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d’Araprì Srl La Capitanata nelle “bollicine”: la valorizzazione del Bombino bianco

3.1 – Obiettivo della tesi e metodologia

Le Cantina d’Araprì in questi anni hanno intrapreso un percorso di crescita che ha generato conseguentemente una maggiore complessità gestionale. Pertanto l’obiettivo della tesi è stato quello di supportare i soci fondatori, nella definizione e formalizzazione della struttura organizzativa e dei processi aziendali, al fine di valutarne la coerenza con la situazione competitiva all’interno della quale l’azienda opera. Dall’analisi è emerso che la struttura dei processi aziendali è di tipo inter-organizzativo, in quanto l’azienda opera in una logica di rete caratterizzata principalmente da strutturati legami con i fornitori.

A supporto dell’analisi di coerenza tra struttura organizzativa e situazione competitiva è stato utilizzato il Modello di Preti68.

Il lavoro svolto può essere sintetizzato in tre attività:

 definizione e formalizzazione dell’organigramma, al fine di cogliere la connessione fra le diverse unità organizzative, le linee di responsabilità e, di autorità e i meccanismi di coordinamento;

 individuazione e mappatura dei processi produttivi;

68 Preti P. (1991), L’organizzazione della piccola impresa. Nascita e sviluppo delle imprese minori,

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 analisi organizzativa attuale e la sua sostenibilità nel tempo.

Gli strumenti utilizzati per svolgere le attività sopra indicate sono state le intervistare all’Amministratore Unico dell’azienda, Girolamo D’Amico, l’analisi documentali e l’osservazione diretta delle strutture aziendali e dei processi produttivi. La prima intervista della durata di un’ora e trenta minuti (registrata) effettuata mediante l’erogazione di un questionario, si è incentrata sull’evoluzione storica delle Cantina, le scelte strategiche dell’azienda e la governance aziendale.

Nelle successive interviste, sempre registrate, l’attenzione è stata focalizzata sul processo di approvvigionamento, produzione e distribuzione.

Mediante queste interviste, siamo riusciti a conoscere la realtà aziendale, la sua organizzazione come funzione di obiettivi, strategie e risorse di cui si dota per lo svolgimento delle proprie attività.

Sono stati richiesti all’azienda e successivamente analizzati i seguenti documenti: la visura camerale della società (che ci ha permesso di approfondire l’oggetto sociale, il sistema di amministrazione e controllo, i ruoli, le responsabilità e i poteri degli amministratori); lo statuto e l’atto costitutivo; il manuale aziendale di autocontrollo dell’igiene (che ci ha acconsentito di acquisire delle prime informazioni sulla struttura organizzativa e il processo produttivo).

Prima di procedere alla trattazione del lavoro svolto, si ritiene necessario contestualizzare il territorio in cui opera l’azienda oggetto del nostro studio, ponendo l’attenzione sul legame profondo che intercorre tra la città di San Severo, sede delle Cantine d’Araprì, e il suo peculiare prodotto: il vino. Sono state inoltre messe in evidenza le principali caratteristiche del vitigno autoctono “Bombino Bianco” che ha rappresentato la “chiave di volta” per il successo della d’Araprì.

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3.2 – Modello di Preti

Il modello degli assetti organizzativi delle PMI di Preti69, pur non essendo supportato da ricerche quantitative, è frutto di un lungo lavoro di sperimentazione sul campo ed è stato confrontato e discusso con numerosi imprenditori fin dal 199070. Esso evidenzia come la realtà delle piccole e medie imprese non è univoca e come conseguentemente non esista una soluzione organizzativa unica e migliore in senso assoluto, da applicare a tutte le realtà di minore dimensione.

Il modello in esame si avvale di due variabili, il Profilo Professionale Medio (PPM) e la Situazione competitiva.

Quest’ultima rappresenta proprio il contesto competitiva nel quale l’impresa si trova ad operare e, che a sua volta può essere favorevole o sfavorevole.

Si parla di contesto competitivo favorevole quando l’azienda si trova nelle condizioni di poter difendere la propria posizione strategica per un periodo sufficientemente esteso, quindi si registra una ridotta concertazione del settore. Un contesto competitivo sfavorevole, invece, è caratterizzato dalla scarsa difendibilità della combinazione strategica (prodotto/mercato/tecnologia) e da un settore di riferimento turbolento e in continua evoluzione per innovazione di prodotto e di processo71.

