• Non ci sono risultati.

L’analogia e la personificazione nella teoria della selezione naturale

Analogia e personificazione nelle prime traduzioni italiana e spagnola dell’Origin of Species di Darwin

2. L’analogia e la personificazione nella teoria della selezione naturale

La struttura dell’analogia o della metafora per analogia è, secondo Mortara Garavelli (2010: 61-62), quella di una proporzione esprimibile con la formula “A sta a B come C sta a D”. Si tratta dunque di una somiglianza di rapporti tra due insiemi, e quello rappresentato dai termini A e B è il tema a proposito del quale si vuole trarre una conclusione. Un’analogia riuscita può arrivare a dare forma stabile a concetti nuovi, il che può essere molto produttivo nella scienza, ma, allo stesso modo, i procedimenti analogici si prestano a volte a confondere le carte, come sa lo stesso Darwin quando afferma “analogy may be a deceitful guide” (1859: 484).

Tuttavia, come hanno segnalato Gross (1996) e Fahnestock (1999), l’analogia è un valido meccanismo euristico attivo nella costruzione di ipotesi nonché un veicolo efficace di dimostrazione di teorie (cfr. Freddi 2011). Nell’Origin, l’analogia consente a Darwin di stabilire un’ipotesi basata sulla somiglianza di rapporti tra la

141

selezione artificiale o in stato domestico, fatta da giardinieri e allevatori, e la selezione naturale, le cui regole o leggi operano nella natura (Largent 2009). L’uso di un modello come analogo materiale gli permette di associare il meccanismo naturale sconosciuto e il processo reale noto supponendo che si comportino in un modo simile. Montuschi (1993: 91) riassume lo schema analogico di costruzione dell’ipotesi evolutiva considerando: la descrizione di A, ovvero il fatto che richiede una spiegazione; la descrizione di B, che è il fatto che appare analogo al fatto da spiegare; e una serie di enunciati che determinano la rilevanza del fatto analogo rispetto al fatto da spiegare e che associano il primo al secondo in termini potenzialmente esplicativi. Nell’analogia darwiniana A è la variazione naturale e B è il fatto familiare, ovvero la variabilità delle specie ottenuta artificialmente attraverso la selezione domestica, in questo modo la rilevanza di B rispetto ad A può essere esplicitata nei termini di una serie di effetti apparentemente comuni ai due domini di confronto. Ed è in questo spazio di identificazione dei due domini che si inserisce l’ipotesi esplicativa.

Gli abbondanti dati forniti sul primo tipo di selezione nella ricerca di varietà diverse di piante ed animali permettono a Darwin di avanzare delle spiegazioni su come la natura agisca nella produzione di svariate specie, ma allo stesso tempo obbligano la natura ad assumere l’aspetto di un agente senziente, cioè un’entità personificata. Un’operazione che poggerebbe, secondo Montuschi (1993: 94), sulla metafora dell’allevatore cosmico o cosmic breeder, figura ipoteticamente simile a quella dell’allevatore umano ma che agisce in natura, introdotta da Darwin negli

Essays pubblicati nel 1842, e poi sostituita dal concetto di selezione naturale. Così,

nello sviluppare la teoria, lo scienziato passa dall’analogia alla personificazione. Se per Mortara Garavelli (2010: 53), questa è una figura di pensiero che permette di umanizzare essere viventi e cose inanimate, per Lakoff e Johnson è una metafora ontologica la cui forza risiede nella sua capacità di spiegare una gran varietà di esperienze con entità non umane in termini di motivazioni, caratteristiche ed attività umane (1980: 34). Come l’analogia, anche la personificazione è un meccanismo che può sia chiarire un significato che oscurarlo (Paxson 1994). Ma, pur ammettendo in diverse parti del libro che le figure possono costituire in questo senso armi a doppio taglio, Darwin mantiene l’analogia per dare coerenza al modello senza evitare di presentare la selezione naturale come un agente attivo, e questo per il seguente motivo: “He was […] restricted by the resources of his language and by the anthropocentric perspective fossilized in it” (Drogosz 2011: 67).

Infatti, dalle analisi condotte sulle stategie retoriche contenute nell’opera (Depew 2009), appare evidente come l’uso di queste figure fosse in qualche modo inevitabile per diverse cause: a) il concetto di variazione richiedeva un agente, interno o esterno; b) la posizione del soggetto in inglese era generalmente associata a un agente e ad un’azione intenzionale; c) le leggi stabilite dall’uomo e le leggi naturali – come il principio di selezione naturale di Darwin o la legge di gravità, la quale fa cadere gli oggetti – erano caratterizzate come agenti; d) anche la metafora madre natura era fossilizzata; e) infine, la creazione e la selezione artificiale, modelli analoghi a quello della selezione naturale, presupponevano un agente intelligente (Drogosz 2008: 64- 65). Dunque, se l’analogia e la personificazione, essendo metafore di grande forza espressiva, permettono a Darwin non solo di presentare un’ipotesi scientifica in modo leggibile e interpretabile ma di fornire un nuovo quadro possibile attraverso cui ordinare il mondo (Arduini 2007), esse pongono anche alcuni problemi di

142

interpretazione. Da un lato, sono metafore d’accesso che introducono a un dominio di esperienza ancora inesplorato benché, nel caso darwiniano, l’analogia tra uomo e natura non fosse del tutto nuova, come ha evidenziato Dennett partendo dai

Dialogues (1779) di Hume:

The curious adapting of means to ends, through-out all nature, resembles, exactly, though it much exceeds, the productions of human contrivance—of human design, thought, wisdom, and intelligence. Since therefore the effects resemble each other, we

are led to infer, by all the rules of analogy, that the causes also resemble, and that the Author of Nature is somewhat similar to the mind of man (cit. in Dennett 1995: 29,

corsivo nostro).

Dall’altro, la loro capacità di fare interagire significati diversi e relazioni tra domini noti e domini inediti può complicare il pieno accesso alla nuova realtà che descrivono. In questo modo, attraverso le sei edizioni del libro, Darwin insegue le implicazioni di una terminologia messa alla prova dalla nuova teoria e riformula ogni volta i confini tra il significato scientifico, apparentemente più preciso, e gli echi innovativi del linguaggio in cui articola la teoria. Nel testo, spesso si tende più all’espansione che non alla stabilizzazione del senso, così “Il linguaggio della teoria non è un linguaggio di definizioni date e di postulati ‘a senso unico’, ma un linguaggio di significati trovati, a tessitura aperta” (Montuschi 1993: 101). Un aspetto che avrà notevoli implicazioni per la traduzione dell’opera.