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III CONDIZIONAMENTO DI SUPERFICI POLIMERICHE TRAMITE PROCESSI FISIC

III.3 Caratterizzazione chimica, morfologica, microstrutturale e compositiva dello superficie polimerica ossidata tramite flame

III.3.3 Analisi dello strato ossidato tramite Microscopia Elettronica a Trasmissione (TEM)

Descrizione della tecnica

Il Microscopio Elettronico a Trasmissione (TEM) utilizza cinque lenti magnetiche raggiungendo la risoluzione di 1 nm ad ingrandimenti fino a 660.000X.

Il fascio elettronico è prodotto nel TEM, come nel SEM, da un filamento di riscaldato in tungsteno o da un cristallo di LaB6 o per emissione di campo (FEG), ed è situato nella parte alta della colonna sotto vuoto; tale fascio viene accelerato verso il basso della colonna tramite alto voltaggio (in genere 75300 kV).

il fascio elettronico è condensato da lenti elettromagnetiche in modo da attraversare una sezione del campione opportunamente assottigliata (100 nm o anche meno). Lo spessore del campione deve essere sufficientemente sottile in modo da consentire che alcuni degli elettroni incidenti siano in grado di attraversarlo; durante l’ attraversamento molti elettroni sono assorbiti ed altri, in corrispondenza a disuniformità di arrangiamento atomico del cristallo, sono deviati irregolarmente.

Dopo che il fascio ha attraversato il campione, viene focalizzato da una lente “obiettivo” e quindi allargato e proiettato su uno schermo fluorescente.

La formazione dell’immagine dipende dalla diffrazione degli elettroni, che com’è noto hanno la doppia identità onda-particella. La lunghezza d’onda l è legata alla E (e quindi al V) della radiazione dalla relazione di de Broglie.

(a)

(b) (c)

Figura III.54 (a) schema di funzionamento del TEM. (b) e (c) immagini dello strumento.

Utilizzando il microscopio, l’operatore può decidere di utilizzare il fascio diretto o quello diffratto, mediante un diaframma, per formare l’immagine sullo schermo; la riproduzione dell’immagine sullo schermo è dovuta a fenomeni di contrasto.

Il contrasto di diffrazione è dovuto all’uso del diaframma che permette il passaggio dei soli elettroni deviati secondo un certo angolo; questo significa che qualunque cosa crei delle alterazioni negli angoli del reticolo (presenza di dislocazioni, precipitati, inclusioni,

difetti di vario genere) altera la diffrazione degli elettroni e crea fenomeni di contrasto che permettono di individuare la causa che ha creato la diffrazione sullo schermo.

Dato che in assenza del provino l’immagine appare chiara, e poichè le imperfezioni reticolari (o i precipitati) che deformano il reticolo creano contrasti scuri, il modo di visualizzazione che usa il fascio diffratto viene denominato "campo chiaro" (BF = Bright Field).

Analogamente si può posizionare il diaframma selezionando il passaggio del solo fascio diretto; analogamente a quanto visto sopra, ogni cosa che crei nel reticolo distorsioni altera le condizioni di diffrazione del fascio, creando quei fenomeni di contrasto che permettono di vedere l’immagine sullo schermo. Questa volta in assenza del campione l’immagine appare scura e il contrasto provocato dal campione è chiaro; questa modalità di visualizzazione viene denominata "campo scuro" (DF = Dark Field).

Dal momento che saranno oggetto di diffrazione solo gli elementi che si trovano a dati angoli col fascio incidente, il portacampioni del TEM è realizzato in modo tale da poter ruotare in ogni senso il campione, in modo da trovare le diffrazioni (e quindi i contrasti) che più ci interessano, inclinando in modo opportuno il campione rispetto al fascio. Un importante uso del TEM si ha in ambito cristallografico, nel senso che misurando le distanze e gli angoli tra gli spot degli spettri di diffrazione è possibile risalire al tipo di struttura cristallografica che si sta analizzando. Per fare ciò è necessario analizzare un particolare spettro di spots di diffrazione, quello ottenuto quando il fascio incidente risulta parallelo ad un asse di riferimento della cella del campione. Nello spettro di diffrazione appariranno gli spots relativi ai piani paralleli alla direzione del fascio; ad esempio, se il fascio incide sul campione con una direzione parallela alla orientazione <1 0 0> (Figura III.55), lo spettro metterà in luce gli spots relativi ai piani paralleli alla direzione <1 0 0>, e cioè i piani {0 0 1}, {0 1 1}, {0 1 0}.

