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Gli anni dell’Università a Firenze

CAPITOLO 2 – Biografia di un maestro del Novecento La formazione iniziale e le prime esperienze professional

2.3 Gli anni dell’Università a Firenze

Concluso con successo il suo percorso magistrale e desideroso di continuare ad approfondire la propria formazione culturale, Malservisi si iscrisse all’Università di Firenze301 - non esistendo ancora a Bologna la Facoltà di Magistero - al Corso di Diploma di abilitazione alla vigilanza scolastica nelle scuole elementari, che conseguì nel 1960302.

Proprio il periodo degli studi universitari, che Malservisi e la moglie Francesca avevano condiviso da pendolari sul treno Bologna-Firenze insieme ad un gruppo di amici tra cui Franco Frabboni303, fu cruciale per il maestro bolognese sul piano della formazione pedagogica.

Infatti in quegli anni, nella Facoltà di Magistero di Firenze, era docente di Pedagogia Lamberto Borghi304, con cui si creò un sodalizio culturale e umano di grande importanza per Malservisi. Un legame che si prolungò anche negli anni successivi a quelli universitari, come testimoniato da alcune lettere - conservate nell’Archivio “Malservisi-Ciampi” - che documentano il confronto sui temi dell’educazione, della libertà e del rapporto con l’autorità, oltre che un affezionato e reciproco ricordo personale.

Nella pratica educativa e didattica messa in atto da Malservisi lungo tutta la sua vita professionale è difatti possibile rintracciare l’influenza, la linfa pedagogica, che animò il gruppo di studiosi, pedagogisti ed educatori strutturatosi attorno alle figure di Ernesto Codignola e Lamberto Borghi, ed alla rivista «Scuola e città»,

301 Sulla storia delle Facoltà di Magistero nelle università di Firenze e Bologna si rimanda a G. Di Bello, A. Mannucci, A. Santoni Rugiu (a cura di), Documenti e ricerche per la storia del Magistero, Firenze, Luciano Manzuoli Editore, 1980; M. D'Ascenzo, Dagli esordi al '68 e T. Pironi, La pedagogia nella storia del Magistero di Bologna, in F. Frabboni, A. Genovese, A. Preti, W. Romani (a cura di), Da Magistero a Scienze della Formazione. Cinquant'anni di una Facoltà innovativa dell'Ateneo bolognese, Bologna, Clueb, 2006, pp. 37-107 e pp. 231-273.

302 Archivio Storico dell’Università di Firenze, Fascicolo dello studente Cesare Malservisi, filza n. 3921, inserto n. 70826, matricola n. 472.

303 F. Frabboni ricorda proprio Malservisi nell’articolo Quel treno che sbuffava in via del Parione, in Dossier. La scuola di Firenze: 1950-2010. Prospettive di un bilancio, «Studi sulla formazione», 1, 2013, p. 43: Con un dolce godimento esistenziale, ricordo quegli anni carichi di seccanti imprevisti e di strapazzi giornalieri, ma anche di amicizie inossidabili contratte con altre matricole felsinee ed emiliano-romagnole diventate successivamente figure eminenti nel mondo della scuola, dell’università e della televisione. Ricordo tra gli altri Paolo Carile, Pier Luigi Cervellati, Francesca Ciampi, Giuliana Giovannelli, Cesare Malservisi e Daniele Piombi.

304 A. Avanzini, Borghi Lamberto, in G. Chiosso, R. Sani (a cura di), Dizionario Biografico dell’Educazione 1800-2000. Volume I (A-K), cit., pp. 198-199.

riconosciuto ormai storiograficamente come la “scuola di Firenze”305, al cui interno in quel momento operavano significative personalità, tra cui Aldo Capitini, Renato Coèn, Francesco De Bartolomeis, Raffaele Laporta e Aldo Visalberghi306. In particolare, la coppia Malservisi-Ciampi allacciò rapporti duraturi e di collaborazione con Coèn307, assistente di ruolo presso la cattedra di Pedagogia sotto la titolarità di Borghi, e Laporta308, soprattutto nell’ambito del Movimento di Cooperazione Educativa (MCE).

