettore è dalla parte di Don Chisciotte, così il libro è in equilibrio tra i due elementi, ma è sempre il fantastico l’aspetto più importante54.

La scrittura di Oyeyemi alterna spesso l’elemento fantastico a quello realista. Come abbiamo visto in precedenza l’incipit di “Books and Roses” colloca la narrazione a cavallo tra il mondo della fiaba, grazie a «Once upon a time», e al contempo inserisce

53 Todorov T., op. cit., p. 60.

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un elemento di realismo nella narrazione inserendo il luogo preciso dove si svolgono gli eventi del racconto.

3.3 La tradizione

Come si evince dal riassunto del racconto, la storia non va avanti linearmente, ma si dipana attraverso ricordi e lettere alternando così presente e passato, in una narrazione che diventa complessa, completamente diversa da quella della fiaba, lineare e canonizzata. “Books and Roses” ha una struttura a spirale, con continui rimandi ad avvenimenti del passato che si intrecciano nel finale, unendo i due piani e mettendo in comunicazione tra loro storie all’apparenza distanti. Collegare storie diverse è un procedimento simile a quello che avviene quando vengono tramandate le fiabe: le storie vengono raccontate oralmente e per iscritto creando una sorta di mitologia, con personaggi e mondi che diventano tangibili e vivi, e che si possono intrecciare tra loro, oltrepassando il confine della singola storia, per andare a comporre un mondo più vasto, potenzialmente infinito. Allo stesso modo in “Books and Roses” i racconti, orali e scritti, non rimangono confinati in loro stessi, ma si espandono e vanno a intrecciarsi con le altre storie, creando un universo complesso. Ci troviamo a dover fare i conti con la potenzialità inesauribile delle storie, che possono essere sempre rinnovate e cambiate nelle fondamenta grazie alla loro capacità intrinseca di essere portatrici di vita. E che storie e personaggi non siano oggetti finiti, bensì infiniti, lo conferma la stessa Oyeyemi in What

Is Not Yours Is Not Yours, dove i personaggi (si pensi a Tyche Shaw, che appare in tre

diversi racconti) ritornano, perché l’autrice aveva ancora qualcosa da dire su di loro:

Intervistatore: «Do they stay with you? [The characters]»

Oyeyemi: «Some of them do. I think that the reason why some of the characters recur in this book is because I was curious about them and having written about them in another story and I wanted to check in and see if they were okay and how they were doing; so they would just pop up in the background of another story55.

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Il racconto, con le sue parole, i suoi personaggi e le sue storie diventa un canale di comunicazione, un tramite tra due mondi separati: quello della fantasia, ovvero quello evocato dal racconto, e quello reale e tangibile, ovvero il mondo dell’autrice (e del lettore in generale). Queste due realtà si intrecciano e si influenzano a vicenda, infatti se da un lato l’autrice influenza il mondo del racconto nel momento in cui gli dà vita o quando lo modifica e lo espande, dall’altro lato il racconto agisce sul lettore, ma anche sull’autrice, la cui esperienza di vita viene modificata.

L’autrice racconta in un podcast56 che il suo primo approccio con la scrittura è

stata la riscrittura dei finali dei libri che leggeva, un esercizio simile a quelli proposti da Gianni Rodari nella sua Grammatica della fantasia:

Anche a fiaba finita, c’è sempre la possibilità di un “dopo”. I personaggi sono pronti ad agire, conosciamo il loro comportamento, sappiamo in che rapporti stanno tra loro. La semplice introduzione di un elemento nuovo rimette in moto l’intero meccanismo […]57.

Una storia crea degli elementi con una sintassi propria che si possono muovere all’interno del racconto seguendo molteplici vie. Allo stesso modo in cui una lingua, con le sue regole grammaticali, può dar vita a un racconto di fantasia, così un personaggio può essere collocato in una moltitudine di storie diverse.

