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II. Sintassi e testualità

6. Elementi dello straniamento

Fin qui abbiamo osservato come nei testi della Calandrone vi siano elementi che hanno lo scopo preciso di creare moltiplicazione e discontinuità. Alcuni di essi, portati all’estremo, possono indurre nel lettore un effetto di straniamento: è il caso dell’interruzione di discorso, vista poco sopra, l’uso imprecisato del corsivo, che inserisce nel testo voci senza referente, o la difficoltà di individuare con certezza i confini di alcuni periodi. Tuttavia altri elementi concorrono più di questi appena elencati alla creazione di un preciso effetto straniante. Vediamoli.

6.1. Tagli netti

Ne La vita chiara, entrando nella sezione Aria, ci imbattiamo subito in un fenomeno incredibilmente straniante: tra le poesie che compongono la corona Extás, quello che resta

della voce VC 77-89 si presentano tra un testo e l’altro i segni della sospensione e

riduzione del discorso, rappresentati dai tre puntini tra parentesi quadre, [...].

Siamo di fronte a una poesia che taglia se stessa, si auto elide, presentandosi al lettore volutamente e vistosamente monca. È un segno che punta il dito su un vuoto irrecuperabile, vuoto che per questo si riempie di significazioni possibili. Una poesia che

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ha altro da dire e non lo dice, ma lo lascia intuire, che indicando il vuoto sottolinea la necessità che ci sia altro oltre a ciò che si vede. Anche in un espediente grafico come questo si percepisce il sostrato ideologico dell’autrice, legato a un cristianesimo delle origini imperniato attorno all’idea del deus absconditus. Ricordiamoci inoltre che siamo all’interno del testo introduttivo della sezione Aria: i segni del vuoto, “bucando” il testo, lo alleggeriscono, lo rendono aereo e poco afferrabile, come l’aria, appunto. In più il titolo ci avverte: si tratta di quel che resta.

6.2. L’esplosione della forma: Serie fossile

Serie fossile è l’ultimo libro pubblicato dall’autrice e in esso possiamo osservare

fenomeni di notevole interesse, che ricordano certe soluzioni futuriste. Abbiamo assistito alla lingua strabordante e barocca dell’autrice, ma fino ad ora non ci siamo imbattuti in particolari stravolgimenti nel piano della forma o dell’impaginazione. Con Serie fossile esplode tutto, la forma, il verso, lei stessa parla di «esplosioni del verso» nell’intervista già citata a Radio3 Suite. Ecco allora che compaiono serie di versi a gradino, altri allineati a destra al posto che a sinistra. I brani in prosa si fanno più frequenti, così come l’alternanza tra versi lunghi e singole parole isolate da spazi bianchi. Al solito e ormai piuttosto diffuso uso del corsivo e dei convenzionali segni grafici (visti poco sopra) si aggiungono nella creazione di discontinuità cambi di dimensione del carattere tipografico e uso del maiuscolo e del grassetto in chiave espressiva, in modo che basti uno sguardo alla pagina per comprendere il peso e la rilevanza di alcune parole. Inoltre il testo si riempie di altri segni, quali asterischi e frecce, indicando un interesse crescente per il significante. La punteggiatura, spesso assente, è anch’essa usata espressivamente: in molti casi è usato solo il punto, e la frase che lo segue mantiene l’iniziale minuscola. Assistiamo così al frantumarsi della frase:

«e io, lo vedi | cosa sono. una cosa così. una cosa umana | che vuole farsi grazia. mischia di gratitudine e materia. cosa | umana | che setaccia e raffina | oro dal sangue. ecco l’oro e la scoria | dell’amore umano. lo vedi | cosa sono. una cosa così. che però è tua.» SF 107.

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La novità più evidente è l’inserzione di simboli iconografici accanto ad ogni titolo: la poetessa spiega ciò con la volontà di superare la parola, ritrovando nel gesto la forma arcaica – fossile, appunto – che precede la nascita del linguaggio verbale: «è alchimia, la parola diventa segno, e anche gesto della mano che fa il disegno».16

Seppure una certa attenzione alla sonorità dei versi sia sempre presente nell’autrice, in

Serie fossile assistiamo anche all’aumento di musicalità dei versi, certamente influenzata

dal tema centrale del libro, l’amore, e dovuta soprattutto all’uso di rime, perlopiù interne, e altre figure di suono. Se paronomasie, assonanze e allitterazioni non mancano nemmeno nelle altre raccolte, la rima è quasi una novità. Si vedano ad esempio:

«l’anima mia è un dio umano, | un uccello d’altura | che ogni notte nidifica nel chiaro | del tuo petto | come un endecasillabo perfetto | (cosa bianca e copiosa, ala sottile – rosa | e roveto, cenere – parva» SF 40. Si notino qui le rime petto-perfetto e cosa-copiosa-rosa. Seguono poi l’allitterazione della r e della v.

«cantava per gli sguardi che ora sono | oro profondo al fondo della luce, ora | che appoggi le spalle alla finestra e sei turbata e gli occhi | fanno un gorgo di oro cupo nel volto» SF 109. Oltre alla rima inclusiva profondo-fondo, si nota la consonanza tra ora-oro-ora, con oro ripetuto anche due versi dopo. L’allitterazione della lettera o predomina tutti i versi.

6.3. Logica della metafora

A conclusione delle considerazioni fin qui esposte, si può dire che nella Calandrone le regole formali della costruzione sintattica, seppur portate all’estremo della loro resistenza, non sono (quasi) mai violate. Tuttavia ciò non basta a preservare il senso, dal momento che le regolarità formali della sintassi sono governate dalla logica imperante della metafora, tessitrice di tutto il tessuto poetico, rendendo difficile la parafrasi in molti punti.

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Questo stile ricco di metafore e analogie è rilevante per un altro aspetto: in esso possiamo infatti rintracciare l’io della poetessa, quell’io che, come abbiamo detto, è tenuto volutamente in disparte. Si deve pensare infatti all’io autoriale come a un occhio, non come a una voce. Ed è quest’occhio che osserva costantemente il mondo per rintracciare la «radianza», i legami che uniscono in un’uguaglianza originaria tutti gli esseri e tutte le cose, e ce lo restituisce filtrato e deformato perché tali legami risultino evidenti.