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D ECORAZIONE PITTORICA E GUSTO ANTIQUARIO

«La rinascenza nel suo pieno fiorire prorompe festosa e pagana nella Roma

papale»378

Il progetto di Renovatio urbis Romae, unito al recupero del patrimonio archeologico e alla passione antiquaria di quegli anni379, condizionò drasticamente i caratteri della pratica decorativa nella città papale380, come del resto anche il «recupero della condizione politica di capitale europea, direttamente dipendente dalla presenza del pontefice, stabilmente insediato al governo della città e della comunità cristiana in Europa»381.

In questo recupero, la riedizione del ‘classico’ ha, come è noto, un grande valore e non stupisce che anche le decorazioni su facciata cooperino a questo ambizioso progetto. Gran parte del repertorio antico disponibile, bibliografico o iconografico, si ritrova, infatti, alla

378

GNOLI, Facciate graffite e dipinte…cit., p. 7.

379

Cfr. GUALANDI, «Roma Resurgens»…cit., p. 140. «Dalla Renovatio si passa alla sfida aperta lanciata al

suo passato glorioso da una città sempre più orgogliosamente consapevole di poter “stare a paragone con l’antico”»: Non è questa la sede per descrivere un tema ampliamente studiato come la ripresa del mondo classico nella cultura rinascimentale ma si vogliono almeno citare alcuni dei testi più importanti e quelli che si sono rivelati maggiormente utili per la stesura del presente capitolo. Cfr. in particolare JEAN SEZNEC, La

sopravvivenza degli antichi Dei. Saggio sul suolo della tradizione mitologica nella cultura e nell’arte rinascimentali, 1940, tr. it., Torino, Bollati Boringhieri, 1990;ERNST H.GOMBRICH, Norma e Forma. Studi

sull’arte del Rinascimento, 1966, tr. it., Torino, Einaudi, 1973, in part. il saggio Lo stile all’antica: imitazione e assimilazione (pp. 178-188); BODO GUTHMÜLLER, Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione

ovidiana nel Rinascimento, 1986, tr. it., Roma, Bulzoni, 1997; HUBERTUS GÜNTHER, La rinascita dell’antichità, in MILLON, MAGNAGO LAMPUGNANI, a cura di, Rinascimento da Brunelleschi a

Michelangelo…cit.;STEFANO COLONNA,a cura di, Roma nella svolta tra Quattrocento e Cinquecento, atti del convegno internazionale di studio, Roma De Luca, 2004; LUBA FREEDMAN, Classical myths in Italian

Renaissance painting, Cambridge, Cambridge University Press, 2011.

380 G

UALANDI, «Roma Resurgens»…cit., p. 140.

381B

USSAGLI, Il gusto antiquario…cit., p. 33. Come in parte visto nel II capitolo, proprio in questa stabilità sembra risiedere «il vero motore per la nascita di Roma del gusto antiquario». Infatti, «non fu tanto la presenza delle sacre e antiche vestigia, ma la presenza del papa e la relativa stabilità politica di cui il gusto antiquario non solo fu la conseguenza, ma […] un efficace strumento di propaganda per consolidare l’idea di una Roma cristiana grande e importante quanto quella dei Cesari»: ibidem.

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base dei programmi decorativi per le facciate romane specialmente agli inizi del Cinquecento. Si tratta di un tema che, diversamente da alcuni aspetti del genere fin qui riportati, è stato oggetto di numerose indagini382 pur sempre da ritessere e vanta un carattere noto e sufficientemente approfondito dalla storia degli studi. Una sommaria ricognizione risulta allo stesso tempo necessaria per la totale comprensione del fenomeno e per aprirlo aperta a nuove possibili letture.

