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Dai dati analizzati è emerso come la popolazione di studenti di medicina veterinaria che sono stati intervistati sia poco omogenea in particolar modo per quel che riguarda il genere, che vede una forte maggioranza delle donne rispetto agli uomini. Se si prendono a confronto i dati sugli iscritti alle università italiane nell’anno accademico 2016/2017 (dati ISTAT) vediamo che il 55% degli iscritti è di genere femminile ed in particolare gli iscritti a corsi di laurea di discipline scientifiche sono rappresentati solo al 37,9% da donne. Questa forte differenza di genere tra uomini e donne è stata spesso rilevata anche in altri studi effettuati sugli studenti di medicina veterinaria in tutto il mondo come ad esempio negli Stati Uniti d’America (Serpell, 2005), Australia e Nuova Zelanda (Cornish et al., 2016; Verrinder & Phillips, 2014), Croazia (Ostović et al., 2016) nei quali si è registrata una popolazione di studenti composta dal 60 fino all’80% da donne. Appare quindi esservi un trend chiaro e costante dell’aumento del numero di iscritti di genere femminile (Lofstedt 2003;Irvine & Vermilya, 2010) all’interno delle facoltà di medicina veterinaria. Non si hanno dati utili, all’interno di questo studio, per determinare a cosa sia dovuto questo trend ma è possibile ipotizzare che la popolazione di nuovi iscritti dipenda, almeno in parte, dalle aspettative lavorative future e dalla figura del medico veterinario odierno nell’immaginario collettivo. In passato la figura del medico veterinario era maggiormente associata con il lavoro in allevamento con grandi animali, all’opposto del medici veterinari contemporanei, dei quali la grandissima maggioranza svolge il proprio lavoro a contatto con animali da compagnia. Alcuni studi hanno visto come vi sia una spiccata preferenza degli uomini a scegliere carriere legate ad attività di sfruttamento di animali (Serpell, 2005) ipotizzando che questo possa essere dovuto a pregiudizi verso le colleghe donne in un’ambiente storicamente dominato dagli uomini che le porterà quindi ad allontanarsene, o che queste scelgano di lavorare in altri ambiti per la loro capacità di dimostrare più preoccupazione per il benessere degli animali. È quindi possibile che questo fattore, assieme ad altri (che vedremo di seguito) quali l’ambiente nel quale le persone vivono maggiormente e i contatti precoci con animali, influenzi le scelte lavorative e di studio.

L’analisi dei dati raccolti conferma quello che è stato visto in altri studi, ovvero come il sesso sia il fattore più predittivo e costante per valutare la capacità degli studenti di percepire il benessere animale. Le medie dei valori ottenuti da uomini e donne considerando la scala likert applicata nelle affermazioni della domanda 18 vede le donne ottenere quasi sempre punteggi più alti rispetto agli uomini. Quale sia il motivo dietro al fatto che le donne mostrino più attenzione nei confronti del benessere animale è stato largamente ipotizzato ma è difficile, se non impossibile, da dimostrare; le motivazioni potrebbero risiedere in fattori biologici, o essere dovuti alla struttura del cervello, ai valori morali ed etici (Maria, 2006), del loro ruolo nella società (PEEK, BELL,

& DUNHAM, 1996) o della percezione del mondo (Herzog et al., 1991; Knight, Vrij, Cherryman, & Nunkoosing, 2004; Kruse, 1999; Pifer et al., 1994).

