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Teatro e immaginazione: il percorso drammaturgico di Gianni Rodari tra anni Cinquanta e Sessanta.

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Academic year: 2021

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Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo. G. Rodari

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Indice

Introduzione p. 3

1. Cenni biografici di Gianni Rodari p. 6

2. Gli anni Cinquanta: Rodari ed il Manuale del Pioniere p. 14 2.1 Analisi di Gli esami di Arlecchino, Pulcinella e

Colombina, con Stenterello aiutante del Dottor Dulcamara p. 20 2.2 Analisi de Il tamburino magico e

Il vestito nuovo dell'imperatore p. 30

3. Rodari e gli anni Sessanta p. 45

3.1 Analisi di Caccia a Nerone. Un atto per ridere. p. 51

3.2 Analisi di Storie di Re Mida p. 60

3.2.1 Brevi cenni sul Teatro-Ragazzi p. 76

4. Conclusioni p. 79

5. Appendici p. 81

6. Bibliografia p. 99

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Introduzione

Quando si pensa a Gianni Rodari vengono in mente le sue Favole al telefono, op-pure le Filastrocche in cielo e in terra o al massimo La grammatica della fantasia; ripensiamo alle storie in rima che sono state insegnate, in particolare alla mia genera-zione, durante le scuole elementari quando le maestre, seppur in modo sommario, parlavano ai bambini dello scrittore e delle sue opere. Pochi conservano un vago ri-cordo di tali testi, molti non ne conoscono l'importanza. Rodari viene, così, confinato nel territorio poco indagato della “letteratura per l'infanzia”, la cui definizione è sem-pre in bilico tra l'opinione comune, che la vuole pensata e scritta per i ragazzi e il pensiero crociano, in cui “la letteratura per fanciulli non è mai quella che gli scrittori scrivono, ma quella che i fanciulli, nel leggere, accettano e fanno propria, scelgono e prescelgono1”.

Per questo, quando si tenta di dare a Rodari una collocazione nella letteratura del Novecento, il primo problema in cui ci si imbatte è di comprendere le precise moti-vazioni per cui il rilievo a lui concesso dalla nostra storiografia letteraria più recente sia stato fino ad ora inferiore alla sua reale portata. Basti pensare al rapporto che lo lega al teatro, tanto innegabile quanto però poco indagato: egli, infatti, per tutta la sua vita ha scritto drammaturgie, maturando al riguardo un pensiero critico e teorico.

L'impegno teatrale di Rodari, sebbene spesso appaia come del tutto occasionale, ha dato un fondamentale contributo alla pratica del Teatro-Ragazzi2 proprio per il

metodo e i propositi che comprendono intenti pedagogici :

Ho sempre creduto […] che il teatro deve nascere a teatro. Scrivere un testo teatrale non è come scrivere una favola. Non basta il voca-bolario. Le poche volte che ho disobbedito a questo avvertimento, pretendendo di poter usare il linguaggio del teatro scrivendo a

ta-1 B. CECCON, Storie di Re Mida: ragioni di una novità in A. MANCINI, M. PIATTI, Il mio teatro,

dal teatro del “Pioniere” a La storia di tutte le storie, Corazzano (PI), Titivillus, 2006 p. 181

2 Questa definizione è il risultato di un'accesa polemica che divampa in Italia nei primi anni Settanta. Essa vedeva contrapporsi il teatro dei ragazzi al teatro per i ragazzi, il primo visto come un'attività professionale riconosciuta, il secondo come esibizione scolastica davanti ad un pubblico di genitori. Si è deciso, poi, di abolire salomonicamente la preposizione e parlare solo di Teatro-Ragazzi, con tutte le ambiguità che tale definizione conserva.

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volino, mi sono trovato malcontento3.

Il fulcro del pensiero di Gianni Rodari sta nell'idea di un teatro dinamico caratte-rizzato dall'osservazione attenta della realtà quotidiana, “senza schemi paralizzanti, senza mortificanti pregiudizi, senza veli di falso ottimismo”4, e da una ricerca

inde-fessa sulla fantasia, sulla creatività come componente fondamentale dell'attività co-gnitiva.

Cercheremo di analizzare l'articolato rapporto che lo scrittore intesse con l'imma-ginazione, muro portante della sua poetica, e la sua capacità nello sfruttare questo elemento all'interno delle proprie creazioni e nell'usarlo per stimolare le menti dei lettori e dei bambini in generale. Rodari difende il diritto di ogni bambino a giocare con la fantasia “esercitando la capacità di cambiare, ribaltare, rivoluzionare, fare il mondo nuovo, cambiare le cose”5, il totale rivoluzionamento dei ruoli, insomma. Il

suo teatro parte da qui.

La sua produzione drammaturgica, molto vasta, si sviluppa in un ampio periodo che va dal 1949, quando scriveva nel supplemento de “L'Unità” di Milano (“La do-menica dei Piccoli”) firmandosi Lino Picco, fino al 1977, anno in cui si svolge l'espe-rimento teatrale La storia di tutte le storie a La Spezia. Si tratta di molti anni durante i quali Rodari matura un'idea di teatro sempre più legato ad intenti pedagogici, svi-luppa delle tematiche attuali e si inserisce all'interno delle attività scolastiche propo-nendo, proprio attraverso la pratica teatrale, un nuovo concetto di scuola. Il suo ob-biettivo è trasformare la permanenza del bambino nelle aule in un'esperienza non pe-nosa, e gli insegnanti in educatori, ovvero utili sostegni che, da dispensatori dei valo-ri dominanti, diventino creatovalo-ri di cultura, insieme ai propvalo-ri alunni, affinché “la tra-smissione della conoscenza non debba essere per forza qualcosa di tetro”6.

Abbiamo scelto di soffermarci sulla produzione drammaturgica degli anni

Cin-3 G. RODARI, Gli esami di Arlecchino, Teatro per ragazzi, Einaudi, Torino, 1987, p.175

4 Le parole sono di Ada Marchesini Gobetti e si trovano in A. MANCINI, M. PIATTI, Il mio teatro,

Dal teatro del “Pioniere”a La storia di tutte le storie, cit., p. 185

5 M. LODI, Là dove si usa la fantasia, in M. ARGILLI, L. DEL CORNO, C. DE LUCA (a cura di),

Le provocazioni della fantasia, Gianni Rodari scrittore ed educatore, Editori Riuniti, Roma, 1993,

pp. 200, 201

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quanta e Sessanta perché in questi anni vengono portate a maturazione le caratteristi-che distintive della scrittura di Rodari e le sue convinzioni in merito al ruolo del tea-tro nei confronti dei ragazzi. Non a caso, è negli anni Cinquanta che vedono la luce la maggioranza dei suoi testi e questo decennio rappresenta, da un punto di vista te-matico, l'incontro tra la vena creativa dello scrittore e la tradizione culturale sedimen-tata nell'immaginario collettivo: Rodari sfrutta, infatti, le maschere della Commedia dell'arte (Gli esami di Arlecchino, di Pulcinella e Colombina, con Stenterello aiutan-te del dottor Dulcamara), rivisita le fiabe della tradizione popolare (La finta addor-mentata nel bosco), si diverte con uno dei più famosi testi di Hans Christian Ander-sen (Il vestito nuovo dell'imperatore), compie cioè una sorta di intrusione in un cam-po, il “teatro per bambini”7 (come amava chiamarlo lui), di solito riservato ai registi,

agli attori e, al massimo, agli educatori. Tale intromissione ha inizio con l'esperienza del Manuale del pioniere, primo intervento di Rodari sulla sua idea di teatro, dove ri-sulta già lampante l'interesse dello scrittore nei confronti del ruolo “filodrammatico” che assumono i bambini. Vi enumera inoltre i vantaggi di un teatro per ragazzi: la possibilità di valorizzare piccoli artisti, talenti popolari che non avrebbero modo di esprimersi; l'occasione di fare un'opera educativa sui giovani e sull'intero pubblico.

La ricerca si concluderà sul testo scritto nel 1967 Storie di Re Mida, non perché esso sia l'ultimo a meritare accenni e studi, ma perché il primo a farsi notare nel vasto panorama del Teatro-Ragazzi, una timida spia che invita a credere in un teatro diver-so, fatto appositamente per il “pubblico di domani”.

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1. Cenni biografici di Gianni Rodari

Il nome di Rodari viene speso nelle occasioni più disparate e costi-tuisce in molti casi una sorta di garanzia di 'autenticità' del prodotto che lo utilizza […], dietro l'apparente facilità dei testi esiste, però, un autore complesso che non merita strumentalizzazioni, ma anali-si puntuali, che non ha bisogno di frettolose raccolte antologiche, ma di letture globali.

Pino Boero, Una storia tante storie8.

