• Non ci sono risultati.

Analisi organizzativa attuale e la sua evoluzione nel tempo, attraverso l’applicazione del Modello di Preti: alcune riflessioni d

sintesi

4.1 – Descrizione del settore vitivinicolo

Il settore vitivinicolo mondiale sta conoscendo un processo di cambiamento dovuto alla diversa configurazione che la geografia del vino sta assumendo, soprattutto sul lato dell’offerta106. Tra i principali produttori di vino vi sono i 28 paesi dell’Unione Europea che realizzano il 61% della produzione mondiale, con un ruolo predominante da parte della Francia, dell’Italia e della Spagna107. Il nostro Paese produce il 17,5% della produzione mondiale e il 29% di quella europea.

Come si accennava, la geografia della vitivinicoltura sta mutando e sul mercato si palesano nuovi produttori, i così detti “paesi del nuovo mondo”, ovvero Argentina, Australia, Cile, Nuova Zelanda, Usa e Sudafrica, in cui sono sorte imprese di grandi dimensioni che sono riuscite ad acquistare ampie quote di mercato, grazie ad una produzione intensiva e a mirate politiche di marketing. Il settore vitivinicolo è caratterizzato da moltissime aziende di piccola dimensione, talvolta a conduzione familiare e si occupano di tutti gli stadi della

106 Rossi M. (2013); “Strategie per il wine business”, in Piccola Impresa, n.2.

124

produzione e della commercializzazione. Questa configurazione è nota in Europa, ma viene messa in ombra nei “paesi del nuovo mondo”, nascosta dall’ingombrante presenza delle grandi aziende che, come dicevamo, dominano il mercato. In Europa, le aziende piccole sono centinaia di migliaia, spesso organizzati in cooperative e organismi associativi108.

Una quota consistente della produzione italiana viene esportata, a fronte della contrazione del mercato interno; anche se la Francia la fa da padrona, pesando per il 30,5% sul valore mondiale dell’export, il nostro Paese vanta una delle percentuali di crescita più alte, sia sul 2012 sia nell’ultimo decennio (Tab. 4.1); questo sviluppo ci ha fatto raggiungere una quota del 19%.

Tab. 4.1: Valori e variazioni nell’export dei principali player internazionali

Fonte: WineMonitor109

Tra i principali mercati di sbocco dell’export italiano di vino nel 2013 (percentuali calcolate sul valore) troviamo quello degli Stati Uniti con una quota del 21%, ma anche in Europa il nostro vino viene apprezzato, intatti la Germania rappresenta il 20% delle esportazioni mentre il Regno Unito il 12% (Fig. 4.1).

108 Anderson K. (2004); The World’s Wine Markets. Globalization at Work, Northampton, Edward Elgar

Publishing.

109

Wine Monitor è l’Osservatorio di Nomisma sul mercato del vino, nato e pensato per supportare le imprese e le istituzioni della filiera vitivinicola italiana nella comprensione delle dinamiche di mercato, sia a livello nazionale che mondiale. http://www.winemonitor.it/it/

125

Fig. 4.1: I principali mercati di sbocco dell’export italiano di vino – 2013(% calcolate sul valore)

Fonte: WineMonitor su dati Istat

Per quanto riguarda il consumo mondiale di vino si è assistito ad un forte ridimensionato tra la metà degli anni ottanta e la metà degli anni novanta, quando ha raggiunto i 223 milioni di ettolitri. Da allora, è possibile individuare un trend positivo che, seppur lentamente, ha portato a raggiungere 245,2 milioni di ettolitri nel 2012. I livelli di consumo individuale più elevato si concentrano nei paesi europei con forte tradizione vitivinicola, la Francia con 47,7 litri annuali, il Portogallo con 42,7 litri annuali e l’Italia con 37,2 litri annuali (Tab. 4.2).

