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La posizione dei testimoni antiquiores nelle edizioni moderne del testo

FRA XIII E XIV SECOLO

DAI CODICI AL TESTO

III.1 La posizione dei testimoni antiquiores nelle edizioni moderne del testo

di Langlois – III.2 Analisi della tradizione – Sull’esistenza di un archetipo – Esame dei principali errori guida – Ipotesi di stemma – Studio delle varianti – III.3 Le partizioni del testo – Saggio di esame delle partizioni del testo – III.4 La lingua degli autori – Un nuovo esame – Vocali toniche – Consonanti – Morfologia: flessione verbale – Morfologia: flessione nominale

III.1 La posizione dei testimoni antiquiores nelle edizioni moderne del testo

L’EDIZIONE LANGLOIS

L’edizione critica del Roman de la Rose è un’impresa che occupa per intero l’arco della carriera accademica di Ernest Langlois. Già nell’introduzione alla sua tesi di dottorato, Origines et sources

du Roman de la Rose – pubblicata nel 1891 – Langlois avvisava di avere in cantiere una nuova

edizione del poema349: un’«oeuvre immense» da condursi nel rispetto delle «exigences de la science actuelle» in riferimento a quel moderno metodo filologico propugnato dal suo maestro Gaston Paris350, con cui l’allievo si era già cimentato curando, per la sua tesi di laurea, l’edizione critica del

Couronnement de Louis (1888)351. L’influenza del maestro, d’altra parte, doveva essere stata decisiva nella scelta di Langlois di occuparsi di un’opera come la Rose, in generale poco apprezzata dai contemporanei – basti citare il giudizio poco lusinghiero espresso dal conte François Delaborde, presidente dell’Académie des inscriptions et belles-lettres di Parigi, proprio nel suo elogio funebre del filologo: «Il [Langlois] eut le courage de s’attaquer à l’une des oeuvres les moins séduisantes de tout le moyen âge»352 –, ma che Paris, in quegli stessi anni, riportava all’attenzione dei lettori con un importante contributo di carattere divulgativo, La Littérature française au Moyen Âge (XIe-XIVe

siècles) del 1888 – di grande successo e più volte ristampata fino al 1914 (5a edizione con prefazione di Paul Meyer) – che consacra un intero capitoletto alla Rose e in cui si auspica, a chiare lettere, una nuova edizione del poema:

On a donné du Roman de la Rose, au commencement du XIXè siècle, une édition à peu près lisible, et faite sur de bons manuscrits [ed. Meon], qui a été reproduite deux fois depuis ; mais on attend encore une édition critique, qui 349 LANGLOIS 1891 : V. 350L EONARDI 2009. 351 L ANGLOIS 1888. 352 D ELABORDE 1924.

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demandera un très grand travail, vu l’abondance extrême des manuscrits, qui présentent, il est vrai, un texte généralement pareil, mais où les petites variantes foisonnèrent de bonne heure, comme il est arrivé d’ordinaire pour les ouvrages très lus353.

Merita di essere ricordata anche la Chrestomathie du Moyen Âge del 1897354, realizzata ad uso delle scuole secondarie da Paris e Langlois assieme, in cui, di fatto, Langlois ha modo di pubblicare un primissimo saggio di edizione della Rose. I passi scelti del roman – il ritratto di Vieillesse (vv.339-406) e parte del discorso di Faux Semblant (vv.***) –, infatti, non vengono presentati sulla base di precedenti edizioni del testo, giudicate insoddisfacenti – «Il n’existe pas une bonne édition du poème» –, ma sono proposti in una nuova edizione rifatta sui manoscritti, «dans un texte établi sur les manuscrits», senza però specificarne la segnatura.

Il confronto con l’edizione del 1914-24 evidenzia alcune, minime, discrepanze, soprattutto nella resa delle grafie – ad esempio: al v.383 «envieillist» nel testo del 1897 e «envieilli» nel testo del 1914-24; al v.388 «De genz vieillir» per «Des genz vieillir»; al v.403 «Bien fu vestue et chaudement» per «Bien fu vestue chaudement» e così via –, ma nel complesso i due testi coincidono, anche laddove Langlois interviene ope ingenii, come nel caso del v.357, in cui la lezione «Qu’ele n’en avoit mais nes une» (testimoni Be, Ca), messa a testo sia nel 1897 che nel 1914-24, viene preferita alle varianti adiafore di testimoni autorevoli («Quar ele n’en avoit pas une» famiglia H; «Qu’ele n’en avoit mes que une» testimone Da).

