LE COSE VANNO PER IL MEGLIO: DIECI DIALOGHI AL FUTURO
3.9. Francesca Romana Grasso 27 , Comunità e infanzia
Nel futuro auspicato la frammentazione tra nido e scuola dell’infanzia è un ricordo lontano, la distinzione fra 0-3 anni e 3-6 anni è caduta, grazie a servizi inte-grati come i “poli per l’infanzia”. La questione è sem-plice: il piacere e i bisogni dei bambini tra 0 e 6 anni tornano in maniera spiraliforme con rinnovate mani-festazioni, per cui è decaduta l’idea pseudo-scientifica volta a incasellare le azioni dei bambini e delle bam-bini nei tot mesi e nei tot anni secondo schemi strin-genti. Questo è un principio vecchio che finalmente è stato abbandonato a favore di una visione sistemica che rispetta la continuità dello sviluppo personale, a partire dall’esperienza della vita intrauterina, che è l’unica maturata dal bambino molto piccolo, e di cui non si era abituati a tener conto, per una lacunosa for-mazione e per infondate preoccupazioni organizzative che sono state risolte.
Il ripensamento riguarda l’integrazione dei saperi, la riorganizzazione dei servizi e la trasformazione degli ambienti, molto rinnovati perché alcuni erano ricavati da edifici a cui era semplicemente cambiata destinazione d’uso, generalmente vecchie strutture scolastiche concepite in coda a una tradizione di razionalizzazione militaresca che agevolava una regia direttiva degli spostamenti e dei soggiorni nelle varie aree. Nei poli per l’infanzia gli ambienti sono ampi, multifunzionali, con molto vetro e molto dialogo tra i singoli ambienti all’interno, ma anche tra esterno e interno, con una valorizzazione del verde, degli elementi naturali, dell’attenzione a strutture ecososte-nibili. Al centro di questi ambienti c’è l’agio, la piace-volezza, il comfort unitamente alla funzionalità, una funzionalità che permetta anche di rivisitare e modifi-care gli spazi non solo nel corso degli anni, ma anche
attra-durante la giornata o attra-durante i vari periodi dell’anno: tutto ciò sarà raggiunto grazie alla prassi di progettare insieme a chi nei servizi lavora e a chi si curerà della manutenzione ordinaria. Saranno inoltre un lontano ricordo i bagni senza finestre, l’assenza di opere d’arte e di musica.
I giardini esterni, il verde, la piacevolezza degli ambienti, il movimento interno degli arredi parlano al territorio, incuriosiscono e invogliano a entrare. E quando lo si fa si percepisce di entrare in una realtà importante, in un cuore pulsante della comu-nità, che suscita il desiderio di varcare la soglia per godere della bellezza, senza più la sensazione di un luogo dedicato a rispondere a un bisogno. Questa bellezza degli ambienti in trasparenza con l’esterno non è marketing. Gli spazi sono pensati anche per gli adulti, per cui sia all’interno che all’esterno, per
esem-pio, sono attrezzati di sedute variegate per piccoli e grandi, ci sono spazi che invitano a sostare, a parteci-pare alla crescita dei bambini. I genitori sono parte di questi servizi, sono dentro, perché i bambini si cre-scono insieme e serve coltivare alleanze educative e di cura. È così che si è superata quella logica oppositiva “noi/voi” che portava anche gli educatori e i servizi a fare cose sciocche, a rinunciare a cose necessarie per paura dei genitori. Insomma, è venuto meno quel rapporto in cui i genitori pretendevano delle cose, gli istituti e i servizi ne prevedevano altre, e questo avve-niva in uno sfondo di paura e di sospetto reciproco a discapito dei bambini, che non potevano più giocare fuori per paura delle denunce, non che potevano più manipolare la terra per un malinteso senso dell’igiene. In questi poli per l’infanzia i giardini non sono più piatti e trascurati, con pochi e orribili giocattoli di
pla-Progetto #YOUthLAB. Alcuni operatori del progetto posano all’interno dei locali del secondo piano della stazione. Una volta terminati i lavori, anche lo Spazio Giovani, che oggi si trova in centro a Erba, traslocherà alla stazione.
stica, né c’è più la paura della selvatichezza che invece ai bambini interessa tantissimo. Grazie anche alla col-laborazione anche con chi fa la manutenzione, il verde esterno è un luogo che viene vissuto tutti i giorni dai bambini perché finalmente la cultura dell’educazione all’esterno, all’aria aperta, è entrata nei servizi: i giar-dini sono ambienti molto vari, non piatti e uniformi, ma animati da cespugli e da corridoi di erba lasciata alta per articolare zone di misteriosa selvatichezza intorno alla quale avventurarsi; ci sono anche delle montagnette perché i bambini adorano scalarle per lasciarsi rotolare giù, e gli arredi sono di legno ma ci sono, come nel bosco, dei tronchi, lasciati là perché di volta in volta i bambini li facciano diventare quel che vogliono. E ancora: giochi d’acqua, installazioni d’arte con cui entrare in relazione e luoghi in cui sostare per il semplice piacere di farlo. Spazi che favoriscono tanto
l’esperienza contemplativa che lo sviluppo di una flui-dità motoria, frutto e causa di piacere e sicurezza. Questi spazi si presentano al territorio, hanno una comunicazione in molte lingue per rispetto della comunità cui si rivolgono, e prevedono la parteci-pazione delle famiglie, la incentivano e insieme la accolgono. Se una persona, passando davanti al giardino, vede che può fare qualcosa non si scontra con artificiosi impedimenti burocratici, offre le proprie competenze – “posso costruirvi una casa sull’albero, se vi serve…” – e si valorizza quello che il territorio può portare.