126

Tab. 4.2: Consumi mondiali di vino 2012

Fonte:Wine Monitor su dati OIV

Per quanto riguarda i consumi del 2013 ancora non si dispone di dati definitivi. L’OIV 110 ha elaborato una proiezione del livello di consumo mondiale, osservando le tendenze della domanda dalla seconda metà degli anni ’90, tenendo conto della crisi economica mondiale iniziata nel 2008 e la riduzione dei volumi di produzione del 2012. L’organismo è riuscito a stimare un consumo mondiale di vino nel 2013 tra 238,4 e 252,1 milioni di ettolitri (Fig. 4.2).

110

Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV), che si sostituisce all’Ufficio Internazionale della Vigna e del Vino è stata creata mediante l’Accordo del 3 aprile 2001. L’OIV è un organismo intergovernativo di tipo scientifico e tecnico, di competenza nell’ambito della vigna, del vino, delle bevande a base di vino, delle uve da tavola, delle uve passa e degli altri prodotti della vigna. http://www.oiv.int/

127

Fig. 4.2: Consumo mondiale di vino

Fonte: OIV

Osservando ora il lato della produzione a livello mondiale di vino, i primi dati analizzati evidenziano una produzione nel 2013, esclusi succhi e mosti, compresa tra 276,5 e 285,4 milioni di ettolitri (281 Mhl a metà della forchetta di stima). Perciò la variazione 2013/2012 è molto evidente, compresa tra +7,1% e 10,5% e quindi, in netto aumento di quasi 23 Mhl rispetto alla produzione vinificata del 2012, annata di livello estremamente modesto (258,3Mhl). Per avere dati produttivi simili a quelli che si registrano nel 2013 si deve tornare indietro al 2006 con una produzione di 282,6 Mhl (Fig. 4.3).

Fig. 4.3: Produzione mondiale di vino

Fonte: OIV

Considerando i cinque raccolti consecutivi, dal 2007 al 2011, definiti modesti e un raccolto 2012 eccezionalmente scarso (il tutto in linea con i dati mondiali), si può affermare che la produzione di vino per il 2013 in Europa è decisamente

128

elevata, stimata in 16,0 Mhl, ossia un +11% rispetto alla produzione molto modesta del 2012 (147,9 Mhl). Infatti, le stime dei principali paesi produttori europei risulta in crescita rispetto a quelle del 2012. L’Italia, in particolare diversamente dall’andamento mondiale, registra già nel 2012 una produzione vinificata in leggera crescita rispetto a quella del 2011. Anche nel 2013 nel nostro Paese si assiste ad un aumento della produzione vinificata annuale pari al 2%, con una produzione di vini che dovrebbe quindi avvicinarsi ai 45Mhl111. Nella tabella 4.3 è possibile osservare l’andamento in termini quantitativi, nei paesi considerati, con una produzione di vino superiore a 1Mhl.

Tab 4.3: Produzione di vino

Fonte: OIV

Per quanto riguarda le vendite mondiali, i dati 2012, ci dicono che queste in termini di volume di vino sono così suddivise: rossi 48%, bianchi 32%, rosati e spumanti 8%, fortificati 4%. In valore, invece, il primo posto spetta agli spumanti

129

che si aggiudicano il 48% delle vendite, seguono i rossi 27%, i bianchi 17%, rosati e fortificati 4%.

Dati significativi sono anche le variazioni in percentuale delle vendite per tipologia tra il 2000 e il 2011, che vedono protagonisti sempre gli spumanti (Fig. 4.4).

Fig. 4.4: Vendite per tipologia di prodotto

Fonte: Unione Italiana Vini (www.uiv.it)

Si nota, quindi, il peso e l’importanza, all’interno del settore vitivinicolo, del comporto dello spumante che nel 2013 si distingue per le esportazioni.

