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FRA XIII E XIV SECOLO

DAI CODICI AL TESTO

III.2 Analisi della tradizione

Dall’esame condotto da Langlois nel suo Les manuscrits du Roman de la Rose (1910) quella della Rose, in entrambe le sue parti autoriali, appare come una tradizione bipartita che oggi potremmo definire con gli aggettivi attiva386, ovvero soggetta a frequenti interventi da parte dei copisti che introducono così un elevato numero di varianti, spesso adiafore, tra cui l’editore si trova a dover scegliere, e aperta ovvero non risolvibile sul piano stemmatico sia in quanto composta da soli due rami, sia in quanto fortemente contaminata. Soprattutto nel caso della Rose di Guillaume appare, già dalla primissime attestazioni, l’abitudine dei copisti di collazionare più esemplari del testo, se non di rifarsi a veri e propri collettori di varianti che determinano così un costante travaso di lezioni da una famiglia testuale all’altra al punto che, come osserva l’editore, la costituzione di uno stemma risulta impossibile. In una simile condizione anche l’individuazione di un archetipo risulta estremamente complessa: eppure Langlois non prende mai in considerazione l’ipotesi dell’esistenza di un archetipo in movimento, ossia di molteplici redazioni del testo che pure, come sottolineato da diverse parti, appare compatibile con lo statuto di un’opera composta da due diversi autori e soggetta a importanti rimaneggiamenti – penso al caso di Gui de Mori – già nelle prime fasi della sua circolazione.

In questa sezione propongo di ritornare sull’edizione di Langlois per verificare, a quasi cent’anni dalla pubblicazione, la tenuta delle sue acquisizioni. Come campione di indagine scelgo la Rose di Guillaume de Lorris che presenta la situazione testuale più complessa, analizzata nella lezione dei 7 testimoni principali di Langlois:

Be = Torino L III 22 Ca = Dijon 526, Da = fr.12786 Da = fr.12786 De = Rawlinson A 446 386V ARVARO 1970.

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Ha = fr.1573 Ri = Ricc. 2755 Za = fr.25523

più i seguenti 7 testimoni, tutti collazionati direttamente sugli originali

Ambr = Milano I 78 sup. Bodm = Bodmer 79 Chev = Dartmouth 3206, La = fr.1559, Urb = Urb. 376 θα = fr.378 φα = Chantilly 479

Ambr, Bodm e Chev sono annoverabili tra gli antiquiores e sono ignoti a Langlois; La è il più antico

rappresentante della famiglia L; Urb e φα – il più antico rappresentante della famiglia φ – sono duecenteschi; θα è primo-trecentesco e già presente fra i manoscritti di controllo dell’edizione Strubel.

Un canone che comprende dunque tutti i più antichi testimoni della Rose di Guillaume sulla cui base si cercheranno di chiarire i nodi più significativi della prima vita del testo fino a giungere ad una proposta di stemma codicum, da intendersi come strumento indispensabile per lo studio della tradizione dell’opera e per la corretta valutazione del peso di ciascun testimone387, e di una nuova edizione critica del testo, di cui si fornisce un breve saggio all’APPENDICE 9.

SULL’ESISTENZA DI UN ARCHETIPO

Il passo in cui Langlois discute della possibile esistenza di un antenato comune a tutta la tradizione della Rose di Guillaume de Lorris merita di essere riportato per intero e analizzato nel dettaglio:

Répartir les mss. en deux familles, c’est bien théoriquement dire qu’ils remontent à deux archétypes ϐ, η, autres que l’original ; constater des variantes communes à ces deux groupes, c’est, théoriquement toujours, reconnaître que ϐ, η dérivent d’un même ancêtre α qui avait déjà des fautes, et qui, par conséquent, n’était pas l’original. Mais ces déductions ne seraient rigoureusement exactes que si chaque ms., chaque groupe, représentait la version de son ancêtre

387 B

ELTRAMI 2010, 82: «[…] senza un’idea definita dei rapporti dei manoscritti fra loro ogni ipotesi sui modi in cui il testo è cambiato lungo il corso della tradizione, e quindi anche sul testo critico, rimane aleatoria. Inoltre (che è quasi lo stesso in altre parole) l’ipotesi raggiunta sulla struttura della tradizione (che se ne dia o meno un’immagine grafica con uno stemma) rappresenta in sintesi quello che si è compreso della storia della tradizione, cioè di un aspetto fondamentale per la comprensione del testo dato dai manoscritti». Su questo tema si veda anche: AVALLE 1994.