2.3.1 La “scuola di Firenze”

Durante gli anni Cinquanta la “scuola di Firenze” attraversava la prima fase della sua parabola trasformativa e di sintesi309 rispetto alle proprie posizioni pedagogico- educative, e soprattutto al

nesso problematico e organico che essa viene a stabilire tra scuola (e/o pedagogia-educazione) e società (e/o politica).310

All’indomani della Liberazione, all’interno della cultura pedagogica, filosofica e politica dell’immediato dopoguerra, il gruppo fiorentino aveva costituito e stava maturando il proprio modello di pedagogia critica, laica e progressista attorno allo studio, all’assimilazione ed alla rielaborazione del pensiero di Dewey, ed alla ripresa critica dell’attivismo.

305 G. Bini, La pedagogia attivistica in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1971, pp. 55-98; F. Cambi, La “scuola di Firenze” da Codignola a Laporta (1950-1975), Napoli, Liguori, 1982; F. Cambi, Sulle orme dei maestri, verso nuove frontiere, in S. Ulivieri, F. Cambi, P. Orefice (a cura di), Cultura e professionalità educative nella società complessa: l'esperienza scientifico-didattica della Facoltà di scienze della formazione di Firenze: atti del Convegno, 15-17 maggio 2008, Firenze, Firenze university press, 2010, pp. 23-27; F. Cambi, Un modello pedagogico ancora centrale, in Dossier. La scuola di Firenze: 1950-2010. Prospettive di un bilancio, «Studi sulla formazione», 1, 2013, pp. 7-14; F. Cambi, P. Federighi, A. Mariani (a cura di), La pedagogia critica e laica a Firenze: 1950-2015. Modelli. Metamorfosi. Figure, Firenze, Firenze University Press, 2016.

306 F. Cambi, op. cit., 1982, p. 27; G. Cives, Una scuola di democrazia e laicità, in F. Cambi, P. Federighi, A. Mariani (a cura di), op. cit., p. 111.

307 A. Corsi, Coèn Renato, in G. Chiosso, R. Sani (a cura di), Dizionario Biografico dell’Educazione 1800- 2000. Volume I (A-M), cit., p. 371.

308 H. A. Cavallera, Laporta Raffaele, in G. Chiosso, R. Sani (a cura di), Dizionario Biografico dell’Educazione 1800-2000. Volume II (L-Z), cit., pp. 18-19.

309 F. Cambi, op. cit., 1982, pp. 134-154; A. Mariani, La teoresi pedagogica della ‘scuola di Firenze’: tra diacronia e sincronia, in F. Cambi, P. Federighi, A. Mariani (a cura di), op. cit., pp. 21-31.

Nel ‘fortunato’ incontro tra Dewey e la comunità scientifica italiana311 - sebbene il pensiero deweyano non fosse una scoperta degli anni postbellici312 - Borghi assumeva un ruolo centrale, rappresentandone una delle voci più significative, soprattutto per quanto riguarda l’operazione di interpretazione e diffusione313. Dewey aveva infatti rappresentato per Borghi l’incontro più rilevante del periodo di esilio trascorso negli Stati Uniti in seguito all’emanazione delle leggi razziali nel 1938, rimanendo poi un duraturo, anche se non rigido, punto di riferimento nel corso di tutta la sua ricerca e produzione pedagogica, filosofica e storico-educativa. Della lezione deweyana Borghi aveva apprezzato e raccolto la riflessione sviluppatasi attorno alle istanze di una pedagogia laica e democratica, come libertà, comunità, antiautoritarismo o antidogmatismo, necessarie per la realizzazione di una società più giusta, socialmente equa e caratterizzata dalla cooperazione tra gli uomini. Come indicato da Cambi il Dewey di Borghi era quello

teorico della democrazia (e non solo il Maestro dell’attivismo) e di una società democratica in costante formazione […] un Dewey sempre politico, ma un politico della società e non del potere e del governo. Quindi un maestro autentico di democrazia, sia per pensarla, sia per attuarla.314