Gianni Rodari nasce il 23 ottobre 1920 a Omegna sul lago d'Orta, in provincia di Novara, dove i genitori, originari della Val Cuvia (nel varesotto), si trasferiscono per lavoro. Il padre si chiama Giuseppe, esercita l'attività di fornaio nella centrale via Mazzini ed è alle seconde nozze quando si sposa con la trentasettenne Maddalena Aricocchi: dal matrimonio precedente ha già un figlio di dodici anni, Mario. Dalle nuove nozze nascono Gianni, che viene messo a balia appena nato (dato che la madre non può accudirlo essendo impegnata ad aiutare il marito in negozio) e dopo un anno Cesare9.

Gianni, ad Omegna, frequenta le prime quattro classi delle elementari mostrandosi un bambino poco socievole; le sue simpatie, più che altro, sono rivolte al fratello Ce-sare (prediletto rispetto all'altro, Mario, più grande e quindi più distante anche nelle confidenze) sebbene non lo segua nelle sue scorribande con gli altri bambini. Infatti, ciò che Gianni predilige sono le letture solitarie nel cortile di casa, dove si rifugia per non essere disturbato, e le fantasie nelle quali ama perdersi guardando aldilà della valle Val Strona:

La valle, per un bambino di Omegna quale io sono stato, tutta casa, scuola e oratorio, era un luogo di favole aeree10.

A soli dieci anni Gianni perde il padre a causa di una polmonite fulminante:

8 P. BOERO, Una storia, tante storie, Torino, Einaudi,1992, p. VII 9 M. ARGILLI, Gianni Rodari. Una biografia, Torino, Einaudi, 1990, p. 4

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L’ultima immagine che conservo di mio padre è quella di uomo che tenta invano di scaldarsi la schiena contro il suo forno. E’ fra-dicio e trema. E’ uscito sotto il temporale per aiutare un gattino ri-masto isolato tra le pozzanghere. Morirà dopo sette giorni, di bron-co-polmonite fulminante. A quei tempi non c’era la penicillina11.

Il bambino era molto legato al padre, rifugio e comprensione alla disciplina prete-sa dalla madre, più rigida, con una mentalità da istitutrice, un po' bigotta, segnata da un'infanzia difficile. Di lei il figlio scrive:

Penso a mia madre, che a otto anni è andata in cartiera a lavorare, e poi in filanda, e poi a servire in casa di signori, e per tutta la vita, in casa d'altri o in casa nostra, è sempre stata la prima ad alzarsi e l'ul-tima ad andare a dormire,che ha cucinato, cucito, lavato, penato. Era proprio questo che voleva? E se avesse invece voluto diventare una cantante o una maestra di scuola12?

A seguito del lutto, la madre decide di tornare a Gavirate, nel varesotto, suo paese natale. Proprio qui Gianni conclude le scuole elementari frequentando nel nuovo am-biente la quinta e, sollecitato da un amico prete, l'anno successivo (siamo nel 1931) fa richiesta di entrare in seminario a frequentare il ginnasio, unico modo per prose-guire gli studi per chi, come lui, non aveva disponibilità economiche; nell'ottobre dello stesso anno è iscritto dunque nella I C del seminario di Seveso, ne uscirà nel 1934. Un documento autobiografico dichiara:

Non saprei ricostruire per quale processo vi sia entrato, ne sono uscito perché trovavo umiliante la disciplina13.

Infatti, pur essendo il migliore della classe per le ottime capacità, per l'attenzione e la partecipazione alla vita scolastica, Gianni si ritira al terzo anno e prosegue gli studi a Varese, alle scuole Magistrali. La vocazione è svanita.

Nel 1934-35 frequenta la quarta classe all'Istituto magistrale Manzoni e viene am-messo al triennio, distinguendosi come sempre; nel febbraio del 1937 abbandona gli

11 G. RODARI, Grammatica della fantasia, Torino, Einaudi, 1997, pp. 76-77

12 Le parole sono di Rodari e si trivano in M. ARGILLI, Gianni Rodari. Una biografia, cit., p. 6 13 Ivi, p. 9

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studi per presentarsi direttamente agli esami estivi e guadagnare un anno; otterrà il diploma di abilitazione all'età di diciassette anni senza mai pagare le tasse, visti gli ottimi voti.

Già dal 1935 milita nell'Azione Cattolica e dal dicembre dello stesso anno, fino almeno al 1937, svolge il ruolo di Presidente14. Nello stesso periodo prende lezioni di

violino, vagheggiando di diventare musicista, insieme ad alcuni coetanei: Nino Bian-chi, che suona il mandolino, e Giuseppe Gerosa, chitarrista. Il trio si propone nelle osterie e nei cortili, mentre la madre di Gianni, forse preoccupata delle compagnie frequentate dal figlio, lo manda sempre (e inutilmente) a richiamare dal fratello Cesa-re: questo marca ancora di più la necessità di indipendenza dello scrittore, insofferen-te di controlli troppo rigidi15.

Intanto, nel 1936, pubblica otto racconti sul cattolico “L'azione giovanile”, setti-manale associativo diocesano diretto da Giovanni Maria Cornaggia Medici e collabo-ra a “Luce”, diretto da Monsignor Sonzini, fino al 1937, data in cui i suoi collabo-rapporti con il mondo cattolico cominciano ad affievolirsi.

All'inizio del 1938 e per sei mesi, a Casciana Piana (Sesto Calende), è istitutore presso una famiglia di ebrei tedeschi fuggiti dalla Germania; grazie a loro approfon-disce la conoscenza del tedesco: “mi buttai sui libri di quella lingua con la passione, il disordine e la voluttà che fruttano a chi studia cento volte più che cento anni di scuola”16. Con i bambini lavora dalle sette alle dieci, il resto della giornata lo ha

libe-ro per camminare nei boschi leggendo Dostoevskij, altra sua passione, e Novalis17.

Ma non solo: curioso di ampliare i propri orizzonti culturali, si appassiona ai filosofi come Stirner, Nietzsche e Schopenhauer, si entusiasma per l'autobiografia di Trotzki, per la sua Storia della Rivoluzione, per le biografie di Lenin e Stalin. Qualcosa si muove nella giovane mente di Rodari, facendogli maturare le prime convinzioni poli-tiche:

Queste opere ebbero due risultati: quello di portarmi a criticare co-14 L. CAIMI, Rodari sconosciuto: nove racconti del 1936,

http://www.indire.it/Rodari/studio/critico/caimi.htm 15 M. ARGILLI, Gianni Rodari. Una biografia., cit., p. 10 16 G. RODARI, Grammatica della fantasia, cit., p. 11

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scientemente il corporativismo e quello di farmi incuriosire sul marxismo come concezione del mondo18.

Nel 1939 si iscrive all'Università Cattolica di Milano ma abbandona gli studi dopo pochi esami e inizia ad insegnare in diversi paesi del varesotto: nel '39 a Brusimpiano (Varese), nel '40 a Ronco di Angera e a Cardana (Besozzo).

Nello stesso anno l'Italia entra in guerra, ma Rodari non viene chiamato alle armi perché considerato rivedibile per problemi di salute. Nel 1941 vince il concorso da maestro e, da supplente, insegna a Uboldo (Saronno); sono gli anni duri della guerra e della miseria, ricorda lo scrittore:

In quegli anni conobbi la miseria in famiglia e disoccupazione e se questo era uno stimolo potente alla formazione di una coscienza più decisa, era anche una pressione umiliante perché mi dessi da fare per cercare un posto: continuavo perciò ad essere iscritto al gil19 e nel 1941 mi iscrissi al partito fascista20.

Accetta comunque la sua sorte, sebbene con tristezza e rassegnazione: “era una vi-gliaccheria ma non avevo vie d'uscita: un operaio avrebbe reagito in altro modo”21.

Nel 1943 viene richiamato di nuovo alle armi dalla Repubblica Sociale Italiana nei reparti della sanità e poi inviato all'ospedale di Baggio, a Milano. Ma nel 1944 getta l'uniforme, entra nella clandestinità e si iscrive al Pci vivendo alla macchia fino al 25 aprile 1945. Ecco come ricorda lo scrittore il suo ingresso nel Partito:

Io mi vergognavo molto dei miei precedenti, che pure oggi vedo non essere statitanto importanti, per il fatto che l'invito mi veniva rivolto da un compagno (Realini) che è stato qualche anno al confi-no e da un altro che è stato più volte bastonato dai fascisti. Essi però mi accolsero bene: non avrei mai osato fare domanda da solo. Essi mi dissero che mi conoscevano da anni e vedevano come mi 18 Le parole di Rodari si trovano in M. ARGILLI, Gianni Rodari. Una biografia, cit., p. 11

19 Si tratta della Gioventù italiana del Littorio, un'organizzazione giovanile fascista fondata il 27 ottobre 1937 con lo scopo di accrescere la preparazione spirituale, sportiva e militare dei giovani italiani. Assorbì l'Opera nazionale Balilla e tutte le organizzazioni da essa dipendenti ed arrivò ad avere oltre 8.700.000 iscritti. Gli aderenti, che obbedivano al motto “credere, obbedire, combattere” dovevano giurare di difendere con il sangue la causa della rivoluzione fascista. 20 Le parole di Rodari si trovano in M. ARGILLI, Gianni Rodari. Una biografia, cit., p. 12 21 Ibidem.