Nel 2012 l’Italia ha prodotto oltre 400 milioni di bottiglie di vini spumanti, per un fatturato di 1,2 miliardi di euro. Il consumo nazionale di spumante è stato di 145 milioni di bottiglie, per un valore paria 380 milioni112. Questo ci fa capire che il 65% della produzione italiana è destinata all’esportazione o in altre parole che oltre 6 bottiglie di spumante italiano su 10 sono stappate all’estero113. Si individuano, anche, aumenti del valore delle vendite sul mercato nazionale, infatti, gli acquisti del primo trimestre del 2013 registravano già una crescita del

112 Dati Coldiretti.

130

10%. Il mercato interno è stabile e stagionale, con un consumo prevalentemente durante le feste natalizie.

Dal lato delle esportazioni il 2013 per lo spumante è stato un anno eccellente, con un aumento in valore del +18%, con una decisa progressione anche in termini di volumi: +13% (Tab. 4.4).

Tab. 4.4: Esportazioni italiane di vini spumanti 2013

Fonte: dati Ismea

Con il +40% in volume il Regno Unito diventa il principale mercato delle bollicine italiane, mentre resta al secondo posto in volume dietro gli Stati Uniti che, comunque, hanno incrementato la domanda del 13% e la relativa spesa del 18%. Importante è anche il mercato russo che sembra apprezzare particolarmente gli spumanti italiani con una domanda del 28% e una spesa del 53,1%. Segnali positivi anche nei Paesi Scandinavi e nei Paesi Baltici114.

I principali competitor dell’Italia sui mercati internazionali sono la Francia e la Spagna. Il punto in comune per i tre Paesi, negli ultimi otto anni, è la crisi economica (2008/09), che ha fatto registrare una flessione dei valori dell’esportato. Dopo 5 anni, la Francia ancora non riesce a ritornare sui livelli di vendita pre crisi economica, ma diversamente dal 2012, riesce nel 2013 a chiudere il bilancio in leggero aumento115.

Per l’Italia, l’entrata in crisi del modello Champagne su mercati di grosso consumo come Stati Uniti e Gran Bretagna ha lasciato molto spazio agli spumanti italiani, con oltre 2 milioni di ettolitri esportati (Fig. 4.5).

Gli spagnoli invece faticano dopo dalla crisi del 2008/09 e la loro ripresa è molto più lenta del nostro Paese.

114 Dati Ismea.

131

Fig. 4.5: Export spumanti

Fonte: UIV

In estrema sintesi possiamo dire che il mercato italiano dei vini e degli spumanti è sostenuto fortemente dalle esportazioni, a fronte della diminuzione dei consumi interni; nonostante ciò, in ottica strategica, il settore in questione può definirsi attrattivo116. Il settore vinicolo nel suo insieme presenta, infatti, un buon tasso di redditività del capitale investito pari a 5,7% nel 2012, in particolare i produttori di vini non spumanti presentano un ROI pari a 5,7%, mentre i produttori di spumante un ROI di 5,9% 117.

4.2 – L’applicazione del Modello di Preti al caso le Cantine d’Araprì

Per l’applicazione del Modello degli assetti organizzativi delle PMI (Modello di Preti) è necessario individuare le variabili interne ed esterne (rispettivamente:

profilo professionale medio e situazione competitiva) e successivamente

osservare se l’assetto organizzativo dell’azienda oggetto di analisi, sia coerente con queste. Tutto ciò ci permetterà di valutare se le Cantine d’Araprì:

116 L’attrattività di un settore, viene determinata dalla redditività che le imprese possono conseguire

all’interno dello stesso; questa viene stabilita, di solito, tenendo conto della redditività del capitale investito. Un settore esercita un ruolo di catalizzatore nei confronti delle imprese quando c’è la presenza di conseguire un ROI superiore al costo del capitale. Porter M. E. (1988), Il vantaggio competitivo, Edizioni Comunità, Milano.

117

Dati in “Indagine sul settore vinicolo”, Mediobanca, Aprile 2014. Mediobanca realizza, dal 2000, un’indagine annuale sulle principali società vinicole italiane che ha lo scopo di metterne in evidenza le principali tendenze gestionali e patrimoniali. Lo studio si riferisce ad aziende specializzate, speso operanti in più regioni.