Il racconto scritto rielaborato si avvicina a quello orale, il quale si caratterizza per una non-fissità degli elementi del racconto, che cambiano da oratore a oratore, da

performance a performance. Similmente, il testo scritto, che appare fissato nel tempo e

nello spazio, evoca nel lettore sensazioni diverse e viene percepito in maniera diversa da fruitore a fruitore, il quale può anche immaginare di modificare la storia e i personaggi del racconto a suo piacimento. Per quanto siano messe su carta, dunque, le storie non sono affatto immutabili, ma possono essere modificate da chiunque lo desideri. Ciò può accadere principalmente in due modi: si può semplicemente immaginare un finale

56 Supra, nota 36.

57 Rodari G., Grammatica della fantasia: introduzione all’arte di inventare storie, Trieste, Edizioni EL,

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alternativo, le fattezze dei personaggi diverse, l’intreccio differente da quello presentato dall’autore, oppure si può riscrivere il racconto e portare le modifiche che si sono immaginate su carta, rendendo possibile la fruizione di altre persone. Nel primo caso ci troviamo di fronte a un procedimento che viene messo in atto da ogni lettore, che non può fare a meno di sovrapporre la sua visione con quella dell’autore. Nel secondo caso invece stiamo parlando dei casi di riscrittura come quello attuato da Oyeyemi che attinge a un bagaglio di storie condivise.

Queste storie condivise e conosciute da tutti (nel caso di Oyeyemi le fiabe), che non si fissano in un dato spazio ma che appaiono piuttosto come universali, permettono dunque di tramandare una tradizione di un’epoca che non esiste più. Così facendo mantengono in vita idee e storie di un mondo diverso dal nostro. Ancora una volta ci si trova a fare i conti con la capacità delle storie di dare vita a mondi altri e impedire che l’oblio cali sulle cose che non esistono più nel mondo fisico. I racconti sono delle sorte di lapidi poste in memoria dei mondi che vengono delineati al loro interno.

Come abbiamo già visto i morti fanno parte delle storie di What Is Not Yours Is

Not Yours: Myrna in “Is Your Blood As Red As This” parla con un fantasma, e un

fantasma non è altro che «l’apparizione soprannaturale di una persona morta58». Ma i

riferimenti al mondo dei morti non si fermano qui. In “Dornička and the St Martin’s Day Goose” si parla del giorno dei morti, il quale precede il giorno di san Martino, che cade l’11 novembre. Le donne protagoniste del racconto si recano il 2 novembre a far visita ai loro cari defunti:

All Souls’ Day came and the three women went to the churchyard where so many who shared their family names were buried. They tidied the autumn leaves into garland-like arrangements around the graves, had friendly little chats with each family member, focussing on each one’s known areas of interest, and all in all it was a comfortable afternoon. There was a little sadness but no feelings of desolation on either side, as far as the women could tell, anyway. In a private moment with Tadeáš, Dornička told him about the “wolf” that had punched her and the lump that had grown and been buried, and she told him about Klaudie going on and on about a delicious smell and then suddenly shutting about the smell, and she told him she’d found telltale signs of interrupted digging beneath her ash tree59.

58https://dizionario.internazionale.it/parola/spettro (Ultimo accesso: 27/02/2019).

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Il racconto parla di Dornička, una signora che incontra il “lupo60” mentre

passeggia nel bosco con una mantellina rossa in testa: «Actually, let’s try to speak of things as they are: it was not a wolf she met but something that had recently consumed a wolf and was playing about with the remnants61». Per evitare che il “lupo” si cibi di innocenti ragazze che passano nelle sue vicinanze, Dornička gli promette di portargli qualcosa di buono così da placare la sua fame. Il “lupo” accetta, ma le tira una zampata al fianco che le fa crescere un bozzo di carne lì dove è stata colpita. Nei giorni successivi la donna riceve la visita della figlioccia Alžběta e di sua figlia Klaudie, venute a tenerle compagnia per il giorno di san Martino. Prima del loro arrivo Dornička si taglia il bozzo di carne sul fianco e lo sotterra sotto il frassino in giardino. Klaudie, una ragazza giovane e bella, sembra inspiegabilmente attratta da quel pezzo di carne e va spesso sotto il frassino dove è stato nascosto.