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sviluppavo. Io ho portato allora molti compagni al Partito, oggi an-cora buoni compagni, e da allora ho cercato di guadagnarmi la fi-ducia di quei valorosi antifascisti22.

Nel 1946, per la considerazione che gode tra gli iscritti del partito, gli viene affi-dato l'incarico di dirigere “L'Ordine Nuovo” - settimanale fonaffi-dato da Antonio Gram-sci- per il quale si fa promotore di una sottoscrizione perché sia stampato in formato più grande. Vi redige numerosi articoli; ciò accresce la sua vocazione giornalistica.

Nel marzo 1947 lascia “L'Ordine Nuovo” perché chiamato a “l'Unità” di Milano, prima come cronista poi come capocronista e inviato speciale, alternativamente trat-tando di politica e cronaca.

Ed è proprio in questi anni, mentre lavora a “l'Unità”, che prendono vita i suoi pri-mi testi destinati ai bambini: su richiesta del capo redattore scrive pezzi per il giorna-le della domenica. Sono pezzi algiorna-legri e divertenti, così apprezzati da meritare un an-golo esclusivo, “La domenica dei piccoli”.

In quell'angolo pubblicai la prime filastrocche, fatte un po' per ischerzo. Le filastrocche piacquero. Cominciarono a scrivermi mamme e bambini, per chiedermene delle altre: “fanne una per il mio papà che è tramviere”, “fanne una per il mio bambino che abi-ta in uno scantinato”. Io facevo filastrocche e le firmavo Lino Pic-co23.

La sua prima composizione poetica (che compare ne “La domenica dei piccoli” il 17 aprile 1949) è sintomatica della personalità didattico-pedagogica di Rodari. Si in-titola Susanna e nasce da una richiesta di una mamma per la sua bambina: pone così l'accento sul rapporto adulto-bambino nel tentativo di sottrarlo a “quelle pesanti ipo-teche pedagogiche, che limitano la comunicazione verbale a 'utili informazioni' o a minacciosi 'avvertimenti'”24.

A questo stesso anno, anch'esse pubblicate nella “Domenica dei piccoli”, risalgo-no brevi commedie per teatro, come Il bandito e Scelbirisalgo-no e l'astrorisalgo-nomia25. Contem-22 Ivi, p. 13

23 Ivi, p. 16

24 P. BOERO, Una storia, tante storie, cit., p. 36

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poraneamente collabora ad una rubrica per bambini all'interno del settimanale diretto da Luigi Longo,“Vie Nuove”; nel 1950 il Pci lo chiama a Roma a dirigere (con Dina Rinaldi) il settimanale per ragazzi il “Pioniere” in cui lo scrittore si butta, ma senza troppo entusiasmo perché lo ritiene un incarico di partito come un altro, ricordando: “in principio non volevo proprio saperne, ma in quei tempi eravamo tutti molto di-sponibili”26.

Vive in una pensione e si mantiene con lo stipendio di funzionario di partito e con collaborazioni a vari giornali; pubblica, intanto, Il libro delle filastrocche e Il roman-zo di Cipollino, oltre alla Rivista in un tempo e dieci quadri, Arriva il Pioniere!, una sorta di presentazione teatrale del giornale caratterizzata dalla “sfilata” dei personag-gi (che appariranno nei vari numeri del settimanale) che presentano se stessi e invita-no il pubblico a scoprire di più sulle loro avventure attraverso la lettura, appunto, del “Pioniere”. Seguono i testi (sempre teatrali) I ragazzi e le fate, La fiaba dell'erba vo-glio, Gli esami di Arlecchino e La caccia al tesoro, con Cipollino dottore in medici-na e la fiaba in versi Marionette in libertà27.

In piena guerra fredda, subito dopo la pubblicazione del suo libro pedagogico, Il Manuale del Pioniere (1951), Rodari incorre nella “scomunica riservata 'speciali modi' alla Sede Apostolica”28, il “Pioniere” stesso viene messo al bando, sebbene non

abbia mai ospitato propaganda anticristiana e comunista (i due motivi che prevedono la scomunica, secondo il decreto dal Santo Uffizio del 1° luglio 1949): del giornalino viene vietata la lettura e, addirittura, viene “bruciato in piazza perché dentro c'è il diavolo”29.

Nel 1953 Rodari sposa Maria Teresa Ferretti e nello stesso anno viene incaricato di dirigere il nuovo settimanale della Fgci (Federazione Giovanile Comunista Italia-na), “Avanguardia”; è proprio durante questa esperienza che matura in lui una sorta di ripensamento30: comincia a non sentirsi a suo agio nel ruolo di dirigente politico e

di giornalista nella stampa di partito, non per motivi ideologici ma piuttosto per una

26 Le parole sono di Gianni Rodari e si trovano in M. ARGILLI, Gianni Rodari. Una biografia, cit., p. 17

27 P. BOERO, Una storia, tante storie, cit., p. 197 28 M. ARGILLI, Gianni Rodari. Una biografia, cit., p. 64 29 Ivi, p. 65.

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costante (e sempre dichiarata) insofferenza per le logiche e le pratiche di partito. Dopo la crisi apertasi con le rivelazioni del XX Congresso del Pcus (Partito Comuni-sta dell'Unione Sovietica) nel febbraio del 1956, quando il segretario Nikita Chru-scev denuncia le violenze segrete, le purghe e le limitazioni alla libertà imposte du-rante il governo di Stalin, Gianni Rodari acquisisce una consapevolezza antistalinia-na, che manterrà ferma negli anni.

Nel 1957 è iscritto all'Albo dei giornalisti, nello stesso anno nasce la figlia Paola. Nel dicembre 1958 viene trasferito a “Paese Sera”, dove affianca al lavoro di scritto-re per l'infanzia quello di giornalista non allineato, politico ma non partitico; e dove svolge un'intensa attività di articolista di terza pagina, di inviato, di corsivista, fir-mandosi Benelux.

Tutta la sua produzione degli anni Cinquanta risulta pressoché ignorata dalla criti-ca ufficiale, poiché diffusa soprattutto nella rete distributiva del partito. Soltanto dal 1960, anno in cui inizia a pubblicare per Einaudi, la sua notorietà aumenta; nel 1959, infatti, firma un contratto di due anni con la casa editrice torinese, il primo libro ad essere pubblicato è Filastrocche in cielo ed in terra. Seguiranno Favole al telefono (1962), Il libro degli errori (1963), La freccia azzurra (1964).

Parallelamente proseguono le sperimentazioni poetiche, sintomo della versatilità di Rodari e del suo mettersi in gioco su più fronti: su “Il caffè” del giugno 1961 pub-blica sei testi surrealisti, ne pubblicherà molti altri in seguito.

Proprio in questi anni si accentuano gli interessi per la pedagogia e per le proble-matiche legate alla vita scolastica: partecipa al Movimento di cooperazione educativa e gli stessi insegnanti lo mettono in contatto con le scuole invitandolo a tenere confe-renze, seminari e lezioni, poiché vedono in lui “l'espressione letteraria più consona ai loro principi”31. Il suo stile colpisce allo stesso modo bambini e adulti, ma in modo

diverso; i bambini sono invitati ad abbracciare un mondo di buon senso, di ugua-glianza, simpatia e antirazzismo senza però dover ricorrere per forza alla logica di apprendimento scolastica; è molto più semplice, ad esempio, memorizzare una rego-la se associata ad una firego-lastrocca. Per gli adulti, rego-la lezione di Rodari è quelrego-la impartita da un intellettuale la cui storia si interseca con la “storia politica dell'Italia

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democrati-ca, con la storia letteraria 'maggiore', con la storia della nostra pedagogia attivistidemocrati-ca, con la storia del giornalismo”32.

La produzione rodariana cresce all'interno degli spazi scolastici, trovandovi fertile terreno di sperimentazione e di confronto. Il suo nome comincia ad affermarsi grazie anche alle collaborazioni con il “Corriere dei Piccoli” e “La via migliore”, cosa che gli permette di raggiungere nel 1963-64 una certa stabilità economica. Nel 1964 pub-blica a puntate La torta in cielo, che due anni più tardi appare nelle librerie.

Dal 1966 al 1969 non si registrano pubblicazioni, forse perché Rodari volle dedi-carsi al rapporto con i bambini; ma fu anche una fase di crisi, durante la quale lo scrittore pensò di abbandonare “Paese Sera” e accettare una proposta di Einaudi che però prevedeva il suo trasferimento a Torino. Questioni familiari lo trattengono a Roma, dove ricomincia a scrivere dopo aver vinto il premio Andersen, nel 1970, che gli assicura fama e notorietà. Ricominciano dunque le sue pubblicazioni; e le tradu-zioni dei suoi libri aumentano assicurandogli una condizione economica finalmente agiata.

