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ANESTETICI LOCAL

FARMACI ANALGESIC

ANESTETICI LOCAL

Questi categoria di farmaci agisce sulla conduzione dell’impulso nervoso, di qualunque natura esso sia, bloccando in maniera reversibile l’attivazione e la propagazione dei potenziali d’azione delle cellule nervose; per fare questo si ancorano all’interno del canale del Na+ e impediscono il transito del catione, in modo tale da ostacolare l’aumento della conduttanza del Na+ voltaggio-dipendente e, di conseguenza, indurre: una diminuzione dell’eccitabilità elettrica della fibra nervosa; un aumento

della soglia di eccitazione; una riduzione dell’ampiezza del potenziale d’azione; una riduzione della velocità di depolarizzazione.

L’anestetico locale più conosciuto al mondo è la cocaina. Veniva utilizzata per i suoi effetti psicotropi già migliaia di anni fa dagli indiani del Sud America, che ne avevano provato anche l’effetto anestetico proprio per il fatto che subivano un intorpidimento della bocca e della lingua masticando le foglie di coca. Fu solo nel 1860 che questa sostanza venne isolata e proposta come anestetico locale per le procedure chirurgiche.

L’attività degli anestetici locali è influenzata da diversi fattori, quali la frequenza di attivazione dei canali del Na+, il pH, il diametro e il grado di mielinizzazione delle fibre nervose e naturalmente dal tempo di contatto del farmaco con le strutture nervose.

Per quanto riguarda la frequenza di attività dei canali del Na+, l’intensità del blocco aumenta con la frequenza dei potenziali d’azione: più elevata è la frequenza di scarica e maggiore sarà il blocco prodotto dall’anestetico. Ciò si spiega mediante il meccanismo di legame: il recettore degli anestetici locali è localizzato nella parte più interna del canale del Na+, quindi nel versante intra- cellulare, e per arrivarci il farmaco ha due possibilità: attraversare direttamente il canale del Na+, per il quale ha maggiore affinità quando si trova allo stato inattivato, oppure attraversare le membrane assonali quando si trova nella sua forma liposolubile, quindi non cationica.

Dato che gli anestetici locali sono basi deboli, con pKa compreso fra 8 e 9, si comprende quanto sia

importante l’influenza del pH, soprattutto per il fatto che i tessuti infiammati sono spesso acidi e di conseguenza resistenti in varia misura agli anestetici locali perché prevale la forma idrosolubile. Al fine di ottenere una quota maggiore di farmaco in forma neutra, e quindi maggiormente in grado di attraversare le membrane fosfolipidiche, si può utilizzare una soluzione alcalinizzata mediante aggiunta di bicarbonato (carbonazione) in base al pKa del farmaco da utilizzare: da ciò ne deriva un

aumento della durata e della potenza.

Per quanto riguarda il diametro delle fibre nervose, il blocco avviene più rapidamente in quelle di piccolo diametro demielinizzate e più tardivamente in quelle di grande diametro mielinizzate, quindi la conduzione dell’impulso nocicettivo (fibre C e Aδ) viene bloccata prima della conduzione delle altre modalità sensoriali. Questa differenza tuttavia non è molto rilevante a livello pratico perché è quasi impossibile produrre un blocco della sensazione dolorosa senza influenzare le altre modalità sensoriali.

Allo scopo di migliorare l’intensità e la durata del blocco nervoso e per ridurre i rischi di tossicità sistemica vengono impiegate soluzioni di anestetico contenenti epinefrina 1: 200.000 (5 µg/ml) perché tutti gli anestetici locali, eccetto la cocaina, hanno un’attività vasodilatatrice intrinseca

(soprattutto nel sito di inoculo) e ciò comporta un maggior distribuzione nel circolo sistemico con conseguente aumento potenziale degli effetti collaterali e diminuita potenza dell’anestetico locale. Sono elencate di seguito alcune proprietà farmacologiche degli anestetici locali più utilizzati nella pratica clinica.

Lidocaina: può essere utilizzata sotto forma di spray, pomata o soluzione idrosolubile al 2%. Ha un inizio d’azione rapido di circa 5-10 minuti e una durata d’azione di 2 ore. La dose massima consigliata è 4-6 mg/Kg (7-10 mg/Kg se somministrato con epinefrina), opportunamente ridotta nei bambini e negli anziani. A differenti dosi viene impiegato anche come antiaritmico e antiepilettico. Mepivacaina: viene utilizzata in soluzione al 2%, a cui però non si aggiunge epinefrina perché la molecola possiede già un’attività vasocostrittrice intrinseca. Ha un inizio d’azione di 10 minuti e una durata d’azione di 2-4 ore. La dose massima generalmente utilizzata è 7-10 mg/Kg, senza mai superare i 1000 mg nelle 24 ore.

Bupivacaina: viene usata sotto forma di soluzione al 0,25-0,75%, ha un inizio d’azione moderato di circa 15-30 minuti ma con una lunga durata che varia dalle 6 alle 12 ore. Ha un picco tardivo e una tossicità cardiaca maggiore della mepivacaina, specialmente per blocchi di lunga durata. Il dosaggio massimo è di 2-3 mg/Kg (4 mg/Kg se somministrato con epinefrina).

Ropivacaina: viene commercializzata in soluzione al 2-10% ed è meno potente della bupivacaina ma allo steso tempo presenta minore tossicità. I suoi effetti iniziano a manifestarsi dopo 10-15 minuti e permangono per circa 4-8 ore. Il dosaggio massimo è di 3-4 mg/Kg.

