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Figura 10 Casa Sander a via dell’Anima e via della Fossa a Roma Esempi di facciate dipinte appartenute a

committenti tedeschi. Fotografie attuali.

C’era poi la casistica delle case graffite appartenute alle cortigiane – già avanzata da Gnoli – che fece a volte supporre che ornare le facciate fosse prerogativa di una data classe sociale: «le ricche cortigiane, dette cortigiane oneste, vollero aver la casa ornata a graffito»282 scrive nel 1909.

«Sembra che le cortigiane – sostiene Simonetta Valtieri – preferissero abitare le case dipinte all’esterno»283 riferendosi ai graffiti tutt’oggi visibili di vicolo del Governo Vecchio. I dati a riguardo sono però troppo esigui per avanzare una teoria sulla base di pochissimi casi, specialmente trovandoci di fronte a una complessa e variegata cornice che comprende non solo la committenza ma anche gli stili, le tecniche e le tematiche rappresentate sui prospetti urbici e che spesso induce a parlare di episodi piuttosto che di una regola.

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Notizie su entrambe le abitazioni sono custodite presso l’Archivio di Santa Maria dell’Anima a Roma.

282 G

NOLI,Have Roma…cit., p.165.

283 V

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La committenza è comunque una variabile fondamentale che, analizzata in modo sistematico, potrebbe rispondere a molte delle domande ancora aperte sulla comprensione del fenomeno. Del resto «nell’architettura, la figura del committente ha un’importanza diversa […] L’architettura rimane legata alla persona del “pagatore”»284 e questo sembra anche valere nel caso di un’architettura decorata.

L’iniziativa privata fu sicuramente centrale nell’affermazione della pratica artistica e nella definizione dei suoi caratteri285. Si trattava perlopiù di quei committenti laici e borghesi che abbiamo già incontrato, molti dei quali erano da poco giunti, dal Centro o dal Nord, nella città rinnovata e sempre più “profana”286.

Non si veniva più a Roma solamente per fare i mercanti. I nuovi residenti venuti da lontano non si ritrovano immediatamente al centro politico della città, non hanno più i loro grandi palazzi, ma hanno ruolo sociale, interessi culturali, sono vicini al papa (prestatori e mercanti) e vogliono mostrarlo. E furono proprio le nuove sistemazioni urbanistiche e i nuovi residenti che in esse si insediarono a favorire la ripresa dell’edilizia privata e l’abbellimento di quella preesistente.

Questi nuovi arrivati lasciarono il segno non solamente nella produzione artistica ma anche sull’assetto sociale del tessuto urbano della città287 tanto da far pensare che le facciate decorate di Roma furono il frutto di una forte connessione tra la presenza di valenti pittori settentrionali288 e di importanti committenti romani ma anche fiorentini289 e

284 T

HOENES, L’incarico imposto dall’economia…cit., p. 52.

285 «Lo spazio urbano romano rimaneva tuttavia fortemente determinato dall’iniziativa individuale, dalla

vivacità della compresenza talvolta casuale delle esperienze classiche, medievali e rinascimentali. La ritualità celebrativa di Roma e della chiesa era la motivazione profonda di queste ristrutturazioni, fatto quindi simbolico che scaturiva dalla spiritualità e dall’immaginazione per cui il suo riscontro nella forma

diventava rappresentazione»: HUMBERT, L’arredo e la trattatistica…cit., p. 104.

286 «Parallelamente alla nascita della “città papale” – ci si riferisce alla Renovatio urbis – si era sviluppata la

“città profana” grazie al consolidamento economico-sociale di “soggetti produttivi” (uomini d’affari, marcanti, artigiani), al peso esercito, congiuntamente, dai “gruppi dirigenti politici” e dai “gruppi determinanti economici” e quindi dalla committenza privata, con il moltiplicarsi delle grandi residenze dei cardinali, dei palazzi di famiglie nobili e Banchieri»: PAOLA PIACENTINI, a cura di, Lettere Romane di

Momo, Bologna, Patron Editore, 2011, p. 18.

287 «La presenza di maestranze settentrionali attratte a Roma nel momento in cui la città è chiamata ad

assumere un ruolo nuovo nella civiltà storico-artistica del Rinascimento» venne registrata anche all’interno dell’importantissimo convegno di studi tenutosi a Bressanone nel 1985 sugli intonaci delle città italiane: cfr. SCOLARI, Note su intonaci graffiti…cit., p. 43.

288 «Si è dal pontificato di Nicolò V che principia veramente la continua immigrazione in Roma del ceto

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genericamente nordici e il loro contatto con l’urbe. I fiorentini «nel tardo Trecento avevano preso in mano le finanze pontificie, nel primo Quattrocento la cancelleria papale, poi le committenze romane di arte e architettura; generazione dopo generazione, persino il dialetto romano, il romanesco parlato, subisce una toscanizzazione – finché anche lo stesso soglio pontificio finisce in mani fiorentine»290.