L’osmosi col territorio è bidirezionale, si creano così relazioni anche per uscire, andare nel quartiere o nella città, ci sono i negozianti amici, le famiglie amiche, le istituzioni amiche. In generale, è passata l’idea finalmente che i servizi per la fascia 0-6 anni
Progetto #YOUthLAB. Al secondo piano della stazione molte pareti saranno demolite per ricavare degli ambienti spaziosi dove organizzare incontri e promuovere corsi. Due ragazze del gruppo di giovani coinvolti nella progettazione.
sono dei luoghi di vita in cui fare buoni incontri, come dovrebbe essere divenuto vero per tutti i servizi, per ogni fascia d’età. È una nuova cultura, e ci sono nuovi strumenti per promuoverla: per esempio, il diritto al gioco è diventato così importante che coloro che lo ostacolano o lo vietano in un condominio, nonostante le leggi non consentano di porre limitazioni, devono andare a prestare servizio dentro i poli per l’infanzia e dunque pagare ammenda, facendo qualcosa per agevolare loro stessi il diritto al gioco.
Per certi la cosa curiosa è che i servizi hanno ripreso, un secolo dopo, alcune buone pratiche di inizi Novecento, quando gli Stati s’erano resi conto delle disparità econo-miche, delle implicazioni che avevano anche sul piano della salute – basta pensare ai deficit in termini di cre-scita di altezza o peso. Tutti quanti adesso mangiano gra-tuitamente al nido senza contributo extra delle famiglie, tutti quanti ricevono adesso visite di controllo al nido perché l’integrazione con i servizi sociali e con il sistema sanitario è entrata pienamente a regime. Si sono final-mente recepite le indicazioni della Comunità Europea per cui se un bambino ha un disagio legato alla povertà, oltre a offrire a lui il massimo di quello che è possibile offrire, si aiuta la famiglia a risolvere il problema: questo vuol dire che si aiutano i genitori ad affrontare i passaggi necessari per ritornare sul mercato del lavoro, si tutela l’accesso a una casa adeguata, si integrano le risorse per garantire istruzione, alimentazione, ecc...
Tutto questo significa che la società sta investendo nell’infanzia destinandole una quota importante di risorse economiche: grazie a questo è decaduta quella prassi degradante dei finanziamenti esterni attraverso i consumi delle famiglie, che sollecitava bambini e famiglie a fare la spesa presso determinati esercizi commerciali per garantire risorse materiali ai servizi. C’è libertà di donare, ma chi lo fa dona senza che venga esibito il proprio marchio, e questo è fonda-mentale per ribadire che ci sono delle cose che non hanno prezzo: ciò vale sicuramente per la salute, l’educazione e la cultura.
Questo esito può essere ostacolato da una formazione non adeguata nei servizi per l’infanzia, dalla mancanza di una visione unitaria dello sviluppo motorio, cogni-tivo, affettivo e relazionale del bambino, dal senso di
solitudine del personale, da una cultura diffusa del controllo e della minaccia, da troppi anni senza educa-zione civica che ha polverizzato la capacità dei citta-dini di pensare in un’ottica di benessere collettivo. Nei servizi ha rischiato di radicarsi quello che ovviamente minacciava in parte la comunità, cioè arroganza, disimpegno, disincanto.
Per fortuna però sono stati i giovani dei vari paesi a cambiar rotta: hanno portato la loro voce esplicitando che loro non capivano, non si riconoscevano nelle nuove chiusure nazionaliste e nelle agende politiche più declamate. Portando la loro esperienza di condi-visione di saperi e di risorse hanno detto che la cosa più importante era riporre al centro l’ambiente, una mobilità sostenibile, lo stare insieme, avere dei luoghi per fare le cose insieme, recuperare un tempo libero, in comunità, in famiglia, fra amici, ripensando anche gli orari di lavoro.
Questo movimento dal basso – di giovani divenuti poi genitori – è stato accolto dalle istituzioni, non ha preso la strada di microcomunità, sottogruppi o sette, ciascuna col proprio stile di vita antagonista. Una comunità infatti ha bisogno di un confronto interno e di valorizzare ciò che altrimenti resta isolato, di far fiorire le buone idee e le buone pratiche che nascono anche in forma spontanea. E se la preoccupazione per le sorti del pianeta diventa prioritaria per i giovani, se loro stessi a un certo punto maturano il senso di insoddisfazione per relazioni mediate dalla tecnologia, se avvertono l’assurdità di vite esclusivamente dedite al lavoro, allora spingono la società e le sue istituzioni in questa direzione, a disegnare i servizi esattamente come si è detto: spazi aperti alla comunità, luoghi di condivisione di saperi e di buoni incontri, dove i bam-bini ogni giorno possono stare all’aperto, nel verde, e inventarsi nuovi giochi.