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I modelli descrittivi/predittivi di distribuzione spaziale delle specie (Boyce e Mcdonald,1999, Guisan e Zimmermann, 2000), chiamati anche funzione di selezione delle risorse (Manly et

al., 1993), hanno costituito, nel recente passato, un campo d’indagine in forte espansione

poiché costituiscono un valido strumento per facilitare la comprensione delle esigenze vitali delle specie (a livello di nicchia ecologica) e della loro distribuzione potenziale (Hierzel et al., 2006). In generale, questi modelli consentono di analizzare la relazione tra la presenza di una specie target in una data area e le variabili (biotiche ed abiotiche) che definiscono la stessa area (Guisan e Zimmermann, 2000).

In particolare nel recente passato, i modelli di preferenza dell’habitat sono stati largamente utilizzati per quantificare le relazioni habitat-animale (Beyer et al., 2010

). Gli animali generalmente sono spinti da esigenze contrastanti o difficilmente conciliabili, come il bisogno di mangiare, di difendere un territorio, di trovare un partner sessuale e di evitare i predatori. La necessità di bilanciamento tra queste esigenze viene generalmente mediata dall’animale stesso attraverso un continuo adattamento della propria posizione nello spazio (Hebblewhite e Merril, 2009). Attraverso l’analisi delle dinamiche relative all’utilizzo degli habitat, distribuiti eterogeneamente nello spazio, si può iniziare a comprendere le esigenze complesse che influenzano il comportamento e di conseguenza la fitness dell’animale (Rosewnzweig, 1991; Morrisi, 2003;Gaillard et al., 2010). Studi di questo tipo, già di per sé articolati, necessitano di essere ben definiti sulla base di precise scale spaziali. Johnson (1980), a tal proposito, ha introdotto il concetto di ordine di selezione delle risorse, attraverso il quale ha evidenziato la necessità di vincolare l’analisi della selezione delle risorse, da parte di una specie target, a precisi ordini di grandezza strutturati gerarchicamente. L’autore sostiene che un processo è gerarchicamente superiore ad un altro se quest’ultimo ne è condizionato dal di sopra (ad esempio la scelta dell’habitat all’interno dell’home range è di livello superiore rispetto alla scelta degli habitat dell’home range). Con tali presupposti l’autore classifica i processi di selezione secondo 4 ordini di grandezza che possono essere descritti come segue:

1°Ordine di selezione. È il raggio d’azione fisico e geografico di una data specie. 2°Ordine di selezione. Determina l’home range di un individuo o gruppo sociale. 3°Ordine di selezione. Investiga l’utilizzo dei vari habitat all’interno dell’home range. 4°Ordine di selezione. Analizza l’utilizzo dei prodotti alimentari tra quelli disponibili.

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Questo tipo di approccio è poi stato ripreso da numerosi altri autori. È noto, infatti, come molte specie animali siano condizionate nei loro pattern comportamentali in maniera differenziale a seconda della variabile ambientale e della scala a cui vengono investigate, pertanto le relazioni tra il paesaggio e l’utilizzo dello stesso da parte degli animali spesso necessitano di indagini multi-scalari (Johnson, 1980; Anderson et al., 2005; Boyce, 2006). Questo approccio diventa ancora più importante quando si esamina la dinamica di selezione delle risorse in habitat frammentati o in paesaggi antropizzati (Anderson et al., 2005).

Sebbene i primi tentativi di creare dei modelli per studiare la correlazione tra la distribuzione di una specie e il clima sembrano risalire al 1924, è grazie allo sviluppo delle scienze informatiche e statistiche, nonché dal contemporaneo sviluppo teorico dell’ecologia predittiva, che questi modelli sono stati implementati, diventando un importante strumento per gli studi ecologici (Visintin, 2012). L’implementazione dei modelli in ambiente GIS, infine, ha reso possibile un utilizzo degli stessi su ampia scala, di conseguenza negli ultimi tempi è sensibilmente cresciuto anche il numero di pubblicazioni scientifiche sull’argomento e/o su argomenti correlati (Beyer et al., 2010).

In questo contesto il modello logistico rappresenta una delle metodologie più utilizzate per formulare una Funzione di Selezione delle Risorse, cioè un’espressione matematica in grado di sintetizzare il processo di selezione dell’habitat di una specie al fine di prevederne la distribuzione (Boyce & McDonald 1999; Manly et al. 2003; Meriggi et al., 2011).

Tuttavia, nonostante l’immenso potenziale applicativo di questi modelli, anche questa tecnica non è indenne da problematiche e limiti.

In prima luogo, l’applicazione dei modelli può essere fortemente limitata o influenzata dal dato di partenza. I modelli basati su dati empirici, ad esempio, sono di gran lunga i più potenti, tuttavia raccogliere i dati in maniera opportuna può risultare molto dispendioso in termini di tempo denaro e forza lavoro. Generalmente i modelli empirici mettono in relazione la presenza di una specie con una serie di variabili ambientali, predittive o descrittive, che potrebbero descrivere la selezione o la preferenza specie-specifica per alcuni tipi di variabili. In secondo luogo, quando si utilizzano i modelli per descrivere la selezione delle risorse da parte degli animali generalmente si fa un confronto tra: dati di presenza e dati di assenza della specie nell’unità campionaria; dati di presenza e disponibilità di unità campionarie; dati di assenza e disponibilità di unità campionarie (Manly et al., 2002). Tuttavia, mentre la maggior parte dei sistemi di monitoraggio/censimento lasciano pochi dubbi sui dati relativi alla presenza di una specie, l’affidabilità del dato di assenza è influenzata dalle caratteristiche

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biologiche ed ecologiche della specie, dalla capacità di rilevarla, nonché dalla strategia di campionamento selezionata (Mackenzie e Royle, 2005).