Nel 1914, finalmente, dopo il lavoro preparatorio di recensio e di discussione della tradizione affidato al volume Les manuscrits du Roman de la Rose (1910)355, vede le stampe il primo dei cinque volumi dell’edizione critica del Roman de la Rose curata da Langlois356 contenente una breve presentazione dell’opera e dei criteri di edizione e lo studio della lingua del romanzo, dopo che la Société des anciens textes français (SATF) – ascoltata la relazione di una commissione composta da Paul Meyer, Antoine Thomas e Joseph Bédier – ne aveva approvato, nel 1912, la pubblicazione. Lo scoppio della prima guerra mondiale ritarderà tuttavia la distribuzione del volume fino al 1917 e imporrà un lungo intervallo al resto dell’impresa che potrà riprendere solo nel 1920, data di pubblicazione del secondo volume, e sarà completata solo nel 1924, con l’uscita postuma del quinto e ultimo volume, per le cure della moglie di Ernest, Georgette, in collaborazione con Antoine Thomas357.

353 P

ARIS 1888. Sulla Rose si veda anche la lezione inaugurale tenuta al Collège de France il 7 dicembre 1875 poi stampata in : PARIS 1885. 354 PARIS –LANGLOIS 1897. 355L ANGLOIS 1910. 356L ANGLOIS 1914-24. 357L ANGLOIS 1914-24:V,147.

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L’edizione critica di Langlois, tutt’ora l’unica disponibile, costituirà la moderna vulgata del

Roman de la Rose almeno per un quarantennio – fino all’edizione Lecoy (1965-70) – fornendo il

testo base alle principali traduzioni dell’opera fino agli anni sessanta, a partire da quella in francese moderno, in prosa, di André Mary, pubblicata nel 1928358, che andava a sostituirsi alla vecchia «traduction libre en vers» di Étienne Huard – in realtà una riscrittura del poema in versi alessandrini piuttosto che una traduzione vera e propria – del 1835359 ed a quella in versi, ma più letterale, fornita nel 1878-80 da Pierre Marteau sulla base dell’edizione Méon360. Per le altre lingue si ricorderanno, almeno, la traduzione inglese in versi di Harry W. Robbins del 1962361, quella in prosa di Salvatore Battaglia del 1947362, prima e a lungo unica traduzione in lingua italiana – fino alla traduzione libera in versi di Gina d’Angelo Matassa del 1984363, basata sul testo di Lecoy –, quella tedesca in prosa di Gustav Ineichen del 1956364, limitata, come quella di Battaglia, alla sola prima parte del romanzo, e quella più recente in spagnolo di Carlos Alavr, del 1995.

IL CANONE DI LAVORO DI LANGLOIS

Dovendo affrontare l’edizione di un’opera trasmessa da un numero elevatissimo di codici, Langlois decide, in fase di recensio, di non considerare i testimoni più tardi – quelli del XV e del XVI secolo – riducendo così il suo canone di lavoro dai 220 manoscritti descritti nella prima parte di Les manuscrits du Roman de la Rose ai 116 che egli provvede, nello stesso volume, a classificare in famiglie testuali. L’editore giustifica così il suo intervento:

[…] l’oeuvre ayant eu une très grande vogue, les copies en ont été rapidement multipliées et se sont interposées en nombre considérable entre le ms. primitif et les copies ultérieures. L’amateur qui, à la fin du moyen âge, voulait faire transcrire le Roman de la Rose, avait à sa disposition trop de mss. récents […] pour qu’on puisse espérer découvrir dans les mss. de la dernière époque de bonnes leçons qui ne seraient pas déjà fournies et suffisamment assurées par des copies antérieures. Ces considérations m’autorisaient donc à ne tenir aucun compte des mss. les plus modernes du Roman de la Rose […] Les mss. ainsi éliminés sont tous ceux du XVe siècle et quelques-uns de la fin du XIVe. […] J’ai dû laisser aussi de coté quelques copies fragmentaires, trop détériorées pour être utilisables365.