Dopo la crisi del 1966-69, la “macchina creativa non sembra più girare a pieno re-gime”33 e, anche se sono gli anni della fortunatissima ed impegnata Grammatica

del-la fantasia, le opere letterarie subiscono un arresto. Si accentuano alcuni problemi di salute, ma proprio in questo periodo “buio” si inserisce una delle esperienze fonda-mentali della produzione teatrale rodariana: La storia di tutte le storie, fiaba teatrale in due tempi creata con Emanuele Luzzati nel 1978 su richiesta del Comune e del Teatro Civico de La Spezia. E' il punto di arrivo di un viaggio iniziato con le prime pubblicazioni teatrali degli anni Cinquanta ed è caratterizzato dalla costruzione di uno spettacolo a partire dall'esperienza dei bambini coinvolti, dalle loro invenzioni, dalle loro parole e dai movimenti: il teatro diviene così mezzo di comunicazione, di crescita e di cultura.

Il 10 aprile 1980 Rodari viene operato per tentare di risolvere un annoso problema circolatorio; tre giorni dopo l'operazione muore per un collasso cardiaco.

32 P. BOERO, Una storia, tante storie, cit., p. VII 33 Ivi, p. 25

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2. Gli anni Cinquanta: Rodari ed il Manuale del Pioniere

Dopo la guerra di liberazione, nel clima nazionale e sociale di lotta contro il fascismo, sorgono numerose organizzazioni sindacali, cooperative sportive, ricreative; tra queste, l'Associazione dei Pionieri d'Italia, di stampo socialista. Si tratta di un'organizzazione incentrata sulle necessità dei giovanissimi e che fornisce loro la possibilità di una vita programmata “intensa, gioiosa, interessante ed educativa”34. Gianni Rodari parla dei princìpi che regolano tale gruppo nel Manuale

del Pioniere, considerato il suo primo saggio critico, scritto nel 1951; contiene riflessioni che vanno dall'educazione dei giovani, al teatro, allo sport, al gioco, alla stampa.

Educare i ragazzi incanalando la loro naturale sete di movimento e di novità, la loro gioia di scoprire e fare, in attività utili alla formazione di un cittadino democratico, che rispetta ed ama il lavoro, che ama il suo paese e la pace, famiglia e lo studio, che ha fiducia nella vita e nell'avvenire, che si sente fratello e solidale con tutti i popoli della terra35.

Per il pioniere è fondamentale la conoscenza della realtà, spiega Rodari, cioè anche dell'ingiustizia, dello sfruttamento e della miseria: è impensabile educare i ragazzi in un clima fintamente idilliaco. Tuttavia bisogna mostrare che il mondo può essere trasformato e che “l'avvenire può essere costruito dall'uomo nella felicità”36.

Per i pionieri, prosegue il Manuale, è indispensabile la conoscenza della storia dell'Italia e per questo vengono organizzate serate di racconti attorno al falò. Funzionale, per meglio comprendere la storia e la nazione, è inoltre la conoscenza degli ordinamenti costituzionali e delle istituzioni nazionali; ed è importante che fin dalla più giovane età si rispetti il lavoro (al quale viene dedicato un capitolo, il XV), sia quello fisico che intellettuale, perché “esso aiuta lo sviluppo psichico, spirituale, e

34 G. RODARI, Manuale del pioniere, Roma, ed. di Cultura Sociale, 1951, p. 10 35 Ibidem.

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prepara non solo alla vita comune, ma anche ad affrontare serenamente i problemi della vita personale”37.

Come si può vedere da questi accenni, l'impronta dell'associazione è patriottica, inquadrata in un moralismo di sinistra che fa emergere gli aspetti più ideologici di Rodari. Si legge infatti nel capitolo che riguarda i compiti di un dirigente di reparto (esiste il reparto maschile e quello femminile):

A dirigere un reparto di pionieri deve essere chiamato un elemento che con il suo contegno personale e la sua attività abbia dimostrato di essere degno di EDUCARE I RAGAZZI NELLO SPIRITO DELLA DEMOCRAZIA, e capace di migliorarsi continuamente. […] Non dunque solo sul terreno morale, ma anche su quello politico e sociale il dirigente deve ricordarsi sempre che la sua attività serve di modello ai ragazzi del suo reparto.38

Sembra che i ragazzi debbano inserirsi in un'istituzione dagli aspetti quasi para militari; lo dimostra, ad esempio, la rigida divisione di maschi e femmine, la parte dedicata all'organizzazione del reparto (con la sua bandiera, il suo motto, il saluto “Avanti!”), i richiami frequenti a “rendersi degno”... Tutti elementi che immergono il Manuale in un'atmosfera conformistica, più che liberatrice. Forse è per questo motivo che nessuno ne ha mai parlato in modo approfondito, considerandolo un momento transitorio dell'esordio di Rodari. Inoltre risalgono a questi anni gli attacchi clericali contro le iniziative che la sinistra avviava nel campo dell'infanzia, non a caso il “Pioniere” venne addirittura bruciato nelle piazze. Ricordiamo che tutti coloro che lavoravano in associazioni come l'API venivano scomunicati dalla Sede Apostolica con il decreto del Sant'Uffizio del 1949, che prevedeva la condanna da parte della Chiesa dell'ideologia comunista39.

Eppure questo testo, che di fatto sembra descrivere come organizzare il tempo libero di bambini e adolescenti, in alternativa allo scoutismo laico e cattolico, risulta fondamentale per analizzare il percorso dello scrittore che prima di tutto era un

37 Ivi, p. 131 38 Ivi, p. 22

39 In effetti non si trattava di una vera e propria scomunica, ma della dichiarazione ufficiale secondo la quale i cristiani che professavano e propagavano la dottrina comunista si trovavano ipso facto in situazione di scomunica, perché aderendo ad una filosofia atea, immorale, materialistica e anticristiana erano diventati apostati della Fede.

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militante comunista, impegnato in una battaglia civile contro preconcetti, oscurantismi ed ideologie pedagogicamente conservatrici:

L'ipocrisia e la menzogna sono i peggiori nemici dello spirito del fanciullo. L'amore per la verità è invece il primo alleato di una sana educazione. Amore per la verità non significa solo disprezzo per la menzogna, ma anche e soprattutto coerenza tra parole e fatti, rispetto alla parola data, mantenimento degli impegni presi, ricerca della verità40.

Il viaggio teatrale di Rodari ha inizio con la partecipazione all'API ed in particolare con l' esperienza di direttore nel settimanale “Il Pioniere” (dal 1950 al 1953), quando egli si impegna in una riflessione sul giornalismo e sulla scrittura letteraria per l'infanzia. Il “Pioniere” è il primo periodico che divulga tra i ragazzi “i principi educativi più avanzati e progressivi del mondo del lavoro e della nostra stessa Costituzione repubblicana”41; praticamente da solo, Rodari, inventa i

personaggi e suggerisce i temi, dando vita a un settimanale che propone ideali pacifisti e di solidarietà. Per la prima volta, ad esempio, si rovescia il “modulo razzista del pellerossa feroce e selvaggio”42, gli eroi appartengono agli schiavi, ai

partigiani, ai neri americani, ai poveri. Costruendo in tale maniera i suoi testi, lo scrittore affida una grande importanza alla stampa “elemento organizzativo ed uno strumento educativo di prim'ordine, non soltanto nei confronti dei ragazzi”43: infatti il

“Pioniere” - educativo e democratico, ma mai politico, forse di ispirazione ideale - non aveva certo lo scopo di corrompere i giovani, bensì conservava il sogno di poter trasmettere i valori della Costituzione in cui credeva.

Ci soffermeremo su quella che Rodari chiama la “Filodrammatica”, ovvero l'attività teatrale a cui egli dedica il IV capitolo del Manuale iniziando con una riflessione che sarà al centro di tutto il suo pensiero negli anni Cinquanta e Sessanta:

Il nome è pomposo, ma l'argomento è eccitante. 40 G. RODARI, Manuale del pioniere, cit., p. 11

41 Le parole sono di Dina Rinaldi e si trovano in M. ARGILLI, Gianni Rodari. Una biografia, cit., p. 64

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Ognuno che abbia qualche pratica di organizzazione sa quanto ai ragazzi piaccia recitare, interpretare parti anche modeste, quanto piacciano loro le maschere, i travestimenti, le truccature e quanto godano […] nel dire poesie e filastrocche. “Il teatro” è ancora una grande attrazione, soprattutto per i ragazzi, e soprattutto per i ragazzi di provincia.

“Fare teatro” significa per essi entrare in un mondo fantastico44.

