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Anna Chiara Cimoli 10 , La parola ai musei

LE COSE VANNO PER IL MEGLIO: DIECI DIALOGHI AL FUTURO

3.5. Anna Chiara Cimoli 10 , La parola ai musei

Credo sia adesso il momento per fare un salto nella direzione del rendere i musei dei luoghi del welfare. Nel senso che è adesso che c’è, come dire, un con-testo culturale e un flusso di pensiero molto forte, di ricerca e di sperimentazione in questa direzione.

Anche perché c’è un fortissimo consenso, cosa piutto-sto rara, sulle possibilità dei musei in questa direzione. Parlando di modelli io guardo con interesse ai musei inglesi, che, a parte aver fatto un ragionamento su Brexit estremamente critico, hanno messo in campo una serie di azioni molto forti che li riguardano. In città anche non periferiche e problematiche per la storia recente, tipo Liverpool, si sono create reti fra musei in cui ciascuno potenzia gli altri. Un po’ di anni fa l’associazione dei musei inglesi aveva lanciato la campagna Museums change lives, i musei cambiano la vita. Un claim un po’ autoironico, perché ovviamente partiva dal fatto di dirsi “ma chi ci crediamo di essere”, però, detto con grandissima serietà. Da lì tutto un lavoro veramente a 360° sul tema, per esempio, della vecchiaia. Non solo sulla questione dell’accessibilità, che è un tema su cui anche in Italia nei luoghi si è lavorato tanto, ma su tutto quello che è il paziente, ma anche il suo caregiver, l’accompagnatore, il familiare e via dicendo. Questo è il momento per ragionare sulla possibilità che i musei diventino anche questo, ci sono delle sperimentazioni molto belle che stiamo seguendo. Su questo alcuni musei italiani stanno lavorando tantissimo, soprattutto a Firenze: Palazzo Strozzi11, il Marino Marini12. C’è un interesse crescente, molto forte. I musei di Bassano del Grappa hanno fatto un lavoro molto bello su danza e Parkinson13, per esempio. Ci sono, come dire, delle isole. È una rifles-sione, credo molto profonda, sugli strumenti che i musei possono offrire per aiutare le persone a pren-dere delle strade autonome. Non quelli dell’assistenza sociale o della psicologia, ma valorizzando il fatto che il museo è il luogo di scambi interdisciplinari.

11 La Fondazione Palazzo Strozzi di Firenze ospita mostre per-manenti ed esposizioni d’arte. www.palazzostrozzi.org. 12 Il Museo Marino Marini, oltre a ospitare le opere di

Mari-ni, organizza mostre temporanee ed esposizioni. Ha una significativa attività di carattere educativo. https://muse-omarinomarini.it/.

13 Il progetto Dance and Health with Parkinson è stato ide-ato e promosso dal CSC Casa della Danza di Bassano del Grappa. Si basa sull’impatto salutare che la pratica arti-stica della danza, portata avanti in maniera regolare, può avere sul sistema neurologico, sulle prestazioni fisiche e

Progetto #genera_azioni. I partecipanti a questi incontri sono per lo più stranieri. Oltre che a preparare le persone alla ste-sura di un CV e a un colloquio di lavoro, il progetto fa da ponte tra chi cerca un impiego e le ditte che cercano personale.

Progetto #genera_azioni. Nel Punto di comunità a Carpenedolo oggi c’è un incontro dell’azione genera_lavoro. In una simulazione di colloquio di lavoro, a turno, i partecipanti fanno la parte sia del datore di lavoro sia di chi sta cercando un impiego.

Poi c’è il tema dei giovani, un punto su cui forse la riflessione, anche internazionale, è più difficile. Il punto non è tanto “Portiamoli al museo!”, ma quanto quello spazio possa effettivamente essere un luogo in cui fare delle riflessioni che altrove non si fanno. Il museo non è una succursale della scuola, ma un luogo che offre delle possibilità di apprendimento in un con-testo tale da non essere sostituibile con nulla. Questa consapevolezza credo che vada rafforzata con degli strumenti che in questo momento a me sembrano venire soprattutto dal mondo dell’antropologia e, moltissimo, dal mondo delle neuroscienze. Penso che se noi museali avessimo la possibilità di una forma-zione aggiornata su questi temi capiremmo tantissimo su come funziona il nostro apprendimento in quello specifico contesto.

Un altro kit di strumenti che penso sarebbe vera-mente necessario è quello della mediazione dei con-flitti, cioè che gli operatori museali siano meno storici dell’arte e più persone davvero formate in questo. Formate con uno sguardo capace di mediare il con-flitto e di rappresentarlo. Queste sono competenze che mediamente non vedo, se non affidate un po’ al buon senso e alla formazione individuale di ciascuno. Mentre ho l’impressione che sarebbe il terreno giusto e il momento storico giusto. A me piacerebbe pen-sare a musei che diventano luoghi di formazione sulla mediazione del conflitto, in presenza delle opere, in presenza degli oggetti. Tra dieci anni a me piace pensare che una formazione alla presa di parola, una formazione alla cittadinanza, una formazione al vivere nella complessità preveda anche una tappa, o forse dieci tappe al museo.