Inoltre, come evidenziato da Mackenzie e colleghi (2002), la maggior parte dei modelli descrittivi/predittivi si costruisce a partire dai dati di presenza di una specie, tuttavia non sempre la probabilità di rilevamento di una specie è uguale ad 1. Al contrario, nella maggior parte dei casi la capacità di rilevamento di una specie mediante le normali tecniche di censimento/monitoraggio comporta implicitamente una capacità di rilevamento della specie < 1. Questo problema ha delle grosse implicazioni metodologiche, poiché animali presenti ma non censiti possono portare ad errori nel campionamento delle aree non utilizzate e/o disponibili, con conseguente perdita di capacità descrittiva/predittiva da parte del modello (Mackenzia et al., 2002; 2003; 2005). Al fine di limitare questo problema, i ricercatori suggeriscono una metodologia di stima dell’“occupancy”, attraverso la quale è possibile calcolare, a partire da un campionamento finalizzato e dalla probabilità di rilevamento specifica del campionamento, una stima dell’uso del territorio che tenga conto anche della frazione di animali presenti ma non censiti. Sfortunatamente, come ammesso dagli stessi autori, gli assunti necessari per applicare queste analisi sono spesso troppo stringenti per i comuni design di studio. Inoltre, la fase analitica può risultare molto complessa per un naturalista e spesso necessiterebbe della collaborazione di statisti esperti (Mackenzie e Royle, 2005).

Un'altra rilevante problematica correlata a questo tipo di metodologia è la dipendenza dei risultati dalla scelta soggettiva di cosa viene ritenuto una potenziale risorsa per gli animali. Nel recente passato, infatti, diversi autori (Manly et al., 2002; Keating e Cherry,2004 Johnson et al., 2006), hanno proposto un acceso dibattitto sull’opportunità di utilizzare la regressione logistica per gli studi di selezione dell’habitat. Il dibattito verte, in particolare, sull’opportunità di utilizzare questo tipo di analisi quando si utilizzano dei protocolli di raccolta dati del tipo uso vs. disponibilità. La regressione logistica applicata a questa tipologia di protocollo, contemplata da Manly e colleghi (2002) seppur entro ben definiti assunti pratici e analitici, viene, infatti, caldamente sconsigliata da Keating e Cherry (2004) poiché i due autori attribuiscono alla metodologia due ordini di problemi: il primo è un problema teorico relativo all’utilizzo dell’applicazione della regressione logistica per massimizzare la verosimiglianza dei modelli di uso vs disponibilità; il secondo concerne la possibile contaminazione del campione relativo alle risorse disponibili, con la presenza di unità campionarie utilizzate ma non classificate come tali a causa di limiti impliciti della tecnica di campionamento. Johnson e colleghi (2006), infine, dimostrano che, sebbene le preoccupazioni

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manifestate da Keating e Cherry (2004) siano valide da un punto di vista concettuale, al lato pratico la maggioranza dei casi di studio reali abbiano dimostrato una buona robustezza per entrambi i problemi descritti.

In generale, si può affermare che determinare l’uso/preferenza di una risorsa comparando i dati di presenza di un animale con i dati relativi alle risorse disponibili può comportare errori importanti derivanti dalla scelta iniziale delle variabili da considerare, come evidenziato da diversi autori (Johnson, 1980; Manly et al., 2002; Johnson et al., 2006; Beyer et al., 2010). In particolare, Beyer e colleghi (2010) hanno dimostrato chiaramente come le deduzioni che possono risultare dai modelli di utilizzo delle risorse sono influenzate dalla soggettività nel definire cosa è disponibile per un animale e dal problema di quantificare l’accessibilità locale alle risorse disponibili.

Nonostante i problemi appena illustrati, i modelli di preferenza sono stati applicati a numerosi studi di matrice ecologica come la ricerca biogeografica, l’analisi della disposizione degli home range, l’analisi delle interazioni intra ed inter-specifiche spazialmente mediate, l’analisi dell’uso dello spazio all’interno del home-range, le dinamiche di popolazione, i modelli meccanicistici di movimento, il miglioramento dei design dei corridoi ecologici (Beyer et al., 2010). Diversi autori hanno evidenziato come l’applicazione di modelli basati sulla selezione delle risorse possa, in generale, rappresentare un potente strumento per la gestione della fauna selvatica e per gli studi di tipo ecologico, a patto che venga programmata attentamente a partire dal protocollo di raccolta dati e che le deduzioni tratte dai modelli siano attentamente “pesate”, soprattutto in relazione alla loro estensione nello spazio e nel tempo. come evidenziato anche da altri autori (Manly et al., 2002; Keating e Cherry, 2004; Johnson et al., 2006; Beyer et al., 2010).

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