Infatti nel “Pioniere” nascono gran parte dei suoi testi teatrali come Arriva il Pioniere! che Rodari stesso definisce “presentazione teatrale”45 del periodico e dove

appaiono i personaggi che lo animeranno e che in questa commediola si presentano introducendo in modo sommario la propria storia, che verrà svelata di settimana in settimana acquistando il giornalino. Nella nota che lo apre viene chiarito che quasi tutti i testi sono stati scritti per essere rappresentati dai bambini e dai ragazzi che partecipano all'API. La nota sottolinea inoltre che i copioni devono essere utilizzati in piena libertà, come canovacci da manovrare e modificare a seconda delle esigenze; e invita a non preoccuparsi troppo per i costumi o gli aspetti tecnici:

Un po' di nerofumo basta per fare un negro, quattro piume di tacchino bastano per fare un indiano e del resto i ragazzi hanno molta fantasia e come sanno mascherarsi con poco sapranno anche con poco vestirsi in modo da assomigliare al personaggio che rappresentano. Per quello che riguarda gli scenari […] potrà bastare un presentatore che si faccia alla ribalta e annunci di volta in volta “la scena rappresenta la tolda di una nave corsara” oppure “la scena si svolge sulle pendici di un vulcano”. Penseranno i ragazzi ad immaginarsi la scena46.

Inoltre lo scrittore propone la suddivisione, all'interno dei reparti maschili e femminili, in gruppi artistici che si occupino di spettacoli diversi: recite; rappresentazioni di quadri viventi; recitazioni di poesia o performance a tema (la pace, l'amore ecc.); musical; rappresentazioni del teatro di massa e di giochi. Suggerisce due iniziative: il “Teatrino dell'aia”, cioè spettacoli itineranti tra i cortili delle famiglie del vicinato; e le marionette e i burattini, adattabili ad ogni circostanza

44 Ivi, p. 68

45 Le parole sono di Rodari e si trovano in A. MANCINI, M. PIATTI, Il mio teatro, dal teatro del

“Pioniere” a La storia di tutte le storie, cit., p. 54

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purché si abbiano a disposizione due sedie ed un tappeto che copra chi manovra i pupazzi.

La concezione di teatro di Rodari, prende forma a partire da questi anni che sono per lui una sorta di laboratorio per sperimentare vari modi di scrittura su temi disparati. Passa dalla farsa Gli esami di Arlecchino, di Pulcinella e Colombina, con Stenterello aiutante del dottor Dulcamara, alla lunga filastrocca de Il Tamburino magico, allo spettacolo Questa notte non dorme il cortile (1951; manca però il copione completo), che ripropone la vita di alcuni ragazzi che giocano nel cortile di una città qualsiasi, mentre fuori infuria la guerra. In ogni caso l'obbiettivo del teatro di Rodari è: “fare opera educativa (con il contenuto e la forma della rappresentazione) sui ragazzi e su tutto il pubblico”47.

Basandoci su queste affermazioni e appellandoci al contesto descritto sino ad ora, cercheremo di analizzare le drammaturgie rodariane, convinti che contengano i germi del pensiero dello scrittore non solo intorno al teatro, ma all'intera sua poetica. Prima però bisogna accennare al capitolo che nel Manuale del Pioniere viene dedicato al gioco (cap. XVII), che per Rodari è “l'unità minima della drammatizzazione”48 e la

parte più importante nella vita di un ragazzo:

Nel gioco il bambino ed il ragazzo sviluppano le qualità che conserveranno nella loro vita di lavoratori e di cittadini. Nel gioco il ragazzo vive in una società infantile che assume gradatamente forme e discipline collettive, che si dà regole precise e che si lega a determinati scopi di cultura fisica49.

Rodari ponendo in primo piano l'elemento ludico crea un legame con Marx, la sua antropologia storica e la sua concezione dell'uomo faber e loquens50. Marx parla

dell'uomo sia come soggetto attivo (faber) che trasforma la natura e la società attraverso il lavoro, guidato dai propri bisogni fisici e spirituali, sia come essere caratterizzato da capacità creative (loquens), comunicative e di socializzazione51. 47 G. RODARI, Manuale del pioniere, cit., p. 68

48 G. RODARI, Grammatica della fantasia, cit., p. 22 49 G. RODARI, Manuale del pioniere, cit., p. 155 50 F. CAMBI, Rodari pedagogista, cit., p. 51

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Rodari aggiunge l'homo ludens52 e lo pone al centro.

Il gioco, che in Marx rimaneva piuttosto implicito, nel pensiero di Rodari diventa centrale: è l'attività che sintetizza tutte le altre e “tutte quante le brucia in un impulso creativo, liberatorio ed innovatore”53. Inoltre, essendo l'unica in cui l' uomo è

autenticamente se stesso, è qui che egli si possiede integralmente, o per dirlo con le parole di Shiller: “l'uomo gioca unicamente quando è uomo nel pieno senso della parola, ed è pienamente uomo unicamente quando gioca”54. Soltanto attraverso il

gioco l'essere umano si realizza come soggetto creativo, capace di utilizzare quella Fantastica intorno alla quale si strutturerà la Grammatica della fantasia.

Creatività come “pensiero divergente, capace di rompere continuamente gli schemi dell'esperienza”55 e fantasia come elemento che “costringe a uscire dai binari

dell'abitudine”56 non servono ad una fuga dalla realtà, bensì ad una trasformazione di

essa; sono strumenti di liberazione da una schiavitù simbolica che ci rende monolitici e incatenati agli schemi; danno la possibilità di inventare una realtà differente: “Tutti gli usi delle parole a tutti, non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo”57.

52 Ivi, p. 51 53 Ibidem.

54 Le parole sono di Shiller e si trovano in G. RODARI, Grammatica della fantasia, cit., p. 181 55 G. RODARI, Grammatica della fantasia, cit., p. 179

56 Ivi, p. 25 57 Ivi, p. 14

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2.1 Analisi di Gli esami di Arlecchino, di Pulcinella e Colombina, con

Stenterello aiutante del Dottor Dulcamara

Si tratta di una farsa58 in un tempo e tre quadri, scritta da Rodari nel 1951 e uscita

nello stesso anno su Il teatro del Pioniere, supplemento al numero 1 della rivista “La repubblica dei Ragazzi”.

Tre ingenui scolari, Arlecchino, Pulcinella e Colombina, si presentano al cospetto del Professor Balanzone per essere interrogati, pur sapendo bene di aver trascurato gli studi e di ignorare quindi tutte le risposte; infatti vengono bocciati senza pietà. Tristi e sconsolati, s'imbattono nel Dottor Dulcamara, un venditore di intrugli che egli spaccia come miracolosi; con la complicità del disoccupato Stenterello, in cambio dei loro libri Dulcamara vende ai ragazzi una polverina magica, “Sotuttomé”, che darebbe loro miracolosamente il sapere. Eccitati dal prodigio che sembra essersi appena compiuto, i ragazzi corrono dal Professore per essere nuovamente interrogati, ma finiscono per essere bocciati ancora. Accusano allora il ciarlatano perché la sua polverina non ha funzionato ma quello si difende dicendo che si deve essere confuso con le pozioni e deve aver dato loro quella per guarire dai calli. Subito entra in scena Pantalone che, anche lui gabbato dal Dottor Dulcamara, lo smaschera dandogli del ciarlatano e costringendolo alla fuga. Nella confusione finale Stenterello riesce a scappare, mentre in scena rimangono gli scolari che piangono la loro sfortuna.

Il legame di Gianni Rodari con la Commedia dell'arte si ripropone in svariati suoi componimenti; la scelta di chiamare i personaggi coi nomi delle maschere non è un puro caso, esprime la volontà di proporre, reinterpretandole, quelle figure che nel teatro italiano sono state ispirazione per molti artisti. Del resto, qualche anno prima, nel 1947, al Piccolo di Milano aveva debuttato con grande successo lo spettacolo di Giorgio Strehler Arlecchino servitore di due padroni, il primo nel Novecento a 58 La farsa deriva dal latino farcire per via dell'abitudine di impiegare tale genere come breve

interludio tra due drammi; è caratterizzata da una struttura e da una trama che ruota attorno a personaggi stravaganti ed eccentrici, grottescamente presentati ma inseriti all'interno di vicende

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riproporre la maschera della commedia goldoniana, reinventando così la tradizione. Il regista, infatti, crea un Arlecchino buffonesco ed agile, “fa del lazzo la figura base dell'asse recitativo, mentre il senso della battuta è sempre anticipato dal movimento”59. La scenografia è semplificata e allusiva, la gestualità sconfina

nell'acrobazia e l'uso della maschera impone agli attori di ripensare la propria interpretazione senza l'ausilio della mimica facciale, anche se il primo Arlecchino, Marcello Moretti, sceglie di “non calzare l'accessorio, ma di dipingerselo sul viso”60.

Le riprese successive dello spettacolo permettono a Strehler di focalizzare sempre più l'attenzione sui comici dell'arte attraverso, ad esempio, il passaggio dal “testo al metatesto, fissando in controluce il periodo storico a cui l'opera si riferisce”61; la

ricostruzione filologica è filtrata dalla distanza epica, il metatesto interferisce con il testo vero e proprio e lo allontana straniandolo. Quello che si crea è un sottile legame tra il teatro moderno e la tradizione della Commedia dell'arte.