Osserviamo ora, l’altra variabile del modello in esame, il Profilo Professionale

Medio, uno strumento che ci permette di osservare l’organico di un’azienda in un

dato momento. Questo a sua volta può essere caratterizzato da una bassa

complessità, ovvero quando l’organico si caratterizza per un’elevata esperienza

nella stessa azienda svolgendo le medesime attività, un’elevata anzianità anagrafica e una bassa scolarità; viceversa si parla di alta complessità quando c’è

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Paolo Preti Laurea in Economia e Commercio presso l'Università Bocconi, Milano, 1981 è docente senior presso l’Area organizzazione & personale della Sda Bocconi, direttore del Master piccole imprese della Sda, professore associato di Organizzazione aziendale all’Università della Valle d’Aosta e professore a contratto di Organizzazione delle piccole e medie imprese alla Bocconi.

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Preti P., Puricelli M. (2011); Gestione delle PMI, Milano, Gruppo24ore.

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Preti P. (1991), L’organizzazione della piccola impresa. Nascita e sviluppo delle imprese minori, Milano, Egea.

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la presenza di professionalità in crescita, bassa anzianità anagrafica e livelli di istruzione mediamente alti72.

Il Profilo Professionale è definito Medio perché si calcola come media aritmetica di alcune caratteristiche di tutte le persone che lavorano in azienda almeno duecento giorni l’anno, indipendentemente dalla posizione occupata e dal tipo di contratto in essere con l’azienda. Queste caratteristiche ci consentono di individuare quattro variabili che ci permettono di determinare il PPM.

La prima variabile è individuata nell’anzianità anagrafica media che rappresenta l’età media del personale, questa è definita alta quando assume un valore compreso tra i cinquanta e i cinquantacinque anni.

L’anzianità aziendale media è data dalla media aritmetica del tempo di

permanenza dei dipendenti nell’azienda in esame. Quindi è da ritenersi alta quando i collaboratori operano in azienda in media da venti anni se l’azienda esiste da venticinque/trenta anni.

L’anzianità funzionale media, invece, fa riferimento alla media aritmetica degli

anni che i dipendenti hanno trascorso nella funzione in cui si trovano attualmente, considerato tutto l’arco temporale della loro esperienza lavorativa. Infine, il profilo scolastico medio esprime il grado di scolarità media dei propri collaboratori ovvero il numero di anni passati a scuola, bocciature escluse ed è definito basso quando assume valori compresi tra zero e dieci anni (periodo corrispondete alla scuola dell’obbligo).

I dati sul personale, così raccolti, ci permettono di individuare due tipi di profili professionali, alto e basso (Tab. 3.1), con caratteristiche molto diverse, che se coerenti con la combinazione strategica aziendale, consentono all’impresa di raggiungere l’obiettivo prefissato.

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Tab. 3.1: Il Profilo Professionale Medio

Fonte adattata: M.Puricelli, Organizzare le piccole imprese. Storie e casi aziendali, Egea, Milano, 2007

Un PPM basso è espressione di un know-how costruito sull’esperienza, di competenze operative accumulate sul campo nella medesima azienda e funzione, quindi un sapere tacito e poco codificabile e conseguentemente un organico che potrebbe presentare delle resistenze al cambiamento. Viceversa, un PPM alto è indice di un know-how più teorico che pratico, di competenze gestionali più che operative, quindi un organico giovane con esperienze brevi e per questo più incline al cambiamento e al nuovo.

Il combinarsi delle due variabili descritte, situazione competitiva e ppm, permette di identificare quattro assetti73 organizzativi (Fig. 3.1): elementare, collaborativo,

innovativo e diffuso.

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Il concetto di assetto comprende sia la struttura e sia l’organigramma ma va anche oltre, definendo implicitamente il ruolo imprenditoriale, le modalità di gestione del personale, le caratteristiche delle risorse umane e gli strumenti operativi di gestione. Puricelli M. (2007), Organizzare le piccole imprese. Storia e casi aziendali, Milano, Egea.

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Fig. 3.1: Il modello degli assetti organizzativi delle PMI

Fonte: P. Preti, L’organizzazione della piccola impresa. Nascita e sviluppo delle imprese minori, Egea, Milano, 1991

Il modello degli assetti organizzativi è utile nel momento in cui consente all’imprenditore di collocare la sua realtà aziendale in uno dei quattro quadranti individuati dalla matrice e di confrontarla con le caratteristiche dell’assetto proposto come “ideale”, ovvero più adeguato date certe condizioni74.

