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CCXCV 56 Que li seriant ne li ochistrent (c 1rb).

4. ANALISI DEL CONTENUTO

TEBE (cc.1r-20r)

(Cc. 1r-4v: la storia di Edipo). Privo della sezione biblica e assira, il fr.1386 si apre con la parte tebana. Le vicende del romanzo hanno inizio con la paternità e i dubbi di Laio riguardo la sua progenie. Interrogati gli oracoli e saputo che il bellissimo bambino sarebbe stato destinato ad uccidere il padre, il re tebano decise di sopprimerlo. I servi ai quali era stato comandato l‟infanticidio però, commossi dalla bellezza del neonato, lo risparmiarono, portandolo nella foresta e appendendolo per i piedi ad un albero per proteggerlo dalle belve, illudendo il re di essere sfuggito al suo triste destino. Polibo, re di Micene, attraversò quella stessa foresta nella quale Edipo era stato portato. Sentendo piangere e scorgendo la creaturina, decise di curarla e farne suo figlio. Ma crescendo Edipo si fece arrogante ed insopportabile a tutti coloro che lo circondavano. A seguito di una lite con un compagno, esasperato dalla prepotenza del principe, Edipo venne a sapere che Polibo non era il suo vero padre. Sconvolto Edipo si risolse a rivolgere al re i suoi dubbi, deciso ad uccidere il compagno qualora avesse mentito. Il re, addolorato, fu costretto a confessare la verità e a raccontare di come lo aveva trovato nella foresta. Deciso a conoscere le sue vere origini, Edipo iniziò un cammino che lo condusse ad un tempio dedicato ad Apollo nel quale si trovava un idolo, dimora di un demone in grado di dare responsi ai suoi fedeli. Il giovane Edipo promise di servirlo per la vita e domandò lui risposte e notizie su suo vero padre. Come consigliatogli dal demone, Edipo si mise sulla strada per Tebe e, dopo avere cavalcato a lungo, sostò al castello di Foce. Al castello erano in corso festeggiamenti, ma al suo arrivo scoppiò un violento scontro tra i partecipanti ai giochi, che crebbe facendosi battaglia. Anche Laio con il suo seguito si era recato al castello per assistere ai festeggiamenti e nella confusione generale Edipo uccise il suo vero padre, ma nessuno seppe mai l‟identità dell‟assassino del re tebano. Il cadavere del re venne portato a Tebe alla sposa Giocasta, al cui profondo dolore si unì l‟intera città, celebrandone i funerali e dandogli ricca sepoltura. Edipo si rimise in cammino per Tebe ma il raggiungimento della sua meta è ostacolato da una nuova insidia: un mostro crudele, dal corpo leonino e viso di donna, che gli abitanti della zona chiamavano “Sfinge”. Questi poneva ad ogni passante lo stesso enigma ma nessuno era mai riuscito a risolverlo e la Sfinge li divorava uno dopo l‟altro. Lo stesso enigma venne posto anche ad Edipo, il quale riuscì nell‟impresa e, tagliata la testa al mostro, liberò la città dalla sua minaccia. L‟eroe procedette sulla strada per Tebe, dove già si era diffusa la notizia della sua vittoria sulla creatura mostruosa. Al suo arrivo

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nella città erano stati organizzati grandi festeggiamenti in suo onore. La regina Giocasta ancora era in lutto e sola regnava sulla città. I baroni la incoraggiavano a risposarsi: le parlarono di Edipo come di un cavaliere bello e coraggioso, giunto recentemente nella città e uccisore della terribile Sfinge; venne presentato alla regina e fu così che Edipo finì col prendere la madre in moglie. Fu un re saggio e prode e governò a lungo e pacificamente la città. Dalla moglie ebbe due figlie, Antigone e Ismene , e due figli, Eteocle e Polinice. I figli crebbero e i genitori invecchiarono. Un giorno accadde che Giocasta notò delle cicatrici ai piedi del marito (le quali risalivano al tempo in cui, neonato, era stato appeso per i piedi ad un albero per essere salvato). La donna, che aveva poi conosciuto dai servi le vicende del suo primo figlio, rimase sconvolta da quella visione e trascorse una notte agitata. Edipo insistette per essere messo a parte delle preoccupazioni della moglie e venne così a conoscenza della storia del neonato condannato a morte dal padre e risparmiato dai servi. Giocasta raccontò inoltre di avere appreso dai servi che il bambino era stato presto salvato da un uomo che attraversava la foresta e pregò il marito di essere messa a parte delle avventure che lo avevano condotto a Tebe. Edipo raccontò allora la sua storia, di come fosse stato cresciuto da re Polibo, di come avesse scoperto di essere stato adottato e di come, alla ricerca del suo vero padre, fosse stato indirizzato dall‟oracolo di Apollo verso Tebe. Certo si rese conto di essere lui l‟assassino di re Laio e di avere preso sua madre in moglie. Lo strazio dei coniugi fu immenso e condusse Edipo ad accecarsi.