È necessario a questo proposito fare un accenno, seppur breve, alle origini ed evoluzioni della Commedia dell'arte per meglio comprenderne il peso. Essa nasce e si sviluppa in Italia all'incirca tra il XVI e XVIII secolo quando compagnie di attori - i comici dell'arte - si spostavano di città e città per rappresentare i propri spettacoli. Le rappresentazioni non erano basate su testi scritti ma su canovacci, sorta di linee guida per gli attori che erano abituati ad improvvisare; per questo la commedia era detta anche all'improvviso. Caratteristiche di queste erano proprio le maschere, personaggi tipici, con attributi fissi che col tempo andarono perfezionandosi sempre più: si arricchirono a tal punto da diventare dei veri e propri caratteri, perché definiti non solo esteriormente, ma anche nel modo di pensare e di ragionare. Alcune di loro, specchio di realtà transitorie e contingenti, nel giro di pochi decenni scomparvero dalla scena; altre resistettero e vivono ancora nella fantasia popolare perché impersonano aspetti eterni ed immutabili dell'animo umano. Tra queste la più nota è proprio Arlecchino “né bergamasco né francese, mantovano solo per l'anagrafe dell'attore che per primo lo recitò, fu soprattutto uno straniero, un corpo estraneo, il

59 U. ARTIOLI, Il teatro di regia, Roma, Carocci, 2004 p. 182 60 Ibidem.

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capo di una masnada di vagabondi, colui che veniva da fuori”62.

Allo stesso modo, le maschere di Rodari, se da un lato sono vincolate alla tradizione, dall'altro mostrano un forte bisogno di affrancarsi e liberarsi dai fili che le legano ai ruoli fissi di una commedia sempre uguale. Infatti nella didascalia di Rodari appare scritto:

Potete usare i costumi delle maschere tradizionali od anche recitare la farsa in abiti comuni, come se Arlecchino, Pulcinella eccetera fossero dei nomi qualunque63. (p. 6)

La libertà sembra essere quindi l'assioma fondamentale del testo. In fuga dallo stereotipo, alla ricerca di una propria autonomia, forse.

Perché Rodari sceglie tuttavia le maschere della Commedia? Una prima motivazione, a mio avviso, potrebbe trovarsi nel fatto che proprio le maschere sono state le progenitrici di quelle marionette e quei burattini a cui lo scrittore è fortemente legato e che, per questo, inserisce non solo nei testi teatrali come Caccia a Nerone, ma anche in Marionette in libertà e nel romanzo La gondola fantasma.

Tre volte in vita mia sono stato burattinaio: da bambino, agendo in un sottoscala che aveva una finestrella fatta apposta per assumere il ruolo del boccascena; da maestro di scuola, per i miei scolari di un paesetto in riva al Lago Maggiore […]; da uomo fatto, per qualche settimana, con un pubblico di contadini che mi regalavano uova e salsicce. Burattinaio, il più bel mestiere del mondo64.

La seconda motivazione è possibile rintracciarla nell'indistruttibile vocazione alla comicità che le maschere conservano rivelando “il lato comico, o farsesco, o grottesco delle situazioni più drammatiche”65; pronti ad adattarsi a qualsiasi ruolo e

situazione, dalla parodia alla satira, “offrono un repertorio praticamente

62 S. FERRONE, La commedia dell'arte: storia e testo, Firenze, Le Lettere, 1988, p. 17

63 Tutte le citazioni del testo drammaturgico sono tratte da G. RODARI, Gli esami di Arlecchino, Torino, Einaudi, 1997

64 G. RODARI, Grammatica della fantasia, cit. p. 119

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inesauribile”66.

La nostra analisi parte dalle caratteristiche dei personaggi e dal primo quadro in cui Balanzone esamina i tre scolari ignoranti. Mentre nella Commedia dell'arte Balanzone è il bolognese saccente, serio e presuntuoso che si pasce nei suoi ridondanti sproloqui spesso infarciti di un latino maccheronico, qui è solo un professore che si scandalizza dinanzi all'ignoranza dei ragazzi. Tuttavia gli è mantenuta una punta di presunzione e l'artificiosità del latino della maschera diventa linguaggio affettato:

BALANZONE. Dunque, signori illustrissimi, eccoci finalmente al gran giorno degli esami. Ora si vedrà se le signorie loro hanno studiato o se hanno scaldato i banchi. Io setaccerò le loro intelligenze con il setaccio finissimo della mia scienza. (p. 7)

Per quanto riguarda i tre scolari, nella Commedia dell'arte Arlecchino è caratterizzato da spirito arguto, Colombina è la maliziosa e Pulcinella l'irriverente e ribelle. In Rodari invece essi appaiono come un'unità dove è difficile notare le diversità, hanno tutti e tre la stessa funzione, nessuno dei tre subisce mutamenti o evoluzioni. La loro parte è quella degli studenti ignoranti che piangono all'inizio perché bocciati, e così alla fine perché ingannati dal ciarlatano; non si ribellano né si arrabbiano, perché del resto hanno torto nel non aver studiato.

Il Dottor Dulcamara si trova nell'opera di Gaetano Donizetti Elisir d'amore, dove è un medico ambulante e ingannatore. Inserendolo nel suo testo Rodari gli conferisce il medesimo ruolo: per realizzare il suo proposito Dulcamara organizza una strategia alla quale partecipa anche Stenterello, un povero disoccupato ingaggiato per fargli da spalla nel suo sistema di imbrogli:

DULACAMARA. Dunque, stammi bene a sentire. Io sono un commerciante e vendo un po' di tutto, l'Elisir di lunga vita, il decotto contro i fantasmi, la ricetta per togliere il veleno ai funghi, gli scongiuri contro la febbre e il catarro intestinale, la pomata per i calli, le pillole contro gli spiriti maligni...

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STENTERELLO. E la ricetta per fare molti quattrini, o che la vende pure quella?

DULCAMARA. Quella la do soltanto a te. Senti come devi fare quando io mostro la mia merce al pubblico, tu devi farti avanti, comperare subito una della mie merci e provarla davanti a tutti. STENTERELLO. O che le paga lei le spese del funerale?

DULACAMARA. Macché funerale. Non ti succederà niente. Tu però fingerai di sentire subito un grande giovamento. Per esempio, quando vendo le cartine contro il mal di pancia, tu devi farti vedere prima dolente e disperato, pigliare le cartine e poi metterti a saltare eballare dalla gioia. (p. 10)

Si crea una coppia di “attori” che vendono, insieme ai propri prodotti, vere e proprie gags volte a persuadere il folto pubblico della piazza; una coppia che ricorda quella clownesca del bianco e dell'Augusto (oppure il Gatto e la Volpe di Pinocchio di Collodi) dove però colui che all'inizio sembrerebbe essere il bianco, il clown serio, preciso ed intelligente ovvero Dulcamara, finisce per essere bastonato, mentre il più furbo si rivela Stenterello che oltre ad aver saputo approfittare di una situazione favorevole, è in grado anche di capire il momento in cui la faccenda sta degenerando e di fuggire quindi a gambe levate.

Le gags che i due propongono obbediscono ad uno schema tipico, secondo il quale “il clown spalla” finge di aver un male e testa le medicine del suo complice che lo guariscono all'istante:

STENTERELLO. Ohi!Che mal di denti! Povero me, come farò! Proprio stamattina mi devo sposare!

DULCAMARA. Signore!Signore!

STENTERELLO. Se dice a me si sbaglia: uno con il mal di denti gli è un poveretto anche se l'ha in tasca un milione.

DULCAMARA. Provi questo rimedio. Le assicuro che un solo sorso di questa medicina basterà a farle passare ogni dolore, e lei si sentirà vispo come un pesce. […]

STENTERELLO. Lo proverei anche se fossi sicuro che è veleno. Non posso resistere. Dia qua.

DULCAMARA. Ecco. Vado a cavare il tappo,vado a premere leggermente col dito sull'apertura della bottiglietta, indi ad agitare con una certa energia ma in modo da non farmi scappare la bottiglia, vado a spargere qualche goccia per terra per propiziarmi le forze della natura che hanno contribuito a produrre il prodotto specifico...ed adesso a lei, signor Stenterello, beva.

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STENTERELLO. Grazie dottore, grazie. (Beve. Mimica dal dolore

al sorriso. Prima sorride quasi incerto, poi ride e uno dopo l'altro ridono tutti quanti) Mi passa...i molari non mi fanno più male...non

mi fanno più male nemmeno i canini...adesso il dolore cessa negli incisivi...mi fa male solo un dente. Anche quello sta bene...ecco, o Dio, sto bene! Sto bene! (p. 14)

La coppia si spalleggia abilmente come sulla base di un copione, attirando un pubblico nutrito e convincendolo a provare gli unguenti miracolosi. Dulcamara presenta i prodotti con grande enfasi e ne esalta iperbolicamente i benefici; utilizza frasi ridondanti ma che spesso non hanno senso e che risultano convincenti solo grazie all'ardore che il dottore vi mette nel pronunciarle:

DULCAMARA. Vado a spargere qualche goccia per terra per propiziarmi le forze della natura che hanno contribuito a produrre il prodigioso specifico... (p. 12)

O ancora:

DULCAMARA. Vado ad agitare con energia ma con prudenza con ciò sia fossecosacché la bottiglia potrebbe cadere per terra. (p. 17)

I due non si fermano dinanzi a nessun tipo di potenziale cliente, persino nel persuadere gli scolari il loro approccio non muta:

DULCAMARA. Bocciati? Bocciati? Ecco cosa vuol dire l'ignoranza. Non avete mai sentito parlare della polverina Sotuttomé?