132

 adottano già un assetto organizzativo coerente con le variabili interne ed esterne;

oppure

 se è necessario un intervento per poter ristabilire la coerenza, nel momento in cui si individui una sovra o sotto organizzazione rispetto a quanto richiesto dal contesto esterno ed interno;

o ancora

 se stanno attraversando un percorso, in transito da un assetto all’altro, generato da cambiamenti delle variabili esterne e interne.

Ora provvediamo a definire la variabile interna, analizzando l’organico dell’azienda allo stato attuale. Per la costruzione del PPM si considerano tutte le persone che lavorano nelle Cantine d’Araprì almeno duecento giorni l’anno; nel caso di studio, esse sono cinque (i tre soci, più due dipendenti).

Il primo passo quindi è calcolare l’anzianità anagrafica media, considerando:  L’Amministratore unico e socio Girolamo D’Amico di anni 60;

 Il socio Ulrico Priore di anni 61;  Il socio Louis Rapini di anni 57;  Il dipendente A di anni 47;  Il dipendente B di anni 35. Essa è quindi di 52 anni, ovvero alta.

Il passo successivo invece, è determinare l’anzianità aziendale media, calcolando la media aritmetica del tempo di permanenza del personale nell’azienda, in relazione agli anni di vita di questa (35 anni). La variabile viene così a comporsi:  I tre soci fondatori con una permanenza in azienda ovviamente pari a 35

anni;

 I due dipendenti con una permanenza in azienda di 10 anni ciascuno. Abbiamo quindi un’anzianità aziendale media pari a 25 anni che, rapportata agli anni di vira dell’azienda, può definirsi alta.

133

Per quanto riguarda l’anzianità funzionale media, questa esprime un’anzianità di “mestiere”118, cioè il numero di anni che la persona ha trascorso nella stessa funzione anche passando in diverse aziende e crescendo di livello contrattuale. Essa anche in questo caso (considerando i tre soci e i due dipendenti) è alta, con una media ben oltre i 10 anni.

Infine si calcola il profilo scolastico medio, considerando:  18 anni per Girolamo D’Amico;

 13 anni per Ulrico Priore;  18 anni per Louis Rapini;  8 anni per il dipendente A;  13 anni per il dipendente B.

Con i 14 anni medi calcolati, si individua un profilo scolastico basso (è definito

alto quando assume valori superiore a 15 anni).

I valori riscontrati nell’anzianità anagrafica, aziendale, funzionale e nel profilo scolastico ci permettono di individuare un profilo professionale medio “basso” (Tab. 4.5).

Tab. 4.5: PPM delle Cantine d’Araprì

Fonte: ns. elaborazione

134

Dopo essere riusciti a definire il PPM, diventa centrale per il proseguo e l’applicazione del modello, riuscire ad inquadrare se la situazione competitiva, in cui operano le Cantine d’Araprì, sia favorevole o sfavorevole.

L’offerta vinicola internazionale può essere divisa in tre macro-aree sulla base dei vitigni di provenienza: internazionali (Cabernet, Merlot, Syrah, Chardonnay e Sauvignon), autoctoni e misti (derivanti dal mix dei primi due)119.

I primi sono localizzati in prevalenza nei paesi detti “del nuovo mondo”, quali l’Australia, la Nuova Zelanda, il Sudafrica e il Cile e, in maniera più contenuta, in Europa dove si predilige la coltivazione dei vitigni autoctoni120.

Come abbiamo potuto accennare nel paragrafo precedente, i nuovi operatori si connotano per le grandi dimensioni, riuscendo ad operare a livello globale. Per far questo, la tendenza dei player globali è quella di realizzare vini aventi caratteristiche abbastanza stabili nelle varie annate ed omogenee tra loro, riuscendo così ad imporsi sul mercato. Un ulteriore fattore è l’adattabilità dei vitigni internazionali ai diversi contesti geografici prescindendo dalle caratteristiche pedo-climatiche dell’area di riferimento. A queste condizioni occorre aggiungerne un'altra molto importante, ovvero la coincidenza del nome del vino con quello del vitigno che semplifica il processo di riconoscibilità da parte del consumatore.