(Cc.5r-12r: l‟inizio del conflitto tra Edipo e Polinice). Alla morte del padre il regno rimase in balìa dei fratelli Eteocle e Polinice, in lotta per stabilire a chi dei due spettasse il trono. Su consiglio dei saggi di Tebe e dei baroni, fu deciso che i due avrebbero governato a turno, un anno alla volta, ad iniziare da Eteocle, in quanto fratello maggiore. Secondo i patti, mentre l‟uno regnava l‟altro avrebbe dovuto muoversi alla conquista di nuove terre. Polinice si mise in viaggio e dopo una notte tempestosa giunse alla ricca città di Argo. L‟autore presenta il re argivo, Adrasto, come un sovrano saggio e prode, figlio di Talao e nativo dell‟isola di Sicione. Per il grande valore dimostrato in giovinezza fu proclamato re di Argo e divenne padre di due bellissime figlie: Argea e Deipile. Tormentato da un sogno nel quale un leone e un cinghiale combattevano, venne a sapere che essi rappresentavano i suoi futuri generi, coloro che avrebbero sposato le sue due figlie. Polinice, giunto al castello di Adrasto, trovò all‟entrata un riparo per trascorrere la notte. Ad Argo giunse anche Tideo, il quale aveva fama di essere cavaliere prode, cortese e saggio. Figlio del re di Calidone, accusato dell‟assassinio di uno dei fratelli o forse di uno zio, fu cacciato dal suo regno. Polinice, imbattendosi in Tideo armato e a cavallo, si affrettò a montare sul suo destriero e lo sfidò a cercare un altro rifugio, essando lui arrivato per primo. Così tra i due ebbe inizio uno scontro che venne placato dall‟arrivo di Adrasto. I due cavalieri si presentarono,

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re Adrasto ben conosceva i loro nobili lignaggi e li invitò ad entrare nel suo castello. Quando i due ebbero mangiato, il re mandò a chiamare le sue due belle figlie perché facessero la conoscenza dei cavalieri stranieri. La loro bellezza colpì profondamente i due ospiti. Dopo qualche parola il re congedò le figlie e gli ospiti e lui stesso si ritirò nelle sue camere, senza però riuscire a prendere sonno. Continuò a meditare di dare in spose le figlie ai due nobili cavalieri e solo in questo pensiero riuscì a trovare riposo. Nel sonno si ripresentò lui l‟immagine del leone e del cinghiale in lotta e alla mattina decise di recarsi al tempio per pregare gli dei e chiedere responsi. Quando riconobbe in Polinice e Tideo i futuri generi ne ebbe grande gioia. Uscendo dal tempio si imbatté nei due giovani che si stavano recando a pregare. Li attese fuori dal tempio e, poco prima del pranzo, li chiamò nelle proprie stanze e offrì loro in spose le due bellissime figlie e li nominò suoi eredi. Tideo e Polinice ne furono lieti ed onorati: Polinice avrebbe preso in moglie Argia e Tideo Deipile. La notizia presto si diffuse in tutto il regno, arrivando fino a Tebe, presso re Eteocle e tutto il parentado di Polinice. La madre e le sorelle, che molto amavano Polinice, accolsero con gioia la lieta novella. Eteocle non ne fu altrettanto felice e radunò i più saggi baroni del suo regno, i quali ben si resero conto che Eteocle non aveva alcuna intenzione di rispettare il patto con suo fratello. L‟anno destinato al regno di Eteocle volgeva ormai al termine ma cedere la corona al fratello non rientrava nei suoi progetti, si dichiarò invece pronto ad ucciderlo qualora egli si fosse fatto avanti. Polinice, in nome del suo onore, decise di tornare a Tebe per riprendere il regno che gli spettava di diritto. Adrasto, preoccupato da ciò che sarebbe potuto accadere, consigliò a Polinice di inviare un messaggio al fratello prima di recarsi personalmente a reclamare il trono. Tideo, molto affezionato a Polinice, si offrì per recapitare il messaggio. Dopo avere preso congedo dalla moglie Deipile, Tideo si mise un viaggio per Tebe. Dopo avere a lungo errato per la città, Tideo arrivò al castello dove Eteocle ancora era seduto al tavolo dove aveva mangiato. Il re subito presagì che il messaggio recato dal cavaliere non gli sarebbe piaciuto, infatti Tideo si era presentato come amico e messo di Polinice. Tideo ricordò al re il patto stretto con il fratello e la scadenza del tempo stabilito per il suo regno. Eteocle, cercando di celare la collera, fece presente la grande ricchezza di cui già godeva il fratello e il suo recente e fortunato matrimonio: che lasciasse a lui il potere di governare su Tebe. Tideo ben comprese gli interessi di Eteocle e il suo tentativo di venire meno agli accordi regnando permanentemente su Tebe. Minacciò di muovere guerra contro il re tebano e ricordò la potenza delle forze alleate di re Adrasto. Eteocle dichiarò di non avere alcuna intenzione di cedere il regno dinanzi alle minacce di Tideo. I baroni che avevano assistito alla discussione, pur non approvando la decisione di re Eteocle, non avevano il coraggio di contestarne la volontà. Tideo si fece loro incontro e li invitò ad andare contro il loro re, alleandosi con il fratello Polinice, promettendo in

