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P ER UNA RICOGNIZIONE DELLA R OMA PICTA

3.2.3. C AMPO M ARZIO I L MOMENTO DI L EONE

Mentre Niccolò V aveva provato a spostare il centro della città intorno al Vaticano, Paolo II si era interessato all’area di Piazza Venezia (sua residenza) e dunque si occupò di sistemare Via Lata, l’attuale via del Corso, collegamento tra la piazza e l’ingresso alla città per chi veniva da Nord. L’arrivo a Roma da nord mantenne per secoli lo stesso passaggio obbligato. Porta del Popolo era l’ingresso della città durante il Rinascimento373 accogliendo anche i grandi personaggi del tempo e via Lata aveva la funzione di collegarla alla città storica. Leone X apre successivamente un asse stradale a collegare anche il Vaticano a questa zona (fig. 26). Da qui, seguendo via Leonina, l’attuale via Ripetta, si giungeva nel rione Ponte e nell’area vaticana ripercorrendo anche parte dell’antico tratto sistino di Ponte374.

373 Ci si riferisce alla visita nell’urbe dell’imperatore Federico III d’Asburgo del 1473 già menzionata in

precedenza. Questa funzione sopravvisse per se secoli: da De Montaigne, che scrive il suo diario nel 1580, a Stendhal, nel 1817, l’ingresso era sempre lo stesso, Porta del Popolo. Goethe scrive che «solo quando passai sotto Porta del Popolo seppi per certo che Roma era mia», mentre in Stendhal troviamo la consueta insofferenza dettata dal fatto che il suo diario era più che altro un atto politico: «entro a Roma per la Porta del Popolo: abito al Corso, Palazzo Ruspoli. Ma che delusione! Non vale l’ingresso di quasi tutte le grandi città che io conosco» sostiene in Roma, Napoli e Firenze (1817) riferendosi a Parigi e Berlino.

374

Cfr. in merito MANFREDO TAFURI, Strategie di sviluppo urbano nell’Italia del Rinascimento, inVIGUEUR, a cura di, D’une ville à l’autre…cit., pp. 323-364 in particolare il paragrafo dedicato a Leone X e la nuova Roma (pp. 333- 349).

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Figura 26. Pianta di Roma di Nolli. Particolare della zona di Campo Marzio. In rosso è stata evidenziata la strada Leonina (Via di Ripetta), in blu la via Lata (attuale via del Corso), in giallo via Tomacelli e in verde parte di Campo Marzio.

Dalla mappa di Campo Marzio (fig. 27) l’ordinata disposizione delle facciate dipinte lungo i due assi principali risalta subito agli occhi. Per via del Corso la fonte principale, a esclusione dell’unico caso di Polidoro e Maturino narrato da Vasari e oggi andato perduto, sembra diventare Baglione, a dimostrazione che gli artisti che parteciparono all’ornamento della via appartenevano alla generazione successiva: ci si riferisce a Paolo Cespadi, allievo di Zuccari, Baldassarre Croce da Bologna arrivato a Roma sotto Gregorio XIII e Pasquale Cati. La loro presenza sembra suggerire una volontà postuma di recupero della grande stagione del Rinascimento romano e delle sue facciate graffite e affrescate dagli allievi del maestro Raffaello.

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Figura 27. Localizzazione tipografica delle facciate dipinte esistenti nel Rione Campo Marzio. Pianta di Roma di Giovanni Battista Nolli.

Purtroppo Baglione non si sofferma molto sul soggetto raffigurato. Cita invece, quasi sempre, la tecnica usata (per lo più ad affresco e solo una a chiaroscuro) o il successo o meno riservato all’opera. Non possiamo quindi farci un’idea precisa sull’entità di ciò che qui appare come un ultimo revival del genere decorativo. In questo caso si rimpiange il più volte accusato Vasari che, nonostante l’approssimazione di alcune notizie, quando un’opera su facciata rispondeva al suo gusto, non esitava a descriverla al lettore. Questo il caso della casa di via del Corso da lui restituita: «vicino al Popolo, sotto S.Iacopo degli

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Incurabili, fecero una facciata con le storie d’Alessandro Magno ch’è tenuta bellissima, nella quale figurarono il Nilo e ‘l Tebro di Belvedere antichi» scrive nella vita di Polidoro da Caravaggio e Maturino da Firenze. I due artisti protagonisti del genere si ritrovano anche nella parallela del Corso, a via Ripetta, la via di Leone X, quali firmatari di due dipinti oggi persi uno accanto a San Girolamo degli Schiavoni e un altro sopra San Rocco. Dentro i confini dello stesso rione era anche via Tomacelli che congiungeva via del Corso con via Ripetta e che poteva annoverare due case dipinte all’esterno non più esistenti ma almeno una ricordata dall’incisione di Maccari e da alcuni fregi distaccati prima della demolizione della casa oggi conservati al Museo di Palazzo Braschi per quanto non esposti. Nel nuovo quartiere di Via Tomacelli quasi tutte le case erano istoriate, onde sembrava una via messa a festa. Vanno specialmente segnalati i graffiti al numero 21, di cui fu ricostruito un mirabile fregio […] e specialmente quelli al n. 103, 104»375 riprodotti entrambi da Maccari (fig. 28).

Figura 28. Enrico Maccari, Enrico Maccari, Riproduzione della casa a via Tomacelli, 103-104 appartenuta al

Cardinale Rodolfo Pio da Carpi. Da IANNONI, MACCARI, Graffiti e chiaroscuri…cit., tav. 34.

375 C

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3.3.CONCLUSIONI

Dalle piante appena mostrate emergono alcune specificità interessanti.

In primo luogo appare molto probabile che le decorazioni esterne, oltre a essere un modo per riqualificare la città dando nuovo carattere alle casette medievali sparse per il territorio della città vecchia, avessero anche il compito di accompagnare il flusso dei pellegrini e mappare i percorsi di collegamento con simboli e stemmi significanti.

E’ quindi probabile che le decorazioni esterne delle facciate avessero tra i loro molteplici scopi anche quello “cerimoniale”. In alcuni casi, infatti, le decorazioni esterne ripercorrono, arredano, accompagnano, segnalano e caratterizzano passaggi obbligati e i centri vitali della città. Scrivono Giacometti e Mauro: «la frequente presenza di decorazioni sulle facciate è spesso da mettere in relazione con quelle strade dove solitamente si svolgevano i percorsi processionali e gli ingressi di personaggi importanti»376. La comparsa sul territorio delle facciate decorate si concentra infatti su alcune zone di Roma rispetto ad altre e sono proprio le zone di cui abbiamo parlato finora quali centri delle attività cittadini laiche o legate alla curia.

Sembra così che oltre a far parte dell’iniziativa privata, la pratica di decorare i prospetti cittadini rientrasse anche in dinamiche più ampie e in particolare nel nuovo disegno di città costruito negli anni da pontefici, artisti e architetti per la Roma moderna. Sono proprio quei progetti urbanistici visti precedentemente a essere spesso associati al primo fiorire delle decorazioni esterne377.

Vi sono poi elementi tecnici ed economici che le mappe mettono in evidenza lasciando ipotizzare l’uso estensivo di cartoni – come si vedrà a proposito di Raffaello – che rendevano semplice e poco costosa la riproduzione dell’apparato iconografico anche di grandi artisti, come dimostra la ripetizione per case borghesi dei modelli usati per la decorazione di strade signorili. Un fenomeno questo che permette di comprendere meglio la diffusione dell’affresco rispetto al graffito, che pure sembrerebbe di più facile e soprattutto meno dispendiosa realizzazione, e che giustifica (per quanto è possibile ricostruire) la prevalenza di alcuni apparati rispetto ad altri.

376

GIACOMETTI,MAURO, Sulle case dipinte a Roma…cit., p.110.

377

La sistemazione urbanistica «portò come conseguenza il rifiorire dell’edilizia privata e l’estendersi di un fenomeno che agli inizi del Cinquecento trasformò le vie di Roma in vere e proprie pinacoteche»: PIETRANGELI, Guide Rionali di Roma…cit., p. 7.

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In questo senso la difformità, l’originalità e l’unicità diventano elementi storico critici di grande rilievo, non soltanto nella considerazione dell’”opera” in tutti i suoi aspetti, ma anche nell’indagine sul valore sociale e comunicativo delle singole facciate che avranno particolari ‘messaggi’ pubblici oltre e più che privati da comunicare ai passanti e alla comunità dei romani, messaggi che la loro collocazione nel tessuto urbano può aiutare in modo significativo a identificare: da quello liturgico e celebrativo a quello invece macro culturale con l’identificazione dei nuovi soggetti della città che si vuole insieme classica e moderna, laica e religiosa.

Vi è poi l’aspetto, già messo in evidenza da Tomei, di un particolare dialogo tra interno ed esterno nell’architettura romana che qui può essere dilatato fino a prendere in considerazione intere strade in cui le forme di protezione medievale, murarie e difensive, si trasformano in un recinto definito dall’ornamento che garantisce coesione sociale e senso di appartenenza e soprattutto a uso dei nuovi immigrati che evidentemente portano con sé una concezione delimitata e protetta dello spazio urbano.

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4.