• Non ci sono risultati.

3. Rodari e gli anni Sessanta

3.2 Analisi di Storie di Re Mida

Prima di parlare del testo Storie di Re Mida, che si inserisce in una fase di mutamenti che ha subìto il Teatro-Ragazzi negli anni Sessanta, è necessario fare un breve excursus storico a partire dalla legge Casati del 1859. Essa, infatti, riformò in modo organico l'intero ordinamento scolastico confermando la volontà da parte dello Stato di farsi carico del diritto-dovere di intervenire a fianco e in sostituzione della Chiesa cattolica, che da secoli deteneva il monopolio dell'istruzione. Tale legge però dovette fare i conti con la disastrosa situazione dell'istruzione a livello nazionale: almeno il 75% degli italiani risultava infatti analfabeta125. Inoltre all'interno delle

scuole obbligatorie elementari del Regno d'Italia le condizioni erano penose: gli edifici erano malsani ed umidi, privi del materiale necessario e con classi fatte da più di cinquanta alunni; gli insegnanti erano pagati molto poco e rischiavano il licenziamento, inoltre avevano scarsa considerazione sociale126. In questo panorama,

mentre nella contesa tra Stato e Chiesa si cerca di accentuare il carattere laico dell'istruzione, iniziano a diffondersi nelle scuole le prima “recite scolastiche”, eredità della vecchia pedagogia gesuitica. Infatti, il fenomeno riguarda dapprima gli istituti gestiti da religiosi, perché in condizioni di privilegio rispetto alle scuole pubbliche: per anni saranno così i cattolici ad occuparsi di teatro. In questa situazione si inserisce Don Bosco che inizia a considerare l'esperienza teatrale come “sistema preventivo nell'educazione della gioventù”127, pur sottolineandone - come tutta la

tradizione cattolica faceva - gli aspetti pericolosi come le lodi con cui vengono ricoperti a fine spettacolo gli attori, oppure i costumi costosi, oltre che per la dubbia moralità di alcuni testi che venivano accuratamente evitati. Per ovviare al problema della presunta empietà di alcune opere, l'ordine salesiano (così Don Bosco aveva chiamato la sua congregazione) redige una serie di letture scelte per la loro carica educativa raccolte nella rivista “Letture Drammatiche”. È l'avvio di una produzione a stampa di testi teatrali. Già dagli anni Trenta, però, il sistema teatrale degli oratori inizia ad avvertire la crisi che toccherà l'apice negli anni Sessanta a causa del

125 P. BENEVENTI, Introduzione alla storia del Teatro-Ragazzi, cit., p. 88 126 Ibidem.

dilagare delle iniziative teatrali laiche: nel 1967 infatti la rivista salesiana chiude, mentre soltanto due compagnie operano ancora stabilmente a livello nazionale, l'Angelicum e il Carro di Tespi128. In questo clima i Teatri Stabili realizzano le prime

importanti iniziative, avvisaglie di una rinascita del teatro: nella stagione 1967-1968 lo Stabile di Torino allestisce per le scuole elementari Storie di Re Mida di Gianni Rodari; l'anno seguente anche il Piccolo Teatro di Milano, così come i Teatri Stabili di Genova e Bolzano, programmano spettacoli per ragazzi.

Ma è soprattutto a Torino che l'istituzione opera delle scelte innovative: infatti già dal 1965 aveva realizzato, con la regia di Roberto Guicciardini Storie di Arlecchino, collage di scene goldoniane incentrato sulla popolarissima maschera, che ebbe un grande successo. Questo spinse lo Stabile a proseguire sul medesimo filone teatrale che allora non aveva precedenti significativi; perciò chiese la collaborazione di Rodari. Bino Ceccon scrive a proposito di tale scelta:

I supercritici potranno sorridere per il fatto che noi elenchiamo tra le novità assolute, accanto a quelle di Moravia e di Primo Levi, anche l'opera di Gianni Rodari, scritta per il “pubblico di domani”. Non ne sorridiamo noi: i ragazzi di Torino e del Piemonte, per noi, sono già il “pubblico di oggi”129.

Storie di Re Mida racchiude tutte le “conquiste” e le idee che hanno preso forma nella mente di Rodari durante il decennio precedente e rappresentano un vero punto di partenza per l'intero teatro-ragazzi di cui lo scrittore riveste il ruolo di primo vero autore.