Gli aspetti finora descritti certamente favoriscono la diffusione del prodotto, ma si deve considerare che un tale modus operandi conduce ad avere un’offerta quasi omogenea121, determinando il rischio di scomparsa di tradizioni colturali e culturali che caratterizzano determinati ambiti geografici122.

Perciò per poter competere con il dilagare dell’omogeneizzazione della produzione, diventa centrale per le imprese vinicole recuperare il legame con il territorio d’origine (nel caso le Cantine d’Araprì questo avviene mediante lo spazio ARte in CAntina, vedi cap.3, par. 3.4). Quindi per poter fare ciò, i vitigni

119

Angelini R. (2007), La vite e il vino, Bayer CropSchience, ART Servizi editoriali spa.

120 In linea con il caso le Cantine d’Araprì che hanno scommesso, oggi possiamo dire con successo,

nell’utilizzo del vitigno autoctono: il Bombino Bianco.

121

Infatti, non vi è una sostanziale differenza tra un Merlot prodotto in Sudafrica da un medesimo vino prodotto in Italia.

135

autoctoni (vedi Bombino Bianco) risultano avere un ruolo determinante nella competizione tra imprese vinicole poiché essi assumono il ruolo di “ambasciatori” del patrimonio culturale locale, che risulta essere quasi sempre originale, quindi unico e conseguentemente differenziato123.

In questa logica, i produttori di vino che impiegano vitigni internazionali perseguono solitamente una leadership di costo, mentre i produttori di vini autoctoni tendono verso la realizzazione di un vantaggio competitivo di

differenziazione124, cercando di ritagliarsi una nicchia di mercato125.

Ed è proprio in questa nicchia di mercato che si inseriscono le Cantine d’Araprì, che hanno scommesso e creduto fortemente, possiamo dire oggi con successo, sul vitigno autoctono Bombino Bianco, dando vita così ad una produzione di vino spumante metodo classico che per molti anni nel meridione d’Italia è stata l’unica realtà esistente.

Lo scenario in cui si muove la d’Araprì che abbiamo finora descritto, ci permette di affermare l’esistenza di una situazione competitiva favorevole del mercato. Passiamo ora all’applicazione del Modello di Preti. Esso ci permette due possibili utilizzi: in chiave statica e in chiave dinamica.

L’utilizzo del Modello in chiave statica prevede l’analisi della situazione competitiva e del grado di complessità delle risorse umane in un determinato momento, senza ipotizzare alcuna loro variazione, permettendo di capire se l’assetto organizzativo adottato dall’azienda è coerente o meno con quello ideale individuato.

L’impiego del Modello in chiave dinamica invece consente di partire dall’assetto organizzativo esistente e di ipotizzare cambiamenti significativi della situazione competitiva e/o della complessità delle risorse umane, così da individuare quale dovrà essere l’assetto futuro ideale da attuare.

Applicando il Modello in chiave statica al caso oggetto di studio, avendo considerato il PPM e la situazione competitiva precedentemente analizzate,

123

Schneider A. (2006), Aspetti genetici nello studio dei vitigni di un territorio, QUAD. VITIC. ENOL. UNIV. TORINO, n. 28.

124 Porter M. E. (1988), Il vantaggio competitivi, Milano, Edizione Comunità.

136

possiamo affermare che l’assetto organizzativo ideale che si viene ad individuare per le Cantine d’Araprì è quello elementare (Fig.4.6).

