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«Quando queste facciate erano in essere, potea dirsi veramente di Roma, che tutta intera fosse uno esempio ed una pubblica ed onoratissima scuola di pittura»594.

6.1.DECORAZIONI ESTERNE E SFERA PUBBLICA DELL’ARTE

Nella Roma del Cinquecento i comuni passanti, a contatto con certe strade e certi percorsi, si trasformavano in veri e propri «fruitori diretti»595. Graffiti e affreschi rendevano una semplice facciata «un fantasmagorico testo di lettura destinato alla città»596.

Se l’etimologia della parola “facciata” richiama il termine “faccia” intesa anche attraverso il confronto con le pagine del libro, e se tra i suoi sinonimi troviamo anche la parola “frontespizio”597, il legame con il “libro” appare evidente. Una relazione affascinante quella tra la pagina di un libro che racconta, che introduce ad altre pagine, che insegna e che illustra con una superficie al centro dello sguardo cittadino che, adornata di segni, introduce a sua volta alla città, istruisce e propone modelli al pubblico passante. La ricchezza di una facciata decorata si riflette anche in questa associazione terminologica laddove l’elemento architettonico diventa una pagina da riempire o da leggere o un manifesto da osservare.

Dati in pasto alle strade e ai suoi passanti di giorno e di notte, graffiti e affreschi esterni si caricano di significato e di grandi responsabilità anche diventando veicoli di una formazione pubblica e gratuita. Da elementi di puro decoro le pitture esterne diventano modelli teorici e figurativi per la collettività. La facciata viene riconosciuta come potente

594

GIROLAMO AMATI (pseudonimo Momo), Di Giulio Mancini, e del suo trattato inedito sopra le pitture di

Roma, in “Il Buonarroti”, II (1867), I, pp. 1-8, qui p. 3.

595 Fruitore diretto è «colui che fruisce direttamente del bene, traendone benefici “qui” e “ora” derivanti dalla

visita in situ»: MARISA SQUILLANTE,MASSIMO SQUILLANTE,ANTONELLA VIOLANO, a cura di, Sant’Agata

de’ Goti: tracce: dai testi e dalle epigrafi verso un sistema informativo territoriale, Milano, Franco Angeli,

2012, p. 177.

596 P

ENNACCHIOLI, Florentia Picta…cit., p. 11.

192

veicolo comunicativo598 rivolto a tutti, un manuale delle buone maniere forse, sicuramente supporto per valori da condividere. Le facciate decorate divennero da subito apparati educativi per potenziali artisti, appassionati e cittadini: suggestivi arredi urbani ma anche parte di una singolare bottega all’aperto.

L’analisi del genere decorativo e del suo effetto sulla città si caricò dunque di nuovi significati legati alla sfera pubblica599. Quegli imponenti supporti artistici decorati e affacciati sulla città diffondevano e mostravano simbologie, forme e repertori iconografici condivisi dalla società del tempo e da tutti ammirati inserendosi in uno «spazio stradale trasformato in luogo di contemplazione e di lettura di storie»600, come scrive giustamente Portoghesi. Le facciate, dalla loro posizione privilegiata nello spazio urbano, divennero ben presto meta obbligatoria per gli artisti: dalle riproduzioni esistenti dalle testimonianze storiche e dagli studi moderni sappiamo che tra gli estimatori di quel genere e tra i suoi studiosi c’erano Peter Paul Rubens, Annibale Carracci, Nicolas Poussin, Pietro da Cortona, come anche Andrea Sacchi601.

L’interesse degli artisti nei confronti delle decorazioni esterne era orientato, come

598Un buon esempio della possibile valenza didattica di una facciata come veicolo comunicativo nel