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pure de tout emprunt à une autre version. Et l’on a vu que tel n’est pas le cas pour les copies du Roman de la Rose, qui amalgament des leçons de familles différentes […] Si I [gruppo I, vedi oltre] a pour ancêtre θ, descendant de α il peut néanmoins avoir aussi et a très probablement d’autres ancêtres γ, δ qui ne dérivent pas du même α ; autrement dit, chacun des représentants de I peut, tout en reproduisant des variantes de θ, ne pas s’être approprié toutes ses fautes, parce que, n’étant pas homogène, il a substitué à des leçons de θ les leçons correspondantes de γ ou de δ […] Ainsi s’expliquerait bien le fait qu’aux vv.1547-70 la leçon originale est fournie uniquement par Za […]388

Nel passo si registra una certa ambiguità a partire dall’impiego del termine generico «ancêtre», ‘antenato’, per designare, di volta in volta, sia l’archetipo α sia i sub-archetipi ϐ ed η, effettivamente dimostrati dall’editore, e γ e δ, la cui esistenza è puramente congetturale. In effetti, da quanto si legge, Langlois non sembra essere giunto ad una sicura dimostrazione di α: come esemplifica il caso di Za ai vv.1547-70, ma come vale, vedremo, anche per le altre prove d’archetipo proposte dall’editore, in nessun caso la tradizione presenta un errore congiuntivo comune a tutti i testimoni. Costretto a prendere atto di questo dato, Langlois ipotizza dunque l’esistenza di altri antenati (ad esempio γ, δ), così li chiama, non riconducibili ad α, in cui si conserverebbero le lezioni originali trasmesse da alcuni testimoni contro il resto dei manoscritti, il che, in effetti, equivale a smentire la possibilità dell’esistenza di un archetipo che, per definizione, è «il codice a cui risalgono tutti i manoscritti contenti un’opera, che si interpone fra tali manoscritti e l’originale»389.

Meglio a questo punto sottoporre ad un nuovo esame le prove su cui si fonderebbe, secondo l’editore, l’esistenza dell’archetipo. I passi in questione sono 3390.

1) v.592

Qui de la terre a(s) sarradins] Be (sarrazins), Ca (sarrasins), Za (Langlois, Poirion); Qui de la terre alixandrins] Bodm, Da, Ha, La, Ri, Urb, θα, φα (Lecoy, Strubel) ; Qui de la terre alixandrin] Ambr, Chev

Ai vv.591-93 Oiseuse spiega al protagonista la provenienza degli alberi del giardino di Deduit. L’edizione Langlois legge: «Ce est cil cui est cist jardins / Qui de la terre as Sarradins / Fist ça les arbres aporter». L’editore considera errata la lezione «terre alixandrins», attestata dalla maggioranza dei codici ed in entrambi i rami della tradizione, verosimilmente perché non riconosce in «alixandrins» un sostantivo – genitivo assoluto riferito a «terre»391 –, bensì un aggettivo che dunque andrebbe concordato al femminile con «terre», terre alixandrine, compromettendo però la rima con

388

LANGLOIS 1910 : 337-338. I corsivi sono miei.

389 A

VALLE 19782: 87. Cfr. anche MAAS 1927.

390 L

ANGLOIS 1910: 331-337.

391 S

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il v.591, «Ce est cil cui est cist jardins». In realtà la forma «alixandrins» come aggettivo sostantivato col valore di ‘saraceni originari di Alessandria d’Egitto’ non è del tutto inusitata, dato che la ritroviamo nella Chanson des Saisnes (1180-1202 ca.) di Jean Bodel e per di più in rima (vv.4933-34, ed. Brasseur)392:

Du regne de Marec vindrent li Barbarin Et li Amoravie et li Alixandrin.