Fig. 4.6: Assetto ideale della d’Araprì secondo il modello degli assetti organizzativi delle PMI

Fonte: ns. elaborazione

In questo caso possiamo dire che le Cantine d’Araprì adottano già un assetto organizzativo coerente con quello ideale, dove la funzione di produzione è dominante e il contesto favorevole non impone l’adozione di tecniche e strumenti particolarmente sofisticati per la gestione dell’azienda. Infatti all’interno dell’azienda si individua una struttura organizzativa su due livelli gerarchici (vedi cap. 3, par. 3.7): uno individuato dell’Amministratore unico Girolamo D’Amico che ha un ruolo centrale di coordinamento ed è l’unico punto di riferimento per gli interlocutori interni ed esterni alle Cantine; l’altro è identificato dall’insieme dei tre soci (D’Amico, Priore, Rapini), che, in base alle loro conoscenze e competenze ed assieme ai due dipendenti, danno vita all’intero processo, dall’approvvigionamento alla distribuzione. Inoltre non si riscontra nessuna forma di delega: l’organico (i due dipendenti) riconosce la leadership dell’Amministratore unico al quale chiede solo chiarezza nei comandi e nell’attribuzione dei compiti. Il vertice aziendale (D’Amico) lascia comunque uno spazio di azione maggiore agli altri due soci, soprattutto nelle attività di

137

approvvigionamento del vino e nell’attività di distribuzione (vedi cap. 3, par. 3.7).

Proviamo ora ad applicare al caso di studio il Modello di Preti in chiave

dinamica. Cercheremo quindi di capire se, dato l’attuale assetto organizzativo

della d’Araprì, essa sia in grado in futuro di affrontare, con le medesime risorse umane, un’eventuale variazione del mercato verso una situazione competitiva sfavorevole. L’assetto ideale che si verrebbe così ad individuare con questa ipotesi, sarebbe quello collaborativo (Fig. 4.7).

Fig. 4.7: Variazione della situazione competitiva ed individuazione di un nuovo assetto per la d’Araprì

Fonte: ns. elaborazione

Possiamo affermare che nell’ipotesi di cambiamenti significativi della situazione competitiva, le Cantine d’Araprì risponderebbero in maniera positiva, con le medesime risorse umane, alle nuove condizioni esterne, riuscendo a realizzare un

assetto collaborativo. E’ possibile dire questo perché l’azienda ha già dimostrato

di saper individuare opportune collaborazioni con altre realtà imprenditoriali locali, in questo caso con l’Azienda Agricola Nardella, e a realizzare accordi a monte della filiera produttiva attraverso politiche di esternalizzazione, con la creazione della Poggio dei Campanili s.r.l..

Inoltre il vertice aziendale insieme agli altri due soci hanno già intuito l’importanza di concentrare gli interessi dei concorrenti attorno ad un progetto

138

comune: le Cantine d’Araprì, credendo fortemente nella forza e nelle potenzialità del proprio territorio, sono da tempo promotrici e sostenitrici della creazione di un Distretto Spumantistico della Capitanata.

Infatti da diversi anni altri produttori locali , seguendo l’esempio della d’Araprì, si sono cimentati nella produzione di spumante metodo classico; sono nate così nuove iniziative imprenditoriali come Cantine Domini Dauni, La Porta, Gagliardi, Cafora, Petruzzelli-Caiafa ed altri.

Sono già stati fatti importanti passi verso la creazione di questo Distretto, grazie alla decisa volontà dei tre soci che hanno ospitato all’interno dell’ArCA diversi convegni126 sul tema, invitando produttori ed istituzioni locali.

La creazione del Distretto Spumantistico non solo potrà offrire tutti gli strumenti necessari per fronteggiare un’eventuale situazione competitiva difficile, ma anche permettere alle aziende di operare seguendo l’idea del “del cooperare per

competere”127.

Rimanendo sempre in un ottica dinamica nell’applicazione del Modello di Preti, possiamo dire che, all’interno della matrice, l’assetto collaborativo è un quadrante di transito; infatti l’evoluzione organizzativa tipica di molte piccole imprese è quella che prende avvio dall’assetto elementare, transita nel quadrante dell’assetto collaborativo, con il peggioramento della situazione competitiva, e