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Andamento del default aziendale e impatto sul rischio di credito

CAPITOLO IV: Alcune analisi pre e post crisi del 2008

1. Andamento del default aziendale e impatto sul rischio di credito

crisi del 2008 ci siamo basati su alcuni dei default studies redatti e pubblicati da S&P’s a partire dal 2002 fino ad arrivare al 2016.

Proprio il 2002 è stato un anno particolarmente interessante dal punto di vista dei default degli emittenti. Infatti, le insolvenze aziendali hanno stabilito un record per il quarto anno consecutivo arrivando a contare 226 emittenti inadempienti. Questo è stato il risultato di una debole economia globale, di un calo della qualità del credito, di una grande quantità di emissioni di bassa qualità dalla fine degli anni '90 e di vari scandali societari.

Il tasso di default globale è aumentato gradualmente, arrivando al 3,63% e il volume del debito interessato dalle inadempienze ha toccato i 190 miliardi di dollari, una cifra spropositatamente alta rispetto agli anni precedenti. Per quanto riguarda i segmenti speculative e investment grade si nota che il 9,20% delle società classificate come

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specultaive-grade sono andate in default, ma fatto ancor più interessante è che delle società classificate come investment-grade ne sono andate in default circa lo 0,5%, un numero insolitamente alto considerando che fino ad allora la massima percentuale raggiunta era stata dello 0,24%. Tutto ciò non fa altro che rispecchiare il cattivo andamento di un’economia incerta e di mercati del credito estremamente volatili. Spostando l’attenzione sul 2005 si trova una situazione nettamente migliorata rispetto a quella del 2002 in cui si erano raggiunti picchi, sia nel numero di inadempienze che nei tassi di default, mai visti prima. Infatti, il numero di inadempienze è sceso dalle 226 del 2002 alle sole 37 del 2005 e, con esse, sono diminuiti anche il tasso di default globale (0,60%), il volume del debito interessato dai default (42,5 miliardi di dollari), e le percentuali di default dei segmenti speculative-grade (1,5%) e investment-grade (0,03%). Tale situazione è stata favorita da fattori come l'abbondanza di liquidità e una politica monetaria accomodante da parte delle principali banche centrali.

Nonostante le interruzioni di liquidità nei mercati del credito, l'incidenza dei default aziendali nel 2007 è rimasta bassa, mantenendo il trend prevalente degli ultimi anni. Globalmente, solo 22 aziende sono risultate insolventi, otto in meno rispetto al 2006 e il numero più basso dal 1996. Il tasso di default aziendale globale ha continuato la sua discesa raggiungendo lo 0,36%, rispetto allo 0,46% del 2006 e il volume del debito insoluto è stato di 8,2 miliardi di dollari. È importante notare che delle 22 società inadempienti nessuna era classificata come investment-grade.

Alla fine del 2007, le tendenze creditizie erano ampiamente favorevoli, con gli upgrade che superano i downgrade a livello globale per il quarto anno consecutivo.

Si è notato che la prevalenza dei default derivavano dalla categoria di rating “B” (“B+”, “B” e “B-”). Infatti, dal 1981 questa categoria di rating ha contato 825 società inadempienti (53,5% del totale), più del doppio della categoria di rating “BB”. Inoltre, la percentuale di nuovi emittenti con rating di tipo speculative-grade era in aumento e ciò poteva evidenziare il rischio di un aumento dei tassi di insolvenza in futuro. In questi anni, fattori come un’abbondante liquidità, un ambiente macroeconomico piuttosto favorevole, una continua e forte propensione al rischio da parte degli investitori sembrano aver facilitato adeguate opportunità di finanziamento per un crescente universo di società con rating speculative-grade, scongiurando potenziali inadempienze. Ma, dalla metà del 2007, tale accomodamento sembrava in declino.

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Passiamo ora ad analizzare il 2008, l’anno del cambiamento e dello scoppio di una delle più grandi crisi finanziarie della storia. Durante questo periodo si sono contati 125 emittenti in default, un aumento del tasso di default globale dallo 0,36% del 2007 all’1,69% del 2008 e un volume di debito interessato dalle inadempienze pari a circa 429,6 miliardi di dollari, un massimo storico in termini di valore nominale. Dei 5966 emittenti societari valutati globalmente da S&P’s Ratings Services all’inizio del 2008, circa il 15,82% è stato declassato alla fine dell’anno, il più alto tasso di downgrade dal 2002.