Le rovine e le scoperte archeologiche383, unite alla diffusione sempre più massiccia dei testi dell’antichità, fecero sì che l’iniziale interesse verso quel repertorio acquistasse sempre più importanza: «un clima entusiasta di doppia filologia: al testo letterario, al costume classico, e al costume classico e al testo figurativo, al frammento al rilievo»384. Non solo dunque i grandi monumenti ma anche le scoperte archeologiche e la diffusione di testi antichi e illustrati fornirono da subito un catalogo di forme e soggetti da riprodurre. È la stagione dei primi lavori di topografia sulla Roma antica e del De Urbe Roma di Bernardo Rucellai sulle antichità della città (1492-94), pubblicato negli stessi anni della riedizione del trattato di Vitruvio385. La prima edizione illustrata delle Metamorfosi di

382

In particolar modo dei già citati testi di Cecilia Pericoli Ridolfini (PERICOLI RIDOLFINI, Il mondo classico

nelle facciate dipinte…cit..) e di Kristina Herrmann Fiore (HERRMANN FIORE, La retorica romana delle

facciate dipinte…cit.).

383 Gli importanti ritrovamenti dei tempi di Alessandro IV, come le grottesche e l’Apollo del Belvedere,

seguite da quelle del Laocoonte, del Torso, e di Arianna, con Giulio II, fornirono un nuovo catalogo di soggetti e temi da raffigurare. Sulle grottesche cfr.ANDRÈ CHASTEL, La grottesca, Torino, Einaudi, 1989, p. 75. Si conoscevano inoltre la tomba sulla Salaria e il Mausoleo di Santa Costanza.

384 D

E CASTRIS, Polidoro da Caravaggio…cit., p. 110.

385 La riscoperta del trattato di Vitruvio si inserisce a pieno titolo in quel clima di ripresa dell’antichità

classica. Non si trattò però di una vera e propria scoperta quattrocentesca, quanto semmai, come ci ricorda Jacob Burckhardt, dell'esito di una nuova diffusione dei testi antichi iniziata a metà Quattrocento. È a partire dal XV secolo, infatti, che «comincia la grande serie delle nuove scoperte, la fondazione sistematica delle biblioteche creata dalla moltiplicazione delle copie e il lavoro zelante delle traduzioni dal greco»: JACOB

BURCKHARDT, La civiltà del Rinascimento in Italia, 1860, tr. it., Firenze, Sansoni, 1968, p. 176. Sull’editoria e la diffusione del libro in età rinascimentale cfr. ANGELA NUOVO, Il commercio librario nell’Italia del

Rinascimento, Milano, Franco Angeli, 1988. Per quanto riguarda il testo di Vitruvio rimane celebre la

riedizione curata da Giovanni Sulplicio da Veroli nel 1486; da questo momento in poi i Dieci libri sull’architettura furono di ispirazione per intere generazioni influenzando pratica e teoria costruttiva. Sulla fortuna del testo di Vitruvio nel Rinascimento cfr. PIER NICOLA PAGLIARA, Vitruvio da testo a canone, in SETTIS, a cura di, Memorie…cit.,, pp. 5-85; KRUFT, Storia delle teorie architettoniche…cit.; GABRIELE

MOROLLI, MIMMAROSA BARRESI, a cura di, L’architettura di Vitruvio, una guida illustrata, Firenze, Alinea, 1988; PIERRE GROS, Vitruvio e il tempo, in VITRUVIO POLLIONE, De Architectura, a cura di Pierre Gros,

Torino, Einaudi 1997, pp. IX-LXXVIII; GIANLUIGI CIOTTA, a cura di, Vitruvio nella cultura architettonica

antica, medievale e moderna, atti del Convegno internazionale di Genova, 5-8 novembre 2001, Genova, De

Ferrari, 2003; VITRUVIO, Vitruvio ferrarese, De Architectura. La prima edizione illustrata, a cura di Claudio

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Ovidio (1497) forniva poi modelli concreti per la “rinascita” delle arti386 mentre il sottosuolo di Roma continuava a restituire le memorie della città.

Il catalogo di soggetti era consolidato e il compito degli artisti era soprattutto quello di studiarlo e rappresentarlo. Con entusiasmo e abilità questi ultimi prenderanno parte alla riorganizzazione ideale della città realizzando le loro opere con l’aiuto dei temi e della trattatistica architettonica degli antichi.

Il mondo classico divenne immediatamente la loro «forma linguistica privilegiata»387 da fissare anche sulle facciate dei palazzi della città non solo riprendendo il repertorio iconografico legato al patrimonio noto o in quegli anni riscoperto o quello nato e recuperato dalla lettura dei testi classici (specialmente Livio per quanto riguarda la storia romana e Ovidio per la mitologia classica) ma anche scegliendo le modalità e le tecniche388 più idonee per la sua rappresentazione.

Come ricordato in precedenza389, la pittura parietale era una pratica usata fin dall’antichità. Anche se sembra sfuggire agli studiosi del genere, la lettura del De Architectura di Vitruvio ci fa, infatti, tornare alla mente alcune caratteristiche che si ritrovano sulle facciate cinquecentesche, in particolare quando descrive la pittura murale dei suoi Saggi di letteratura architettonica da Vitruvio a Winckelmann, Firenze, Olschki editore, 2010; PAOLO CLINI, a cura di, Vitruvio e il disegno di architettura, Venezia, Marsilio, 2012; ID., a cura di, Vitruvio e

l’archeologia, Venezia, Marsilio 2014.

386

La pubblicazione della prima edizione illustrata delle Metamorfosi di Ovidio nel 1497 diede «un notevole contributo alla costituzione di un’iconografia mitologica. La trascrizione in immagini del poema ovidiano […] veniva a costituire così un repertorio iconografico di base per tutta la produzione figurativa a soggetto mitologico che, dopo gli incunaboli di cassone, troverà espansione nella decorazione ad affresco e nella

produzione pittorica del Cinquecento»: CLAUDIA CIERI VIA, Le favole antiche. Produzione e committenza a

Roma nel Cinquecento, Bagatto libri, Roma, 1999, p.25. In merito cfr. anche CARLA GREENHAUS LORD,

Some Ovidian themes in Italian Renaissance art, Columbia University, 1968; GUTHMÜLLER, Mito, poesia,

arte…cit.; FRANCESCA CAPPELLETTI, La tradizione delle Metamorfosi di Ovidio dal XIV al XVI secolo. Lo

stato degli studi e le prospettive di ricerca, in CLAUDIA CIERI VIA, La cultura artistica nelle dimore romane

fra Quattrocento e cinquecento: Funzione e decorazione, Roma, Il Bagatto, 1992, pp. 127-139; CLAUDIA

CIERI VIA, L'arte delle metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento, Roma, Lithos, 2003; GIAN

MARIO ANSELMI, Le Metamorfosi di Ovidio nella letteratura tra Medioevo e Rinascimento, Bologna, Gedit, 2006; ISABELLA COLPO,FRANCESCA GHEDINI, a cura di, Il gran poema delle passioni e delle meraviglie.

Ovidio e il repertorio letterario e figurativo fra antico e riscoperta dell’antico, Padova, Padova University

Press, 2012.

387 F

ABRIZIO CRUCIANI, Teatro nel Rinascimento a Roma. 1450-1550, Roma, Bulzoni, 1983, p. 20.

388

Col chiaroscuro, ad esempio, «si cerca di raggiungere lo splendore degli antichi palazzi, o almeno di quello che si credeva esser stato il volto dei palazzi»: ENRICO CASTELNUOVO, I luochi della luna, in ID., MARCO BELLABARBA, a cura di, I luochi della luna…cit., pp. 11-31, qui p. 15.

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contemporanei. Nel V capitolo del VII libro egli illustra lo stile pittorico “strutturale”390 della Roma del I secolo avanti Cristo lodandolo e descrivendolo in questo modo: «…imitarono inizialmente l’aspetto variegato e la disposizione dei rivestimenti marmorei, in un secondo tempo le svariate combinazioni di ghirlande, di piccoli baccelli, di cunei…». Ciò che avvenne col graffito e col chiaroscuro nei prospetti rinascimentali prima del tripudio delle gesta imperiali. Abbiamo del resto già notato quanto dal XV secolo si aspirasse a riproporre l’aspetto dell’opus quadratum proprio dell’architettura romana391.

