• Non ci sono risultati.

Nei capitoli precedenti ho cercato di analizzare tutti i problemi che si pongono al momento di utilizzare un modello morfodinamico: ho così cercato di evidenziare i campi di applicabilità, le scale spaziali e temporali, gli schemi geometrici, gli aspetti di calibrazione e verifica e le metodologie di applicazione.

Ho anche tentato di introdurre alcune problematiche attuali, quali il coupling e l’approfondimento della fisica dei granuli sedimentari, che fanno parte dei temi di sviluppo presenti e futuri di cui si stanno occupando importanti istituti di ricerca.

Rileggendo ciò che ho scritto, ho avuto però l’impressione che l’analisi critica “feroce” a cui ho sottoposto ogni problematica potrebbe venire forse intesa in senso negativo, come se avessi detto che il range di variazione è talmente elevato da rendere inutile la simulazione della morfodinamica con modelli matematici. Non è certo così: volevo semplicemente affermare che ogni singolo caso va studiato attentamente, confrontando ciò che stiamo modellando con la realtà fisica dell’area.

Mi sono, allora, posta la seguente semplice domanda, che deriva dalla lettura di una relazione tecnica, relativa al Golfo del Tigullio: cosa significano “300000 m3/anno” di sedimento che si muovono lungo il litorale?

Mi sono così immaginata un “campo” di 3000x100 m2 riempito di sabbia per 1 m

d’altezza, che si muove, ogni anno, lungo il litorale. Essendo il Golfo del Tigullio un’unità fisiografica chiusa (non entra e non esce nemmeno un granello di sedimento), tale campo in moto dovrà pur fermarsi da qualche parte: troverò così, in qualche posto, una bellissima spiaggia di sabbia….ma dove? È ben noto che la stragrande maggioranza del litorale è in forte erosione, e che le spiagge esistenti sono quasi tutte artificiali……dove sono andati a finire allora i 300000 m3/anno?

Mi sono dunque resa conto che tali valori, anche se calcolati in buona fede da qualche modello, sono difficilmente credibili. A questo punto cosa possiamo pensare di fare? Ho scoperto che esiste un metodo semplice che si chiama “analisi di sensibilità” e che viene usato quando si opera con modelli non calibrati.

Nel caso che ci interessa, cioè lo studio dell’erosione, l’analisi di sensibilità potrebbe essere effettuata come segue.

Il primo passo potrebbe consistere nell’utilizzare gli indici previsori per avere un’indicazione qualitativa dello stato di un litorale: se tutti gli indici previsori forniscono gli stessi risultati, ad esempio tendenza all’erosione, si passa poi all’utilizzo di un modello a macroprocesso, scegliendo accuratamente le sezioni in cui effettuare i calcoli. Se il nostro litorale in erosione si estende da A a B, sarà opportuno studiare almeno due sezioni, una ubicata in A e l’altra in B.

Cosa mi aspetto? Che se il litorale è in erosione, i risultati del modello a macroprocesso evidenzino una perdita di sedimenti nell’area, cioè che i volumi di sedimento entranti siano inferiori a quelli uscenti. Se ciò avviene, comincio a cercare di quantificare meglio i vari output, esaminando ad ogni passo i risultati e chiedendomi se sono numeri realistici per l’area in esame.

L’energia dell’onda, la sua direzione di incidenza al largo e a costa, la sua variabilità nelle sezioni considerate, la profondità e la tipologia di frangimento sono compatibili con quanto conosco dell’area? Se la risposta è affermativa posso cominciare a scrivere i risultati.

A questo punto inizio a modificare i parametri di input, uno per volta, partendo da quelli meno “certi”: ad esempio, la normale a costa che ho considerato è identica per tutte le

isobate? Se non lo fosse, assumo la normale all’isobata entro la quale avviene la maggioranza del trasporto: se, ad esempio, il modello mi ha mostrato che il 90% del trasporto avviene entro i 4 m di profondità, è evidente che il flusso sedimentario sarà dominato essenzialmente dalle caratteristiche dei fondali antistanti i 4 m. Considero quindi come “nuova” normale a costa l’orientazione delle isobate antistanti tale profondità.

Faccio di nuovo girare il modello e trascrivo ancora i risultati.

Insomma, mediante un processo iterativo e allo stesso tempo interattivo, in cui ogni volta modifico un parametro, arrivo ad un quadro completo delle variazioni attese e riesco anche a “pesare” l’effetto di ogni singolo termine: in altre parole ho analizzato la “sensibilità del litorale” rispetto ai vari termini forzanti e alle sue caratteristiche morfologiche e mi sono creata una “mia sensibilità” alle condizioni locali e alle relazioni di causa-effetto tra i vari parametri.

Il range di valori di trasporto così studiati sono quelli “potenziali”, dipendenti cioè dalle caratteristiche del moto ondoso incidente e dalle peculiarità morfologiche: se il fondale fosse roccioso ed il sedimento fosse assente il trasporto reale sarebbe nullo!

A questo punto, ho a disposizione tutto l’insieme di valori dei differenti parametri ottenuti in uscita, e posso finalmente confrontarli con la realtà locale.

A titolo d’esempio, supponiamo, come nel caso del litorale di Chiavari che sarà discusso nei capitoli successivi, che il porto rappresenti una trappola dei sedimenti che vanno ad accumularsi all’imboccatura e che necessiti di periodici dragaggi ed ipotizziamo che i valori dragati siano mediamente dell’ordine di 10000 m3/anno.

Dall’attento esame delle caratteristiche locali della spiaggia, sappiamo anche che non esistono altre aree di deposizione e che il molo del porto è ubicato su fondali di 10 m, profondità corrispondente al limite esterno della surf zone. Il trasporto longitudinale avviene quindi entro tale limite.

Pur ammettendo che una frazione dei volumi disponibili riesca a uscire dalla surf zone e vada definitivamente persa, è ovvio che i 10000 m3/anno rappresentano un ordine di

grandezza di cui tener conto: dalla nostra tabella che evidenzia i ranges di trasporto possibile, provvederemo quindi a considerare solo valori dello stesso ordine di grandezza. E questa è già una scelta ragionevole.

A questo punto, l’ideale sarebbe confrontare i risultati del modello con valori di trasporto ottenuti da formule differenti, anche più semplificate e più comuni, per poter effettuare al meglio scelte e confronti.

Ad esempio, i risultati precedentemente presentati nelle Tab. 6.1-6.2 del Par. 6, sono stati confrontati con i valori di trasporto longitudinale netto annuo (m3/anno) calcolati

con il modello a macroprocesso TRALIT, applicato allo stesso profilo ed assumendo le stesse caratteristiche di esposizione al moto ondoso incidente.

Partendo da un d50 di 1mm, il TRALIT descrive un trasporto pari a circa 80000 m3/anno.

L’analisi critica dei risultati messi a confronto mi ha permesso, quindi, di selezionare le combinazioni che sembravano fornire valori verosimili di trasporto (evidenziate in giallo nelle Tab. 6.1-6.2).

Il concetto credo sia chiaro: più analizziamo e confrontiamo, usando sempre il buon senso e non dimenticando mai la realtà, più eviteremo la possibilità per i modelli di “dare i numeri”. Sta a noi accorgercene e cercare di individuare la strada da percorrere, tenendo sempre presente tra quali percorsi possiamo scegliere e perché.

Documenti correlati