L’aumento delle vittime tra le imprese, in realtà, non è sorprendente, in quanto giunge sulla scia di molti anni consecutivi di crescita inebriante. In effetti, il notevole deterioramento della distribuzione del rating aziendale globale negli ultimi cinque anni prima del 2008 è stato un sintomo evidente degli anni del “boom”, caratterizzato da condizioni di prestito facili, da uno spread basso e da un aumento degli emittenti classificati come speculative-grade. Uno sguardo ravvicinato ad ogni categoria di rating rivela che le straordinarie turbolenze finanziarie hanno spinto i tassi di default del 2008 a raggiungere livelli record in alcune categorie di rating investment-grade, in particolare “AA” e “A”, dove i tassi di insolvenza sono saliti allo 0,38%. Allo stesso tempo, i tassi di default speculative-grade sono alti ma al di sotto dei livelli record registrati in passato (3,68%).

Dei 125 defaulters, 101 inizialmente avevano un rating speculative-grade e i restanti 24 avevano un rating iniziale investment-grade. Tra questi ultimi Lehman Brothers è stato dichiarato insolvente con un debito nominale pari a 144 miliardi di dollari, un record storico.

Alla fine del 2008 l’andamento del credito era a dir poco peggiorato. L’eccezionale volatilità dei mercati finanziari ha causato un volume di insolvenze di emittenti con rating elevato più alto del normale ma, allo stesso tempo, il rischio di insolvenza è stato in qualche modo mitigato da interventi pubblici straordinari sotto forma di salvataggi, iniezioni di capitale e consolidamenti forzati.

Dopo due anni di massimi record in termini di statistiche globali sulle obbligazioni societarie, nel 2010 i mercati hanno subito un’inversione notevole. Infatti, si sono registrati solo 81 default, un numero nettamente in calo rispetto ai 265 del 2009. Inoltre, nessuno degli 81 inadempienti ha iniziato l’anno con rating investment-grade.

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L’ammontare del debito influenzato da tali inadempienze è sceso a circa 96 miliardi di dollari, anch’esso notevolmente inferiore rispetto al 2009, in cui il debito aveva raggiunto i 627 miliardi. Insieme al calo del numero dei default, si è registrato un miglioramento della stabilità del credito, con 1,36 upgrade per ogni downgrade. Inoltre, il tasso di default globale è sceso all’1,14% dal 4,04% del 2009. Dai dati appena esposti è evidente che nel 2010 c’è stato un netto miglioramento rispetto ai due anni precedenti con i default limitati al dominio del segmento speculative-grade. A testimoniare l’andamento ampiamente positivo dei rating aziendali e del contesto creditizio in generale si nota che tutti gli inadempienti che sono stati attivamente valutati immediatamente prima del default sono stati classificati tra le categorie di rating più basse. In particolare, il 79% è stato valutato “CCC+” o inferiore prima del default.

Il progressivo miglioramento registrato nel 2010 è proseguito anche nel 2011 in cui 53 emittenti societari sono andati in default e, fra questi, solo uno aveva iniziato l’anno con rating investment-grade. Anche l’importo del debito interessato dalle inadempienze è diminuito raggiungendo gli 84 miliardi e il tasso di default globale è diminuito fino allo 0,75%. Per contro, la stabilità creditizia complessiva è leggermente peggiorata, con un aumento sia degli upgrade che dei downgrade.

Un altro fattore interessante riguarda l’aumento registrato dei rating di tipo speculative-grade. Poiché i tassi di default sono diminuiti in tutto il mondo, è iniziato un altro aumento nella proporzione degli emittenti speculative-grade e, a tal proposito, la storia suggerisce che tale crescita è di solito un precursore di un’ondata di default. Infatti, dato che si è superato il punto più critico dopo la crisi del 2008, la propensione al rischio degli investitori è aumentata, come dimostrato dalla quota di nuovi emittenti con rating speculativo del 2010 (79%) e del 2011 (72,5%).

Negli anni successivi il default aziendale ha avuto un andamento più o meno stabile, mantenendosi intorno ai livelli registrati nel 2011.

Nel 2014 il trend migliorativo è continuato. I default registrati sono stati 60, minori rispetto agli 81 dell’anno precedente e il totale più basso dal 2011. Il debito interessato dalle inadempienze è stato di 91 miliardi, anch’esso in calo rispetto ai 97 miliardi del 2013.