In particolare, dal confronto con gli sviluppi del pensiero deweyano, Borghi sottolineava l’individuazione della cruciale dialettica educazione-società315, approfondendola, nella sua ricerca, in direzione del nesso educazione-democrazia e poi educazione-comunità. Ne scaturiva l’elaborazione e promozione di un progetto di educazione sociale, realizzata per e attraverso una «circolarità aperta e

311 L. Morgante, Il dibattito in Italia tra laici e marxisti sulla pedagogia di Dewey dal 1945 ad oggi, «Ricerche Pedagogiche», XXI, 86, 1988, pp. 1-26;L. Bellatalla, John Dewey e la cultura italiana del Novecento, Pisa, ETS, 1999; F. Cambi, M. Striano (a cura di), John Dewey in Italia, Napoli, Liguori, 2010; F. Cambi, John Dewey in Italia. L’operazione de La Nuova Italia Editrice: tra traduzione, interpretazione e diffusione, «Espacio, Tiempo Y Educación», 3(2), 2016, pp. 89-99.

312 G. Bini, op. cit., p. 55; L. Bellatalla, op. cit., p. 22.

313 L. Bellatalla, (1979) Lamberto Borghi interprete di Dewey: spunti sulla diffusione del pensiero di Dewey in Italia, «Ricerche Pedagogiche», XII, 50, 1979, pp. 37-42; G. Tassinari (a cura di), La pedagogia italiana nel secondo dopoguerra. Atti del Convegno in onore di Lamberto Borghi: Università di Firenze, Facoltà di magistero, 8-9 ottobre 1986, Firenze, Le Monnier, 1987; F. Cambi, P. Orefice (a cura di), Educazione, libertà, democrazia: il pensiero pedagogico di Lamberto Borghi, Napoli, Liguori, 2005; D. Sarsini, Testi chiave della scuola di Firenze. Da Codignola agli anni Duemila, in F. Cambi, P. Federighi, A. Mariani (a cura di), op. cit., pp. 33-44.

314 F. Cambi, P. Orefice (a cura di), op. cit., 2005, p. 4.

315 L. Borghi, John Dewey e il pensiero pedagogico contemporaneo negli Stati Uniti, Firenze, La nuova Italia, 1951.

costruttiva»316 tra una scuola e una società democratiche e laiche, che coniugava sviluppo individuale libero ed autonomo e formazione sociale, in cui cioè, citando lo stesso Borghi,

la finalità sociale non trascende in essa gli individui, ma consiste negli individui medesimi, nessuno escluso.317

Tale forma di educazione, che Borghi indicava anche come «educazione democratica»318, veniva posta - in continuità con la visione di Dewey già da Il mio

credo pedagogico - nei termini di «vera educazione»319, in contrapposizione a quella di tipo autoritario, conformista, repressiva delle inclinazioni e degli interessi individuali e scoraggiante la collaborazione. Al contrario infatti di un’educazione tradizionale, l’educazione sociale, di cui Borghi si faceva esponente,

mira a dare a tutti e a ciascuno la possibilità di fornire il migliore contributo alla vita di tutti gli altri320,

poiché nella società democratica, da cui questa nasce e a cui contemporaneamente si indirizza, lo sviluppo della comunità e la valorizzazione dei suoi componenti si integrano, trovando socialità e libertà fondamento l’una nell’altra. L’educare alla libertà era tra l’altro posto da Borghi come uno dei cardini della propria ricerca a diversi livelli, fin dal fondamentale Educazione e autorità nell’Italia moderna del 1951.