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cambio terre e ricchezze. Nonostante la proposta allettante, nessuno di essi rispose a Tideo, il quale, montato a cavallo, si rimise sulla strada del ritorno. Eteocle convocò il suo connestabile e alcuni baroni, incaricandoli di assassinare Tideo. Prendendo una scorciatoia, i cavalieri arrivarono in una foresta che Tideo avrebbe dovuto attraversare, con l‟intenzione di tendergli un‟imboscata. La foresta era assai prossima alla montagna in cui un tempo dimorava la Sfinge. Al calare della notte Tideo era ormai vicino ai suoi assalitori: avvicinandosi alla roccia dove essi erano nascosti, notò gli scudi splendenti alla luce lunare e subito si rese conto dell‟agguato organizzato da re Eteocle. In lui crebbe il coraggio e, cogliendoli di sorpresa, rispose valorosamente ai colpi nemici. Riuscì a sconfiggerli tutti e ne lasciò in vita solo uno, dietro giuramento che si sarebbe recato a Tebe e avrebbe riferito a re Eteocle tutto l‟accaduto. Mentre Tideo rimontava a cavallo, vittorioso ma ferito. Dopo avere errato tutta la notte, Tideo arrivò nel regno di re Licurgo. Presso il castello del re scorse uno splendido giardino, stanco e dolorante si abbandonò sull‟erba. La figlia del re Licurgo arrivò al giardino e notò con sorpresa prima il cavallo e poi il cavaliere addormentato. Avvicinandosi, presa dal timore che il giovane fosse morto, lo scosse leggermente e questi si svegliò e, ancora provato dal recente combattimento, sfoderò immediatamente la spada. La fanciulla lo rassicurò, disse di essere la figlia di re Licurgo e pregò Tideo di raccontarle la sua storia. Tideo si presentò come amico e messo di Polinice di Tebe e raccontò le sue avventure. La giovane lo invitò a riposare nelle sue camere, nel castello del re e Tideo accettò volentieri la sua offerta. Essa chiamò le sue ancelle perché preparassero il letto per l‟ospite e provvide personalmente a bendarne e curarne le ferite. Tideo riposò profondamente fino al mattino, quando la principessa lo visitò per averne notizie. Il cavaliere dichiarò di sentirsi guarito e pronto a rimettersi in viaggio, nonostante le proteste della fanciulla che lo pregò di concedersi ancora qualche giorno di riposo per assicurarsi una completa guarigione. Dopo avere cavalcato a lungo, Tideo giunse finalmente ad Argo, alla corte del re: molti cavalieri riconoscendolo gli si fecero incontro e Adrasto organizzò grandi festeggiamenti. Tideo ancora era armato, insanguinato e indossava l‟elmo rotto: il re personalmente lo aiutò a spogliarsi delle armi e vedendo le ferite, addolorato, chiese spiegazioni. Tideo, dopo essere stato fatto lavare, curare e vestire di abiti puliti, raccontò davanti al re, a Polinice e a tutti gli altri cavalieri. La notizia del ritorno di Tideo e della sua pericolosa avventura arrivò alle stanze di Deipile, la quale si precipitò piangendo incontro allo sposo e venne da lui confortata. Per tutta la città corse la notizia del ritorno di Tideo e dell‟imboscata tesagli da Eteocle, il quale veniva meno al patto stretto con il fratello Polinice. A questo punto il narratore torna al cavaliere risparmiato da Tideo e inviato presso Eteocle. Questi aveva raccontato tutto al suo re: del valore dimostrato da Tideo, dell‟uccisione di tutti i cavalieri al servizio del re tebano e di come egli fosse stato salvato per recapitare la notizia. Eteocle era in