L’assetto elementare

Quando l’azienda si trova in una situazione competitiva favorevole (settore poco turbolento o in fase di crescita o quando l’impresa è riuscita a ritagliarsi una nicchia di mercato profittevole) e a questa si associa un organismo personale caratterizzato da una bassa complessità (PPM basso), secondo il modello considerato, l’assetto organizzativo ideale è quello elementare.

In questo assetto l’imprenditore agisce da agente centrale, definisce la strategia, organizza e coordina i diversi fattori di produzione ed è l’unico punto di riferimento per gli interlocutori interni ed esterni all’azienda.

Quindi il tratto caratteristico di questo assetto è l’elevato grado di centralizzazione, che corrisponde alla concentrazione in un unico attore di tutte le

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decisioni, nonché dei diritti all’informazione, al controllo e alla valutazione delle singole prestazioni75.

La struttura organizzativa che si viene e delineare è su due livelli gerarchici: uno individuato dall’imprenditore che decide e comanda, l’altro invece dai suoi collaboratori che li eseguono. In questa architettura non emerge il fabbisogno di delega76; l’organico infatti chiede solo chiarezza nei comandi e nell’attribuzione dei compiti, riconoscendo sempre l’autorità dell’imprenditore.

Quindi tutto ciò che riguarda la pianificazione strategica, la programmazione e il controllo, i sistemi informativi e la gestione del personale, sono attuati soggettivamente dall’imprenditore.

L’assetto collaborativo

Nel momento in cui l’azienda presenta un organismo personale con un profilo professionale medio “basso” (esperienza maturata per lungo tempo nella stessa azienda, svolgendo la stessa funzione, anzianità anagrafica media di 45/50 anni, tasso di scolarità limitato), ma una situazione competitiva sfavorevole (settore turbolento o in fase di maturità/declino, posizione competitiva difficilmente difendibile, elevata concentrazione dei competitor, lotta sui prezzi), l’assetto organizzativo ideale è quello collaborativo.

In questo assetto la struttura organizzativa è uguale alla configurazione elementare, ma date le suddette caratteristiche del settore, diventa centrale una attenta gestione dei confini aziendali e quindi il ruolo dell’imprenditore nelle scelte decisionali di tipo make or buy e nelle modalità di relazione con l’esterno. L’imprenditore deve quindi saper cercare e riconoscere le possibili occasioni di partnership a monte o a valle della filiera produttiva (spaziando dalle forme basate solo sulla fiducia a quelle regolate da contratti fino a quelle che prevedono scambi di azioni) ed inoltre è indispensabile saper riunire gli interessi dei

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Grandori A. (1995), L’organizzazione delle attività economiche, Bologna, Il Mulino.

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La delega è definita come quel processo di attribuzione di responsabilità decisionale dal delegato al delegante per lo svolgimento di un determinato task al quale sono correlati certi obiettivi. Preti P. (1991), L’organizzazione della piccola impresa. Nascita e sviluppo delle imprese minori, Milano, Egea

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competitors attorno ad un progetto comune, per affrontare le difficoltà del mercato altamente concorrenziale77.

L’assetto innovativo

All’interno della matrice in esame, in posizione diametralmente opposta all’assetto elementare, individuiamo l’assetto innovativo. Esso è caratterizzato da una situazione competitiva sfavorevole ed un profilo professionale medio “alto” (bassa anzianità anagrafica, aziendale e funzionale e un elevato profilo scolastico).

In questa configurazione si è in presenza di un capitale umano dove il sapere tacito e informale, proveniente dall’esperienza, è soppiantato da saperi formalizzati di alto livello; quindi un organismo personale diverso ai due assetti descritti precedentemente78.

Caratteristica principale di questo assetto organizzativo è la separazione tra il ruolo imprenditoriale e quello manageriale79. In questa realtà la delega è effettiva, l’imprenditore non è più solo al comando ma affiancato da un gruppo di responsabili, ai quali vengono assegnate risorse per il raggiungimento degli obbiettivi strategici. Quindi l’imprenditore si riserva l’attività di controllo sulle performance e di coordinamento dell’azione dei vari responsabili, oltre, naturalmente, la responsabilità delle scelte strategiche di fondo.

La struttura organizzativa è articolata sia in senso verticale, sia in senso orizzontale. I livelli gerarchici sono almeno due: quello imprenditoriale e quello manageriale, che può prevedere responsabilità di funzione o di prodotto. In ragione di ciò le aziende aventi assetti innovativi presentano organigrammi che schematizzano strutture funzionali o divisionali80. Il rischio che si corre è che questa tipologia organizzativa degeneri in forme burocratiche.

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Puricelli M. (2007), Organizzare le piccole imprese. Storia e casi aziendali, Milano, Egea.