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Nel complesso la qualità del credito e la stabilità del rating sono rimaste elevate, infatti il 74,5% delle emissioni hanno chiuso il 2014 con gli stessi rating di inizio anno. Il tasso di default globale è diminuito fino all’1,42% e, similmente al 2013, questo calo è il risultato di un minor numero di inadempienze e di un aumento del numero di emissioni speculative-grade.

A fine 2016, però, la situazione che si legge è decisamente peggiorata. Il numero di defaulters è aumentato a 162, con un volume di debito interessato di 239,8 miliardi di dollari, più del doppio dei 110 del 2015 e dei 97 del 2014 e un tasso di default globale del 4.2%. Inoltre, dei 162 inadempienti, 154 (95%) avevano inizialmente valutazioni di tipo speculative-grade, la maggior parte delle quali (127) proveniva dalle categorie di rating "B" e "CCC" / "C".

In quest’anno le insolvenze aziendali sono state principalmente causate da uno stress prolungato nei mercati energetici globali. I prezzi del petrolio hanno iniziato il 2016 ai loro livelli più bassi in circa 14 anni. Nonostante gli stessi siano aumentati per tutto l’anno, i settori dell’energia e delle risorse naturali hanno registrato un incremento dell’attività di default. Infatti, tale settore ha rappresentato oltre il 50% di tutti i default del 2016.

Volendo fare un riassunto della situazione esposta, possiamo utilizzare un grafico riportato da S&P’s nel default study del 2016 che mostra l’andamento del default globale aziendale in base al numero di emittenti a partire dal 1981 fino ad arrivare al 2016 evidenziando anche i risultati a livello regionale ossia, mostrando per ogni anno, i defaulters degli Stati Uniti, dell’Europa e dei Mercati Emergenti.

Come si può notare dal grafico e dall’analisi svolta, l’andamento del default aziendale è abbastanza altalenante e direi quasi ciclico. Infatti, a partire dal 1981 il numero di defaulters comincia ad aumentare e raggiunge un leggero picco nel 1991, dopodichè torna a diminuire fino ad una seconda impennata avutasi fra la fine degli anni novanta e i primi anni duemila, anni in cui si è evidenziata una situazione di debolezza dell’economia globale, un calo della qualità del credito e un aumento delle emissioni di bassa qualità collegata, tra l’altro, a una serie di scandali societari.

Dopo il picco del 2001 la situazione è nettamente migliorata, favorita dall’abbondanza di liquidità, da un ambiente macroeconomico favorevole e da una continua e forte

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propensione al rischio degli investitori che ha portato il numero di defaulters ai livelli minimi storici nel 2007.

A partire dal 2008, con lo scoppio della crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti, il numero di inadempienze e soprattutto il volume di debito interessato dalle stesse è cresciuto vertiginosamente arrivando a toccare nel 2009 circa 260 inadempienze e 600 miliardi di debito. Uno dei motivi per cui si sono toccati livelli così alti è sicuramente legato al fatto che con la crisi sono andati in default molti emittenti classificati come investment-grade e, in particolare, appartenenti alle categorie di rating “AA” e “A”. Basti nominare Lehman Brothers, dichiarato inadempiente nel 2008 con un debito di 144 miliardi di dollari.

Dopo un leggero ribasso avutosi negli anni immediatamente successivi tra il 2010 e il 2015, nel 2016 si è raggiunto nuovamente un picco con 162 emittenti in default e circa 240 miliardi di debito interessato. Tali insolvenze sono state causate principalmente

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da uno stress nei mercati energetici globali, soprattutto per ciò che riguarda il petrolio e il gas naturale.

In conclusione, si può dire che l’andamento del default aziendale è strettamente collegato alle condizioni dei mercati mondiali e rispecchia perfettamente le situazioni di crescita e/o di difficoltà affrontate nel corso della storia. È evidente, inoltre, che l’attività svolta dalle agenzie di rating risulta molto importante, in quanto permette agli investitori di farsi un’idea sul merito di credito di un certo emittente anche se, in alcuni casi, come accaduto per la crisi del 2008, esse hanno compiuto degli errori con l’assegnazione di un rating “AA” o “A” ad emittenti che sono poi risultati inadempienti. Errori che sono risultati fatali, e che hanno sicuramente aumentato la portata generale della crisi.

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