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collera e non si capacitava di come un solo uomo avesse potuto sconfiggere tutti i suoi cavalieri. Il messo spiegò che dal tradimento e dalla malvagità non ci si poteva aspettare che vergogne e sconfitte. La risposta impertinente scatenò l‟ira di Eteocle, pronto a saltare sul cavaliere per ucciderlo. Questi lo precedette e, sfoderata la spada, si pugnalò. Grande fu lo strazio dei parenti dei cavalieri uccisi da Tideo: si recarono sulla montagna per recuperarne i corpi e il pianto si diffuse per tutta la città. Adrasto chiese consiglio ai suoi baroni e questi lo esortarono a vendicare

prontamente il torto subito da Polinice e l‟agguato teso a Tideo. (Cc. 12r-20r: la guerra fratricida e la distruzione di Tebe). Adrasto mandò i suoi cavalieri e suoi

uomini ad annunciare lo scontro imminente e a convocare uomini per riparare alla vergogna subita e riconquistare il proprio onore. Numerosi si presentarono armati e pronti a combattere. Adrasto fu felice ed onorato di avere a sua disposizione il migliori cavalieri di tutta la Grecia. Etreocle, alla notizia della battaglia che Adrasto si accingeva a muovere, cercò di radunare il maggior numero di cavalieri possibile e ordinò di fortificare le mura e le torri. Nel mese d‟aprile, con il fiorire della nuova stagione, Adrasto preparò il suo esercito a muovere verso Tebe. Ad Argo vi era un uomo molto saggio e dotato di capacità divinatorie, Anfiarao era il suo nome. Dai suoi oracoli aveva saputo che, se avesse preso parte alla spedizione contro Tebe, non sarebbe tornato vivo. Ne informò la moglie Erifile e il figlio Alcmeone, pregandoli di nasconderlo qualora Adrasto lo avesse mandato a cercare. Come previsto da Anfiarao, Adrasto inviò alcuni cavalieri alla sua ricerca. Dopo qualche insistenza la moglie rivelò il suo nascondiglio e Anfiarao cercò invano di sottrarsi alla battaglia raccontando del tragico esito che ne aveva previsto. Nessuno prestò ascolto alle sue parole e l‟indomani mattina l‟esercito si mosse secondo gli ordini del re. Dopo una marcia lunga e faticosa, aggravata dalla scarsezza dell‟acqua e dalla secchezza del clima, i cavalieri giunsero nelle terre di re Licurgo. Adrasto inviò uomini alla ricerca di sorgenti presso cui potersi dissetare. Tideo, con re Capaneo e alcuni del suo seguito, giunse ai giardini del re e scorse una fanciulla con un bambino e, dopo averla rassicurata sulle loro buone intenzioni, chiese dove avrebbero potuto bere acqua e rifocillarsi. La donna era Isifile e presentò il bambino come il figlio di re Licurgo. Isifile lasciò solo il piccino, coricatosi tra l‟erba e i fiori, e condusse i cavalieri alla fonte. Arrivati alla sorgente, grande fu la loro gioia e mandarono qualcuno a chiamare il resto dell‟esercito. Isifile fu presentata a re Adrasto: figlia del re dell‟isola di Lemno, raccontò di essere stata cacciata per non avere preso parte alla rivolta delle donne dell‟isola e non avere ucciso il padre, di essere giunta nelle terre di re Licurgo e essere diventata la balia del figlio Archemoro. Preso congedo dai cavalieri, Isifile tornò al giardino e trovò il bambino morto per il morso di un serpente. Disperata e piangente prese Archemoro tra le braccia e corse alla fonte dove aveva lasciato i cavalieri di Adrasto. Si rivolse a Tideo, sicura che sarebbe stata punita con la