La scelta di Langlois appare condivisibile sul piano pratico: l’eliminazione dei recentiores rende più governabile la tradizione dell’opera e allo stesso tempo non sembra impedire la costituzione di un testo affidabile. In questo senso le esigenze della constitutio textus – così come vale per altre edizioni di testi trasmesse in un numero ingovernabile di manoscritti, basti pensare all’edizione 358 MARY 1928. 359H UARD 1835. 360M ARTEAU 1878-80. 361R OBBINS 1962. 362 BATTAGLIA 1947. 363D’A NGELO MATASSA 1984. 364 INEICHEN 1956. 365L ANGLOIS 1910:237.

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Petrocchi della Commedia366 – finiscono per prevalere su quelle della storia della tradizione del testo, le cui propaggini seriori rimangono tutt’ora in gran parte inesplorate, fatta eccezione per i sondaggi di Contini, che tentava di recuperare la lezione della Rose conosciuta dall’autore del

Fiore, e per quelli, più recenti, sui manoscritti della cerchia di Christine de Pizan.

Nell’edizione del 1914-24 il numero dei testimoni presenti in apparato risulta ulteriormente ridotto. Per la Rose di Guillaume, come vedremo, si tratta di una decina di codici. Per la Rose di Jean de Meun si tratta di soli 9 codici tutti databili entro la prima metà del XIV secolo tra cui i tardo-duecenteschi fr.1573 (Ab) e Chantilly 480 (Ac) e i primo-trecenteschi Torino L III 22 (Be) e Dijon 526 (Ca)367. Per la famiglia L, la più numerosa oltre che una delle più antiche, Langlois si accontenta di indicare le lezioni riconducibili al capostipite. Il testo di base è offerto dai due testimoni antiquiores Ab e Ac, in particolare Ab, ritenuti anche i più affidabili e i più vicini all’originale: «Le concours de Ab et de Ac permet de reconstituer leur prototype A, très proche de l’original»368.

Più complesso è il canone di lavoro adottato per la Rose di Guillaume de Lorris. Langlois considera le varianti di 14 codici a cui aggiunge, come per la Rose di Jean, le varianti riconducibili al capostipite di L. In questo caso l’editore non indica né un manoscritto di base né una famiglia di riferimento, anche se le grafie appaiono modellate per lo più sul testo del fr.1573 (Ha) da considerarsi dunque come manuscrit de surface dell’edizione. L’analisi dell’apparato permette comunque di individuare 7 testimoni determinanti sul piano della restitutio textus: tutti appartengono al cosiddetto Gruppo I (vedi oltre) e sono databili tra la fine del Duecento – fr.1573 (Ha) e il frammento Oxford, Bodleian Library, Rawlinson A 446 (De) – e l’inizio del Trecento – Dijon 526 (Ca), fr.12786 (Da), Ricc. 2755 (Ri) e Torino L III 22 (Be). Solo il manoscritto Paris, BnF, fr.25523 (Za) appare leggermente più tardo potendosi collocare alla fine del primo quarto del secolo369. Langlois si discosta da questo canone in 7 casi che esamino di seguito:

1) v.582

366 Cfr. P

ETROCCHI 1955, 342: «È logico che al nuovo editore della Divina Commedia, quando verrà e qualunque il suo metodo, si presenterà anzitutto questa esigenza di conciliare l’‘impossibile’ della trasmissione manoscritta col ‘possibile’ di un criterio generale, che permetta di non considerare i frammenti di un immaginario gigantesco apparato come monadi vaganti nello spazio dei versi danteschi».

367 I restanti cinque codici sono: Ba = Paris, BnF, fr.1571; Bâ = Paris, BnF, fr.1576; Ce = Amiens, Bibliothèque

municipale, 437; Eb = Paris, BnF, Rotschild 2800; He = København, Kongelike Biblioteket, GKS 2061-4°. Solo occasionalmente vengono indicate le lezioni di Tou = Tournai, Bibliothèque de la Ville, 101.

368 L

ANGLOIS 1914-24: I, 52.