Per realizzare gli ideali deweyani di una democrazia integrale, plurale ed aperta e di una educazione nuova diretta a formare individui liberi e capaci di esprimere pienamente le loro attitudini, Borghi aveva inoltre approfondito, ponendole come condizione, altrettante suggestioni del filosofo americano quali: «l’autonomia della scuola», «la formazione globale della personalità degli alunni» e la valorizzazione dell’apprendimento centrato sull’esperienza e integrato nel contesto sociale321.

316 G. Cives,La lettura etico-politica della pedagogia di Dewey, in F. Cambi, P. Orefice (a cura di), op. cit., 2005, p. 19.

317 L. Borghi, L’educazione e i suoi problemi, Firenze, La Nuova Italia, 1953, p. 61. 318 Ibid.

319 Ibid. 320 Ibid.

321 C. Fratini, La riflessione sulla libertà in Lamberto Borghi, in F. Cambi, P. Orefice (a cura di), op. cit., 2005, p. 75.

In generale, nella proposta di una rifondazione in chiave libertaria e democratica della pedagogia - oltre l’idealismo e in dialogo con le altre scienze umane - il fronte laico della riflessione pedagogica italiana, costituito dal gruppo fiorentino, faceva di Dewey, del suo modello di scuola-laboratorio e di scuola-comunità, l’interlocutore di riferimento per ripensare e riformare la scuola, la sua cultura e la sua didattica. L’orizzonte di tale elaborazione si allargava altresì agli altri pedagogisti americani allievi di Dewey, come ad esempio Kilpatrick con il suo metodo dei progetti, più aperti verso gli aspetti cognitivi e sociali dell’apprendimento, al valore dell’interesse e della motivazione.

La teorizzazione didattica e la riflessione rispetto alle idee pedagogiche dell’attivismo si estendevano poi - arricchendolo - oltre il filone americano, attraverso l’apertura ad altre esperienze della pedagogia progressista del Novecento, come quelle di Cousinet e di Freinet. e la gestione diretta o la partecipazione a diverse sperimentazioni di scuola attiva, dalla Scuola-Città Pestalozzi al MCE ed i CEMEA.

L’analisi e la sensibilità teorica della “scuola di Firenze” in quel periodo traevano infatti ulteriori apporti dal versante francese del movimento dell’attivismo. Un punto di riferimento fu certamente Cousinet322, di cui erano apprezzati gli studi sul bisogno essenziale di socialità da parte dell’infanzia, sulla scuola come ambiente educativo e sull’organizzazione dell’atto di insegnare-educare. In particolare, veniva sottolineata l’importanza attribuita da Cousinet: al rapporto tra socializzazione e metodo di lavoro per gruppi con la maturazione dei processi formativi e di apprendimento; alla costruzione del sapere partendo dalla valorizzazione degli interessi e dei bisogni dei bambini; all’organizzazione delle attività da parte di un maestro non più protagonista, ma guida esperta e discreta; ed infine alla necessità di un nesso positivo tra scuola e società323. Nell’approfondimento di quest’ultimo aspetto e specialmente «dell’esperienza democratica della scuola e della istanza di socializzazione comunitaria»324 si inseriva poi il confronto con Freinet di cui erano messe in risalto soprattutto le

322 E. Codignola, I nostri collaboratori, Roger Cousinet, «Scuola e Città», 11, 5-6, 1951, p. 203; L. Borghi, Saggi di psicologia dell’educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1951; R. Coèn, Roger Cousinet e la scuola come tirocinio di vita, Firenze, La Nuova Italia, 1955; E. Codignola, Le “scuole nuove” e i loro problemi, Firenze, La Nuova Italia, 1959; L. Borghi, Ricordo di Renato Coèn, «Scuola e Città», 8, 1980, pp. 321-324.

323 A. Corsi, G. Genovesi (a cura di), Roger Cousinet e Renato Coèn. Problemi dell’educazione e della scuola, Milano, Franco Angeli, 2001.

tecniche, messe a punto attraverso una continua ricerca sul campo ed intese - poiché non equivalenti a norme da rispettare rigidamente - come strumenti di cambiamento e innovazione dell’istituzione scolastica in chiave liberatrice.