La storia del re di Frigia deriva dal mito greco da cui Rodari trae spunto ed ispirazione unendo forse più versioni insieme (tra cui quella di Ovidio narrata nelle Metamorfosi) e ne modifica alcuni aspetti.

Sileno, precettore di Bacco, viene abbandonato ubriaco nel roseto del re Mida dal dio che vuole fargli uno scherzo. Non appena il sovrano si accorge che qualcuno sta

128 L'Angelicum è il primo Teatro dei Ragazzi che nasce nel 1954 a Milano, diretto dal padre francescano Enzo Convalli. Il Carro di Tespi, invece, nasce a Roma nel 1962, fondato da padre Raffaello Lavagna.

129 B. CECCON, Storie di Re Mida: ragioni di una novità, in A. Mancini, M. Piatti, Il mio teatro, cit., p. 183

profanando il suo giardino, dapprima va su tutte le furie ma poi, dopo aver riconosciuto l'ubriacone Sileno, lo invita nella sua reggia; per ringraziarlo, Bacco gli promette di esaudire ogni suo desiderio. Lo stolto sovrano chiede che diventi d'oro ogni cosa che le sue mani toccheranno. Così accade ma presto iniziano le difficoltà: il Re si accorge di non poter fare nulla da solo, neppure mangiare, perché tutto si tramuta in oro zecchino. La balia svela che solo un bagno nel fiume Pattolo può farlo tornare come prima e il sovrano segue il consiglio. Dopo aver riacquistato la normalità, Mida si imbatte in due musicisti, Apollo e Marsia, di cui ignora l'identità e che gli chiedono di fare da giudice durante una gara musicale che li vede avversari. Alle armoniose melodie della lira di Apollo, il Re preferisce le commerciali canzoni dell'altro, che viene proclamato vincitore. L'ignoranza di Mida provoca l'ira di Apollo che, per punirlo, gli fa crescere due orecchie d'asino. Solo il barbiere di corte conosce il segreto e per questo viene condannato a morte; ma egli convince le due guardie e tutti fanno una buca per terra e vuotano lì il peso del segreto che condividono. Dalla buca nascono delle canne dalle quali Sileno si costruisce uno zufolo che anziché suonare delle note rivela che “Re Mida ha le orecchie d'asino”130 (p. 70). Il Re è

costretto a palesarsi nella sua vera essenza da somaro ma proprio in seguito all'ammissione ritornerà alle sue sembianze naturali.

È indispensabile, per l'analisi del testo, rifarsi ancora una volta a Vladimir Propp ed alla sua Morfologia della fiaba: infatti qui più che mai risulta significativo il richiamo alle funzioni.

La situazione iniziale, secondo Propp, si articola di solito intorno a due punti: l' “allontanamento”131 da casa di un personaggio e il “divieto imposto all'eroe”132, anche

se certe volte, avverte Propp, “il divieto può avvenire anche senza nessun rapporto con l'allontanamento”133; l'importante è che l'equilibrio di partenza si rompa. Nel caso

di questo testo non si ha un allontanamento da parte dell'eroe, cioè Re Mida (un anti- eroe, a dire la verità), bensì l'introduzione di un nuovo personaggio, Sileno, le cui azioni sono indotte da Bacco. Quest'ultimo ha ruolo di demiurgo, innesca tutta la

130 Tutte le citazioni del testo drammaturgico sono tratte da G. RODARI, Storie di Re Mida, Torino, Einaudi, 1983

131 V. PROPP, Morfologia della fiaba, cit., p. 32 132 Ibidem.

vicenda e trasforma i personaggi in burattini nelle sue mani. Ordina ai servi, indicando Sileno addormentato per il troppo bere:

BACCO. Sapete che si fa? Glielo lasciamo qui come un'esca...vediamo se abbocca. Su, datemi una mano a tirarlo giù dal carro. Fate piano, che non si svegli. (p. 7)

Bacco non agisce per pura goliardia; mentre il suo seguito sbeffeggia l'esagerato amore che Mida nutre per il roseto, Bacco dice:

BACCO. Lo so, lo so. So anche che per questa mania trascura gli affari di Stato, la famiglia, gli amici. (p. 7)

È questa la pecca del sovrano e il movente che innesca lo scherzo e che gli fa meritare la punizione.