369 L

101

Je me faz ce dist ele Oiseuse] Jo, Ra (Langlois); Je me faz fet ele Oiseuse] Bâ, Ha (Lecoy); Je me faz dist ele Oiseuse] Da, Za (Poirion, Strubel) ; J. m. f. bien dist (fait Ce) e. o.] C; J. m. f. fait la bele o.] Be; J. m. f. apeler o.] L,

Ri370

Langlois scarta la lezione di Da, Ha e Za per ragioni di usus scribendi: egli reputa infatti estraneo allo stile di Guillaume de Lorris l’impiego della dialefe, qui presente tra «ele» e «Oiseuse», poi accettata invece dagli altri editori (Lecoy e Strubel). Si noterà tuttavia che Langlois stesso ne mette a testo alcuni esempi, come al v.738, «Ferir dou pié et envoisier». La scelta di Langlois cade quindi sulla lezione dei manoscritti Jo = Paris, BnF, fr.1569 e Ra = Arras, Bibliothèque municipale, 897 giudicata genericamente «plus heureuse»371 rispetto alle lezioni, singulares, di Be e di C, pure accettabili dal punto di vista metrico e del significato. La lezione di L e Ri viene invece scartata perché, per evitare la ripetizione del verbo apeler, implica una modificazione del v.583 sulla cui lezione concordano tutti i codici tranne appunto L e Ri: «Je me faz apeler Oiseuse / Dist ele a mes conoissanz» per «Je me faz ce dist ele Oiseuse / Apeler a mes conoissanz».

2) v.667

Qu’onc mais si douce melodie] Ba (Langlois); Que mes si douce melodie] Ha, Za (Lecoy, Poirion, Strubel); Onc mes s. bele m.] Ri ; Com mes s. d. m.] Bâ; Comment s. d. m.] Da; Ains m. s. d. m.] He; Qu’ain mes s. d. m.] Be; Qu’ainz mes s. bele m.] L; C’onques si d. m.] Ca; Onques s. d. m.] Ga

In questo caso, trovandosi di fronte ad una serie di varianti per lo più adiafore, Langlois sceglie di privilegiare la lezione del manoscritto Ba = Paris, BnF, fr.1571 che giudica alla base di tutte le altre varianti: «Qu’onc ne se trouve exactement que dans Ba, mais il se déduit des variantes»372. L’editore agisce dunque come in un caso di diffrazione anche se di fatto non chiarisce per quale via si sarebbe giunti da «Qu’onc mes» a «Que mes», lezione di Ha e Za accolta poi a testo sia da Lecoy sia da Strubel. Di fatto solo nel caso delle lezioni errate «Com mes» di Bâ = fr.1576 e «Comment» di Da è ipotizzabile una filiazione, per via paleografica, da «(C’on) mes».

3) v.1241

Le vis avoit cler et luisant] J, K, N e Urb (Langlois); Gente iert et bele et avenant] Ha (Lecoy); Le vis ot cler et reluisant] Bâ ; Ainz est curee et luissant] Da; Vis ot escuré reluisant] Be ; A vis escuré et luissant] Za (Poirion,

Strubel); Belle et vermeille et reluisant] Ca; Mout ot beau vis cler et luisant] Ri ; Le vis avoit douce et riaunt] Ga ;

omesso] L, Ra.

370 La lezione di Ga non è riportata in apparato. 371 L

ANGLOIS 1914-24: II, 301.

372 L

102

La lezione adottata da Langlois, già presente nel duecentesco Urb = Urb. lat. 376, non si trova in nessuno dei manoscritti del suo canone. La lezione di H viene scartata perché è ipermetra e impoverisce la rima, «avenant» : «plaisant» per «luisant» : «plaisant». La lezione di Ca è singularis e presenta un errore di flessione: dato che qui l’aggettivo «reluisant» si riferisce non al viso di

Courtoisie, ma a Courtoisie stessa – soggetto – occorrerebbe aggiungere la s del cas sujet,

«reluisanz». Lo stesso vale per la lezione di Da in cui, in più, si noti che la lezione «est curee» potrebbe derivare, per via paleografica, da «escure». La lezione di Be e Za viene scartata per motivi stilistici: «Les participes escuré, curee qualifiant […] le visage d’une jeune fille, semblent avoir quelque chose d’incongru, et n’avoir pu tomber de la plume délicate de Guillaume de Lorris»373. In realtà il contesto non esclude a priori che si possa parlare di viso ‘lindo, netto’ per Courtoisie – come si legge nella traduzione di Strubel 374 – considerando il significato principale di

escurer<*excurare, ‘pulire’. Aggiungo che il participio escuré può avere anche il significato traslato

di ‘libero, affrancato’, impiegato nella Rose al v.8442375: «[genz] de toutes cures escurees». Qui forse, come suggerito da Greimas376, «vis escuré» potrebbe avere il significato di ‘viso libero dalle preoccupazioni’, ‘viso sereno’. Il carattere difficilior della lezione spiegherebbe quindi l’origine della diffrazione del passo.