Non riconoscendo questo sostantivo Langlois si sforza quindi di conciliare l’ipotesi della prova d’archetipo con il dato della presenza della lezione che reputa originale nei manoscritti Be, Ca, Za e ancora in Ji = Roma, Biblioteca Casanatense, 1598 e in Ra = Arras, Bibliothèque municipale, 897. Scartata l’ipotesi della contaminazione di Da e Ha – che per Langlois appartengono al cosiddetto Gruppo I assieme a Be, Ca e Za – con codici dell’altro ramo (Gruppo II) perché l’«hypothèse n’est pas appuyée par d’autres emprunts»393, l’editore considera altre due ipotesi: o Be, Ca e Za hanno un antenato in comune in cui la lezione originale è stata restaurata per via congetturale oppure esistono

entre le ms. original et l’ensemble des mss. de I au moins deux intermédiaires, dont l’un aurait gardé la leçon primitive as Sarradins, et dont l’autre l’aurait remplacée par Alixandrins : du premier descendraient Be, C, Za ; de l’autre Da, Ha et le prototype de II [secondo ramo della tradizione a cui appartengono Ambr, Bodm, Chev, La, Ri, Urb, θα e φα] 394

Langlois considera quest’ultima soluzione come «la plus logique» eppure essa non si concilia con l’ipotesi dell’esistenza di un archetipo, che qui si intende dimostrare, dato che l’editore suppone che l’antenato di Be, Ca e Za abbia mantenuto la lezione dell’originale.

Solo nel secondo caso – lezione «terre as sarradins» restaurata per via congetturale – la prova d’archetipo potrebbe reggere, ma a monte occorrerebbe dimostrare l’erroneità della lezione di partenza, «terre alixandrins». In realtà, come già osservato, la lezione appare corretta sia dal punto di vista sintattico e metrico sia sul piano del senso, dove anzi la lezione «terre alixandrins», in quanto difficilior, andrà senz’altro preferita alla lezione «terre as sarradins».

392M

OISAN:I.1,133;BRASSEUR 1989:I,451;II,829.

393 L

ANGLOIS 1910 : 332.

394 Così L

ANGLOIS 1910, 332: «la leçon as Sarradins serait venue directement ou indirectement du ms. original». Secondo l’editore la lezione di Be, C e Za, poi passata, per contaminazione, a Ji e Ra, discenderebbe dall’originale per mezzo di un codex interpositus collocato fra l’originale e l’antenato comune ai restanti testimoni: «La troisième [ipotesi] suppose entre le ms. originale t l’ensemble des mss. de I au moins deux intermédiaires, dont l’un aurait gardé la leçon primitive as Sarradins, et dont l’autre l’aurait remplacée par Alixandrins : du premier descendraient Be, C, Za ; de l’autre Da, Ha et le prototype de II. […] cette dernière hypothèse est celle qui me parait ètre la plus logique» (Ivi). Tuttavia, così facendo, Langlois non dimostra l’esistenza di un archetipo, ma, semmai, l’esistenza di un subarchetipo comune a Da, Ha e ϐ, in aperta contraddizione con la sua precedente ripartizione dei testimoni nei due subarchetipi η (in cui colloca Da e Ha) e ϐ. Su questo punto si veda: SQUARCINA 1996: 132-137.

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Entrambe le lezioni – ‘alberi della terra dei saraceni’ e ‘alberi della terra degli alessandrini’ cioè provenienti dall’Egitto – sono ugualmente adatte a veicolare quell’aura di raffinato esotismo che qui Guillaume vuole associare al giardino di Deduit. Alessandria infatti non è solo la patria di quei tessuti pregiati ricordati in numerosi testi francesi395 – «porpre alissandrine» (Lai de Lanval), «soie alixandrine» (Anséïs de Carthage) –, ma è ugualmente rinomata per la bellezza dei suoi giradini, più volte ricordata dai viaggiatori dell’epoca, come ricorda Henri Bresc396.

In definitiva la mia opinione è che laddove Langlois individua una prova d’archetipo occorre piuttosto riconoscere un errore, probabilmente di natura poligenetica, di Be, Ca e Za che non riconoscendo la lezione originale la banalizzano.

