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II. Sintassi e testualità

1. Paratassi e ipotassi

La moltiplicazione caratterizza molti aspetti del fare poetico della Calandrone: abbiamo già visto la generazione di figure da altre figure, e vedremo poi l’alto ricorso allo strumento della repetitio. Lo stile eloquente ed esagerato di questa poetessa necessita continui approfondimenti, specificazioni – o messa in dubbio, puntualizzazioni – del discorso. Questa necessità si manifesta, a livello della sintassi, con la predominanza della paratassi. Infatti, in quanto progetto sintattico aperto all’aggiunzione di membri senza bisogno di ristrutturazione del periodo, essa è preferita quasi sempre all’ipotassi. Assistiamo così al riempimento del periodo, che avviene soprattutto per accostamento ed accumulo degli elementi nominali:

«Campo di aglio disseccato | sulla zona escoriata, semidistrutta | fra le morchie del crepuscolo che benda la terra. || Il tuo venire al mondo | nelle garze del giorno, nella macchia mongolica del giorno. Freddo d’acqua che evapora | dal procreato con la pena liturgica di una lingua di terra. || Lo sforzo dei tiranti sulle borchie, fasci nodosi | contro le palizzate | del mondo provvisorio. | La superficie impura della terra, il mare. | Tutto passa al setaccio della sera. || Terra concitante che non assorbe | il volume indivisibile delle piogge. Il malore d’autunno | (il tifone) appeso agli alberi come una gemmazione – o un libero sfogo della nostra paura. || Denti di pietra, i depositi nei tubi di rame | fra i parenti del morto | che ora sentono il moto dei propri organi.» SR 51.

In questa poesia possiamo notare la tendenza, già evidenziata precedentemente, alla sostantivazione del verbo. I verbi di tempo finito sono soltanto sei («benda» v.3, «evapora» v.5, «passa» v.11, «assorbe» v.12, «sentono» v.17), i restanti sono participi,

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perlopiù aggettivi verbali, ed un infinito sostantivato («il tuo venire al mondo» v.4, peraltro assimilato nell’uso comune a un sostantivo). Il componimento è il risultato di sequenze nominali più o meno lunghe, coordinate asindeticamente. E l’asindeto è il modo prediletto della coordinazione in tutta l’opera poetica presa in esame.

Vediamo altri esempi:

«Ostacoli naturali del luogo: la direzione organica dei vagoni lungo la vendemmia. | I raspi – il resto espropriato | dell’uva.» SR 11;

«La litania rimossa dai prati caldi, un frusciare di stoffe e cloro | sugli umani» SR 26;

«La spremitura domenicale. | Mattina, invulnerabile. | Il mancamento | al fondo dell’amore» SR 26-27;

«Gli uccelli, le mani, il pane morsicato dei campi | pascolati dal sole | come la colma d’acqua primaverile dopo il disgelo | come noi opere senza riposo.» SR 35;

«Il radicchio e i bambini – l’imitazione umana | sotto le ronde dei falchi – tra le foglie ornate | e ormai deste – con le prime fumate autunnali | disperse dalle andature chiare | del libeccio tra i cardini e il rogo. Un castigo selvatico i frutti.» SR 43.

Gli esempi sopra riportati sono tutti tratti da La scimmia randagia. Presentano una sintassi asindetica, schietta, che procede ad elencazione, creando legami analogici impliciti. In alcuni casi, soprattutto in un’opera successiva come La macchina

responsabile, la tendenza asindetica, già forte nei primi libri, si esaspera con

l’eliminazione della punteggiatura:

«Lo spartiacque delle santoregge | la voliera reclina del maestrale – appassiti | a uno a uno i ciuffi delle ali, poco meno di un bosco di derivazione salina.» MR 16;

«E poi | un fiume | una cancrena | un fracasso di fiamme e clandestini | grande acqua piena di vento» MR 53.

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In questi due esempi è l’effetto grafico ottenuto dall’andare a capo che crea una scansione netta del periodo, rendendo non necessarie le virgole. Non sempre, invece, la scansione risulta chiara:

«La stortura dei massi | lombi rotti di fenomeni enormi passeggeri | sulle coste | animali disposti al sereno. MR 16»

Si tratta anche in questo caso di una moltiplicazione di analogie: i massi storti sono come lombi rotti di fenomeni. Ma poi iniziano i dubbi: si tratta di fenomeni enormi e passeggeri, oppure i massi storti sono anche passeggeri sulle coste? E «sulle coste» ci sono i passeggeri o gli animali disposti al sereno? Ecco, questa ambiguità mi sembra più che mai voluta, e anzi ricercata, dall’autrice: le varie immagini che compongono l’analogia si susseguono e allo stesso tempo si sovrappongono, come avverrebbe a chi osservando un paesaggio cominciasse a trarre riflessioni, in un flusso di coscienza.

Si è detto che l’asindeto è certamente il metodo di coordinazione più frequente, tuttavia non mancano casi di catene polisindetiche, che si incontrano in momenti della poesia in cui il pathos è maggiore:

«un corpo di carne e ossa e pianto» MR 47; il sintagma «un corpo di carne e ossa» parrebbe a prima vista una banale definizione del corpo, quasi una frase fatta, ma si carica immediatamente di un significato del tutto nuovo non appena si scopre il terzo membro della coordinazione, «e pianto». Un procedimento simile, cioè di rinnovamento e di conseguente “ricarica di senso” di frasi fatte, con l’elemento portatore di sorpresa nel finale, non è raro nell’autrice (si ricordi ad esempio il verso citato da Cortellessa nel capitolo precedente: «un mare di gente e di dolore»1). Le tre «e» dettano il ritmo concitato della frase, costringendo ad una lettura scandita e per questo intensificata. Inoltre, la sequenza risolve l’immagine solo con l’ultimo membro, creando anche un effetto di climax ascendente del pathos.

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«canto | aromatico del giorno che sgorga [...] | e lascia il mondo coperto | dall’artificio del suo canto | e delle sue figure | e del suo sangue | di farfalla» MR 64;

«Rissa ferma nell’aria | di vele e ali e colmi arrotolati» MR 12.

Accanto all’accumulo di frasi nominali, che sono in linea con la tendenza alla sostantivazione, alla dizione ieratica e scandita, un po’ assolutizzante, la paratassi è costruita altre volte per mezzo di catene verbali. Si noti che la tecnica descrittiva procede anche in questo caso ad elencazione e accostamento, disponendo cioè uno in fila all’altro i dettagli della scena o dell’azione, così da dare loro risalto:

«Mesta nera e cortese la terra | scansa la neve, ricomparisce | a macchie, favilla» MR 68; oltre ad essere un esempio di catena verbale, questo periodo ci permette di vedere gli effetti della moltiplicazione: il soggetto, «la terra» è anticipato da ben tre aggettivi, e, parallelamente, la seguono tre verbi. Il ritmo dunque è scandito dai due gruppi di tre membri ciascuno, ma il secondo subisce un effetto di ralenti dovuto all’enjambement «ricomparisce | a macchie», rendendo l’immagine di una rinascita, sì, ma non immediata, com’è in effetti lo sciogliersi della neve;

«una coltre azzurrina di nuvole | che decostruisce i palazzi, scende dalle terrazze, rade | argani e bitume» MR 37;

«morti che fanno la nebbia con discorsi d’amore | e ci chiamano, chiamano – e il loro stesso fiato li nasconde» MR 36; in questo esempio il pathos è amplificato anche dalla ripetizione a contatto del verbo;

«ti dico avrai una figlia e stringo | l’intera | vita al tuo braccio e mi sale dal plesso | solare e mi allaga nel corpo | la mia gioia millenaria.» MR 63;

«Non ti preoccupare, bada al tuo denaro, perdona | a questa terra...» MR 110;

«io lo chiamo io lo faccio tornare [...] Io ti chiamo io ti faccio risorgere io ti stringo | ai miei fianchi come uno stendardo io ti tengo» MR 94. Da notare anche in questo passo

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l’assenza di punteggiatura, in un flusso continuo enfatico che esprime l’urgenza e la disperazione del passo.

Più che assente, in realtà, la subordinazione è scarsa per quantità e qualità. Prevalgono infatti le relative, soprattutto introdotte da che e dove, oppure si tratta di frasi rette dal participio passato. La relativa si spiega nel panorama diffuso della moltiplicazione, partecipando all’opera di accumulazione nel periodo:

«Ma io non posso smettere | di pensare a dove tu puoi essere | perché è giusto sapere | se io viva [...] Guardo dal basso la fortezza umana | ricevere | la sua umida nicchia [...] Siamo l’arena sulla quale una, selvaggiamente una, detterà le iscrizioni.» MR 52;

«Entrano – a uno a uno – nella cucina di un grande complesso dove immerse nel vapore bollono piccole felicità» SR 14;

«Ho voluto vedere il Tuo regno ho voluto vederlo | da viva – ma il freddo | del cuore è trafugato [...] che se mi avessi provocato dei tagli non avrei sentito dolore, avrei sentito | la superficialità della strage» MR 44;

«Tu mi nascondevi quello che era evidente» MR 52.

Più rare, ma non assenti del tutto, sono le finali e causali:

«io ti restavo attorno con fiducia | perché il cielo rimane la mia casa nei sottoscala» MR 51;

«ho volato sul vuoto per prenderlo» MR 47;

«crediamo | a quello che non vediamo | – abbandoniamo l’adesione al suolo di strumenti sismici. || Cerchiamo il cuore giusto di un bambino – di una dolce | Maria – per vedere risorgere qualcosa come un mantello d’oro dal nulla | dei corpi – per vedere | il brillaggio dei Vivi spirare | dai vostri corpi neri come sacchi – per vedere quello che non vediamo

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– per vedere ricominciare cose...» MR 43. Anche in questo esempio assistiamo alla tecnica di moltiplicazione della ripetizione: la frase finale, introdotta da «per vedere», è riproposta per quattro volte di fila, mostrando di volta in volta implicazioni derivanti dalla prima.