Si tratta dunque di analogie da non sottovalutare nella rilettura di un gusto che guardava il passato in tutte le sue sfumature allo scopo di celebrarlo ma anche di emularlo.

In particolare, le facciate, che non erano mai state prese in considerazione dai romani come base pittorica a uso collettivo, nella Roma del Rinascimento furono invece coinvolte nel processo di rinnovamento artistico classicista. In qualche modo, attraverso la decorazione dei prospetti, si stava trascinando il repertorio classico anche laddove questo non si era imposto. «Delle forme architettoniche rinascimentali Roma è stata una delle fucine maggiori e più significative, appunto per la presenza dei modelli insigni dell’antichità a cui si riportava il grande problema dell’arte; che era quello di far rivivere il sentimento classico pur applicandolo ad organismi completamente diversi dagli antichi, quali la casa, il palazzo, la chiesa, l’ospedale, la sede delle congregazioni religiose»392. La cultura classica con i suoi ruderi si presentava spesso, nel Cinquecento, come un tutt’uno con la natura e con il paesaggio romano393. Questa distanza con la sfera quotidiana probabilmente doveva invece essere colmata. Per ripristinarne la dimensione cittadina che agli occhi dell’uomo del Rinascimento doveva esserle appartenuta, si può ipotizzare che si decidesse di optare per una sua sovrapposizione sugli esterni cittadini. Seguendo quest’ottica, la prima versione di museo potrebbe venire a coincidere proprio con la

390 Per lo “Stile Strutturale”, primo stile di pittura romana codificato da August Mau, si rimanda a I

DA

BALDASSARRE, ANGELA PONTRANDOLFO, AGNÉS ROUVERET, MONICA SALVADORI, Pittura Romana, Milano, Motta Editore, 2006.

391 Si ricorda infatti l’attento lavoro di Pier Nicola Pagliara incentrato sullo studio delle tecniche costruttive

cinquecentesche in relazione a quelle antiche: cfr. PIER NICOLA PAGLIARA, Costruire a Roma tra

Quattrocento e Cinquecento…cit.

392

GIOVANNONI, Il quartiere romano del Rinascimento…cit., p. 31.

393

Paolo Portoghesi sostiene, infatti, che il nostro rapporto con le rovine è molto diverso rispetto a quello che si aveva nel Cinquecento quando le rovine erano «anzitutto paesaggio, si confondevano con la natura»: PORTOGHESI, Roma del Rinascimento…cit., p. 12.

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decorazione di gusto antiquario delle facciate rinascimentali, laddove l’antichità viene estrapolata dal suo ambiente, in parte stravolto rispetto a quello che era stato originariamente, ed esposta sui prospetti divenuti nicchie e cornici per un patrimonio riprodotto dal vero. La nascita del problema dell’arredo urbano è infatti da collocare nel primo Cinquecento in concomitanza con l’esigenza di organizzare le rovine e collocarle. Rovine che «non possono più assolvere a vere e proprie funzioni e che vengono perciò integrate al tessuto e alla vita della città conferendo ad essa un volto particolare, che è politico e culturale insieme»394 .

Come ha giustamente notato Gnoli, sui prospetti della città «la rinascenza nel suo pieno fiorire prorompe festosa e pagana nella Roma papale»395 tanto che delle oltre duecento facciate dipinte ricordate dalle fonti, solo rarissime decorazioni vertevano su temi cristiani. Il fascino esercitato dal mito e dai grandi imperatori allontanò dalle pareti urbane santi ed episodi biblici relegandoli negli interni o al massimo sugli esterni delle chiese. «La Rinascenza aveva messo al bando l’iconografia cristiana»396 osserva ancora Gnoli ricordando la casa di Piazza Sant’Eustacchio e gli altri due prospetti esistenti a tema sacro. In una città più papale che mai, il paganesimo non faceva più paura. Il mito era ora a servizio del mondo cristiano e si poteva dare il via libera all’esaltazione delle sue espressioni artistiche e letterarie397. La cristianità non si oppone più all’universo pagano

394

HUMBERT, L’arredo e la trattatistica…cit., p.104.

