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I. Lessico, semantica e retorica

6. Retorica

6.2. Analogie preposizionali

L’analogia è, insieme alla metafora, l’elemento che per frequenza e per qualità caratterizza maggiormente la poesia della Calandrone. Si può dire infatti che ella pensi per analogie, tutto il suo poetare è la costruzione, la disposizione e la moltiplicazione di immagini da incasellare nel verso. Non per altro la frase scelta in apertura di questo lavoro parla di «visionarietà».

Visionarietà non significa però fantasia, lontananza dal reale. Al contrario, la poesia di Maria Grazia Calandrone parla sempre di un’esperienza, del mondo. Con esperienza non si intende però biografia, bensì, come ha esposto chiaramente Andrea Cortellessa in un articolo del 2013, esperienza significa vita, ma, egli dice citando Deleuze, «la vita è qualcosa più che “personale” […] scrivere significa cogliere qualcosa della vita che “scorre in te”».45 E continuando, esperienza significa «spostamento», per mezzo del lavoro sul testo, da chi scrive a chi legge. In questi termini Cortellessa introduce il tema

44 Per lo studio delle caratteristiche del linguaggio espressionista in letteratura mi sono servita di: F. Bandini, Elementi di espressionismo linguistico in Rebora, in Aa. Vv. Ricerche sulla lingua poetica

contemporanea, presentazione di G. Folena (Quaderni del circolo filologico linguistico padovano, 1),

Liviana, Padova, 1966, pp. 3-35; G. Contini, voce Espressionismo letterario in Enciclopedia del Novecento Treccani (reperibile al sito www.treccani.it); P. V. Mengaldo, I “vociani”, in Id. Storia dell’italiano nel

Novecento, seconda ed., Il Mulino, Bologna, 2014 (prima ed. 1994), pp. 210-218; A. Afribo e A. Soldani, Espressionismo vociano, in La poesia moderna. Dal secondo Ottocento a oggi, Il Mulino, Bologna, 2012,

pp.75-81. Per una descrizione della grammatica ermetica ho seguito invece P. V. Mengaldo, Il linguaggio

della poesia ermetica, op. cit., pp.131-157 e P. V. Mengaldo, L’ermetismo e dintorni, in Id. Storia dell’italiano nel Novecento, seconda edizione, Il Mulino, Bologna, 2014 (prima ed. 1994), pp. 230-33; A.

Afribo, Introduzione e Antonella Anedda, in Id. Poesia contemporanea dal 1980 a oggi, Carocci, Roma, 2007, pp. 24-27 e 183-221; A. Afribo e A. Soldani, Ermetismo ed ermetismi, in La poesia moderna dal

secondo Ottocento a oggi, Il Mulino, Bologna, 2012, pp.94-100; A. Afribo, Neo-ermetismo e neo-orfismo. Conte e De Angelis, in A. Afribo e E. Zinato, Modernità italiana. Cultura, lingua e letteratura dagli anni settanta a oggi, Carocci, Roma, 2011, pp. 204-216.

45 A. Cortellessa, Per riconoscerla: tre connotati, «alfabeta2», numero 32, settembre-ottobre 2013. L’articolo è reperibile anche sulla pagina web www.leparoleelecose.it con il titolo Per riconoscere la

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della difficoltà del testo poetico e dell’oscurità della sua lingua: solo attraverso una «resistenza» il lettore può addentrarsi nel significato di un testo. Per spiegare questo fenomeno egli riporta alcune frasi di Zanzotto, che ritengo di una certa utilità riproporre anche in questa sede: «pensate al filo elettrico della lampadina che manda la luce, il messaggio luminoso, proprio grazie alla resistenza del mezzo. Se devo trasmettere corrente a grande distanza, mi servo di fili molto grossi e la corrente passa ed arriva senza perdita a destinazione. Se metto, invece, fili di diametro piccolissimo, la corrente passa a fatica, si sforza e genera un fatto nuovo, la luce o il colore».46

Questa descrizione di poesia sembra funzionare anche per l’opera della Calandrone: così ella parla del mondo, ma ce lo mostra attraverso il filtro dell’analogia. La metafora e l’analogia sono d’altro canto anche modalità stilistiche che permettono di creare legami tra campi semantici differenti e di mettere così in comunicazione tutti gli elementi che compongono il reale. Ancora una volta, si tratta della poetica dell’inclusione, che si realizza mostrando «la radianza» che tutto unisce. Il rapporto che appunto lega tutte le cose non è però sempre «evidente», di qui la necessità di una lingua non comune, di figure e analogie difficili o non immediate.