Come da tradizione per il giorno di san Martino le donne vanno a comprare un’oca e Klaudie riesce a ottenere la più ghiotta tra tutte le oche, ma la giovane e l’animale si affezionano. Un giorno Dornička decide di dare in pasto all’oca il bozzo di carne, tuttavia il giorno dopo averlo fatto l’oca diventa molto più grande e la vigilia di san Martino indossa la mantellina rossa di Dornička e si fa accompagnare dal “lupo” come vittima sacrificale.

Anche in questo racconto i morti hanno un ruolo attivo, difatti quando Dornička va al cimitero per il giorno dei morti, parla col marito defunto e gli chiede consiglio su come comportarsi con Klaudie che sembra morbosamente attratta dal bozzo di carne sotterrato sotto il frassino. Il cimitero che dovrebbe essere un luogo di morte e staticità, diventa invece una sorta di biblioteca, un luogo in cui incontrare le persone e raccontarsi storie, farsi raccontare storie e vivere.

L’idea che la morte non sia uno stato di cose definitivo è presente anche nella fiaba che ispira “Dornička and the St Martin’s Day Goose”. All’inizio del racconto troviamo infatti una citazione tratta da “The Golden Spinning Wheel” di Karel Jaromír

60 Uso le virgolette per indicare il “lupo” perché è così che l’autrice lo indica, come a significare che non

si tratta di un vero lupo.

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Erben, una fiaba ceca che racconta la storia di una giovane tessitrice promessa sposa a un re che l’ha incontrata per caso, ma che viene uccisa dalla matrigna e dalla sorellastra, la quale prende il posto della sventurata. Un mago però fa tornare viva la ragazza che era stata smembrata e riesce a svelare il piano della matrigna e della sorellastra, le quali vengono date in pasto a dei lupi nella foresta, mentre la giovane tessitrice vivrà col re.

Pur essendo morta, la giovane tessitrice riesce a tornare in vita e a influenzare la vita degli altri; la morte non è quindi una situazione statica, ma lascia traccia nel mondo dei vivi.

È interessante notare come Oyeyemi mescoli nel suo racconto l’influenza di due fiabe diverse come lo sono “Cappuccetto Rosso” e “The Golden Spinning Wheel”. Mentre la prima è una fiaba presente in moltissimi paesi e in moltissime versioni, la seconda è una storia legata alla Repubblica Ceca, che ha le sue rivisitazioni62 ma che non è diffusa quanto “Cappuccetto Rosso”. L’autrice riesce a mescolare le due storie con maestria utilizzando la figura del lupo presente in entrambe le fiabe e creando una creatura a metà tra la bestia che divora Cappuccetto Rosso e la nonna, e il mostro di Frankenstein. Il “lupo” si presenta infatti con i connotati stravolti e osceni:

The muzzle, tail and paws appeared in the wrong order. Dornička couldn’t see very far ahead of her in the autumn dusk, so she smelt it first, an odour that made her think gangrene though she’d never smelt that. The closest thing she could realistically liken this smell to was sour, over-ripe fruit. And then she saw a fur that buzzed with flies, pinched her nostrils together and thought, Ah, why? I don’t like this63.

Il “lupo” sembra quindi essere un cadavere, puzza come tale e ha gli arti assemblati nell’ordine sbagliato. E se da un lato l’animale rimanda a “The Golden Spinning Wheel” con il suo riferimento allo smembramento della giovane tessitrice, dall’altro lato sembra trattarsi del lupo di “Cappuccetto Rosso”. Difatti quando vede Dornička con la mantellina rossa, pensa subito di aggredirla, per poi ricredersi quando capisce che si tratta di una signora e non di una ragazza:

62 Una tra tutte il poema sinfonico di Antonín Dvořák, ispirato alle ballate di Karel Jaromír Erben. 63 Oyeyemi H., WNYNY, p. 210.

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