In effetti Mida non è un buon sovrano: spesso risponde male al suo erede, il principe suo figlio, nel quale egli vede un potenziale usurpatore:

MIDA. Non tirare il ballo gli dei, in una sera come questa! Non è colpa loro se nostro figlio gioca con le bambole. Ed è un fannullone, per giunta, un mangiapane a tradimento. (p. 25)

Gli ordina spazientito: “E va a prendere la palla, cretino!” (p. 27) quando il bambino reclama il giocattolo con insistenza. Insomma non è un buon padre, ma si prende estrema cura dei suoi fiori.

Il secondo punto che evidenzia Propp è: “all'eroe è imposto un divieto”134,

avvisaglia dell'imminente catastrofe che avviene a seguito dell'infrazione del divieto stesso. Quest'ultimo può essere inteso anche come una preghiera o un consiglio da parte di qualcuno; oppure - e questo è il nostro caso - “è rappresentato da un ordine o da un invito: portare la colazione nei campi, prendere con sé nel bosco i fratellini”135.

Sileno è invitato a banchettare con il Re nel suo palazzo.

A questo punto la vicenda prosegue con il sopraggiungere della sciagura, alla

134 Ibidem. 135 Ivi, p. 33

quale siamo già stati preparati da due elementi: il primo sta nelle parole di Bacco che sin dall'inizio ha parlato di uno scherzo; il secondo in quelle della balia - personaggio che Rodari inserisce ex novo rispetto ai modelli - che mette in guardia il sovrano dalla presenza di Sileno: “Non so se questo Sileno ti vuol far navigare o naufragare. Guardatene, se ti è rimasto un po' di sale nell'acqua di rose che tieni al posto del cervello” (p. 15).

La balia merita qualche breve appunto. Ha le caratteristiche dell'aiutante, essendo lei a fornire la soluzione in entrambi gli episodi in cui il sovrano si ritrova senza apparente via di scampo, salvandolo. La prima volta gli svela il potere taumaturgico del fiume Pattolo:

BALIA. Ho chiesto qualche informazione qua e là, stamattina, se vuoi tornare un uomo intero, un uomo con due mani, non c'è che un modo: fare un bagno nel Pattolo. Le sue acque ti libereranno dalla maledizione. Gli amici a cui ho chiesto me lo hanno assicurato. (p. 41)

E poi trova la soluzione per far sparire le orecchie d'asino:

BALIA. Niente da fare, figlio mio. O meglio; una cosa sola ti resta da fare: mostrarti al popolo quale sei. (p. 59)

Il gesto di umiltà che suggerisce al Re (mostrare a tutti la sua essenza da somaro) riesce a spezzare l'incantesimo.

Oltre che aiutante, la balia ricopre il ruolo di coscienza, ricordando il Grillo Parlante di Pinocchio. Del resto, Rodari risulta molto legato al capolavoro di Collodi: già nel “Pioniere” pubblica una filastrocca a puntate sul burattino. La balia e il Grillo-parlante hanno alcune caratteristiche in comune, a cominciare dal fatto che vengono sempre messi a tacere dal protagonista, inizialmente sbruffone e presuntuoso. La balia fa il suo ingresso come il Grillo, sentenziando:

BALIA. (si affaccia da una finestra) Hei hei...laggiù. Basta così. La serenata è finita. Se siete grilli, ritiratevi nella vostra tana, se siete ranocchi, rituffatevi nel vostro stagno puzzolente, e se siete

gente con la testa sulle spalle, andate a posarla su un cuscino, o scenderò a pettinarvela con la scopa...Via via, a letto. Vi sembra l'ora adatta per trasformare una reggia in un'osteria? (p. 14)

Mentre il Grillo parlante di Pinocchio dice:

Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori e che abbandonano capricciosamente la casa paterna! Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente136.

Interessante è la didascalia che prescrive che la balia si affacci alla finestra, che assuma dunque una posizione sopraelevata, come quella del Grillo-parlante che si arrampica al muro; in questo modo entrambi risultano separati dal resto di personaggi ipocriti.

Le parole di Re Mida che caccia via la balia, “Balia, balia! Va' a dormire e lasciaci in pace! Su, su, dimentichiamo le tristezze e le balie […] e la balia maledetta non si faccia più veder!” (pp. 15-16), riecheggiano quelle di Pinocchio in procinto di tirare la martellata al Grillo: “Canta pure, Grillo mio, come ti pare e piace”137; e ancora

“Bada Grillaccio del mal'augurio!...se mi monta la bizza, guai a te!”138.