Tra le varie forme possibili dell’analogia, la poetessa predilige la variante implicita, per la quale sono riconoscibili diverse declinazioni. La più sfruttata è certamente l’analogia preposizionale, con la sua variante detta «pseudo complemento di materia». In questa forma il paragonante e il paragonato si trovano uniti dalla preposizione «di» (in genere il comparante è il primo termine). Anche questa figura risponde alla tendenza generalizzata alla sostantivazione: al posto di un aggettivo che potrebbe marcare le caratteristiche del sostantivo, si predilige un altro sostantivo. Eccone un breve campionario:

«torchio d’affetti» MR 20, che si parafrasa “gli affetti sono come un torchio”, che quindi pressano l’individuo;

«candela dei corpi» SR 33, nella quale è riconoscibile la tipica immagine dei corpi che si consumano, che deperiscono nel tempo;

46 Andrea Zanzotto, Intervento [1981], in Id., Le poesie e Prose scelte, a cura di Stefano Dal Bianco e Gian Mario Villalta, Mondadori 1999. Cito da A. Cortellessa, Ibidem.

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«clessidra sacrificale dei corpi» MR 76. L’idea di precarietà della vita umana espressa nell’esempio precedente ritorna anche in questa analogia. Più precisamente qui il corpo è paragonato a una clessidra, ed è quindi inserito in un conto alla rovescia che lo rende essere “in scadenza”, destinato alla morte. L’aggettivo «sacrificale» poi denota il carattere di martirio che l’autrice attribuisce spesso alla morte;

«la Menorah del melo» MR 18, analogia che fa emergere il valore sacrale legato all’albero, i cui rami sono come le braccia del candelabro sacro. L’albero si attesta ancora come ponte tra terra e cielo;

«otri volubili di centinaia di tramonti» SR 52, con questa analogia ritorna l’immagine del «calice della sera», vista poco sopra (per la quale rimando anche all’antologia al terzo capitolo). In questo caso però i tramonti sono paragonati per metonimia al colore del contenuto degli otri, cioè al rosso del vino;

«lacca di neve» MR 69. In questa analogia vediamo coinvolta ancora una volta la neve, che, come abbiamo visto, simboleggia l’elemento che nasconde. Anche in questo caso ha lo stesso significato: il manto di neve è come lacca, una vernice spessa e lucida che copre ciò che sta sotto;

«filo di spada dello sguardo» MR 14, che indica uno sguardo tagliente, come il filo di una spada.

Gli esempi potrebbero essere ancora molti. Riporto di seguito un breve elenco di altre analogie preposizionali. Si noti che non è sempre facile scioglierle, farne una parafrasi convincente: «crepaccio di un corpo» MR 11 (per la quale si veda l’antologia al terzo capitolo); «la goccia di veleno del mio sangue | sulla tua bocca» MR 14; «sulla grancassa del mare» MR 17; «nel sacco di silenzio della sera» MR 19; «nel raso delle campagne» MR 29; «fiumane d’abbandono» MR 12; «tagli | di luce» MR 18; «ago di luce» MR 29; «monologo atomico del mare» MR 23; «relitto di sole» MR 71; «spighe di trono» MR 71; «spighe di sazietà» MR 57; «sabbia di cieli» MR 58; «asola di nuvole» MR 83; «la melagrana in pezzi del tuo sangue» MR 90; «lume gastrico delle campagne» MR 90; «l’altare del tuo viso» MR 91; «nella mucosa del giorno» MR 91; «il sole perfetto della

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parola» MR 100; «rasoio del corpo» MR 109; «cialde di luce» MR 126; «sacchi di chiarore» SR 31; «sole di tegola» SR 35; «lago nero dei corpi» SR 36; «flutto di campagne» SR 41; «setaccio della sera» SR 51; «catrame d’amore» SR 43; «mare muto del sole» SR 59; «granulo di pace del tuo esistere» SR 82