TUTTI. No! E che cos'è?

DULCAMARA. E' questa polverina qui. Mezzo cucchiaio di questa polverina è sufficiente per imparare di colpo la storia, la geografia, la matematica e la fisica.

COLOMBINA. Mi piacerebbe averne un mezzo chilo. Potrei essere promossa a tutti gli esami della mia vita. […]

STENTERELLO. Dottore, la compro io la polverina. Adesso che ho provato la medicina contro il mal di denti, sono sicuro che anche tutte le medicine della sua valigia sono miracolose.

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apprezzare le cose di valore. Prenda la polverina e poi basterà che lei risponda in fretta a tutte le domande, ma in fretta senza pensarci sopra. […] Gli facciano delle domande, signori, presto, per cortesia...

COLOMBINA. Quanto fa uno più uno?

STENTERELLO. Diciotto! Più presto, più presto perché la sapienza mi scappa fuori dal naso.

PULCINELLA. Chi ha scoperto l'America? STENTERELLO. La zia Menica. (p. 14)

E la recita è sempre la solita, malgrado mutino le situazioni:

DULCAMARA. E adesso dimostrerò gli effetti miracolosi di questa medicina. Il signor Stenterello qui presente è affetto sin dalla nascita da balbuzie cronica, ovvero tartaglia. E' vero Signor Stenterello?

STENTERELLO. Ba-ba, fu-fu, ce-ce, po-po, sì sì signor dottore. So...(dirà balbettando: sono affetto da balbuzie cronica fin da

bambino)

DULCAMARA. Ha provato già altre medicine, signor Stenterello STENTERELLO (balbettando). Ho provato tutte le medicine del mondo ma mi sento come se avessi la bocca piena di sassi.

DULCAMARA. Ha provato tutte le medicine del mondo, ma non ha ancora provato signori, la mia medicina. Vado a togliere il tappo della bottiglia, vado a premere leggermente il dito pollice sull'apertura della bottiglia stessa, vado ad agitare con energia ma con prudenza con ciò sia fossecosacché la bottiglia potrebbe cadere per terra, ed ora ne verso un cucchiaio al signor Stenterello e buon pro le faccia. (p. 17)

Per quanto riguarda il povero e disoccupato, ma furbo Stenterello, come nella Commedia dell'arte egli è fiorentino, il suo accento viene mantenuto e sottolineato anche da Gianni Rodari, che del suo linguaggio fa il tratto distintivo all'interno di un gruppo che utilizza un italiano senza inflessioni particolari.

STENTERELLO. La dice a me? […] O la badi bene come la fa a parlare, la sa....benissimo, benissimo...Io dico invece che gli è una sfortuna maledetta... (p. 10)

Il toscano riprodotto è quello caricato della macchietta, come dimostra la ripetizione del costrutto grammaticale tipicamente fiorentino che prevede l'articolo

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davanti al verbo, così da rendere riconoscibile la sua provenienza.

Questo personaggio ha l'abilità di cogliere la palla al balzo, sebbene almeno in principio risulti titubante dinanzi alla proposta del Dottor Dulcamara:

DULCAMARA. E' la tua fortuna, giovanotto! Se tu non fossi stato disoccupato, non avresti incontrato me: io sarò la tua fortuna, capisci?

STENTERELLO. Capisco che la parla molto, ci sono più parole in bocca a lei, che cerini in una scatola vuota. (p. 10)

Ma cambia subito idea dopo aver sentito parlare del denaro che avrà modo di guadagnare:

STENTERELLO. Accidenti, si guadagna bene ad imbrogliare il prossimo...67

E più tardi, sempre più convinto:

STENTERELLO. Non l'è mica un brutto mestiere... (p.15)

E sul finale stupirà tutti con la fuga e quindi la possibilità di restare impunito, a differenza di Dulcamara, che verrà messo alla berlina.

Un ultimo personaggio che compare per poche ma fondamentali battute è Pantalone. Nella tradizione della commedia all'improvviso è il veneziano vecchio e vizioso e poi il padre burbero; qui non ha tempo per farsi conoscere o per far risaltare i suoi tratti, la sua entrata dura poche battute, quasi una comparsata. Nel secondo quadro appare come un cliente che ha mal di denti e perciò compra la medicina sensazionale; nell'ultimo quadro ha il fondamentale ruolo di smascherare i malfattori, mostrando davanti a tutti la falsità dei rimedi propinatigli, poiché il mal di denti non solo non gli è passato, ma è peggiorato. Perciò il suo compito è di punire, attraverso le bastonate il Dottor Dulcamara che tenta di giustificarsi utilizzando la scusa dell'equivoco:

PANTALONE (entra con la faccia fasciata e nasconde un bastone

dietro la schiena). Chi dice scienziato? Questo è un ciarlatano!

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Guardate, con la sua medicina contro il mal di denti come mi ha conciato! [...]

DULACAMARA. Io sono uno scienziato conosciuto in tutto l'universo e molti altri posti! Sono stato decorato da re, imperatori e presidenti della repubblica. Ma anche gli scienziati possono sbagliare...Caro signor Pantalone, devo riconoscere che anche nel suo caso devo aver preso una medicina per un'altra. (p.18)

Il finale è tipico della Commedia all'improvviso, dove le bastonate sono il dispositivo che innesca la risata automatica del pubblico e insieme punisce, qui in particolar modo, chi si è preso gioco di tutti gli altri al fine di fargli comprendere la lezione. L'azione dinamica del rincorrersi, poi, è anche ciò che colpisce gli spettatori bambini, referenti principali, e ne provoca il riso, elemento che insegna la critica e l'autocritica e che Rodari considera utile e liberatorio; non a caso, nella Grammatica della fantasia si legge un utile consiglio: “l'introduzione di un personaggio comico è quasi obbligatoria e si rivela sempre produttiva”. In questo caso, di personaggi comici se ne trovano più di uno.

Proprio su Stenterello rimane un dubbio insolubile: datosi alla fuga, è improbabile che il complice abbia compreso la lezione, visti i guadagni che gli sono fruttati. E' invece verosimile che si sia trasferito su qualche altra piazza a proporre le pozioni al fianco di qualche altro ciarlatano più fortunato.

I tre scolari, dal canto loro, la lezione l'hanno compresa ed è attorno a loro che ruota il messaggio dello scrittore: l'importanza di studiare, contro le tentazioni di evitare la fatica cercando soluzioni improbabili o scappatoie, più semplici da intraprendere.

A mio avviso, una nota fondamentale e sempre iscrivibile nel campo della comicità ricercata da Rodari, è data dal dispositivo del nonsense, usato per scompaginare l'ordine costituito e dimostrare come sia necessario sfuggire all'incubo del pensiero a senso unico. Il nonsense viene utilizzato come un gioco che invita a cogliere le potenzialità delle parole e, assaporandole, trovarne il risvolto ludico:

DULCAMARA. Dico a lei, giovanotto.

STENTERELLO. Ma io non sono manco un giovan-sette e manco un giovan-sei. Io sono solamente Stenterello e sono disoccupato.

(29)

(p. 10)

Così la logica è ribaltata, la parola mette in moto la fantasia e si “ricollega direttamente ad un gioco che tutti i bambini fanno e che consiste appunto nell'usare le parole come un giocattolo”68. Un procedimento che lo scrittore utilizza volentieri

persino nei suoi “esperimenti” con i ragazzi, unendo così insieme al divertimento, l'utilità:

Con le storie e i procedimenti fantastici per produrle, noi aiutiamo i bambini a entrare nella realtà dalla finestra anziché dalla porta. E' divertente: dunque è più utile69.

68 Ivi, p. 50 69 Ivi, p. 29

(30)

2.2 Analisi de Il tamburino magico e Il vestito nuovo dell'imperatore

Il tamburino magico è un testo pubblicato sul numero del 1953 di “Teatro d'oggi”, mentre Il vestito nuovo dell'imperatore appare per la prima volta nel 1956 in “Riforma della scuola”, entrambi poi inseriti nella raccolta Marionette in libertà del 1974, dove si trova anche un terzo testo, che dà il titolo al volume. Quest'ultima è una fiaba “scritta per la radio italiana”70; gli altri due sono componimenti “nati per un

teatro scolastico di burattini”71, hanno quindi una struttura drammaturgica e si

presentano entrambi sotto forma di filastrocca. Per tale motivo li analizzeremo insieme.

