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7. Conclusioni

7.1. Analisi sincronica

I dati hanno messo in luce una preponderanza della frase infinitiva retta da predicati idonei alla selezione del C (ossia: epistemici, fattivi e volitivi) (cap. 4). Questo è dovuto in parte alla predilezione per la paratassi ed i costrutti brevi, specialmente nel parlato. L'analisi dei costrutti retti dal verbo modale a ristrutturazione volere come monoclausali (v. Cinque [2004]) spiega la preferenza per la frase infinitiva ed il dominio assoluto di questa strategia nei contesti volitivi. Nei costrutti biclausali, con verbi come sperare di o pensare di, l'infinitiva occorre nei contesti in cui la subordinazione darebbe luogo a fenomeni di obviation, ossia alla coindicizzazione fra soggetto della frase matrice e soggetto della frase incassata.

Nella subordinazione esplicita prevalgono i contesti di tipo epistemico, attestando una preferenza dei parlanti per un utilizzo dei verba putandi in prima persona. Da un punto di vista pragmatico, la prevalenza di verbi come credo o penso potrebbe denotare una tendenza dei parlanti a trasmettere una parvenza di soggettività per prevenire eventuali interventi correttivi da parte dell'interlocutore. I contesti in terza persona sono meno frequenti e prevalgono nei fattivi con enunciati impersonali introdotti da un soggetto espletivo implicito. Spesso il C fattivo è realizzato mediante la locuzione il fatto, sia in posizione iniziale, sia interna di frase. Per quanto riguarda altri tipi di contesti, è stata ritenuta significativa la presenza di relative (potenzialmente) indefinite e subordinate rette da sintagmi nominali, quantificatori, complementi infinitivi con verbi a ristrutturazione, gerundi e, in particolare, dalla locuzione non è che. Inoltre, è stato importante rilevare la presenza di parentetiche e frasi dislocate, in quanto la loro analisi ha permesso una comparazione fra i contesti di potenziale C in base alla collocazione degli elementi nella frase.

Come abbiamo visto nel corso dell'indagine, il C resta la scelta più consueta in quasi tutti i contesti idonei. Rispetto alla quantità degli esempi con complementatore esplicito, la strategia con CompD è piuttosto inconsueta, ma sistematicamente utilizzata nei contesti di incassamento multiplo, con cui i parlanti evitano la ripetizione ravvicinata di che.

Complessivamente, gli altri modi verbali occorrono nei medesimi contesti del C e con un'incidenza statistica tendenzialmente proporzionale al C (v. grafico 12, cap.

3.6). Tuttavia, l'analisi più approfondita del materiale ha permesso di differenziare

alcune peculiarità nella distribuzione.

Il condizionale occorre in concomitanza con una condizione esplicita o implicita e sintatticamente prossima alla subordinata. La condizione può anche essere sintatticamente indipendente e comparire come antecedente nel discorso (v. cap

5.2.1). In questo caso emerge una funzione indessicale del condizionale che lega il

suo utilizzo al contesto conversazionale. Abbiamo visto che in questi casi il C non può assolvere le stesse funzioni poiché produce dei risultati incompatibili da un punto di vista logico, nonostante il predicato reggente sia ipoteticamente idoneo alla selezione del C. Negli esempi rilevati nel corpus, il C e il condizionale non sono dunque sovrapponibili.

Per quanto riguarda la selezione dell'indicativo futuro all'interno del corpus, possiamo affermare che questa avviene prevalentemente in contesti epistemici ed esclusivamente in concomitanza con la collocazione certa dell'eventualità nel futuro rispetto al parlante. Anche in questo caso la scelta ha valore indessicale, anche se, a differenza del condizionale, il C è sempre possibile, come abbiamo potuto constatare in vari esempi ipotetici. Tuttavia è interessante notare che non sono stati rilevati casi di C in concomitanza con locuzioni avverbiali di tempo. Pertanto, i parlanti preferiscono utilizzare il futuro in quanto ha un valore temporale più esplicito rispetto al C che, di fatto, non dispone di una forma al futuro.

Mentre la scelta del futuro e del condizionale è basata su alcuni elementi evidenti, la selezione dell'I (presente/passato) non ha motivazioni altrettanto sistematiche. Se accettiamo la definizione di Serianni per cui la sostituzione del C con l'I ha ragioni stilistiche (cfr. cap. 1), il corpus ci da modo di distinguere fra scelte stilistiche

marginali e scelte diffuse. In linea con l'indagine di Schneider [1999] sul LIP, l'I è ampiamente diffuso con i verbi epistemici in prima o in terza persona e nei fattivi con predicati impersonali. Rispetto alle analisi di Schneider, in questo corpus l'I retto da sintagmi nominali (escludendo il fatto) è più raro. Tuttavia, è probabile che questo dipenda da un'incidenza complessivamente meno significativa di sintagmi nominali reggenti36.

L'I non prevale ma è attestato in più parlanti nelle relative potenzialmente indefinite rette da sintagmi nominali indeterminati, nonostante questo produca dei risultati semanticamente discrepanti. Nelle subordinate rette da il fatto emerge una distribuzione diversa di C e I, che vede l'I maggiormente presente in concomitanza con predicati esprimenti valutazioni o bisogno, mentre in presenza del C, il fatto compare anche in posizione dislocata ed iniziale di frase. Come rilevato anche da Schneider nel LIP, l'I prevale nelle subordinate rette da aggettivi esprimenti certezza come è chiaro, è noto, è evidente e prevale in particolare quando l'operatore di negazione NEG si trova in posizione iniziale con scope frasale. Solo nel 22% dei casi i parlanti utilizzano il C, attestando l'I come modo più diffuso con la locuzione non è

che.

La scelta dell'I è marginale con congiunzioni tipiche per il C (malgrado,

nonostante, prima che ecc.) e all'interno di subordinate dislocate a sinistra. Sono

inoltre presenti ma rari i casi di I passato, anche se notiamo che i predicati reggenti richiedenti un tratto [+passato] nella subordinata sono complessivamente meno utilizzati nel corpus.

Rispetto alle strutture frasali, è emersa una prevalenza dei costrutti con soggetto esplicito, ossia frasi in cui il verbo dell'incassata non segue direttamente il complementatore, ma è preceduto da parentetiche, soggetti o clitici. Nelle subordinate con C sono altrettanto frequenti i costrutti a soggetto nullo, mentre per quanto riguarda l'I, solo nel 27% dei casi il verbo dell'incassata non è preceduto da parentetiche, soggetti o clitici. La frequenza dell'I è dunque più alta rispetto a quella del C nei contesti di pro in posizione Spec-IP, ossia di adiacenza fonetica fra verbo

36 Si intendono i sintagmi nominali di tipo epistemico, fattivo o voltivo come idea, presupposto, speranza ecc.

dell'incassata e predicato della frase reggente. Dal confronto degli esempi rilevati, sia con C, sia con I, emerge che la quantità di elementi espliciti collocati fra complementatore e verbo incassato non è un fattore che inibisce la selezione del C a livello assoluto.

Non è dunque chiaro quanto la selezione dell'I nell'incassata sia proporzionale alla distanza fra verbo e predicato reggente. Come già specificato possiamo solo affermare che si tratta di un comportamento tendenziale la cui incidenza andrebbe verificata più approfonditamente con una quantità di esempi maggiore o un'indagine teorica più mirata.

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