2) vv.1546-70

Lors perent colors plus de cent Es cristaus qui por le soleil Devienent jaune, inde, vermeil. Si sont li cristal merveilleus

Et tel force ont que toz li leus 1550 Arbre et flors et quanque aorne

Le vergier, i pert tot a orne. Et por faire la chose entendre Un essample vos vueil apprendre :

Aussi con li miroers montre 1555 Les choses qui sont a l’encontre,

Et i voit l’en senz coverture Et lor color et lor figure, Trestot aussi vos di de voir

Que li cristal senz decevoir 1560 Tot l’estre dou vergier encusent

A ceus qui dedenz l’eve musent, Car toz jorz, quelque part qu’il soient, L’une moitié dou vergier voient,

Et s’il se tornent, maintenant 1565

395 G

ODEFROY: 225; BURNS 2002: 187 e seguenti.

396

BRESC 1984, 452: «La nature offre enfin à cette ville délicieuse et habitée par ce peuple généreux et bienfaisant un cadre de beauté et d'abond ance : ce sont les jardins «ad instar silvarum et frondosi nemoris, grata amoenitate et plena fertilitate, arboribus consita fructiferis et herbis referta salutaribus» dé cris par Guillaume de Tyr et admirés par Burchard, par Simon Fitzsimon, qui y note palmiers, cassa fistula et pommes de Paradis, et remarque que la terre d'Egypte est en toute saison fleurie de roses et toujours abondante de fruits frais; ce sera, pour les voyageurs du XIVe et du XVe siècle, Ludolph, Frescobaldi, Fabri encore, un thème ressassé que la beauté des jardins et la technique raffinée des jardiniers d'Alexandrie».

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Pueent veoir le remenant. Si n’i a si petite chose Tant soit reposte ne enclose Don demontrance n’i soit faite

Con s’ele iert es cristaus portraite. 1570

1547-48 Es cristaus qui por le soleil / Devienent jaune inde vermeil] (Langlois) 1547-48 Au cristal qui contre soleill / devienent jaunes et vermeill] Chev 1547-48 Es cristaus car por le solel / Deviennent jaunes et vermel] Za (Poirion)

1547-48 Ou cristal qui par le soleil / devient jaune inde vermeil] Ha, Ri (Lecoy, Strubel) 1547-48 Ou cristal que pour le solal / devient inde iaune vermel] φα

1547-48 El cristal qui contre soleilg / devient gausnes inde vermeilg] Ca 1547-48 Dou cristal qui contre soleil / devient jaune et inde et vermeil] Be 1547-48 Ou cristal contre le soleil / devient jaune inde vermeil] Da 1547-48 Li cristaus contre le soleil / devient jaune inde vermeil] La

1547-48 Li cristaus (cristal Bodm) contre le soleil / devient yndes jaunes et vermeil] Bodm, Urb, θα

1549-50 Si sont li (cil Za) cristal merveilleus / Et tel force ont que toz li leus] Za, θα, φα (Langlois, Poirion) 1549-50 Si sont li cristal merveilleus / Tele force que tout li leus] Urb

1549-50 Si ont cil cristal merveilleuz (vermeilleuz) / Tele force qui touz li lieuz] Chev 1549-50 Si a cil cristaus merveilleus / Itel force que toz li leus] Be

1549-50 Si ot le cristal merveilleus / Itel force que touz li leus] Da (Strubel)

1549-50 Si ot li cristaus (cristal Bodm) merveilleus / Itel force que toz li leus] Bodm, La 1549-50 Si est cil cristaus merveilleus / Une tel force a que li leus] Ha (Lecoy)

1549-50 Si est li cristaus merveilleus / Et tel force que toz li leus] Ca 1549-50 Si est cil cristaus merveilleus / Et tel force a que toz li leus] Ri

1560-61 Que li cristal (cristaus Urb, φα) senz decevoir / Tot l’estre dou vergier encusent (accusent Bomd, La, Za, φα)] Bodm, La, Urb, Za, θα, φα (Langlois, Poirion)

1560-61 Que li cristal senz decevoir / L’estre dou vergier tot encusent] Ri 1560-61 Que li cristal senz decevoir / L’estre dou vergier encusoit] Be

