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Dare continuità, cercare sostenibilità

VOCE DEL VERBO

2.6. Dare continuità, cercare sostenibilità

Il finanziamento sta per terminare e il progetto dovrebbe essere accompagnato verso la sua chiusura. Una condizione che molti dei progetti della prima edi-zione di Welfare in aedi-zione hanno dovuto affrontare, cercando di trovare il modo per dare continuità agli sforzi fatti e ai cambiamenti ottenuti.

Continuità e sostenibilità, due temi presenti fin dall’ini-zio che diventano sempre più pressanti quanto più ci si avvicina alla scadenza del progetto. Pressanti e critici perché l’attivazione delle comunità non può vivere di improvvise interruzioni. Nulla è peggio della sindrome dell’interruttore per generare delusione e disaffezione dai processi partecipati. Razionalmente è chiaro a tutti che i progetti hanno una durata a tempo, nascono con la data di scadenza incorporata, ma questa razionalità raramente basta a rassicurare le persone e i servizi. Anche perché, dopo tre anni di progetto, è proprio alla fine che ci si rende conto di avere imparato a far fun-zionare i processi partecipati, di avere sviluppato una conoscenza forte dei processi comunitari e di avere raggiunto quella reputazione che consente di incidere. Il terzo e ultimo anno del finanziamento di Fondazione Cariplo, allora, è contemporaneamente il momento di maggior efficacia e quello in cui occorre trovare strade sicure per mettere a sistema quanto si è imparato e le strategie operative. Il passaggio dalla sperimentazione e dalla breve durata dei progetti alla stabilizzazione e alla lunga durata delle politiche: un passaggio non scontato, ma che va costruito per tempo.

Progetto Invecchiando S’Impara (a vivere). Il Cafè di Albano Sant’Alessandro si trova all’interno di un centro sportivo. I fre-quentatori di questo cafè vengono generalmente con i propri familiari. Amilcare e Anna si danno un dolce bacio.

Per molti contesti la messa a sistema è, prima di tutto, la messa a sistema di un cambiamento culturale, la certezza che approcci centrati sulle persone, sul loro coinvolgimento e sul loro protagonismo, e strategie d’intervento centrate sui desideri e le competenze siano diventati parte del patrimonio culturale di professioni e di organizzazioni. L’incertezza sui destini dei luoghi e degli interventi trova un elemento di rassicurazione in questo cambiamento culturale: non sappiamo se continueremo a tirare su la saracinesca del Centro civico, ma sappiamo che non smetteremo di usare il dialogo con i cittadini e di cercare la loro attivazione.

Questa convinzione non è naif, ma si accompagna alla consapevolezza che ci sono ancora pezzi del mondo dei servizi o delle organizzazioni coinvolte nei progetti che questo cambiamento non lo hanno fatto e non

lo hanno reso proprio. È la differenza tra avere agito in modo diverso dall’abituale, ma pronti a tornare ai metodi del passato, e aver trasformato un diverso modo di fare in un diverso modo di essere e in un diverso modo di stare nei territori. Però, ci sono tanti segnali e tante evidenze che un diverso modo di lavo-rare ha avuto modo di estendersi ad altri territori e ad altri settori, mostrando una capacità di fare cultura e di esercitare egemonia. Da questo punto di vista la formazione e le comunità di pratiche sono stati stru-menti di rafforzamento e di diffusione di una cultura del lavoro sociale inteso come lavoro di comunità. I cambiamenti culturali, però, hanno la caratteristica di essere volatili e di avere bisogno di essere confer-mati e mantenuti nel tempo. Soprattutto quando, venuta meno la cornice progettuale, i contesti orga-nizzativi rischiano di tornare alla propria ordinaria