Cinquecento viene proposto dalla casa dell’architetto mantovano Giovan Battista Bertani sul cui prospetto egli decise di “esporre” due colonne senza nessun compito strutturale ma «con la specifica intenzione di volere dare dimostrazione teorica e pratica del mondo di comporre secondo tale ordine. […] La facciata dell’edificio viene concepita come un vero e proprio “testo” dove esporre per immagini i principi architettonici. Riportando sulla facciata in modo visibile e tangibile ciò che costituiva una schema teorico (anche se elaborato apposta per essere messo in pratica) l‘immagine diventa simbolo e la facciata manifesto. […] la facciata non presenta infatti nessuna particolarità a parte il fatto di essere una vera e propria pagina illustrata del trattato del Bertani. Si stabilisce in tal modo uno stretto rapporto tra parola e immagine, operando attraverso la manipolazione di elementi usuali una riduzione formale immediatamente comunicabile»: CAPUANO, Iconologia della facciata …cit, pp. 19-20. L’architetto decide così di mostrare, attraverso la facciata della sua abitazione il suo trattato rendendo il prospetto della casa il frontespizio del

suo scritto. Sulla facciata in questione cfr. anche PAOLO CARPEGGIANI, Il libro di pietra.

Giovan Battista Bertani, architetto del Cinquecento, Milano, Guerini, 1992.

599 Kristina Herrmann Fiore, citando Plinio, associa il carattere pubblico e divulgativo di affreschi e graffiti a

lontane questioni sulla necessità di non relegare l’arte alla sfera privata: «ecci ancora una sua oratione magnifica e degna di grandissimo cittadino, la quale fece pubblicare le pitture e sculture, il che sarebbe

meglio che mandarle in villa quasi in esilio» sosteneva Plinio: HERRMANN FIORE, Roma trionfante…cit., p.

43.

600 P

ORTOGHESI, Roma del Rinascimento…cit., p. 360.

601

«L’attenzione rivolta ai fregi ed alle composizioni sulle facciate di Polidoro dai giovani desiderosi di apprendere l’arte è immensa. Esaminando il ricco materiale delle copie a noi pervenute, ci possiamo rendere conto di questo continuo culto verso la storia antica che, riproponendola, nelle facciate, Polidoro aveva reso

193

dimostrano le molte riproduzioni conservate602, ai particolari e ai frammenti più che alle visioni d’insieme603. L’attenzione nei confronti di quelle opere d’arte su strada era dunque rivolta ai singoli brani e al loro stile. Non importava la scansione delle decorazioni sulla facciata né il suo aspetto globale; quei monocromi venivano infatti isolati e concepiti come singoli dipinti. Affreschi e graffiti entrarono così a far parte di un «manuale di pittura»604 studiato e riprodotto fino al Settecento che, dal canto suo, nacque proprio copiando un altro repertorio fatto di statue e di monumenti classici605.

Pitture pubbliche che aprivano gli occhi e la mente del pubblico ammirato: «l’historie ovvero le poesie, che sono materie de’ fregi […] sotto velame di favole e d’istorie, se i discuoprano le strade de’ buoni costumi acciò che movino gli animi, quando sono narrate a coloro, perché spesso con tali esempi se gli apre gli occhi della mente»606.

Bisogna così immaginare che di fronte a quei palazzi, davanti ai quali oggi non si ferma più nessuno, secoli fa, ci fossero delle vere e proprie accademie d’arte: «esse divennero delle vere e proprie accademie, laonde si è veduto di continuo ed ancor si vede per Roma tutti i disegnatori esser più volti alle cose di Polidoro e Maturino, che a tutte l‘altre pitture moderne» scriveva Vasari. Si deve infatti precisare che fu specialmente l’opera di Polidoro e Maturino a catalizzare l’attenzione mentre, il restante repertorio su facciata, non sembra allo stesso modo rientrare tra gli oggetti privilegiati d’osservazione e di studio: «le opere dei due amici collaboratori furono i modelli cercati e preferiti dagli artisti, non solo per la correttezza del disegno ma anche per la varietà dei soggetti che vi erano trattati e che offrivano un ricco materiale di studio»607.

602

All’archivio del Louvre e al suo dipartimento delle arti grafiche sono conservati gran parte dei disegni preparatori e delle copie successive così anche agli Uffizi e all’Albertina di Vienna.

603 Cfr. K

ULTZEN, Relazioni e proposte…cit., pp. 37-38 e CHRISTOPHER L.C.E.WITCOMBE, Copyright in

the Renaissance: Prints and the Privilegio in Sixteenth-Century, Venice and Rome, Leiden, Brill, 2004.

604 H

ERRMANN FIORE, La retorica romana…cit., p. 269.

605

Vasari diceva di Polidoro e maturino che «non restò vaso, statua, pili storie, ne cosa intera o rotta ch’egli non disegnassero e di quelle non si servissero».