Altri dati particolarmente interessanti riguardanti le caratteristiche della popolazione intervistata sono quelli che ci descrivono una popolazione fortemente concentrata attorno agli ambienti urbani (il 42,5% dichiara di aver vissuto prevalentemente in ambiente urbano e il 29,3% in ambiente sub-urbano, per un totale di 71,8%) in cui appena il 26,8% dichiara di aver vissuto in ambiente rurale. Questo dato assume molta importanza nel comprendere i risultati ottenuti quando è stato chiesto agli studenti di segnalare con quali specie animali avessero avuto contatti ed esperienze prolungate. L’assoluta predominanza di coloro che hanno avuto esperienze con cani e gatti (79,3% e 63,2%) seguiti da vicino da piccoli mammiferi e pesci (47,2% e 41,5%) contrasta fortemente con il numero molto più ridotto di persone che hanno avuto contatti con pollame e cavalli (22,5% e 20,3%) e i pochissimi che abbiano vissuto esperienze prolungate a contatto con bovini e suini (8,9% e 5%). L’immagine che si viene a costruire è quindi quella di una popolazione con poca familiarità con quegli animali che sono tradizionalmente conosciuti come “animali da fattoria” ed in particolar modo con quelli più tipicamente sfruttati per le produzioni animali quasi esclusivamente in grandi allevamenti. Altri studi condotti su studenti di medicina veterinaria (Ostović et al., 2016; Serpell, 2005) suggeriscono che le esperienze con determinate specie animali influenzino la futura scelta lavorativa, per cui l’esperienza diretta e prolungata, in particolare nell’adolescenza, predisporrebbe le persone a desiderare di condurre la propria carriera lavorativa proprio a contatto con le stesse. Questo è coerente anche con i dati raccolti nel presente studio, dove vediamo il 32,6% degli intervistati interessati a svolgere il lavoro di medico veterinario nell’ambito degli animali da compagnia contro coloro che desiderano invece lavorare con cavalli, animali esotici e animali da reddito che rappresentano rispettivamente il 7,8%, 7,3% e 5,5%. Non è trascurabile, a riguardo di questo dato, il fatto che la maggioranza degli studenti (che acconta al 34,3% degli intervistati) abbia espresso il desiderio di occuparsi, una volta laureato, di “più specie animali”, ma non essendo possibile determinare con esattezza a quali specie siano orientati coloro che hanno scelto questa opzione si potrebbero fare solo speculazioni. È però mio parere personale che in quasi tutti questi casi gli studenti volessero esprimere il desiderio di lavorare con “animali da compagnia” insieme ad una delle altre opzioni e che quindi, se fosse stato possibile esaminare più nel dettaglio questo dato, la percentuale di coloro che intendono lavorare in futuro con gli animali da compagnia, rispetto alle altre, sarebbe stata ancora maggiore. In aggiunta, molti studi condotti hanno osservato un collegamento tra esperienze di vita o lavoro in fattoria ed in ambienti rurali con una ridotta preoccupazione per i diritti degli animali ed i problemi di benessere animale (minor avversione alla caccia, all’uso di trappole, all’utilizzo di animali vivi per addestramento dei chirurghi ed, in generale, una visione più utilitaristica degli animali) (Bjerke et al., 1998; Herzog et al., 1991; Hills, 1993).

Le considerazioni che si possono fare alla luce di questi risultati sono in primo luogo che gli studenti hanno avuto, nel corso della loro vita, maggiori rapporti con animali da compagnia e che quindi ne hanno una maggiore conoscenza rispetto ai grandi animali ed agli animali da fattoria. Questo, come è stato precedentemente discusso, andrà inevitabilmente a condizionare la percezione del benessere animale in modo profondamente differente a seconda delle specie che vengono considerate. È inoltre possibile ipotizzare che la già discussa differenza di genere tra gli iscritti in medicina veterinaria sia legata anche a questi dati: la preferenza osservata negli uomini a scegliere carriere legate alla gestione ed allevamento di animali in ambiti di sfruttamento può aver condizionato la scelta di coloro che, volendo appunto proseguire in attività legate a queste tipologie di animali, non hanno individuato nella medicina veterinaria una scelta di studio consona al raggiungimento di questo scopo in quanto l’idea che si ha del medico veterinario odierno è proprio quella del lavoro con animali da compagnia, portando quindi coloro che sono interessati ad attività differenti (e che si suppone siano in maggioranza uomini) a scegliere indirizzi di studio o lavorativi diversi. È necessario però ricordare che non è lo scopo di questo studio quello di indagare questi argomenti e non si hanno quindi dati precisi a supporto di queste ipotesi.

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