1560-61 Que li cristaus (le cristal Chev) senz decevoir / Tot l’estre dou vergier encuse (accuse Ca)] Ca, Chev, Da, Ha (Lecoy, Strubel)

1570 Con s’ele iert es cristaus portraite] Be (Langlois) 1570 Com s’el ert es cristaus portraite] Za (Poirion)

1570 Con s’ele iert ou (el θα) cristal portraite] Bodm, Da, Ha, La, Ri, Urb, θα (Lecoy, Strubel) 1570 Con se (s’el Chev) fust ou cristal portraite] Ca, Chev

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Il passo riguarda i due cristalli che il protagonista vede sul fondo della fontana di Narciso. Al v.1538 tutti i testimoni menzionano «deuz pierres de cristal» così come al v.1605 leggono «Et as cristaus qui me mostroient» (tranne Ri, Za: «Et les escris qui me mostroient», errore congiuntivo), ma ai vv.1547-70, fa notare Langlois, solo Za impiega sistematicamente «cristaus» al plurale. I manoscritti Ca, Da e Ha hanno sempre il singolare cristal, mentre i restanti alternano, in vari modi, il singolare che il plurale: in Be tutto il passo è al singolare, tranne il v.1570, «Con s’ele iert es cristaus portraite»; similmente in Ri ‘i cristalli’, al plurale, figurano solo al v.1560, «Que li cristal senz decevoir».

Il comportamento degli altri codici è più irregolare. Ai vv.1547-48 solo Chev e Za si riferiscono ai cristalli al plurale, ma le due lezioni a loro volta divergono nella scelta della preposizione al v.1547: «qui contre soleil» (Chev);«qui por le soleil» (Za). Su questa base si possono distinguere anche le lezioni degli altri testimoni, con cristal al singolare: da una parte Ha, Ri e φα con «par/pour le soleil», dall’altra Be, Bodm, Ca, Da, Urb, θα con «contre soleil». Si noti poi che Bodm, Urb, θα e φα sono gli unici a invertire l’ordine dei colori che appaiono nei cristalli, ‘indaco, giallo, vermiglio’ per ‘giallo, indaco vermiglio’. Ai vv.1549-50 si può distinguere da un lato la lezione di Ca, Ha e Ri, con «li cristaus» (nominativo singolare) e il verbo estre al v.1549, dall’altro la lezione degli altri testimoni, con il verbo avoir al v.1549, a loro volta suddivisibili i due gruppi a seconda che impieghino il singolare di cristal (Be, Bodm, Da, La) o il plurale (Chev, Urb, Za, θα, φα). Ai vv.1560-61 la scelta di adottare il singolare o il plurale di cristal comporta una modificazione della rima dei vv.1561-62: la maggioranza dei codici (Bodm, La, Ri, Urb, Za, θα, φα) opta per il plurale, «[li cristal] Tot l’estre dou vergier encusent» (v.1562), e di conseguenza volgono al plurale anche i versi successivi:

A ceus qui dedenz l’eve musent, Car toz jorz, quelque part qu’il soient, L’une moitié dou vergier voient,

Et s’il se tornent, maintenant 1565 Pueent veoir le remenant.

Si noti in particolare il caso di Urb che ai vv.1559-66 mette a testo la seguente lezione, in cui si nota un brusco passaggio dal plurale al singolare all’altezza del v.1564 (errata è anche la s desinenziale di cristal, nominativo plurale):

Trestout ausins vos di ie voir

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Tout l’estre dou vergier encusent A ceuls qui dedenz l’eve musent, Car quelque part que li homs soit L’une moitié dou vergier voit,

Et s’il se tourne maintenant 1565 Si puet veoir le remanant.

Ca, Chev e Ha leggo invece tutto il passo al singolare (riporto la lezione di Ha):

Tot autresi vos di por voir

Que li cristaus sanz decevoir 1560 Tot l’estre dou vergier encuse

A celui qui en l’eve muse,

Car torjors, quel que part qu’il soit L’une moitié dou vergier voit,

Et s’il se torne maintenant 1565 Porra veoir le remanant.