606 A

RMENINI, De’ veri precetti…cit., p.210.

607 G

194

6.2.PALAZZO GADDI E PALAZZO MILESI: LA RIPRODUZIONE DEI CHIAROSCURI DI POLIDORO

DA CARAVAGGIO

L’opera di Polidoro da Caravaggio e di Maturino da Firenze risulta essere quella maggiormente riprodotta nei secoli XVI e XVII. I due artisti non solo erano i più famosi decoratori di facciate a Roma ma erano anche, grazie all’esempio del maestro Raffaello, i più noti pittori “delle cose antiche” e i creatori di uno stile quasi vicino a quel manierismo che doveva essere ancora più apprezzato da parte di chi tra XVI e XVII secolo arrivava a Roma anche per ammirare le facciate dipinte del lombardo.

A via della Maschera d’Oro, nuovamente al centro di questo studio, oltre al palazzo al civico 9 visto nel IV capitolo, esistevano anche altre due facciate decorate questa volta da Polidoro e Maturino con la tecnica del chiaroscuro. Ai civici 7 e 21, poste una di fronte all’altra, erano due facciate affrescate a monocromo a completare la galleria all’aperto, gli esempi di questa produzione maggiormente riprodotti tra fine Cinquecento e la fine del Seicento. Qui transitarono infatti moltissimi artisti e appassionati primo tra tutti Giorgio Vasari, il quale, da fervido ammiratore di Polidoro e del suo stile, non dimentica di descriverle entrambe:

A San Simeone fecero la facciata de’ Gaddi, ch’è cosa di maraviglia e di stupore nel considerarvi dentro i belli e tanti e varii abiti, l’infinità delle celate antiche, de’ soccinti, de’ calzari e delle barche, ornate con tanta leggiadria e copia d’ogni cosa che imaginar si possa un sofistico ingegno. Quivi la memoria si carica di una infinità di cose bellissime, e quivi si rappresentano i modi antichi, l’effigie de’ savi e bellissime femmine, perché vi sono tutte le spezie de’ sacrifizii antichi come si costumavano, e da che s’imbarca uno essercito a che combatte, con variatissima foggia di strumenti e d’armi, lavorate con tanta grazia e condotte con tanta pratica che l’occhio si smarrisce nella copia di tante belle invenzioni. Dirimpetto a questa è un’altra facciata minore, che di bellezza e di copia non potria migliorare, dov’è nel fregio la storia di Niobe quando si fa adorare, e le genti che portano tributi e vasi e diverse sorti di doni: le quali cose con tanta novità, leggiadria, arte, ingegno e rilievo espresse egli in tutta questa opera, che troppo sarebbe certo narrarne il tutto. Seguitò appresso lo sdegno di Latona e la miserabile vendetta ne’ figliuoli della superbissima Niobe, e che i sette maschi da Febo e le sette femmine da Diana le sono ammazzati, con un’infinità di figure di bronzo, che non di pittura ma paiono di metallo; e sopra, altre storie lavorate con alcuni vasi d’oro contrafatti, con tante bizzarrie dentro che occhio mortale non potrebbe imaginarsi altro né più bello né più nuovo, con alcuni elmi etrusci, da rimaner confuso per la moltiplicazione e copia di sì belle e capricciose fantasie ch’uscivano loro de la mente: le quali opere sono state imitate da infiniti che lavorano di sì fatt’opere.

195

La decorazione di palazzo Gaddi608, oggi completamente perduta cosi come molto si è perso della struttura architettonica originaria dell’abitazione alquanto modificata nel tempo (fig. 54), viene descritta da Vasari come opera meravigliosa. Giulio Mancini sembra invece passarci davanti senza porvi troppa attenzione forse perché Vasari vi si era soffermato a sufficienza. L’attenzione di Vasari così come quella di artisti ed eruditi giunti ad ammirare quelle pitture anni dopo era principalmente rivolta alle realia609, «ossia le forme antiquarie degli abiti, oggetti di culto, e di costumi»610 che Vasari descrive alla perfezione. A restituirci non solo a parole ma anche attraverso le immagini l’infinità di

realia esposte sulla facciata dei Gaddi come anche la loro disposizione sul bel prospetto.