quotidianità. Fa la differenza, da questo punto di vista, il fatto che qualche soggetto della rete dei partner decida di continuare a investire non solo sui temi, ma sugli approcci sperimentati nel progetto. Al punto da far diventare gli approcci alla comunità sperimentati nel progetto parte dell’identità organizzativa con cui ci si rapporta ai propri contesti di riferimento. Per dirla in altri termini, quando identità organizzativa e investimento da parte dell’organizzazione coincidono è maggiore la probabilità che il cambiamento portato dalla partecipazione al progetto abbia una sua conti-nuità. Abbiamo sperimentato la costruzione di servizi alle famiglie progettati con un approccio collaborativo e comunitario, abbiamo trovato in questa sperimenta-zione una ragione per rinnovare il nostro radicamento in un territorio, continuiamo a costruire il nostro radicamento puntando su approcci collaborativi e comunitari. Un passaggio, questo, che fanno tanto gli enti del Terzo Settore quanto i Comuni e gli Uffici di piano, per i quali l’esperienza fatta con Welfare in azione ha orientato le pratiche amministrative verso la co-progettazione con le organizzazioni del Terzo Settore e con i gruppi di cittadini. Ed è un passaggio, bene tenerlo presente, che all’interno dei partenariati

non è fatto da tutti contemporaneamente, ma solo da alcuni, creando anche rotture e differenziali di ruolo. Garantire continuità ai processi è, forse, il livello minimo da raggiungere. Ma per molti contesti la sfida della continuità non può limitarsi ai processi, deve arrivare ai luoghi. Una volta ristrutturata una stazione, una volta riaperto uno stabile abbandonato, una volta ristrutturata un’aula scolastica, una volta ingaggiata la comunità ad appropriarsi di un luogo per portarvi com-petenze e desideri, questi luoghi non possono essere riconsegnati al vuoto. Perché non torni il vuoto occorre che si realizzino alcune condizioni molto stringenti. Occorre che ci siano gli atti amministrativi, frutto di una esplicita volontà politica – nel caso degli Enti pub-blici – e organizzativa – nel caso degli Enti privati, che vincolino il luogo pubblico al suo utilizzo e ne defini-scano le modalità di gestione. Occorre che la spesa per il mantenimento del luogo e delle figure professionali necessarie a farlo vivere rientri nella programma-zione della spesa, diventi parte dell’ordinarietà degli investimenti. Occorre che ci sia la capacità della rete costruita intorno al luogo di continuare a intercettare le risorse necessarie a mantenere vive le attività e a

Progetto Invecchiando S’Impara (a vivere). Gli Alzheimer Cafè sono luoghi d’incontro per persone con demenza e per i loro familiari e

caregiver. Nel cafè di Chiuduno,

garantire i ruoli di facilitazione che devono esserci. Occorre che ci sia la capacità di costruire le sinergie e le economie di scala che consentono il mantenimento dei luoghi in una condizione di risorse limitate, senz’al-tro ridotte rispetto a quanto vissuto durante il finan-ziamento del progetto. Occorre, infine, che si man-tenga la mobilitazione delle persone e che continuino a partecipare alla vita dei luoghi.

Insomma, la ricetta della sostenibilità è una ricetta complicata: volontà politica, atti amministrativi, programmazione della spesa, risorse, attivazione e partecipazione della comunità.

Una ricetta del genere non consente soluzioni magiche, come pensare che il fundraising o la partecipazione alla spesa dei beneficiari possano da soli garantire la sostenibilità. Il fundraising può contribuire alla soste-nibilità, soprattutto perché garantisce lo sviluppo dei capitali relazionali a disposizione dei luoghi e il ricono-scimento che un luogo può diventare una buona causa su cui far convergere le tante persone che avrebbero qualcosa da dare – non solo soldi ma anche compe-tenze e tempo – e qualcosa da dire. Ma contribuire non è garantire. La partecipazione alla spesa aiuta a responsabilizzare le persone e a farle sentire in qualche modo proprietarie delle attività a cui partecipano, ma, per l’esigenza di mantenere una soglia bassa di acces-sibilità, difficilmente riesce ad andare oltre alla coper-tura parziale dei costi diretti. Senza contare che i costi diretti sono solo una parte dei costi a cui occorre fare fronte nella gestione di un luogo, spesso gravata di una quota importante di costi indiretti o generali.

La sostenibilità e, quindi, la possibilità di dare continu-ità nel tempo alla presenza di un luogo nel territorio e alle attività che vi si realizzano, passa da tanti e diversi canali. Molti di questi, è vero, si basano sull’esistenza di una rete di riferimento, sullo sviluppo di relazioni e di collaborazioni che possano durare nel tempo. Su questo, puoi rileggere quello che abbiamo scritto nel paragrafo Fare rete.