Lo stravolgimento del tessuto urbano di Roma era infatti iniziato fin dal primo Quattrocento e aumenterà progressivamente con l’arrivo dei Papi Medicei, Leone X e Clemente VIII, fino al sacco di Roma291. Al loro seguito giunsero in gran numero quei membri della borghesia in gran parte toscana, di cui abbiamo parlato, e che andranno a formare una nuova committenza dalla «spinta innovativa»292 creando insieme anche un secondo modo di dipingere le facciate, con tecniche più nobili e raffigurazioni maggiormente elaborate.

I registri doganali mostrano l’enorme potere commerciale dei fiorentini durante tutto il Rinascimento: «è questa l’ora dei fiorentini – scrive Arnold Esch studiando i registri quattro-cinquecenteschi – In qualunque momento e in qualunque luogo si ricerchi – le operazioni bancarie per le finanze papali o le importazioni di merci per la residenza del papa -, ovunque si guadi troviamo fiorentini»293.

Gli “stranieri” incidono in modo visibile sull’assetto urbano; i fiorentini lasciano tracce

Artisti Lombardi a Roma nei secoli XV, XVI, e XVII. Studi e ricerche negli archivi romani,1881, Milano,

Arnaldo Forni editore, 1985, p. 14.

289 Per questo importante aspetto, fondamentale per una precisa definizione della moda, cfr. D

ANESI

SQUARZINA, a cura di, Maestri fiorentini…cit.; POLVERINI FOSI, Fiorentini a Roma nel Cinquecento: storia

di una presenza, in SERGIO GENSINI, a cura di, Roma capitale 1447 - 1527, atto del convegno di studi San Miniato 1992, Ospedaletto, Pacini, 1994, pp. 389-414, CLAUDIA CONFORTI, La “Natione Fiorentina” a

Roma nel Rinascimento, in DONATELLA CALABI,PAOLA LANARO, a cura di, La città italiana e i luoghi degli

stranieri XIV-XVIII secolo, Bari, Laterza, 1998, pp. 171-191, ESCH, La Roma del primo Rinascimento…cit.

290 E

SCH, La Roma del primo Rinascimento…cit., p. 30.

291

Per un approfondimento del Sacco di Roma (1527) si rimanda a CHASTEL, Il Sacco di Roma…cit.; PINELLI, a cura di, Roma del Rinascimento…cit. Solo con Paolo III Farnese nel 1534, la vita artistica riprese: cfr. RICHARD HARPRATH, La formazione umanistica di papa Paolo III e le sue conseguenze nell’arte

romana della seconda metà del Cinquecento, in MARCELLO FAGIOLO, a cura di, Roma e l’antico nell’arte e

nella cultura del Cinquecento, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1985, pp. 63-85.

292 G

IACOMETTI,MAURO, Sulle case dipinte a Roma…cit., p. 102. «L’aumento della popolazione, con la sua accentuata varietà nazionale e articolazione sociale, produce rilevanti conseguenze nel tipo e nel numero dei committenti e notevoli cambiamenti nelle tipologie più diffuse, nelle loro dimensioni e nel loro aspetto […] Ma la nuova Roma è ora specialmente frutto dell’iniziativa di committenti di diversa provenienza e

nazionalità»: BRUSCHI, L’immagine …cit, p. 12.

293 E

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soprattutto nel rione Ponte294, cuore del quartiere del Rinascimento, luogo di affari e residenza della legione fiorentina – alcune case conservano ancora targhe di questo insediamento.

Manifestando pubblicamente l’importanza della propria famiglia295, seguendo una vocazione privata e autorappresentativa, ma anche inserendosi a livello culturale e ‘politico’ nel progetto dei papi sulla ‘nuova’ Roma, riuscirono ad incidere sul cambiamento dell’aspetto della città296.

Si aprono così altre due possibili strade di indagine sul genere e sul suo successo che intersecandosi definiscono lo spazio culturale, artistico e psicologico di una nuova cittadinanza in cui motivazioni individuali e familiari di crescita sociale finiscono per aderire ad un progetto estremamente articolato di trasformazione della città dei papi: da un lato vi sono le volontà individuali di proprietari e committenti, dall’altro un disegno ben più ampio che riguardava la città e il suo divenire, in altre parole «un’affermazione del principio di utilità pubblica superiore agli interessi del privato»297 o almeno posti sullo stesso piano.

Purtroppo sappiamo ancora troppo poco sulla committenza e finché non vi sarà più chiarezza su questo punto lo studio del fenomeno non potrà dirsi completo. Di certo, le scelte iconografiche cinquecentesche suggeriscono una committenza per lo più laica298,

294 C

ALABI, La città del primo Rinascimento…cit., p. 80.

295 «Basta installarsi in una delle tante casette rinascimentali di recente costruzione, e poi chiamare un buon

pittore di facciate. Rapidamente la modesta dimora si trasforma in un piccolo capolavoro alla moda»: MARABOTTINI, Polidoro da Caravaggio…cit., p. 106.

296 «Agli usi e agli ornamenti degli interni si voleva far corrispondere un aspetto esterno della propria

abitazione […] ma insieme il privato concorreva con spirito consapevole al decoro della città al pari del Comune»: SAPORI, Per un catalogo delle facciate…cit., p. 63. Concetto ripreso anche da Herrmann Fiore quando scrive che: «le decorazioni delle facciate nobilitavano i proprietari e contestualmente l’aspetto

urbanistico della città»: HERRMANN FIORE, Roma trionfante…cit., p. 43

297

VALTIERI, Storie e architetture …cit., p. 18.

298

Evelina Borea, ricordando la tipologia di committenza con cui Polidoro lavorò anche sulle facciate, la usa per ribadire la sua distanza dall’ambiente romano e da Peruzzi: Polidoro – scrive - «stabilì quindi rapporti proficui con committenti laici fuori dei Palazzi Vaticani e delle dipendenze pontificie, confermando, sulla via intrapresa da Peruzzi e dal Chigi, ma con intenti diversi, pochi anni addietro, un nuovo costume dell’arte, indicativo non solo del gusto elevatissimo dei tempi e della libertà mentale dell’alta borghesia romana nei confronti del clero e della cultura ufficiale, ancorata al neoplatonismo e a un’interpretazione ideale e allegorica del mondo, ma anche della posizione singolare, certamente di fronda, assunta da Polidoro in seno alla civiltà pittorica raffaellesca. Una civiltà cui egli non contraddice nelle forme […] ma che è elusa nella

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svincolata, in buona parte, dai palazzi Vaticani e che, provenendo da altre città, avvertiva in modo particolare il fascino di quel repertorio “romano” che anche la Chiesa sembrava idealizzare. Anche l’uso del chiaroscuro, carattere predominante della tipizzazione romana soprattutto per la sua capacità di simulare il marmo e dunque gran parte del patrimonio classico da riproporre su facciata, è stato del resto associato alla volontà e al gusto di quella nuova committenza:

la fortuna delle decorazioni realizzate con la tecnica del chiaroscuro va dunque sicuramente ricercata nelle possibilità compositive che essa permetteva di raggiugere. Trasformare la facciata del proprio palazzo in una preziosa coreografia di architetture fantastiche, statue e marmi evocanti sontuose dimore, è la chiara espressione di una committenza che, formatasi nel largo respiro d’impronta umanista accolto nella corte papale di Sisto IV (1471-1484), si evolve nel corso del XVI secolo facendo proprio lo spirito culturale e le forme piene del Manierismo italiano299.

Città e committente sono così i protagonisti di un dialogo che anche la trattatistica echeggia. Se Alberti riprendendo Tucidide scriveva che «facciamo costruzioni grandi per apparire noi stessi grandi ai posteri […] siamo soliti adornare le nostre case, sia per onorare la patria e la famiglia sia per amor di magnificenza»300, Serlio sosteneva che «nelle facciate delle case in città, […] bisogna rispettare la maestà che si conviene agli edifici legati al tessuto edilizio, con ornamenti gravi secondo il grado del padrone»301. La strategia non è solo romana: scrive Donatella Calabi che «il ricco cittadino aspirante a una residenza degna del suo stato, al quale si rivolge Alberti, è chiaramente identificabile con il mercante, cioè con quella borghesia mercantile che, soprattutto a Firenze […] ha soppiantato la nobiltà feudale nel dominio della città»302, ma col tempo si può dire che questo accadde anche a Roma. Il dialogo tra società e architettura civile era dunque molto stretto: «nella città dei papi l’architettura civile non meno di quella religiosa è chiamata a sua sostanza per una interpretazione del mondo più accostante, per un’apertura diretta sull’uomo e sulla vita in atto. Non a caso dunque egli scelse ad accogliere le sue pitture luoghi aperti sulle strade e sulle piazze e temi dedotti dalla storia romana o dai miti più semplici e di facile lettura»: BOREA, Vicenda di

Polidoro…cit., p. pp. 211-212.

299 G

IACOMETTI,MAURO, Sulle case dipinte a Roma…cit., pp.104-105.

300 A

LBERTI, L’architettura…cit. p. 433.

301

DI STEFANO, La facciata come soglia…cit., p. 540.

302

CLAUDIA CONFORTI, Palazzi con botteghe nella Roma moderna, in DONATELLA CALABI, a cura di, Il

mercante patrizio. Palazzi e botteghe nell’Europa del Rinascimento, Milano, Mondadori, 2008, pp. 131-137,

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signoreggiare lo spazio fisico e sono proprio i palazzi a reclamare la preminenza prospettica delle strade, in una scelta di ostentazione nei confronti dei pellegrini e dei molti che giungono nella città eterna»303.

Queste strade, le principali vie di comunicazione della Roma tra Quattro e Cinquecento, saranno ora ripercorse alla ricerca di tracce di graffiti e affreschi ma anche di altri argomenti che possano far luce su un genere decorativo che spesso, forse per la sua scomparsa, sfugge alla comprensione globale.

303 D

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