78 Preti P., Puricelli M. (2011); Gestione delle PMI, Milano, Gruppo24ore. 79

L’imprenditorialità è intesa come attività di definizione della strategia ovvero della combinazione prodotto/mercato/tecnologia, invece si fa riferimento alla managerialità come modalità per tradurre in pratica la direzione tracciata dall’imprenditore.

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L’assetto diffuso

Quando l’azienda opera in un ambito competitivo favorevole, avvalendosi di professionalità complesse, l’assetto organizzativo più coerente è quello diffuso. Queste sono imprese che operano in settori innovativi, in fase di introduzione o in quelli definiti brain intensive, dove è centrale l’investimento nelle competenze professionali delle persone.

In questa configurazione il potere non è più concentrato al vertice, e la figura dell’imprenditore è sostituita da quella di un gruppo di dirigente che, essendo o no proprietario, di fatto esprime la strategia aziendale81. Il potere è equamente condiviso da questi partner che lo esercitano mediante una leadership basata sulle competenze piuttosto che sull’autorità82. Si ottiene così una struttura piatta nella quale le relazioni orizzontali tra partner e loro collaboratori prevalgono su quelle gerarchiche. Dove anche il flusso informativo, in questo assetto, viene a mutare muovendosi non più a cascata, lungo la piramide aziendale, ma in maniera circolare.

La delega è massima e, generalmente, l’attività è gestita per progetti e per task- force affidati a un responsabile che deve occuparsi del coordinamento del lavoro nel gruppo e raccordarsi alla struttura. La collocazione centrale delle risorse umane, in questo contesto, impone la loro continua valorizzazione e motivazione (alta collaborazione, condivisione di norme e valori, formazione continua, sistemi di ricompensa basati sull’equità). Per evitare di correre il rischio di perdere il maggior capitale dell’azienda, per l’incapacità di trattenere le persone all’interno.

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Puricelli M. (2007), Organizzare le piccole imprese. Storia e casi aziendali, Milano, Egea.

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L’esempio tipico è rappresentato dagli studi professionali, con diversi professionisti associati a capo della struttura, specializzati in funzione delle conoscenze specifiche da loro maturate e aventi alle loro dipendenze, di solito, giovani che apprendono la professione tramite affiancamento al partner più esperto in una determinata materia. Preti P. (1991), L’organizzazione della piccola impresa. Nascita e sviluppo delle imprese minori, Milano, Egea.

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3.3 - San Severo e il Vino: un antico legame

L’agro di San Severo è situato nella parte settentrionale della Capitanata, confinante ad ovest con il Subappenino Dauno e ad est con il promontorio del Gargano.

Una prima documentazione dell’allevamento della vite a San Severo si ha grazie al Catasto onciario, voluto da Carlo III di Borbone per un riordino fiscale del regno, verso la metà del XVIII secolo; mentre i sistemi di vinificazione e conservazione del vino rimangono a lungo rudimentali e ciò determina una scarsa qualità del prodotto.

L’espansione dei vigneti e l’avventura del vino a San Severo ha inizio nell’800 a causa di un evento drammatico che colpisce l’economia della Francia, nazione che detiene il primato nella produzione e commercializzazione del vino. Infatti l’importazioni di viti selvatiche dall’America determina in Francia il diffondersi della fillossera83 che sarà la causa della distruzione della maggior parte dei vigneti francesi. Il settore enologico francese è in piena crisi costringendo i commercianti, per non perdere clientela, ad importare vino da altre nazioni, tra cui l’Italia.

Con il trattato commerciale italo-francese del 1863 le esportazioni di vino italiano verso la Francia aumentano notevolmente, determinando ciò anche un cambiamento del territorio, infatti si impiantano ovunque nuovi vigneti; ma solo dopo qualche anno si assiste ad un notevole incremento di vigne a San Severo. I nuovi e spesso improvvisati viticoltori-vinificatori della piccola cittadina della Capitanata sono scarsamente istruiti e privi anche delle nozioni tecniche di base. Per far fronte a questa problematica il sindaco Filippo d’Alfonso fa pubblicare le lezioni di enologia tenute nel 1881 dal prof. Giuseppe Frojo84. Il Professore fa emergere come sia sbagliato impiantare tante varietà di uve in uno stesso vigneto, in quanto renderebbe difficile la commercializzazione di vini che per ogni annata

83 La fillossera della vite, Daktulosphaira vitifoliae (Fitch, 1856), è un insetto della famiglia

dei Phylloxeridae. È un fitofago associato alle specie del genere Vitis che attacca le radici delle specie europee (Vitis vinifera) e l'apparato aereo di quelle americane (Vitis rupestris, V. berlandieri e V. riparia). Questo dannoso fitofago della vite, originario del Nordamerica, è comparso in Europa nella seconda metà dell'Ottocento, e oggi è diffuso in tutti i paesi viticoli del mondo. Provoca in breve tempo gravi danni alle radici e la conseguente morte della pianta attaccata, con l'eccezione di alcuni vitigni americani.