In Da il v.1562 presenta un soggetto plurale, «ceaus qui», coordinato ad un verbo alla terza persona singolare, «muse»:

Trestout ausi vos di de voir

Que li cristaus sanz decevoir 1560 Tout l’estre dou vergier encuse

A ceaus qui dedanz l’eaue muse, Car touz jorz quel que part qu’il soient L’une moitié dou vergier voient,

Et s’il se torne[n]t maintenant 1565 Puent veoir le remenant.

La lezione è inaccettabile (pure Strubel mette a testo la seguente lezione: «[li cristaus] tout l’estre dou vergier encuse / a ceaus qui dedanz l’eaue musent») anche perché nella scripta del codice non sono attestati casi di riduzione della desinenza –ent (terza persona plurale del presente indicativo) ad –e, come accade, ad esempio, nei dialetti dell’est397. Be a sua volta passa dal singolare dei vv.1561-64 («[li cristal] encusoit […] a cel qui en l’eve musoit […] quel part que il soit […] voit»: si noti l’assenza della s in cristal soggetto singolare) al plurale dei vv.1565-66, «se tornent […]

397B

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pueent». Al v.1570, infine, la lezione «es cristaus» di Be e Za, messa a testo da Langlois, si contrappone a quella di tutti gli altri codici.

In un passo così complesso, dal punto di vista dell’intreccio delle varianti, la restitutio textus non può prescindere dalla valutazione del peso specifico di ciascun testimone all’interno della tradizione ovvero dalla costituzione di uno stemma codicum. Nel caso del mio stemma (cfr. p.***) la lezione originale risulta essere quella di Ca, Da e Ha in cui cristal è sempre al singolare: rispetto al v.1538, «[Ou fonz de la fontaine] Avoit deus pierres de cristal», l’attenzione dell’autore si sposta dunque sulla materia di cui sono composte le pietre che il protagonista vede sul fondo della fontana di Narciso, «deus pierres de cristal», e non sul loro numero, «deus pierres de cristal». Concorda con questa ipotesi Lecoy che parla di «singulier d’un nom de matière»398 e non ritiene di dover correggere la lezione del suo manoscritto di base (Ha). Al contrario la lezione di Za (cristal sempre al plurale), preferita da Langlois, occupa i piani bassi dello stemma e sembra adottata per rimediare alle incongruenze introdotte nel passo all’altezza di Be e Da e quindi di Urb.

Aggiungo che la lezione con cristal al singolare sembra preferibile in rapporto al v.1571, «C’est li miroers perilleus», ‘Questo è lo specchio periglioso’ (singolare), riferito chiaramente al ‘cristallo’ (singolare) del verso precedente: ‘non c’è dettaglio, per quanto sia riposto e racchiuso, che non si mostri nel cristallo, come fosse dipinto’ (vv.1567-70). La lezione messa a testo da Langlois risulta invece più ambigua nel momento in cui la duplicità delle superfici riflettenti presenti nella fontana, i due ‘cristalli’, viene ridotta alla singolarità dello ‘specchio’: ‘Vi dico per vero che i cristalli rivelano senza errore tutta l’essenza del giardino a coloro che si attardano a guardare nell’acqua: in ogni istante, ovunque si trovino, vedono una metà del giardino e se cambiano lato possono vedere il resto e così non c’è dettaglio, per quanto sia riposto e racchiuso, che non si mostri nei cristalli, come fosse dipinto. Questo è lo specchio periglioso’ (vv.1559-71). Il lettore potrebbe così pensare che il termine «miroers» (v.1571) si riferisca non solamente ai due cristalli, ma anche allo specchio d’acqua, «eve», evocato al v.1563: in questo senso appare legittima la perplessità di Frappier quando osserva che il riferimento ai cristalli sembra «doubler sans utilité le rôle joué par le miroir de l’eau»399. In realtà la principale innovazione di Guillaume rispetto al modello ovidiano (Metamorfosi, III, 346-70) sta proprio nell’aver collocato l’esperienza dell’innamorato alla fonte ad un livello più profondo rispetto all’esperienza di Narciso. Come giustamente osserva Picone, per Narciso