Figura III.55 Esempio di Spot di diffrazione relativo ad un fascio incidente parallelo a [1 0 0] in cristallo cubico

Risultati della tecnica TEM sulla superficie attivata tramite flame treatment

La caratterizzazione del campione attivato tramite Flame treatment è stata completata mediante l’analisi dello strato superficiale ossidato tramite Microscopia Elettronica a Trasmissione (TEM). Questa tecnica permette una miglior risoluzione poiché lavora ad una più alta tensione (circa 100 kV) rispetto al FIB-FEG che lavora con una tensione di 30 kV.

(c) (d)

Figura III.56 fasi della preparazione della lamella (a) FIB – SE – 30kV – 2.500X. (b) FIB – SE – 5kV – 6.500X. (c) FIB – SE – 30kV – 3.500X. (d) FIB – SE – 5kV – 6.500X.

La lamella è stata realizzata mediante FIB-FEG; alcune fasi di realizzazione ed estrazione della lamella sono mostrate nelle immagini di Figura III.56.

(a) (b)

(c)

Figura III.57 Micrografie dello strato ossidato (a) strato ossidato - TEM – 100 kV . 110.000X e diffrazione elettronica. (b) polimero bulk lontano dalla zona ossidata - TEM – 100 kV . 110.000X e

diffrazione elettronica. (c) posizione dei tre punti nei quali è stata fatta l’analisi elementare semi- quantitativa.

La micrografia in Figura III.57 (a) mostra due zone ben evidenti: una prima zona ossidata di 290 nm di spessore a partire dalla superficie (in rosso) e una seconda zona (in verde) nella quale sono presenti effetti diffusivi dell’ossigeno (zona diffusiva) di circa 130 nm. Al di sotto della zona diffusiva, il materiale risulta non ossidato; si evidenzia che il polimero non trattato (Figura III.56 (b)) è formato da domini amorfi (catene polimeriche disposte in modo disallineato e posizionate in modo del tutto casuale), infatti sono assenti strutture lamellari o sferulitiche (ordinate e con una direzione preferenziale delle catene). Questi domini amorfi sono poco evidenti nella zona diffusiva e sono del tutto assenti nella zona ossidata. La differente configurazione delle catene polimeriche nella zona ossidata ed in quella non ossidata potrebbe essere dovuta al ciclo termico a seguito della fiamma o alla presenza di un eccesso di ossigeno.

Successivamente è stata effettuata una analisi di diffrazione (SAED) sia sulla zona ossidata che su quella non ossidata; come riportato in alto a sinistra delle immagini in Figura III.57 (a) e (b), entrambe le zone risultano amorfe. Questo conferma l’assenza di strutture periodiche, ordinate e orientate.

L’analisi elementare semiquantitativa EDS è stata effettuata su tre punti (zona A, B e C) identificati in Figura III.57 (c). Come mostrato in Tabella III.13 si evidenzia un incremento della concentrazione di ossigeno dal cuore del polimero (zona A) fino alla superficie (zona C), in particolare si ha il 13%wt di ossigeno nella zona non ossidata, l’ 85% wt nella zona diffusiva e il 93%wt nella zona ossidata. Al contrario la percentuale di carbonio in peso decresce dal cuore del materiale fino alla superficie.

I risultati dell’ analisi elementare semiquantitativa sono in accordo con l’analisi di linea qualitative svolta in precedenza con il FIB-FEG (paragrafo III.3.2).