Il tamburino magico ha un intreccio semplice: un giovane tamburino di ritorno dalla guerra si imbatte in una vecchia che in cambio di un soldo rende magico il suo strumento musicale: con il suo suono farà ballare la gente, anche contro la propria volontà. Il giovane verifica la magia quando viene aggredito da due briganti e li mette in fuga costringendoli a ballare al suono del tamburo. Continua poi il suo viaggio e giunge in una terra dove sono tutti tristi perché l'imperatore obbliga i giovani a partire per la guerra; allora, si mette a suonare e la gente inizia a danzare, nessuno può fermarsi né andare a combattere. L'imperatore stesso, incapace di bloccarsi, se ne va, cacciato dal popolo in giubilo che lo manda in esilio a passo di danza.

A livello tematico l'elemento rilevante è il messaggio pacifista che Rodari trasmette, un valore inteso come principio base, un'aspirazione di fondo, senza riferimenti a momenti storici precisi. Tuttavia è necessario considerare il periodo nel quale il testo si iscrive. Siamo negli anni della Guerra Fredda, tra la fine della seconda guerra mondiale (1945) alla caduta del muro di Berlino (1989), detta così perché, nonostante le forti ostilità e tensioni, nonostante gli scontri politici ed ideologici tra USA e Unione Sovietica non si arrivò mai ad un nuovo conflitto armato. La fase più critica e pericolosa va dal 1947 ai primi anni Sessanta, quando viene costruito il muro di Berlino (1961), e appunto in questa fase delicata Rodari

(31)

scrive i testi si cui ci occupiamo:

POPOLO. Tamburino, suona il trescone, la furlana, il rigodone,

suona la polka, la tarantella, suona la rumba, il cha-cha-cha, la pace è bella e vincerà!72 (p. 62)

Del resto tale atteggiamento risulta coerente con ciò che lo scrittore afferma nel Manuale del pioniere a proposito della pace e della necessità di trasmettere il messaggio pacifista con qualsiasi mezzo:

La difesa della pace è un elemento fondamentale della vita del movimento democratico italiano in questo periodo. L'amore per la pace è un elemento fondamentale per ogni educazione democratica73.

Infatti nel Tamburino magico la guerra viene connotata negativamente attraverso la descrizione del triste popolo in lacrime e le parole del Vecchio:

VECCHIO. Bel forestiero, è un giorno triste, un giorno nero, perché il sovrano di questa terra i nostri figli manda alla guerra. (p. 60)

I personaggi della pièce non sono caratterizzati in modo preciso, sono figure stilizzate di cui non si sa pressoché nulla; persino il protagonista (l'eroe) viene introdotto da una voce fuori campo, con una formula che ripete quella delle fiabe, attraverso il breve racconto dell'antefatto:

VOCE. C'era una volta un tamburino che tornava dalla guerra....

povero, piccolo tamburino, tutto solo sulla terra:

72 Tutte le citazioni del testo drammaturgico sono tratte da G. RODARI, Marionette in libertà, già citato.

(32)

non ha nessuno che lo conforta, la casa è vuota, è chiusa la porta... Il tamburino cammina, cammina

e un giorno incontra una vecchina. (p. 55)

L'incontro con la vecchia innesca il meccanismo che manda avanti la fiaba, ovvero la trasformazione del tamburo in oggetto magico, grazie al gesto di generosità del ragazzo che regala un soldo alla vecchia, malgrado egli stesso sia tormentato dalla fame. Si tratta della trasformazione teatrale di un tema fiabesco tradizionale, ovvero l'utilizzo dello strumento magico. Vladimir Propp ne parla nella Morfologia della fiaba74, inserendolo nell'enumerazione delle trentuno funzioni che descrivono la

forma (per questo “morfologia”) delle fiabe. Secondo lo studioso russo ci sono varie tipologie di mezzi magici:

Possono fungere da mezzo magico: 1) animali; 2)oggetti che provocano la comparsa di aiutanti magici […]; 3) oggetti che hanno una proprietà magica, come ad esempio mazze, spade, gusli, globi e molti altri; 4) poteri donati direttamente, come ad esempio la forza, la capacità di trasformarsi in animali diversi. Chiameremo mezzi magicitutti questi oggetti trasmessi dal donatore all'eroe75.

Rodari sceglie appunto “gli oggetti che hanno una proprietà magica” ed insieme anche la forma di trasmissione che Propp definisce “diretta”76, derivante cioè da una

ricompensa, a seguito di un gesto positivo da parte dell'eroe.

Al conseguimento del mezzo magico segue il suo impiego o, se in mano all'eroe è pervenuto un essere animato, il diretto intervento di questo ai suoi ordini. Con ciò l'eroe esteriore perde ogni importanza: egli non fa nulla personalmente, è l'aiutante che si occupa di tutto. Ciò nondimeno il suo significato morfologico

74 V. PROPP, Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi, 1966. Antropologo e linguista russo, Propp studiò le origini storiche della fiaba nelle società tribali e nel rito di iniziazione e ne trasse una struttura che propose come modello di tutte le narrazioni. In base allo studio dettagliato di un centinaio di fiabe Propp formulò tre principi: 1) gli elementi costanti, stabili della favola sono le funzioni di personaggi, indipendentemente dall'esecutore e dall'esecuzione; 2) il numero delle funzioni che compaiono nelle fiabe di magia è limitato; 3) la successione delle funzioni è sempre identica.

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rimane di primo piano, poiché sono i suoi propositi che formano l'asse del racconto77.

In Rodari si trovano queste caratteristiche anche se in maniera più schematizzata; infatti il tamburino utilizza immediatamente il suo strumento fatato, dapprima per salvare se stesso dai briganti e poi a beneficio di tutto un popolo concludendo la propria “missione” senza imbattersi in altri ostacoli.

Contro chi agisce? Il nemico principale è la guerra, introdotta sin da quando il ragazzo riceve il dono:

TAMBURINO. Avessi avuto questa magia quando stavo in fanteria,

a suon di ballo e senza sparare, il nemico avrei fatto scappare. (p. 56)

L'antagonista, dapprima un'entità astratta e universale (la guerra), si concretizza sul finale nel desiderio dell'imperatore di andare a combattere, assumendo così una forma tangibile nella persona del sovrano:

IMPERATORE. Sudditi miei, la guerra è una festa! Io marcerò alla vostra testa! (p. 60)

Si ha poi il ribaltamento, vengono sconvolti i piani bellicosi dell'imperatore ed a “scoppiare” non è la guerra, bensì la pace, come la didascalia sottolinea con vigore:

Comincia a picchiare sul suo tamburo e tutti cominciano a ballare: l'imperatore, i cortigiani, i generali, i capitani, i soldati, le donne, i vecchi, i bambini, i cani e i gatti. C'è chi balla ridendo e chi balla piangendo. C'è chi protesta e chi grida evviva. Insomma, c'è una bellissima confusione. (p. 62)

Il tema pacifista, esaurito in modo così frettoloso, porterebbe a sottovalutare questo testo, che invece merita una riflessione più approfondita per quanto riguarda lo stile, l'aspetto estetico. Accanto alla tematica pacifista l'interesse principale di

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Rodari si catalizza sulla la parola poetica, che lui stesso definisce in modo assai preciso:

Ho scritto molti versi per bambini. Per lo più comici, raramente gnomici, didascalici. Non li ho mai chiamati poesie, ma

filastrocche. Se mai “poesie per ridere” o “poesie per isbaglio”.

Non mi ha mai interessato, in relazione al mio lavoro, sapere se fossero poesie o no: ho sempre preferito accantonare il problema, dichiarandomi un fabbricante di giocattoli, di giochi con le parole e con le immagini, di comunicazioni e provocazioni in versi78.

Da questa dichiarazione emerge il desiderio di centralizzare la parola e la sua potenzialità ludica: non sono centrali né la frase né il discorso, bensì la parola, frammento semantico con cui giocare alla ricerca di novità e soluzioni inedite.

Prima caratteristica della filastrocca è il ritmo, paragonabile a quello musicale. Ricordiamo che Rodari aveva dimestichezza con la musica, essendo egli stesso un suonatore di violino: il suo testo merita quindi un approfondimento per quanto riguarda la forma metrica e prosodica.

A proposito di ritmo, la prima caratteristica da sottolineare è l'iterazione metrica costituita dall'uso sistematico della rima baciata (AA, BB), che la lega alla tradizione folklorica e alle filastrocche per bambini. La particolarità di questi versi sta nel fatto che “il ritmo non è collegato al numero delle sillabe ma agli accenti metrici79”;

mentre nella metrica italiana classica si contano le sillabe, nella filastrocca si contano le battute musicali, siamo insomma dinanzi ad un verso che Jakobson definisce “accentuativo”:

I versi accentuativi operano principalmente col contrasto fra sillabe che portano e sillabe che non portano l'accento di parola; ma talune varietà di versi accentuativi sfruttano gli accenti sintattici o di frase80.

Riporto un esempio, in cui il gioco della cantilena consiste nel realizzare lo stesso

78 Le parole sono di G.Rodari e si trovano in D. GIANCANE, Le provocazioni della fantasia, cit. p. 79.

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