Infine i due “aiutanti”, in principio bistrattati, nel finale vengono rivalutati dai protagonisti, che si pentono del loro precedente comportamento.

Proseguiamo ora con le funzioni di Propp.

Dopo il danno arrecato all'eroe, si ha la cosiddetta “menomazione”139: l'iniziale

dono che Bacco concede a Mida diventa presto una beffa. Questa è una funzione di straordinaria importanza poiché con essa ha inizio l'azione narrativa vera e propria: il successo del premio-beffa è per questo centrale. Secondo la versione di Ovidio nelle Metamorfosi fu proprio Bacco a far scegliere a Mida il premio140; così avviene anche

in Rodari, il quale inserisce una piccola gag che serve a ritardare il momento

136 C. COLLODI, Pinocchio, Milano, Dispac, 1991 p. 17 137 Ibidem.

138 Ivi, p. 18

139 V. PROPP, Morfologia della fiaba, cit., p. 37

140 A. LUISI, Il Re Mida punito dagli dei, in M. SORDI, Responsabilità e vendetta nel mondo antico, Milano, Vita e Pensiero, 1998, p. 13

centrale. Infatti, Mida decide di telefonare direttamente a casa di Bacco (l'Olimpo) per avvertirlo che l' amico Sileno si trova alla sua reggia, ma nel fare questo sbaglia più volte numero incappando prima in Marte, poi in Venere, entrambi assai infastiditi dall'errore. Finalmente contatta il dio giusto che gli svela d'averlo sottoposto a una prova e gli offre un dono:

BACCO. Ti ho parlato di una piccola prova, di un esperimento. Tu sei stato gentile e paziente con il mio amico. Non ti sei irritato perché ti calpestava le rose, non ti sei offeso perché ti parlava da ubriaco; eri perfino disposto ad imparare la sua insulsa canzone. Insomma, hai agito come dovevi. Perciò meriti un premio: chiedi e avrai. (pp. 20-21)

La richiesta di Mida la sappiamo: “Voglio che tutto ciò che io tocco diventi immediatamente oro” (p. 21); e come Ovidio descrive il Re che tocca tutto quel che gli capita a tiro per testare il funzionamento del suo potere (“tangendo singula temptat”141), così Rodari crea una piccola rassegna dei miracoli che il suo tocco

produce. È lo stesso Mida, anzi, che presenta le sue strabilianti capacità pavoneggiandosi dinanzi a tutta la corte, in un crescendo di senso di potere:

MIDA. Guardate tutti; guarda anche tu, balia. Bacco ha infuso nelle mie mani un dono straordinario, un potere che gli uomini sognano da millenni è incarcerato nel mio indice. La mia unghia ne sa più di tutti i filosofi, di tutti gli scienziati, di tutte le balie messe insieme. Essa toccherà questo annaffiatoio e lo trasformerà in...oro! (p. 26)

O ancora, da vero performer:

MIDA. Ora debbo pensare al mio mignolo. Esso mi è sempre rimasto fedele, attaccato...Qualcuno di voi mi è più attaccato del mio mignolo? Merita una ricompensa adeguata. Che cosa c'è di grande abbastanza per lui? Quella colonna...Ecco, sfiorala appena

141 La traduzione è di Piero Bernardini Marzolla: “Cominciò a toccare questo e quello” in OVIDIO,

ed essa diventerà...d'oro!

[…] La tua collana, ecco. E questo bicchiere...e questa bottiglia...e questo vaso. (pp. 26-27)

L'atteggiamento del sovrano e il compiacimento verso se stesso provocano una certa ironia amara nello spettatore che già sa come andrà a finire la faccenda e si aspetta il capovolgimento della situazione da un momento all'altro con il conseguente passaggio dall'amore smodato di Mida per l'oro all'odio per i suoi stessi poteri.

Per un po' egli continua con i prodigi, in un crescendo di stupore da parte degli astanti, che chiedono la conversione in oro di quanto posseggono: “Maestà il mio bastone!/Il mio amuleto, Mida!/ La mia tunica!/ Questo sasso, maestà!” (p. 27). I miracoli si moltiplicano, come la presunzione del Re che adesso usa i suoi poteri a scopi vendicativi, come quando trasforma in oro la lingua di un cortigiano, per castigarlo di un torto passato. Questo gesto di ubris preannuncia però l'imminente catastrofe, insieme agli interventi della balia che, da buon Grillo-parlante, continua ad ammonire il sovrano:

BALIA. Pazzo, tre volte pazzo!