395 G

NOLI, Facciate graffite e dipinte…cit., p. 7.

396 Ibidem.

397 Un bisogno di apertura che si trovava al centro della riflessione intellettuale già nel XV secolo. Il tema

era complesso e bisognoso di confronti e riflessioni. Burckhardt ci ricorda questa difficile opposizione attraverso gli occhi di Petrarca e di Giovanni Colonna: «il Petrarca ci manifesta uno stato d’animo diviso tra Roma pagana e Roma cristiana: e ci narra che di frequente salì con Giovanni Colonna sulle volte grandiose delle terme di Diocleziano, e quivi nell’aria libera e nel profondo silenzio e dinanzi all’ampia prospettiva che si apriva d’intorno, l’occhio fisso sulle rovine, ragionavano insieme non già d’affari o di cose domestiche o d’interessi politici, ma di storia, parteggiando l’uno per l’antichità pagana, l‘altro per la cristiana»: BURCKHARDT, La civiltà del Rinascimento…cit., p. 167. Il ruolo del patrimonio artistico è centrale nell’affrontare questa dicotomia. Per entrare nel vivo della questione Burckhardt cita anche Boccaccio il quale sembra aver invece superato la complessità della questione sentendosi già molto lontano dalla timida indecisione e difficoltà di Petrarca: «in altri tempi, egli dice, questi studi potevano essere pericolosi, la chiesa primitiva aveva bisogno di difendersi contro i pagani: oggidì […] la vera religione si è riaffermata nelle sue basi, ogni traccia di paganesimo è scomparsa, e la chiesa vittoriosa è padrona del campo: oggidì si può studiare e aver contatto con l’antichità pressoché senza pericolo»: ivi, p. 188. E Boccaccio fu profeta e precursore dei tempi che vennero. Erasmo, che al suo ritorno da Roma nel 1511 scrisse l’Elogio della Follia, aveva esperito Roma come un covo di paganesimo e André Chastel ci riporta la notizia che allora «si

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ma anzi ne usa i modelli controllandoli e stravolgendoli secondo un piano politico e pedagogico ben definito. La celebrazione della sfera profana poteva uscire alla luce del sole e imporsi tra le vie delle processioni e sulle case del vecchio quartiere del Rinascimento.

Su quei prospetti «tutti gli dei erano presenti», «un tripudio, un’orgia pagana, un inno alla vita e al piacere»398, un repertorio che dovette affascinare ancora di più i nuovi arrivati in città, quella media borghesia che divenne la principale committenza di questa pratica decorativa.

Come è noto, fu un testo fondamentale (insieme alle posizioni di pontefici, artisti, architetti e dei circoli eruditi del tempo tra cui le Accademie e i suoi personaggi chiave della Roma tra XV e XVI secolo399 che ebbero un ruolo decisivo nella formazione della società rinascimentale rinata sull’esempio classico), ad aver favorito questo nuovo atteggiamento. Si tratta dell’opera che Flavio Biondo pubblica nel 1459 col titolo De

Roma triumphante e che esaltava l’epoca romana ponendo il papato come emanazione

diretta ed erede della grandezza dell’impero. Il successo dell’opera di Biondo, testimoniato da quattro edizioni nel corso del Cinquecento, influenzò, insieme ai molti registri culturali della società, anche la sfera artistica riuscendo a cancellare il timore e la censura del mondo pagano e a far convergere tra loro due mondi fino ad allora inconciliabili.

Anche le facciate romane si prepararono ad accogliere i segni della nuova cultura volta alla redenzione di classicismo e paganesimo: le facciate «ancora fino al Settecento avevano la funzione di trasmettere le storie di una propagata “romanitas all’antica” e di

Il Sacco di Roma…cit., p. XIX. Ci si dissociava da quella città specialmente «per la mescolanza costante,

odiosa ai loro occhi di profano e di sacro, di modelli antichi e di usanze cristiane»: ivi, p. XX. Ma gran parte della variegata popolazione residente a Roma accoglieva con fervore quel repertorio sdoganato. Persino nelle prime guide turistiche della città un’unica celebrazione fondeva «le mirabilia del cristianesimo e dell’antichità»: ivi, p. XXI. Cfr. in merito anche LUISA SECCHI TARUGI, a cura di, Roma Pagana e Roma

Cristiana nel Rinascimento, atti del convegno internazionale (Chianciano Terme-Pienza 19-21 luglio 2012),

Firenze, Franco Cesati, 2014.