4) v.1258

(vv.1256-57: Car ce fu cele [Oiseuse] qui bonté / me fist si grant qu’ele m’ovri) Le guichet dou vergier flori] Ambr, Bodm, La, Urb, θα, φα (Langlois);

L’uis dou vergier seue merci] Ca, Ha, Ri, Za (Lecoy, Poirion); L’uis dou iardin seue merci] Chev;

L’uis dou guichet seue merci] Be, Da (Strubel).

Anche in questo caso la scelta di Langlois tra varianti adiafore si basa su ragioni di usus

scribendi: l’editore privilegia la rima più ricca, «ovri» : «flori», rispetto a «ovri» : «merci»,

osservando la generale tendenza di Guillaume ad arricchire la rima377. Tuttavia altrove egli afferma che «la rime masculine de Jean de Meun est plus riche que celle de Guillaume de Lorris»378, il che potrebbe far pensare, come propone Poirion379, che la variante risalga proprio a Jean. Di questa possibilità si dirà più avanti.

373 L

ANGLOIS 1910: 263-264.

374 S

TRUBEL 1992: 103.

375 AFW: 1028-29; FEW: III, 283; G

ODEFROY: III, 451; REW: *excurare.

376 GREIMAS: 233. 377 L ANGLOIS 1910: 264. 378 L ANGLOIS 1914-24: I, 58. 379 P OIRION 1992: 67-68.

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5) v.1647

Mais li bouton durent tuit frois] (Langlois); Et li bouton durent tuit frois] Bâ, Be, Ca, Ha, Za (Lecoy, Poirion); Et li boton furent tuit frois] Da (Strubel) ; Mais li bouton sont bels c’est drois] Ga; Et li bouton dure c’est drois] He; Et li boutons durent .iiij. fois] Ce.

Langlois mette a testo una lezione spuria e sostituisce l’«Et» dei suoi testimoni di riferimento con il «Mais» attestato nel solo Ga, non considerando che anche la congiunzione «Et» può avere un valore avversativo, corrispondente a ‘tuttavia, eppure’380, adatto al contesto del passo: «Les roses overtes et lees / Sont en un jor toutes alees / Et li bouton durent tuit frois / A tot le moins deus jorz ou trois» (vv.1646-48), ‘Le rose spampanate / si consumano nell’arco di un giorno / eppure [nonostante si tratti dello stesso fiore] i boccioli restano freschi / almeno due o tre giorni’.

6) v.1877

Il a angoisse en la pointure] parte di L, Ra (Langlois); Il ot angoisse en la pointure] C, H, parte di L (Lecoy, Strubel); Qu’elle a angoisse en la pointure] Be; Que l’angoisse et la pointure] Za (Poirion); Car li oignemenz et l’ointure] Ba,

Bâ ; Car assouagiet m’a l’ointure] Ri; Comment ch’aie fere pointure] Ga ; omesso] Da.

Langlois sceglie la lezione «Il a angoisse» per «Il ot angoisse», attestata sia in C che in H, per ragioni di consecutio rispetto al v.1878, anch’esso al presente (cfr. vv.1875-1878): «J’ai bien senti et coneü / Qu’el m’a aidié et m’a neü: / Il a angoisse en la pointure / si me rassoage l’ointure». D’altra parte l’alternanza tra presente e perfetto anche nel caso di proposizioni strettamente legate è caratteristica tutt’altro che rara nei testi medievali, dove risulta perfettamente accettabile381.

7) v.3216

(v.3215 : J’ai bien esprové que l’en vaint) Par sofrir felon et refraint] Bâ, J, K L (Langlois, Lecoy, Strubel); Par sofrir felon et ataint] Ba, Za (Poirion); Par sofrir felon et envaint] Da; Par sofrir celui que on craint] C, He; Par sofrir cuer de felon maint] Be ; Par sofrir et ce sovent maint] Ha; Felon mesdisant que l’en craint] Ri.

Langlois, seguito da Lecoy e Strubel i cui manoscritti di base – rispettivamente Ha e Da – offrono lezioni inaccettabili, adotta la lezione di Bâ, J, K L con il verbo refraindre<*refrangere per ‘moderare, contenere, reprimere’382: ‘Ho sperimentato di persona che il malvagio lo si sconfigge e lo si addomestica solo con la pazienza’. La lezione di C e He, accettabile sul piano del significato, è scartata probabilmente per la presenza di dialefe tra «que» e «on» (cfr. v.582). Altra lezione accettabile, ma non presa in considerazione da Langlois, è quella di Ba e Za, messa a testo da Poirion, con il verbo ataindre<*attangere, ‘convincere’ 383 . La lezione di Be è scartata, probabilmente, perché singularis così come quella di Ri.