Se questo, come dicono, è il premio di Bacco per la tua ospitalità, debbo pensare che Bacco abbia giurato la tua rovina. […]

Non ho mai visto uno stolto più stolto e un pazzo più pazzo. Era tutto preparato per infinocchiarti e tu ci sei cascato come una mosca nel miele. […]

Io non ti chiederò nulla, pazzo che non sei altro. Sarai tu a chiedere a me. (p. 27)

I problemi infatti iniziano quando si accorge che anche il cibo che tocca si tramuta in oro: il vino, le lenzuola, perfino le sue rose. Avvengono i primi ripensamenti: “Ah, forse l'oro è stupido” (p. 32), dice ad un tratto. A fargli da contraltare c'è però la Regina, una vanitosa materialista che entra in scena cosparsa di creme di bellezza e bigodini. Per lei la capacità di produrre oro è quanto di meglio si possa desiderare; ignorando il dispiacere del marito per una sua rosa divenuta d'oro, esclama:

REGINA. Quant'è bella! Me ne posso fare una spilla, Dino?

natura è stupida, e le rose non fanno eccezione. (p. 32)

Perciò alla Regina non dispiace diventare la badante del marito, che deve imboccare e vestire: la ricompensa in oro rappresenta un'ottima consolazione, e alle lamentele di Mida risponde: “Fai un piccolo sacrificio, amore bello! Fallo per la reginetta tua...” (p. 35), mentre domanda se la sua collana d' argento può essere tramutata in oro zecchino.

La lezione arriva, ovviamente, dalla balia (si scopre a questo punto il suo nome- parlante: Sofia, ovvero saggezza) che -dopo una lunga dissertazione sull'essere e l'avere- convince il sovrano ad andare a bagnarsi nel fiume Pattolo le cui acque porteranno alla “rimozione della sciagura”142.

MIDA. Viva il ferro, viva i sassi, il carbone, il bronzo, il rame, viva l'erba, viva il prato, viva il pane col salame. (p. 48)

Una nuova prova attende però il sovrano che si sta allontanando trionfante dal fiume: Marsia (suonatore di flauto) e Apollo (suonatore di lira) propongono all'ignaro Mida di fare da giudice durante una gara di musica. Il Re viene così messo alla prova143 di nuovo.

È subito evidente l'ignoranza del Re, che viene sottolineata dall'osservazione del ciambellano:

CIAMBELLANO. Mi pare, se la vostra maestà mi consente, che il giudizio si presenti alquanto difficile. Mi domando, per cominciare, se la gara sia perfettamente legale.

Se questi signori suonassero entrambi il flauto o entrambi la lira, paragonare le loro rispettive abilità sarebbe quanto mai semplice. Ma essi suonano due strumenti diversi. Quale sarà il criterio di giudizio? (p. 50)

Dinanzi a queste legittime perplessità il Re Mida non si scompone, anzi risponde:

“Ih, ma quanto la fai complicata!” (p. 50); e dichiara così aperta la competizione. Le sue orecchie non sono abituate a sentire che musica commerciale e di poco valore; per questo resterà entusiasta dal motivetto di Marsia, sicuramente ritmato, con le caratteristiche del tormentone orecchiabile, ma le cui parole insensate la dicono lunga sul suo valore:

MARSIA. Berenice fatti in là, un po' più in là, un po' più in là, Berenice fatti in là,

ah, sì sì, ye ye, in là... (p. 50)

La composizione di Marsia, che deve colpire un orecchio inesperto, viene descritta così dalla didascalia di Rodari:

Bisogna scegliere con molta attenzione una musica grossolana, tra tarantella e Beatles, ritmo e tormentone, melodia zorra, un bel terzinamento per condire il tutto. (p. 51)

È poi il turno di Apollo, che si esibisce in un “brano di musica classica, possibilmente severo” (p. 52) facendo addormentare tutti gli astanti tranne gli schiavi, che così assistono alla trasfigurazione del dio che appare in tutto il suo splendore. Ridestatosi, il sovrano esclama:

MIDA. Mamma mia che lagna. Figliolo caro, il tocco non ti manca, ma il tuo repertorio è uno sfacelo. Ti ho forse chiesto di farmi dormire? […] eh, no, non ci siamo...non ci siamo proprio. Devi aggiornarti un pochino, non siamo più ai tempi di Deucalione

Documenti correlati