398 G

NOLI, Facciate graffite e dipinte…cit., qui p. 90.

399 Ci si riferisce specialmente all’Accademia Romana fondata da Pomponio Leto nel 1467. Per un

approfondimento della persona e del suo ruolo nell’ambiente romano rinascimentale si rimanda a MASSIMO

MIGLIO, PAOLA FARENGA, a cura di, Antiquaria a Roma. Pomponio Leto e Paolo II, Roma, Roma nel

Rinascimento, 2003; ANNA MODIGLIANI,PATRICIA OSMOND,MARIANNE PADE,JOHANN RAMMINGER, a cura

di, Pomponio Leto tra identità locale e cultura internazionale, atti del convegno internazionale (Teggiano, 3-5 ottobre 2008), Roma, Roma nel Rinascimento, 2011.

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una nuova Roma cristiana, erede di quella antica»400, scrive Herrmann Fiore, che studia le facciate decorate dell’urbe proprio sulla scorta del testo di Biondo. In questo ambiente le facciate divennero ben presto non solamente dei supporti per abbellire Roma ma anche dei manifesti. I prospetti, affacciati sulla città e fisicamente vicini alla popolazione, si fecero così interpreti di questo grande cambiamento.

4.1.DAI TESTI AI BASSORILIEVI ANTICHI.LE CITAZIONI SU FACCIATA

Nello spazio lasciato libero dalle finestre e tra di esse, nelle fasce orizzontali a ridosso dei tetti e a divisione dei vari piani, in composizioni disposte verticalmente od orizzontalmente sulle facciate, veniva narrata la storia di Roma e rappresentati i miti classici, quasi sempre accompagnati da brani ornamentali dal sapore antico: tutti i motivi legati all’universo pagano occorrevano numerosi sui prospetti romani per una nuova esaltazione dell’antichità401: divinità e imperatori, ghirlande e grifoni, eroi, sacrifici, trofei e battaglie tratte dalle più famose fonti antiche, celebravano, infatti, un mondo classico attraverso l’edilizia privata immersa nel cuore della città. Umberto Gnoli racconta con grande partecipazione la tipica suddivisione delle immagini lungo una facciata in questo modo:

attorno alle leggende eroiche una festa di bimbi, di putti scherzanti con capre ed arieti, di putti sboccianti da volute floreali, di genietti, zeffiri, chimere, leoni e grifi affrontati, talamoni, corse di bighe, finte balaustre, vasi fioriti, bucranii, cornucopie, mascheroni, animali fantastici, grottesche, vittorie alate, mostri marini, e fauni, satiri, ninfe e baccanti. Sulle facciate di quasi tutte le case di banchi, di Borgo, di Parione, del Pellegrino, dei Coronari, di Monte d’Oro, di Monserrato, di Tordinona si stendevano negli spazi liberi festosi affreschi, o monocromati in grigio, in giallo, in bronzo, o graffiti, che esaltavano l’antica gloria di Roma e rievocano la sua mitologia. Tutti gli dei erano presenti, Giove e Giunone, Venere e Diana, e Apollo con le Muse, e le storie di Mercuro e di Argo, le imprese di Ercole, d’Icaro, dei Ciclopi, e Sibille e centauri. Virgilio, Ovidio, Plinio, Lucano, Tito Livio, narravano le loro istorie celesti e terrestri su per le facciate dei palazzi. Romolo e Remo, la fondazione di Roma, Il ratto delle Sabine, Furio Camillo, Muzio Scevola, Orazio Coclite, Clelia, Tuzia Vestale, Lucrezia, Roma che soggioga il mondo, che vince i nemici in terra e in mare, e trionfi, sacrifici, prigionieri, le gesta