380 BURIDANT 2000: 553. 381 B URIDANT 2000: 383-386. 382 AFW: 565-568. 383 AFW: 617-620.

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In conclusione dunque, a parte le scelte dettate dal puro gusto (casi 2, 5 e 6), emerge la tendenza dell’editore a fondare le proprie scelte su due criteri arbitrari come l’assenza della dialefe (casi 1 e 7) e la preferenza della rima ricca (casi 1 e 3). Nel complesso anche nei casi appena esaminati il canone degli antiquiores + Za si dimostra affidabile e non manca di fornire delle lezioni accettabili, spesso migliori e meno isolate di quelle messe a testo da Langlois. Lo stesso vale per le uniche 2 occorrenze in cui l’editore sceglie di stampare, senza esplicite precisazioni, una lezione non attestata in alcun testimone e restituita ope ingenii (per un terzo esempio si veda, più avanti, l’esame dei vv.2519-20):

1) v.1719

Ainz remest enz encor l’i sens] (Langlois, Poirion) ; Ains remest ens ou cors l’i sans] Za; Einz reme[s]t enz ou cuer l’i sans] Da (Strubel) ; Ainz remest enz ou cuer leanz] Ri ; Ainz remest enz a tout le sanc] Be; Ainçois remest encor dedenz] Ha (Lecoy); Ainz remest enz j’el di issi] Ca; Ainz remest en mon cuer dedenz] La; Ainz remest en mon cuer le sens / le sanc / lausans / lousans / lansans / lançans / lanchans / lassans / lautans / laians / leans] altri testimoni di L

Langlois, seguito da Poirion, ricostruisce il v.1719 a partire dalla lezione attestata nei manoscritti

Da e Za, preferendo però «encor», del solo Ha, a «ou cors» (Za) e a «ou cuer» (Da). Eppure la

lezione di Da – in cui la freccia resta conficcata, correttamente, nel ‘cuore’ dell’innamorato, piuttosto che genericamente nel suo ‘corpo’ come in Za – appare perfettamente accettabile: «Einz reme[s]t enz ou cuer l’i sans» (Da), ‘Anzi rimase dentro al cuore [riferito alla freccia del dio d’amore]: la sento proprio lì’, con impiego pleonastico dell’avverbio di luogo i<ibi384. Singulares appaiono le lezioni di Be – inaccettabile –, Ha e Ca, in cui la rima viene modificata – «issi» : «issi» per «sens(<sentio)» : «sans(<sanguis)» – per motivi linguistici, dato che la scripta del codice, piccarda, non ammette rime del tipo en : an385. Nella famiglia L si nota una diffrazione che potrebbe derivare da una lezione simile a quella di Ri.

2) v.3930

(vv.3928-29 : «Qu’ele ot des biens et de l’angoisse / Qu’amors a ses sergenz depart») En jonece eü bien sa part] (Langlois); En sa jonece eü sa part] Be, Ra ; En sa jonece bien sa part] Za (Lecoy, Poirion); En jonece eü sa part]

Da (Strubel) ; Et menace mout bien sa part] Ri ; En jonece en eut bien sa part] C ; En jonece mout bien sa part] Ba, Bâ, L ; En jonece en ot eu part] Ga ; omesso] Ha.

384 B

URIDANT 2000: 410.

385 G

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Sul modello delle lezioni di Be, Ca, Da e Ra Langlois mantiene il trapassato «[ot] eü», ma sceglie di eliminare l’evidente ripetizione del possessivo «sa», presente in Be, Ra, Za. La lezione di

Da appare, in questo senso, soddisfacente, ma viene scartata, con tutta probabilità, per la presenza

di dialefe tra «jonece» ed «eü» (cfr. v.582). Altrettanto accettabile, anche se il participio «eü» viene eliminato, è la lezioni di Ba, Bâ, L, a cui si ricollega quella di Ri. La lezione di C è singularis e presuppone una differente costruzione del passo: «Et set des biens et de l’angoisse / Qu’amors a ses sergenz de part: / En jonece en eut bien sa part».