Esistono diverse forme di anestesia locale in funzione del sito di inoculo:

- Topica o di superficie: si può ottenere in determinate strutture come cavo orale, esofago, laringe, trachea, cornea, timpano, uretra e vescica mediante spray o gel, per esempio per le manovre endoscopiche. Lo strato corneo della cute risulta difficilmente penetrabile dagli anestetici locali, perciò viene utilizzata una miscela di lidocaina e procaina miscelate al 5% (EMLA®) sotto forma di crema che, dopo 30-60 minuti, consente l’incannulazione venosa o piccoli interventi di superficie; si tratta infatti di una miscela eutettica che presenta un punto di fusione a temperatura ambiente, per cui vengono assorbiti in fase liposolubile.

- Per infiltrazione: si tratta dell’anestesia dei terminali nervosi che decorrono sotto lo strato corneo.

- Tronculare: è il blocco di un nervo periferico lungo un punto qualsiasi del suo percorso. In media questa manovra richiede 10 ml di anestetico, ma nelle piccole zone anatomiche (es. interdigitale) si deve evitare l’uso di grandi volumi di anestetico perché la pressione meccanica della soluzione può impedire il flusso di sangue

- Plessica: viene bloccato un plesso nervoso con infiltrazione di anestetico più o meno vicina all’emergenza della radice. In questo caso l’ordine di insorgenza dell’anestesia segue la disposizione anatomica delle fibre: le fibre motorie decorrono nella parte più superficiale del plesso mentre quelle sensitive sono più al centro, perciò la paresi precede l’anestesia; inoltre le fibre prossimali sono più esterne delle distali per cui l’insorgenza sarà prima delle prossimali e poi le fibre più distali.

Per identificare in maniera univoca e precisa i nervi da anestetizzare, si può ricorrere all’ausilio di un elettroneurostimolatore il quale, generando piccoli stimoli elettrici mirati, provoca delle contrazioni muscolari che consentono di riconoscere le strutture nervose stimolate.

- Peridurale: consiste nell’iniezione di anestetico locale all’interno dello spazio peridurale, cioè lo spazio virtuale compreso fra il legamento giallo e la dura madre, in modo da bloccare le radici anteriori e posteriori dei nervi spinali che attraversano tale spazio; la sua identificazione si basa sulla sensazione di perdita di resistenza che si percepisce quando l'ago epidurale passa da un tessuto a maggiore densità (il legamento giallo) ad uno a densità minore (lo spazio epidurale). Il legamento giallo esercita infatti una certa resistenza sia al passaggio dell'ago che all’ iniezione di fluidi, resistenza che diminuisce repentinamente al momento del passaggio della punta dell'ago nello spazio epidurale.

Si può eseguire nei diversi tratti della colonna con un volume di anestetico di circa 2.5 ml per ogni metamero da bloccare e l’anestesia insorge dopo 15-30 minuti.

Nel trattamento del dolore postoperatorio può essere posizionato un catetere peridurale per l’infusione continua di anestetici locali al fine di ridurre il dosaggio di oppioidi e accelerare quindi il recupero post-operatorio.

L’anestesia peridurale ha il vantaggio di non perforare la dura madre, per cui non è seguita la liquorrea con cefalea, ma è controindicata in caso di ipertensione endocranica, coagulopatie (per esempio trombocitopenia grave) o rifiuto della paziente al trattamento. - Subaracnoidea: con questa metodica l’anestetico locale viene iniettato nel liquor

cefalorachidiano, a livello dello spazio subaracnoideo, inducendo un blocco nervoso in pochi minuti. In questo caso il volume della soluzione è molto inferiore a quello utilizzato per la peridurale e i segmenti bloccati varieranno in base alla posizione del paziente. Poiché il blocco della trasmissione nervosa non è selettivo, questa tecnica viene riservata per interventi della regione sottombelicale, perchè un blocco troppo alto potrebbe bloccare i nervi intercostali con conseguente apnea ventilatoria. L’iniezione infatti viene praticata nella

regione lombare, di solito nello spazio fra la seconda e la terza vertebra lombare oppure in quello tra la terza e la quarta vertebra lombare.

Effetti collaterali

I principali effetti indesiderati si manifestano a livello del sistema nervoso centrale e di quello cardiovascolare. La maggior parte degli anestetici locali produce sia effetti depressivi sia effetti stimolatori sul sistema nervoso centrale in base alla loro concentrazione plasmatica: se questa è bassa prevalgono gli effetti depressivi, mentre se è alta si manifestano quelli stimolatori, costituiti principalmente da agitazione, tremori, convulsioni, confusione42. A concentrazioni ancora maggiori può sopraggiungere la depressione respiratoria, che rappresenta il principale rischio di morte.

L’unico anestetico locale che determina effetti diversi dagli altri è la cocaina perché, oltre a bloccare il canale del Na+, determina il blocco del reuptake di adrenalina, dopamina e serotonina, causando quindi vasocostrizione ed euforia già a basse dosi, oltre ai suoi effetti psicostimolanti. Gli effetti collaterali cardiocircolatori sono secondari alla ridotta conduttanza al Na+ e comprendono una riduzione dell’eccitabilità cardiaca, della velocità di conduzione e della forza di contrazione, predisponendo così il paziente a possibili aritmie con fenomeni di rientro o a blocchi di conduzione. Il ridotto inotropismo inoltre, se associato ad una vasodilatazione più o meno marcata, può determinare situazioni gravi fino al collasso cardiocircolatorio.

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