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morte dai genitori del bambino, e implorò aiuto. Su consiglio di Tideo, Adrasto, con altri trenta uomini tra re e principi, si recò presso re Licurgo. Vennero accolti con grande cortesia e molti onori, ma furono costretti a riferirgli la dolorosa notizia della morte del figlio. Grande fu lo strazio dei genitori: la madre ne svenne e il padre a stento riuscì a trattenere il pianto. Adrasto pregò che l‟ancella Isifile venisse perdonata e la regina rispose che avrebbe avuto requie solo quando il serpente assassino sarebbe stato ucciso. L‟esercito argivo si mosse alla ricerca del crudele animale e il re d‟Arcadia Partonopeo, trovatolo, lo uccise. Il capo reciso del serpente venne portato alla regina e fu così che i regnanti s‟accordarono con la balia. Dopo quattro giorni di riposo il re argivo ordinò di riprendere la marcia: preso congedo da Licurgo, si mossero e giunsero nella pianura ai piedi di Tebe. I Tebani, anche i cavalieri più valorosi e meglio armati, rimasero entro le mura. Sia dentro che fuori dalla città la notte trascorse insonne. Eteocle era molto preoccupato perché sapeva che molti Tebani erano ancora fedeli a suo fratello e, convocata un‟adunanza, chiese consiglio sul da farsi. La maggior parte dei presenti si rivelò favorevole alla guerra, mentre i più saggi, compresa la madre Giocasta, erano propensi alla pace e a rendere a Polinice la metà del regno. Eteocle non era disposto a rinunciare al governo di Tebe e l‟indomani Giocasta e le due figlie si offrirono di recare il messaggio a Polinice ed Adrasto. Polinice riabbracciò la madre e le sorelle dopo un lungo periodo di separazione e venne messo a parte della decisione del fratello. Tideo rispose per primo sostenendo che l‟unica condizione per la quale si sarebbe potuto evitare lo scontro sarebbe stato rispettare i patti originari. La guerra è inevitabile, ma un fatto particolare la scatena: a Tebe dimorava una tigre che era cresciuta tra le cure e le carezze dispensate dalle principesse. La tigre era stata addomesticata e, per quanto fosse capace di grande aggressività, era molto amata dalla popolazione tebana. Attirata dal rumore, uscì dalle mura della città e penetrò nella piana dove era accampato l‟esercito di Adrasto: i guerrieri, spaventati dalla vista della belva, la attaccarono uccidendola. In molti dalle mura della città assistettero al fatto e accorsero fuori dalle mura per vendicare l‟animale. Lo scontro fu sanguinoso e sarebbe stato ancora più tragico se, per amor del figlio, la regina Giocasta non avesse fatto ritirare i suoi uomini e Polinice non avesse fatto altrettanto. Giocasta chiese nuovamente ad Adrasto di acconsentire alla pace, ma egli ribadì che avrebbe concesso la tregua solo qualora fossero stati rispettati gli originari patti presi tra i fratelli. La regina Giocasta e le due figlie furono allora costrette a congedarsi e a rientrare nella città, dove riferirono ad Eteocle le parole del re di Argo. Il re tebano rimase irremovibile e non trascorse molto tempo che i due eserciti si armarono per combattere nuovamente. Un fatto straordinario avvenne nella battaglia: Anfiarao, armato e su un ricco destriero, venne inghiottito dalla terra. Adrasto, che stava combattendo dall‟atra parte del campo, ricevette l‟incredibile notizia e fece ritirare i suoi dalla battaglia per timore che all‟intero esercito toccasse la stessa

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sorte. Entro le mura i tebani festeggiarono la scomparsa dell‟indovino e la ritirata nemica, mentre Adrasto, combattuto tra timore e senso dell‟onore, chiese consiglio ai suoi. La discussione fu lunga e diverse opinioni vennero espresse ma, alla fine, venne presa una decisione: o avrebbero conquistato la città o sarebbero tutti morti. Vennero scelti due anziani e saggi uomini, Melampo e Teodamo, a sostituire Anfiarao nel suo ruolo di sacerdote e indovino: ciò aiutò l‟esercito a

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