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presentano caratteristiche diverse, ma emerge anche l’inadeguatezza delle cantine sanseveresi e delle botti utilizzate, mal costruite. Nelle lezioni vengono messe in luce anche i metodi corretti di vinificazione e di conservazione del vino e della qualità dello stesso, a supportare tutto ciò è importante l’iniziativa del municipio di una Cantina Sperimentale85.

In questi anni, però, in Francia si riesce a fronteggiare la filossera e nel 1888 decade il trattato commerciale italo-francese con non pochi effetti sull’economia agricola italiana. La viticoltura sanseverese si trova così ad affrontare una prima forte crisi nella quale il prezzo del vino ribassa fortemente e nel 1889 non mancano manifestazioni di braccianti e piccoli agricoltori ormai in miseria. Come risposta a questa difficile situazione, prendono forma nuovi trattati commerciali, come quello con la Svizzera e la Germania nel 1892, oltre a quello ben più importante con l’Austria-Ungheria di durata decennale; anche se non mancano le polemiche per la qualità piuttosto scadenti dei vini italiani.

I miglioramenti sono tangibili anche a San Severo dove si assiste ad un aumento delle esportazioni grazie pure alle tariffe agevolate del trasporto ferroviario concesse dal governo.

Nella piccola cittadina c’è anche da ovviare al problema della produzione di vinacce e di sottoprodotti della vinificazione, ceduti a prezzi bassi a piccoli distillatori del napoletano. Una soluzione fu dar vita nel 1891 alla Società Cooperativa dei Viticoltori e grazie ai finanziamenti concessi dalla Banca di San Severo è possibile realizzare una moderna distilleria.

Una data importante è il 31 dicembre del 1903, data in cui scade il trattato commerciale con l’Austia-Ungheria e dove, di conseguenza, si assiste ad una riduzione delle esportazioni ed un aumento delle giacenze di vino invenduto. Dato il contesto, a San Severo, si teme per la prossima vendemmia, non essendoci sufficienti cantine per immagazzinare anche la nuova produzione; arrivando così alla crisi del 1904. Il ministro dell’agricoltura Luigi Rava e quello delle finanze Luigi Luzzatti, in attesa di altri provvedimenti, propongono di predisporre a San Severo un grande deposito comunale per immagazzinare il

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surplus di 120.000 ettolitri di vino che si prevede per la prossima vendemmia e per la cui realizzazione lo stato contribuirà per la metà delle spese86. Nonostante tutto, la situazione non è semplice e la giunta comunale sembra impotente davanti a questa crisi che costringe molti agricoltori ad essere vittime di speculatori, in quanto costretti a cedere il prodotto ad un prezzo molto basso. Ad aggravare la situazione è la comparsa della filossera anche a San Severo, ma la difficoltà non è come fronteggiare questa calamità, ormai le soluzioni si conoscono, ma queste sono molto costose e non tutti possono affrontarle. Si osserva, così, la comparsa di vigneti a filari, mentre per le uve bianche il Bombino e per quelle rosse il Montepulciano.

Considerata la difficile situazione e le crisi ricorrenti, nel 1910 la superficie coltivata a vigneti supera i 9000 ettari e il basso prezzo dei vini attira i commercianti forestieri, spesso di Barletta. Questi sostengono importanti investimenti a San Severo, realizzando magazzini nelle vicinanze della stazione ferroviaria, dotandosi di cantine proprie per vinificare le uve acquistate ed inoltre, essendo abili artigiani, diffondono nel territorio il corretto sapere sulla costruzione delle botti per la conservazione e lavorazione del vino.

Raffaele Fraccacreta87 diventato nel 1909 deputato al Parlamento, riesce ad ottenere molte facilitazioni per lo scalo ferroviario e per i treni merci straordinari che trasportano i prodotti sanseveresi verso il nord, riuscendo a spedire fino a 900 ettolitri di vino al giorno. All’epoca il trasposto delle botti, dalla cantina alla stazione avveniva mediante carretti, quindi, avere uno stabilimento nelle