Il 24 marzo 1976, in Argentina, un colpo di Stato da parte dei militari portò al potere il generale Jorge Rafael
Videla, il primo dei quattro Presidenti327 che avrebbero
diretto il “Proceso de Reorganización Nacional (noto come El Proceso). Il Paese, gettato nel caos, da una grave crisi economica e dalla conseguente altissima conflittualità
sociale, fu vittima di una “Dictadura Institucional”328, che,
per evitare ogni personalizzazione, attribuì il potere ad una Giunta Militare, formata dai rappresentanti delle tre Armi dell’esercito. Il nuovo assetto istituzionale prevedeva, quindi, al vertice dello Stato la Giunta Militare e il Presidente della Nazione, in quanto esecutore delle politiche decise dalla Giunta stessa.
Si ridisegnava così l’organizzazione dei poteri dello Stato e si sradicava il sistema rappresentativo e democratico sancito dalla Costituzione argentina del 1853: l’Acta para el
Proceso de Reorganización Nacional creò una sorta di
potere “esecutivo-legislativo-costituente”, totalmente in
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A Videla sono succeduti, infatti, Viola, Galtieri e Bignone. 328
Hugo Quiroga definisce la Giunta Militare una “Dictadura Institucional”, mettendo in evidenza il fatto che per evitare la personalizzazione del potere, tipica delle esperienze dittatoriali in generale, si ricorse alla formazione di una Giunta Militare, in cui erano presenti le tre Armi dell’esercito. H. QUIROGA, El tiempo del proceso. Conflictos y coincidencias entre politicos y militares 1976-1983, Fundación Ross- Homo Sapiens ediciones, Rosario, 2004, p.41.
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mano ai militari. Sciolto il parlamento, venne istituito un organismo con funzione di consulenza legislativa, che si arrogava anche la facoltà di intervenire nella composizione del potere giudiziario a livello di Corte Suprema, Procuratore generale della Nazione e Tribunali superiori provinciali. Il potere giudiziario venne sottoposto ad una vera e propria epurazione: tutti i giudici che non giuravano fedeltà agli obiettivi posti a fondamento del Proceso venivano .
A legittimare la svolta autoritaria era, secondo i militari, la necessità di eliminare il pericolo sovversivo, ossia le forze di sinistra e antigovernative, che tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta erano divenute sempre più forti e avevano dato luogo a sanguinose proteste e rivendicazioni sociali. In perfetto accordo con la Dottrina
della Sicurezza Nazionale329 il nemico non era esterno, bensì
interno ai confini nazionali. Tanto è vero che il generale Videla, nel tentativo, di presentare il “Terrorismo di Stato” come risposta alla minaccia sovversiva, arrivò ad affermare: “Terrorista non è soltanto qualcuno che uccide con fucili o mette bombe, ma chiunque incoraggia il loro uso da parte di altri, attraverso idee contrarie alla nostra civiltà occidentale e
cristiana”330
.
La frase pronunciata dal brigadiere generale Ibérico Manuel Saint-Jean, governatore militare della provincia di Buenos Aires dal 1976 al 1981, durante un’intervista al The Guardian il 26 maggio 1977, sintetizza bene gli obbiettivi della Giunta: “Prima elimineremo tutti i sovversivi, poi i loro collaboratori, poi i loro simpatizzanti, successivamente
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Frase citata in M. LOVEMAN, High-Risk Collective Action: Defending Human Rights in Chile, Uruguay and Argentina, in “The American Journal of Sociology”, vol. 104, n. 2, 1998, p. 513. Si veda in proposito anche M.J. OSIEL, La creazione della sovversione nella guerra sporca d’Argentina, in M. FLORES (a cura di), Storia, verità, giustizia. I crimini del XX secolo, Mondadori, Milano, 2001, pp. 293318.
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quelli che resteranno indifferenti, ed infine gli indecisi”331
. Era evidente, come sottolineato da Maria Seoane, che “non si cercava la riduzione all’obbedienza degli oppositori, bensì
il loro sterminio”332
.
La repressione, condotta con una ferocia senza precedenti, portò, nel giro di pochi anni, al genocidio silenzioso di un’intera generazione: la politica di eliminazione dei c.d. sovversivi venne pianificata in modo
sistematico e attuata su “due livelli normativi”333: uno
visibile e legale e l’altro illegale e parzialmente visibile. Il primo consentiva ai militari, attraverso il rispetto formale delle norme in vigore, di mantenere una certa rispettabilità agli occhi dell’opinione pubblica: la legge n. 21.460 del 1976, infatti, conferiva alle forze armate e di pubblica sicurezza la facoltà di detenere persone sospettate di reati di carattere sovversivo sulla base di mere prove indiziarie, senza la sussistenza di esigenze cautelari e soprattutto senza l’intervento di un giudice che convalidasse l’arresto. Il secondo, invece, realizzava sostanzialmente un apparato repressivo interamente clandestino.
Proprio su quest’ultimo aspetto vale la pena soffermarsi: il crimine più grave di cui si è macchiato il terrorismo di Stato argentino è stato senz’altro la
“desaparición forzada de personas”.
Paradossalmente, la Guerra Sucia terminò soltanto quando l’esercito intraprese una vera operazione militare: la fallita liberazione delle isole Malvine/Falkands, da 150 anni sotto il governo coloniale britannico, nell’aprile del 1982, lanciata dal generale Leopoldo Galtieri: fu proprio la “guerra de la Malvinas la cuestión decisiva para el régimen militar”507. Dopo la resa, firmata il 14 giugno 1982, il
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Frase riportata in I. MORETTI, I figli di Plaza de Mayo, Feltrinelli, Milano, 2002, p. 18.
332
M. SEOANE, Argentina. Paese dei paradossi, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 153.
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regime militare collassò: il consenso di cui aveva goduto si stava indebolendo, poiché cominciava ad apparire chiaro alla popolazione argentina quali terribili metodi erano stati utilizzati a fini repressivi e quanto inutili si fossero dimostrate le riforme in materia economica. La presidenza fu assunta dal generale Reynaldo Bignone, il quale fin dall’inizio del suo mandato cominciò a ragionare in termini di transizione politica: così furono indette libere elezioni alla fine di dicembre del 1982, per l’ottobre del 1983.