C’è inoltre una riflessione sul linguaggio, molto interessante e su cui stiamo lavorando con impegno. Musei che non solo riattualizzano i loro testi, ma si pongono la domanda: noi fino a oggi abbiamo usato questa parola per dire questa cosa, da domani forse sarebbe più appropriato usare un’altra parola. C’è un libro bellissimo che si intitola Words matter14, che è anche un sito internet, fatto da alcuni musei di Amsterdam, che secondo me è una riflessione proprio

tempestiva, è quello che va fatto in questo momento: mettere in discussione profondamente.

Tutto questo va preso con una grande intelligenza, senza farne battaglie ideologiche. Però è importante, sappiamo quanto è importante questo. Diversità piccolissime. Tutta la questione dell’orientamento ses-suale, dello stereotipo, del pregiudizio, che è il tema su cui abbiamo lavorato di più recentemente, con il kit I pregiudizi che siamo, il museo te li porge su un piatto d’argento. Sono occasioni di riflettere sull’auto-matismo, sulla naturalezza con cui produciamo, ogni secondo della nostra vita, uno stereotipo, un pregiudi-zio, un’immagine e come attraverso questi leggiamo la realtà. Questo lavoro di provare a fare tre passi indie-tro, prendere coscienza dei nostri meccanismi per poi, quando torniamo a stare nel mondo, esserne più consapevoli, credo che sia un’educazione civica che nei musei è fatta con una evidenza, con una chiarezza che altrove è molto più complicato avere.

Poi il museo può fare degli interventi puntuali su un miliardo di temi senza, di nuovo, sottolineare che si tratta di temi di attualità. Il museo certamente può prendere la parola, può invitare a discutere dei temi del presente. Quando sono successi fatti di Fergu-son15, negli Stati Uniti, i primi che hanno deciso di aprire le porte sono stati i musei ed è stato un movi-mento potentissimo. Cosa hanno fatto, anche con grande coraggio perché era un momento di conflitto pazzesco, di grandi violenze? Hanno aperto le loro grandi sale perché c’era bisogno di stanze civiche aperte a tutti. Devi essere pronto nel momento in cui succede una cosa del genere e devi saperla gestire, però evidentemente lo erano ed è stata potentissima questa cosa dal punto di vista comunicativo. Ci sono delle foto su internet molto belle, proprio all’indomani degli scontri. Sull’onda di un bisogno i musei possono essere anche questo. Certo, devono essersi preparati anche intimamente perché altrimenti rischia di essere una specie di contromessaggio. Se non sei pronto a rappresentare e accompagnare anche questa

conflit-15 Ferguson è il sobborgo di St. Louis in Missouri dove è il 18enne afroamericano Michael Brown è morto dopo es-ser stato colpito alla testa, non essendo lui armato, da colpi di pistola sparati da un agente. In seguito sono scoppiate

tualità penso che tu stia facendo un po’ meno bene il tuo mestiere.

Penso anche a un altro tema che è quello dell’edu-cazione al public speaking, alla presa di parola, al

debating o come lo vogliamo chiamare per persone

giovani, che è un tema disperante, la disabitudine all’articolazione delle idee, a difendere il proprio punto di vista, all’ascolto. Su questo tema fa un lavoro molto bello la Casa delle Culture del Mondo di Ber-lino, HKW16. Spesso loro lasciano il campo aperto agli adolescenti e chiedono loro di organizzare dibattiti intorno a mostre o a temi che vengono rappresentati. Sempre, e questo lo sottolineo tanto, in relazione agli oggetti, perché c’è già così tanto in relazione agli oggetti che non c’è alcun bisogno di strizzare l’occhio a cose che non c’entrano niente.

Il museo può essere un luogo di presa di parola se individua gli attori, per esempio dell’attivismo cultu-rale o politico che ci sono sul territorio. Ho in mente mille esempi di musei che si pongono, per esempio, la questione dei migranti, ma che lo fanno senza appog-giarsi a chi davvero pratica quotidianamente la que-stione della migrazione. Lo fanno un po’ con le risorse interne, che possono essere strutturatissime, oppure con il passaparola. Questo, poi, mina tantissimo l’effi-cacia del processo e dei risultati. Perché, poi, davvero si fa la cosa sbagliata, magari banalmente o nell’orario o nel giorno sbagliato o con le aspettative sbagliate. Quando, invece, consultarsi con le persone, penso alle scuole di italiano per i migranti o le scuole di lingua straniera per migranti, sono un bacino di conoscenza di prima mano importantissimo. Un altro tema su cui insistiamo spesso è che i musei diventino luoghi di apprendimento della lingua straniera, della L2 perché di fronte agli oggetti reali l’apprendimento è più facile e più piacevole e, forse, anche più veloce.

Poi, è banale, ma il museo che non sa cosa fa l’o-spedale, il carcere, la scuola, i grandi nodi della vita umana e della città nei suoi aspetti fondanti è un museo che sicuramente è più debole. Tutto quello che è la riflessione su questi luoghi della vita e la

16 L’Haus der Kulturen der Welt (HKW) ha sede a Berlino e vuole essere un forum per l’arte contemporanea e per il dibattito critico su temi contemporanei. www.hkw.de.

conoscenza del lavoro che viene fatto lì, credo che sia molto importante perché i musei possano essere luoghi del welfare.

3.6. Thomas Emmenegger

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, Arte e imprenditoria