Figura 54. L’aspetto attuale della facciata di Palazzo Gaddi in via della Maschera d’oro, Roma

608

Opera probabilmente di Jacopo Sansovino (cfr. Vasari, GUSTAVO GIOVANNONI, Un’opera sconosciuta di

Jacopo Sansovino, in “Bollettino d’arte del Ministero della Pubblica Istruzione” 11 (1917), pp. 64-81.

609 Cfr. M

ARABOTTINI, Polidoro da Caravaggio…cit., pp. 231-247.

610 H

196

Si conservano molte riproduzioni della decorazione del palazzo specialmente nei due lunghi fregi a separazione dei piani con una scena di pellegrinaggio e dunque di trasporto da un luogo all’altro di beni e averi e con una battaglia navale. Questi fregi furono i brani decorativi maggiormente copiati proprio per la ricchezza dei dettagli, per la rappresentazione delle belle navi dei romani (fig. 55), delle loro usanze belliche e delle molte figure di donne e uomini intenti a trasportare i loro averi su quelle navi. Tutte scene che, affacciandosi sulla strada, catalizzavano l’attenzione anche a causa di uno stile pieno di pathos: «rispetto alla calma classica che permea tutti i movimenti nelle scene antiche di Raffaello, troviamo qui una profonda animazione, in cui i gesti estremi risultano ulteriormente sostenuti dal movimentato chiaroscuro delle vivaci pieghe dei panneggi»611. Pier Santi Bartoli, Cherubino Alberti e molti altri riprodussero i fregi con tutte quelle “belle invenzioni” che formavano un catalogo di oggetti antichi612.

Figura 55. Una delle quattro copie conservate al British Museum di Londra (anonime) che riproducono il fregio di Palazzo Gaddi dedicato alle scene sulle navi e l'atto di caricarvi i bagagli.

Al contrario, solo una riproduzione ci tramanda l’aspetto globale della decorazione sull’intera facciata. Questo è il caso della splendida incisione anonima conservata all’Albertina di Vienna che mostra l’intero ciclo del palazzo (fig. 56) e che purtroppo rappresenta uno dei rari casi in cui l’attenzione per il singolo brano pittorico si sposta sulla veduta d’insieme.

611 O

BERHUBER, Lo stile classico di Raffaello…cit., p. 24.

612

Per le copie come anche per i disegni preparatori consulta PHILIP POUNCEY, a cura di, Italian drawings in

the Department of Prints and Drawings in the British Museum,LONDRA,Trustees of the British Museum

1962,in particolare il volume 3 dedicato al circolo di RaffaelloeRAVELLI, Polidoro Caldara…cit., pp. 222-

197

Figura 56. Riproduzione della decorazione originaria di Palazzo Gaddi. Vienna, Albertina, Inv. 15.462.

L’esistenza di una testimonianza iconografica che riproduca l’intera facciata e la scansione della decorazione su di essa è infatti cosa rara: una caratteristica delle fonti iconografiche legate al genere decorativo in esame che crea limiti espliciti al lavoro di ricostruzione dell’aspetto originale e globale di una facciata dipinta e il suo complesso decorativo.

Nell’eseguire tali copie – precisa Kultzen alle prese con l’arduo compito di venire a capo dello studio sul fenomeno a Roma – si è tenuto presente, non tanto il complesso generale, ma i particolari e quelli ritenuti di maggiore perfezione artistica […] Ci troviamo di fronte a una massa di copie grafiche, per lo più anonime, riguardanti i particolari: testimonianze che provano, ancora una volta, come l’interesse fosse, soprattutto, limitato alle singole scene, ritenute esempi essenziali della concezione compositiva e del disegno di Polidoro613.

«Tale criterio fu l’origine della mancata trasmissione in epoca moderna di attestazioni grafiche, trascrizioni integrali di quei complessi programmi iconografici che dovettero abbellire le facciate di molti edifici rinascimentali romani poi, nel corso dei secoli, scomparsi»614 e, inoltre, costituisce la prova del tipo di percezione legata al patrimonio su facciata. Un interesse essenzialmente non documentario, rivolto invece al confronto diretto

613

KULTZEN, Relazioni e proposte…cit., pp. 37-38.

614 G