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Ancora diversi sono i tempi utilizzati: all’imperfetto in Cleom., si contrappone il presente dell’opuscolo La differenza

il testo del Lessico di Arpocrazione Il lessicografo parla della

3) Ancora diversi sono i tempi utilizzati: all’imperfetto in Cleom., si contrappone il presente dell’opuscolo La differenza

è notevole, in quanto comporta interessanti conseguenze, per quanto concerne il tentativo di ricostruzione della prospettiva, dalla quale Aristotele

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Ibidem. In precedenza MARASCO 1981, p. 427 aveva sottolineato come le

difficoltà mostrate da Plutarco, nel dare una spiegazione al divieto, fossero spia del fatto che le motivazioni di quest’ultimo non fossero più chiare già ai tempi del Cheronese.

esaminava questo aspetto della società spartana. In altre parole, al tempo

dello Stagirita il divieto era ancora in vigore ( o Aristotele

faceva riferimento ad un tempo passato ( ? Per tentare di

rispondere a questo interrogativo, potrebbe essere utile far riferimento al testo dell’estratto eraclideo, nella sezione in cui si fa menzione dell’eforato.

Come è possibile notare, in tale punto, Eraclide, che riprenderebbe in maniera fedele Aristotele451, utilizza le forme , . In tale prospettiva, lo Stagirita avrebbe discusso delle prerogative di tale magistratura, facendo riferimento ai suoi giorni; in tal modo, è probabile che anche la questione relativa al prostagma sul taglio dei baffi, che doveva, con ogni probabilità, far parte della sezione dedicata nell’opuscolo all’eforato, fosse affrontata in riferimento al tempo di Aristotele.

Fr. 13c è conservato da uno scolio di Proclo a Le opere e i giorni. Lo

scoliaste si sarebbe servito, a sua volta, di un commentario plutarcheo452; il prostagma spartano è citato nel commento ai vv.724-726 in cui Esiodo riferisce del divieto di sacrificare nell’ora dell’aurora il vino nero con mani non pulite, né agli altri immortali. Lo scoliaste connette tale divieto a quello imposto dagli efori: le due imposizioni sarebbero collegate, secondo Amendola453 «dalla necessità di un castigo severo».

Bisogna porre in evidenza come lo scoliaste, nel suo tentativo di spiegazione delle ragioni del divieto, sembri aver attinto, in parte, alla descrizione presente nel bios, in parte, invece, all’opuscolo.

Si nota infatti come l’espressione presente in Plut. Cleom. corrisponda sostanzialmente all’espressione >

451Cfr. POLITO 2001, p. 229.

452Su tale ipotesi cfr. PERTUSI 1951, pp. 147-159; FARAGGIANA DI SARZANA 1987, p. 22.

[ ]dello scolio; ancora, al

corrisponde usato dallo scoliaste.

Frutto del tentativo di spiegazione delle espressioni

Cleom.) ed De sera num. vind.) appare

la formula

con la quale lo scoliaste esprime la prassi degli efori di punire duramente chi trasgredisse i loro divieti.

Venendo alla delimitazione del frammento aristotelico, si può ipotizzare che nell’opuscolo la notizia relativa al prostagma contenesse sicuramente l’enunciazione del divieto imposto e dell’autorità da cui esso proveniva

( ; maggiori problemi sono dati dalla doppia forma

utilizzata da Plutarco per specificare il tipo di divieto, ossia il

presente in Cleom. ed il del De sera num.vind.

La scelta di una delle due forme presuppone, infatti, l’assunzione di una prospettiva diversa, dalla quale intendere tale divieto: in altre parole, il divieto di “tagliarsi” i baffi, come è specificato nella biografia, presupporrebbe che i destinatari fossero uomini già in possesso di tale caratteristica fisica, dunque adulti; diversamente, il “non lasciarsi crescere” presente nell’opuscolo, sembrerebbe adatto più a dei giovani che non presentavano ancora tale caratteristica, dunque, con ogni probabilità, dei neoi454. In questa sede si è scelto di optare per la seconda possibilità, intendendo il divieto come rivolto ai giovani che si preparavano ad entrare a far parte della comunità lacedemone e che dunque dovevano abituarsi a sottostare alle sue leggi.

La sezione dell’opuscolo dedicata alla notizia sul prostagma doveva concludersi con la spiegazione delle finalità alla base di quest’ultimo, dunque

454A tal proposito, secondo RICHER (1998, p. 253 n. 55) la formulazione non lasciarsi crescere i baffi indica chiaramente una limitazione allo sviluppo di individui e non la privazione, loro imposta, di uno status già acquisito. Prima di lui, B. W. WILLIS (1997, pp. 576-577) aveva evidenziato come l’uso di due forme diverse fosse «probably simply a loose paraphrase of the

con la proposizione finale che sia Cleom. ( che

il De sera num. vind.( ) riportano. In tale direzione porta

il confronto con una notizia riguardante, con ogni probabilità, sempre la sezione dedicata agli efori, contenuta in Plut. Lyc.28,7, che riporta le ragioni alla base della dichiarazione di guerra fatta dagli efori agli iloti.

Anche in questo caso, dopo aver descritto lo svolgimento di tale pratica, Plutarco (che cita espressamente Aristotele) utilizza una proposizione finale:

Dal passo preso in considerazione emerge ancora un altro elemento che potrebbe rivelarsi interessante, se messo in relazione con il frammento esaminato in questa sede: l’uso della forma avverbiale , in relazione alle attività svolte dagli efori una volta saliti in carica.