Sul piano della sperimentazione infine, un polo era costituito da Scuola-Città Pestalozzi - fondata nel 1945 da Codignola insieme alla moglie Anna Maria - da cui emergeva l’idea deweyana di scuola come comunità e di comunità come modello di società, intrecciata con le istanze più lombardo radiciane325 di autoeducazione, di coesistenza dei principi di organizzazione e libertà, di cultura e spontaneità, e del ruolo ineliminabile dell’insegnante come

cooperatore intelligente e guida accorta che aiuta, seconda e indirizza lo svolgimento naturale, lo sboccio spontaneo, la liberazione delle attività più specificamente umane del discepolo326.

All’altro capo invece si sviluppava l’esperienza del gruppo della Cooperativa della Tipografia a Scuola (CTS) - nata nel 1951 e trasformata in MCE nel 1957 - ovvero del movimento di pedagogisti e insegnanti costituitosi attorno ad animatori come Giuseppe Tamagnini, Aldo Pettini, Bruno Ciari o Raffaele Laporta ed impegnati nella introduzione, sperimentazione e diffusione della pedagogia popolare e delle tecniche di Freinet327. Articolata in una serie di diversi gruppi territoriali, l’organizzazione individuava - ed esprimeva anche sulle pagine della rivista «Cooperazione Educativa» - il proprio comune impegno nella promozione del valore e dell’efficacia della cooperazione nell’azione educativa, così come nella formazione e nel lavoro degli insegnanti ed in generale nel rinnovamento della vita scolastica, oltre che nell’affermazione dell’autonomia da qualsiasi forma di ideologia. Le stesse tecniche, dal testo libero alla tipografia e la corrispondenza

interscolastica, erano scelte non con accettazione passiva, ma come possibilità da

sperimentare per trarne orientamenti per la propria azione educativa e didattica, facendo del tâtonnement expérimental la chiave, insieme alla cooperazione, della ricerca pedagogica del movimento.

L’esperienza di attivismo vissuta, sviluppata e diffusa dalla “scuola di Firenze” negli anni Cinquanta si dipanava pertanto lungo un orizzonte plurale e complesso,

325 G. Lombardo Radice, Didattica viva: problemi ed esperienze, Firenze, La Nuova Italia, 1951. 326 E. Codignola e A. M. Codignola, La Scuola-Città Pestalozzi, Firenze, La Nuova Italia, 1962, p. 110. 327 A. Pettini, Origini e sviluppo della cooperazione educativa in Italia: dal CTS al MCE, 1951-1957, Milano, Emme, 1980; R. Rizzi, Pedagogia popolare: da Célestin Freinet al MCE-FIMEM. La dimensione sociale della cooperazione educativa, Foggia, Edizioni del Rosone, 2017.

tra una varietà di personalità, modelli e stimoli, comunque indirizzati ad un’azione di rinnovamento della scuola e dei metodi di insegnamento, nella condivisa certezza che il fine più alto dell’educazione fosse rappresentato dall’ideale democratico e che per poterlo raggiungere la democrazia stessa doveva diventare mezzo del processo educativo. Tale complessità è ben riscontrabile non solo nella pratica didattica - oggetto dei capitoli successivi - concretamente agita dal maestro Malservisi, ma anche nei testi presenti nella sua biblioteca professionale. Questi ultimi rappresentano infatti una traccia preziosa che racconta molto della cultura pedagogica assorbita e maturata da Cesare nel corso della sua carriera magistrale. Nella ricca raccolta di quasi novecento opere - tra libri e riviste specializzate - acquistate e conservate dalla coppia Malservisi-Ciampi, numerosi sono i volumi legati all’incisiva formazione ricevuta all’Università di Firenze e pubblicati in quel periodo, come molti sono anche quelli degli anni successivi, ma indicatori di un aggiornamento e un approfondimento professionale elaborati nel solco della pedagogia laica e democratica328.