La loro prima iniziativa, come riferiva Aristotele (

sarebbe stata quella di dichiarare guerra agli iloti (

L’uso dell’avverbio potrebbe essere spia della presenza, nell’opuscolo aristotelico, di un vero e proprio elenco delle prerogative degli efori, una volta entrati in carica. Il problema, in tal senso, è dato dall’uso, da parte di Plutarco, di un avverbio dello stesso tipo a proposito della notizia sul prostagma. In Cleom., dove ancora una volta cita espressamente Aristotele,

Fr. 14a (= 545A Rose = 551, 2 Gigon) - Eustath. ad Il. , 129, p. 677 Van

der Walk.

Bisogna sapere anche che sembra che Lesbo non generi uomini buoni. Da cui anche fare il dissoluto alla maniera lesbia significa insozzare turpemente la bocca secondo Elio Dioniso, il quale dice anche che il cantore lesbio del proverbio sarebbe Terpandro oppure Evenetide e Aristocleide. E Aristotele nella Costituzione dei Lacedemoni dice che l’espressione “dopo il cantore lesbio” faccia riferimento a Terpandro. Dicono, tuttavia, che, anche in seguito, erano chiamati, in suo onore, innanzitutto i suoi discendenti, poi qualsiasi altro uomo di Lesbo fosse presente, poi ancora i rimanenti “dopo il cantore di Lesbo”, evidentemente qualsiasi altro lesbio.

Fr. 14b (= 545B Rose = 551, 1 Gigon) - Zenob. 5, 9

Dopo il cantore lesbio: proverbio che fa riferimento a coloro i quali ottengono il secondo posto per tale motivo. I Lacedemoni, essendo coinvolti in una stasis, mandarono a chiamare da Lesbo, secondo l’oracolo del dio, il musico Terpandro. Quello, giunto, e servendosi della musica, calmò i loro

animi e pose fine alla stasis. Ogni volta che, dopo questa vicenda, i Lacedemoni ascoltavano qualche musico, dicevano “dopo il cantore lesbio”. Fr. 14c (= 545C Rose = 551, 3 Gigon) - Hsch. s.v. )

(Si dice) che, dal momento che ritenevano che i discendenti di Terpandro fossero buoni citarodi, li mandassero a chiamare per primi per l’agone, poi qualsiasi altro cantore lesbio ci fosse.

Fr. 14d (= 545D Rose = 551, 5 Gigon) - Phot. s.v. )

Dopo il cantore lesbio: riferito a chi ottiene il secondo posto. Infatti i Lacedemoni mandavano a chiamare per primi i citarodi di Lesbo; una volta, essendo in preda alla discordia la città, un oracolo impose di mandare a chiamare il cantore lesbio: quelli, mandando a chiamare Terpandro da Antissa, che fuggiva per un delitto di sangue, lo ascoltavano nei sissizi e furono riportati alla concordia.

I Lacedemoni erano inesperti dell’arte musicale; infatti si impegnavano nei ginnasi e nelle armi. Se in qualche occasione erano bisognosi del soccorso delle Muse o perché soffrivano di un’epidemia o perché colpiti da discordia civile o perché soffrivano di qualche problema pubblico, mandavano a chiamare stranieri come medici, purificatori secondo i dettami dell’oracolo: mandarono a chiamare così Terpandro, Taleta, Tirteo, Ninfeo Cidonio e Alcmane. Anche Tucidide d’altra parte si mostra d’accordo, nella sezione in cui parla di Brasida, sul fatto che non si curassero dell’educazione. Dice infatti che nonostante fosse lacedemone non fosse incapace di parlare. Heracl. Exc. 9

I Lacedemoni onorarono il cantore lesbio: infatti il dio ordinò di ascoltarlo in quanto ispirato.

Fr. 14 è conservato da quattro testi paremiografici e lessicografici e

dall’estratto eraclideo. Si è scelto di proporre il riconoscimento, almeno come frammento dubbio, anche di una sezione della Varia Historia (XII, 50) di Eliano per la similarità di contenuto che esso presenta rispetto ai testi già riconosciuti come frammenti. Fr. 14 riporta notizia dell’importanza per gli Spartani del poeta lesbio Terpandro, importanza testimoniata dalla presenza di una legge agonale, che aveva poi dato origine al proverbio

, in base alla quale i citarodi lesbi sarebbero stati chiamati sempre ad esibirsi per primi in un agone, presumibilmente in occasione delle Carnee455. Tale tradizione sarebbe nata quando il lesbio Terpandro, chiamato a Sparta in un momento di stasis della polis lacedemone, avrebbe ricondotto, grazie alle sue armonie, gli Spartani alla concordia.

455 Ps. Plut. De mus. 6, 1133 e. Su Terpandro cfr. GOSTOLI 1985, pp. 10-53; 1988, pp. 231-

237; 1990, p. 122. In generale sul valore educativo della musica a Sparta MICHELL 1952, pp. 182 ss; BRELICH 1969, pp. 113-228; CALAME 1977 I, pp. 385 ss; MARASCO 1978, pp. 175-176; HERINGTON 1985, p. 48; QUATTROCELLI 2002, pp. 7-32; MASSARO 2010- 2011, pp. 195-216; BERLINZANI 2013, pp. 203-263 con bibliografia raccolta.

Bisogna notare come i testi che ci conservano il frammento presentano tra loro delle varianti. Si prendano in considerazione singolarmente.

Fr. 14 a, testo trasmesso dal commento di Eustazio al v. 129 del IX libro

dell’Iliade mostra almeno due elementi interessanti: