• Non ci sono risultati.

Educatore e insegnante precario

CAPITOLO 2 – Biografia di un maestro del Novecento La formazione iniziale e le prime esperienze professional

2.4 Educatore e insegnante precario

La formazione universitaria si intrecciava in questo stesso periodo - tra la seconda metà degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta - ai primi passi della gavetta magistrale, comune alla maggioranza dei neomaestri, durante la quale Malservisi compiva gli iniziali lavori come insegnante supplente nelle scuole elementari statali

328 T. Aymone, Scuola dell’obbligo citta operaia, Bari, Laterza, 1972; G. Bini, La pedagogia attivistica in Italia, Roma Editori, Riuniti, 1977; L. Borghi, Educazione e autorità nell’Italia moderna, Firenze, La Nuova Italia, 1951; Id., Saggi di psicologia dell’educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1951; Id., Il metodo dei progetti, Firenze, La Nuova Italia, 1952; Id., L’educazione e i suoi problemi, Firenze, La Nuova Italia, 1953; Id., L’ideale educativo di John Dewey, Firenze, La Nuova Italia, 1955; Id., Educazione e scuola nell’Italia d’oggi, Firenze, La Nuova Italia, 1958; B. Ciari, Le nuove tecniche didattiche, Roma, Editori Riuniti, 1961; Id., I modi dell’insegnare, Roma, Editori Riuniti, 1972 (a cura di A. Alberti); E. Codignola, Un esperimento di scuola attiva: la scuola-città Pestalozzi, Firenze, La Nuova Italia, 1954; E. Codignola e A. M. Codignola, La Scuola-Città Pestalozzi, Firenze, La Nuova Italia, 1962; F. De Bartolomeis, Ovide Decroly, Firenze, La Nuova Italia, 1953; Id., Scuola a tempo pieno, Milano, Feltrinelli, 1972; Id., Il colore dei pensieri e dei sentimenti. Nuove esperienze d'educazione artistica, Firenze, La Nuova Italia, 1990; O. Decroly, La funzione di globalizzazione e l’insegnamento, Firenze, La Nuova Italia, 1953; J. Dewey, Il mio credo pedagogico, Firenze, La Nuova Italia, 1954; Id., Scuola e società, Firenze, La Nuova Italia, 1954; Id., Intelligenze creativa, Firenze, La Nuova Italia, 1957; W. H. Kilpatrick, Educazione per una civilta in cammino, Firenze, La Nuova Italia, 1959; R. Laporta, Il tempo libero dai sei agli undici anni, Firenze, La Nuova Italia, 1968; Scuola

e maestro incaricato nei centri giovanili e ricreativi e nelle colonie di vacanza del Comune di Bologna.

Non si trattava delle prime esperienze lavorative per Malservisi, che aveva già lavorato come operaio presso lo stabilimento bolognese della Società Italiana per l’Industria degli Zuccheri durante le estati precedenti329.

Le prime esperienze come supplente si rivelarono importanti per la costruzione della sua personale identità e pratica docente, poiché rappresentavano occasioni per poter saggiare e rimodulare, con il confronto e la messa in pratica sul campo, gli stimoli ed i contenuti della formazione che stava ricevendo. Cominciava in altre parole quell’operazione, continua, di riflessione e completamento reciproci delle conoscenze teoriche e della cultura pedagogica con la pratica didattica ed educativa concretamente agita, costruendo ed affinando quelle competenze professionali330 che è possibile ritrovare nei futuri anni da maestro.

A questo processo di interazione fra saperi teorici e saperi pratici, al percorso di maturazione da insegnante principiante a professionista, facevano da sfondo lo sviluppo e le trasformazioni sociali e politiche della Bologna del secondo dopoguerra331. Le caratteristiche del tessuto storico, culturale e sociale del capoluogo emiliano dell’epoca sembravano infatti ben incarnare anche la figura professionale ed umana del maestro Malservisi.

La città, insignita nel 1946 della Medaglia d’oro al Valor Militare per la Resistenza dal Presidente della Repubblica De Nicola, era uscita dal secondo conflitto mondiale prostrata dalle numerose perdite umane e dagli ingenti danni subiti dal patrimonio edilizio colpito per quasi la metà. Alla distruzione si erano aggiunte le difficoltà legate al notevole incremento della popolazione nell’area comunale, che aveva ormai raggiunto circa il mezzo milione di abitanti, con la conseguenza di pressanti problemi dal punto di vista dell’occupazione, dell’edilizia residenziale e dei servizi pubblici.

329 AMC, Libretto dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale Assicurato n. 662035; Libretto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Ufficio regionale del Lavoro e della Massima Occupazione, Bologna, libretto di lavoro n. 28039; Libretto dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le malattie, libretto di iscrizione n. 22108

330 M. Altet, E. Charlier, L. Paquay, P. Perrenoud, Formare gli insegnanti professionisti. Quali strategie? Quali competenze?, Roma, Armando, 2006; D. A. Schön, Formare il professionista riflessivo. Per una nuova prospettiva della formazione e dell'apprendimento nelle professioni, Milano, Franco Angeli, 2006.

331 L. Baldissara, Per una città più bella e più grande. Il governo del Comune di Bologna negli anni della ricostruzione 1945-1956, Bologna, Il Mulino, 1994; A. Varni, Dalla liberazione agli anni Ottanta, in Id. (a cura di), op. cit., pp. 589-630.

Ad affrontare questa grave emergenza si era trovata innanzitutto l’amministrazione comunale guidata dal Partito Comunista che - in continuità con l’esperienza precedente il fascismo e la dittatura - aveva recuperato il modello politico e culturale a forte valenza democratica, associativa e partecipativa maturato dal socialismo riformista municipale emiliano all’inizio del Novecento. Protagonista di questo peculiare processo di sviluppo e sperimentazione amministrativa - che portò alla costruzione del mito del modello di governo comunale bolognese e di Bologna come “vetrina d’Italia” - fu Giuseppe Dozza, sindaco dal 1945 per nomina del CNL e poi tramite elezioni dal 1946 fino al 1966.

Nel teso clima politico internazionale e nazionale, nel rapporto di tensione e dialettica fra centro e periferia, fra Stato governato dalla Democrazia Cristina e amministrazione locale dallo schieramento di sinistra, Dozza era riuscito a divenire punto di riferimento per «tutti i bolognesi»332, impostando le politiche di ricostruzione e direzione della città - dopo oltre vent’anni di assuefazione e passività - all’insegna di: autonomia, efficienza e trasparenza amministrativa; fiscalità in equilibrio tra giustizia sociale e principio del pareggio di bilancio; collaborazione con la cittadinanza e gestione allargata del bene pubblico.

In particolare dalla seconda metà degli anni Cinquanta - superata l’urgenza della ricostruzione ed iniziato il periodo di forte sviluppo economico - si era aperta una stagione di ampia progettualità soprattutto per quanto riguardava il governo della crescita impetuosa, ma spesso disorganica soprattutto nelle periferie, della città. A questa fase parteciparono oltre agli amministratori ed intellettuali di sinistra anche figure dell’opposizione, come Giuseppe Dossetti il cui Libro bianco su Bologna - nonostante la sconfitta elettorale contro Dozza nel 1956 - aveva anticipato nella delineazione dei quartieri la politica di decentramento avviata ufficialmente all’inizio del decennio successivo.

Anche dal punto di vista dell’amministrazione e delle politiche educative e scolastiche si assisteva in quel periodo - attraverso l’opera delle diverse personalità avvicendatesi all’Assessorato all’istruzione - ad un nuovo impulso e alla ripresa dell’innovazione pedagogico-didattica che aveva contraddistinto la città fino all’avvento del fascismo333.

332 A. Varni, op. cit., p. 599.

333 M. D’Ascenzo, Virginia Predieri, maestra di scuola dell’infanzia nella Bologna del secondo dopoguerra, in M. D’Ascenzo, G. Ventura (a cura di), Dalla parte delle maestre. La stagione pedagogica di Virginia Predieri (1931-2009), cit. , 2016, pp. 17-63.

Dopo le iniziali direzioni, tra 1945 e 1948, dei democristiani Domenico Comandini e Giovanni Elkann, e del socialista Giacomo Donati, l’incarico dell’Assessorato era stato affidato a Renato Tega334 - maestro, socialista ed antifascista aveva subito il confino a Lipari e partecipato alla Resistenza - che lo guidò per soli tre anni, riuscendo tuttavia a coniugare all’impegno per la ricostruzione materiale degli edifici scolastici un’incisiva azione nella ristrutturazione dell’Assessorato, nel rinnovamento pedagogico e didattico e nell’espansione delle istituzioni integrative e sussidiarie della scuola (educatori, scuole e doposcuola materni, colonie). Per quest’ultime, che erano rimaste a carico del Comune, nel 1951 veniva varato anche uno nuovo regolamento, a sostituzione di quelli fascisti degli anni Trenta e Quaranta, con il quale si mirava a riaffermarne - in continuità con la lunga storia bolognese già ricordata in questo capitolo - l’autonomia organizzativa, gestionale e didattica. In tal senso veniva ripreso ad esempio il contatto e la collaborazione con l’ente “Opera Montessori” per la diffusione del metodo montessoriano nelle scuole materne, ed allo stesso tempo - in virtù di una scelta di pluralità - con il Centro Didattico nazionale per la scuola materna di Brescia per quello delle sorelle Agazzi. Nel 1951 subentrava poi a Tega il comunista Giuseppe Gabelli335 che, rimasto in carica fino al 1960, ne continuò e sviluppò le linee di intervento agendo tra l’altro sull’aspetto della formazione e dell’aggiornamento degli insegnanti, per cui si giungeva nel 1955 alla possibilità di creare una Facoltà di Magistero anche presso l’Università di Bologna.

Gli anni Sessanta - su cui ci si soffermerà nel capitolo successivo - si aprivano con la nomina ad assessore del giovane Ettore Tarozzi che avrebbe diretto, attraversando i mandati di ben tre sindaci da Dozza a Fanti fino a Zangheri, l’Assessorato all’istruzione per quindici anni fino al 1975, caratterizzandolo, con la consulenza e collaborazione di molti tra i più importanti «esponenti della cultura pedagogica e psicologica all’avanguardia all’epoca»336, per l’ampiezza della progettualità e delle iniziative realizzate nell’ambito educativo e scolastico.

334 M. D’Ascenzo, Tega Renato, in G. Chiosso, R. Sani (a cura di), Dizionario Biografico dell’Educazione 1800-2000. Volume II (L-Z), cit., p. 572.

335 M. D’Ascenzo, Gabelli Giuseppe, in G. Chiosso, R. Sani (a cura di), Dizionario Biografico dell’Educazione 1800-2000. Volume I (A-K), cit., p. 597.

2.4.1 La Scuola Reggimentale di Bologna

In questo contesto nazionale e locale, la prima significativa esperienza educativa si presentò a Malservisi con l’incarico di maestro - tra novembre 1956 e giugno 1957 - nella Scuola Reggimentale per militari analfabeti e semianalfabeti istituita presso il 40° reggimento fanteria della Caserma “Mameli” di Bologna337.

Le scuole reggimentali338, come istituzione organizzativa e scolastica creata all’interno dell’esercito e della marina militare per insegnare a leggere e scrivere ai coscritti analfabeti, risalivano già al periodo pre-unitario ed avevano cominciato a trovare un iniziale sistematico ordinamento tra 1849 e 1858 attraverso i regolamenti emanati dal Ministro della guerra La Marmora. Dopo aver registrato, nei primi vent’anni dell’Italia unita, un forte successo in termini di diffusione e di contributo all’educazione degli adulti e alla lotta all’analfabetismo339 - tanto da stimolare uno specifico dibattito e la produzione di una pubblicistica educativa ad hoc340 - le scuole reggimentali venivano prima ridimensionate nel 1882 e poi soppresse nel 1892, pur sopravvivendo alcune iniziative promosse a discrezione di singoli comandanti di corpo.

A ripristinarle, dopo la loro chiusura formale, era stato - quasi vent’anni dopo - il Titolo V della legge Daneo-Credaro del 1911341, che le faceva rientrare nell’educazione formale per gli adulti e segnava contemporaneamente un importante cambiamento. Per la prima volta infatti interveniva nella gestione delle scuole reggimentali il Ministero della Pubblica Istruzione e l’autorità militare perdeva l’esclusivo controllo sulla loro direzione. Il tasso di analfabetismo

337 AMC, Lettera di nomina da parte del Provveditorato agli studi di Bologna, prot. N. 15832 B/22 del 22 nocvembre 1956.

338 A. S. Catalano, Le scuole reggimentali, «I problemi della pedagogia», n. 4-5, 1966, pp. 654-659; A. Bonacasa, Tornano a scuola in divisa: inchiesta sulle scuole reggimentali. Leggi, regolamenti e funzionamento delle scuole per militari in servizio, dal 1913 all'anno 1973-1974, Palermo, Arti grafiche siciliane, 1975; P. Del Negro, Esercito, Stato, società: saggi di storia militare, Bologna, Cappelli, 1979; G. Mastrangelo, Le scuole reggimentali, 1848-1913: cronaca di una forma di istruzione degli adulti nell'Italia liberale, Roma, Ediesse, 2008; G. Della Torre, Le scuole reggimentali di scrittura e lettura tra il Regno di Sardegna e il Regno d’Italia, 1847-1883, «Le Carte e la Storia», 2, 2011, pp. 84-97; G. Chiosso, Alfabeti d’Italia. La Lotta contro l’ignoranza nell’Italia unita, Torino, SEI, 2011, pp. 28-32.

339 T. De Mauro, Storia linguistica d’Italia dall’Unità a oggi, Roma-Bari, Laterza, 2017, p. 113.

340 A riguardo si segnala ad esempio il contributo di Edmondo De Amicis, Racconti militari: il libro di lettura ad uso delle scuole dell’esercito, Milano, Treves, 1880.

341 Con il relativo decreto attuativo R. D. 4 agosto 1913, n. 1339 Regolamento delle scuole per i militari in servizio (G.U. n. 219, 19 settembre 1913)

all’inizio del Novecento era ancora molto elevato342 - circa metà della popolazione non sapeva leggere e scrivere - ed inoltre si poneva il problema dell’analfabetismo di ritorno, di coloro cioè che non avendo avuto occasioni per esercitarla avevano perso l’istruzione ricevuta. Nelle scuole reggimentali - di cui si sanciva l’obbligo di frequenza e in cui si inserivano insegnanti civili - si individuava, per la particolare condizione data dall’obbligatorietà della leva, una situazione favorevole per rispondere alla necessità di una scuola per adulti343.

Tale istituzione era poi rimasta attiva, senza interventi degni di nota, fin oltre la seconda guerra mondiale. Nel 1947 tra i corsi previsti dall’istituzione della scuola popolare per contrastare l’analfabetismo, ed allo stesso tempo rispondere al fenomeno della disoccupazione magistrale, figuravano anche quelli realizzati all’interno delle caserme344, la cui organizzazione ed il cui funzionamento erano poi precisati da una apposita circolare ministeriale del 1948345. Qui si davano disposizioni circa la durata dei corsi, gli esami e l’assunzione degli insegnanti, scelti dall’autorità militare sulla base di elenchi predisposti annualmente dal Provveditorato agli studi. Infine nel 1956 - proprio l’anno in cui Malservisi veniva chiamato come maestro - un’ulteriore circolare346 ne stabiliva il passaggio alla dipendenza del Comitato Centrale per l’Educazione Popolare presso il Ministero della Pubblica Istruzione.

Di quel particolare anno scolastico è rimasta la testimonianza di un’approfondita relazione scritta da Malservisi347, dalle cui pagine emerge un dettagliato quadro dell’organizzazione della scuola reggimentale a Bologna, dei suoi insegnanti e dei suoi alunni, oltre che riflessioni e considerazioni sulla funzione e sulle possibilità offerte da quella peculiare istituzione scolastica.

L’impressione di Malservisi sulla scuola reggimentale era stata quella di un’istituzione su cui in generale era riposta una scarsa fiducia, da cui non ci si

342 G. Chiosso, op. cit., p. 59; C. M. Cipolla, Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale, Bologna, Il Mulino, 2002.

343 Ministero della Pubblica Istruzione, L’istruzione primaria e popolare in Italia con speciale riguardo all’anno scolastico 1907-08, vol. I, 1910, Relazione presentata a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione dal Direttore Generale per l’istruzione primaria e popolare dott. Camillo Corradini, cap. 4, pp. 95-96.

344 D. L. 17 dicembre 1947, n. 1599 Istituzione della Scuola popolare contro l’analfabetismo (G. U. Serie Generale n. 21, 27 gennaio 1948).

345 Circolare Ministero della Pubblica Istruzione 15 gennaio 1948, n. 159/2 (Bollettino ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione, n. 10 del 1948, p. 509).

346 Circolare Ministero della Pubblica Istruzione 7 maggio 1956, n. 4967/10/59.

347 AMC, Cesare Malservisi, Relazione dattiloscritta dal titolo Scuole reggimentali di Bologna. Bologna anno scolastico 1956-57.

aspettava molto, ed in cui si cercava di operare come meglio si poteva in un misto tra «serietà e comprensione, onestà e generosità»348.

Il primo aspetto che Malservisi si era trovato ad affrontare era stata la gestione ed il controllo sui corsi e quindi della relazione con l’autorità militare. Dalle circolari che normavano le scuole reggimentali emergeva infatti uno sdoppiamento di funzioni fra cariche direttive ed ispettive scolastiche - a cui spettava la vigilanza sulla didattica - e militari - con il compito invece della sorveglianza generale sui corsi - che sfociava in un incrociarsi e sovrapporsi di competenze e controlli. Così mentre la suddivisione degli alunni all’interno dei diversi corsi attivati era lasciata agli insegnanti, che si scontravano subito con il problema delle assenze, il rispetto dell’obbligo di frequenza al contrario era oggetto di ispezione da parte delle autorità militari. Nessuna preoccupazione invece era prestata al lavoro svolto in classe, per il quale gli stessi programmi ministeriali si limitavano a fornire solo qualche indicazione o suggerimento didattico. Il risultato era quello di una vigilanza blanda, nonostante i controlli formali effettuati con molto zelo, ed inefficace nel cercare di coniugare la specificità propria della vita militare con l’attività educativa e le esigenze didattiche, lasciando all’educazione scolastica, affidata all’impegno e alla responsabilità dei singoli insegnanti, un ruolo del tutto marginale349.

Malservisi si soffermava dunque nella sua relazione sulle figure dei maestri operanti nella scuola reggimentale, tratteggiandone i profili e riportando le difficoltà conseguenti alla precarietà dell’incarico. Se infatti la scuola popolare era stata istituita allo scopo di rispondere al problema, ancora esistente nell’Italia del secondo dopoguerra, dell’analfabetismo fra la popolazione adulta, essa - come già ricordato - era esplicitamente pensata anche per alleviare quello della disoccupazione magistrale. Per le scuole reggimentali inoltre era specificata la preferenza

agli idonei dei corsi magistrali e a quelli forniti di titolo di studio superiore all’abilitazione magistrale (laurea)350,

tuttavia la nomina era soggetta a forti elementi di aleatorietà. Questa, oltre ad essere compito dell’autorità militare, era di durata annuale. Inoltre il carico complessivo

348 Ivi, p. 9.

349 Ibid.; A. S. Catalano, op. cit., pp. 658-659.

di lavoro e la relativa modesta retribuzione costringevano alla ricerca di un altro impiego

lo stipendio, che non arriva alle ventimila lire mensili, costringe i maestri a cercare un altro lavoro, non importa molto di quale genere, purché sia possibile guadagnare qualcosa, e che lasci libere le ore serali per la scuola reggimentale351

incidendo profondamente sulla possibilità di reclutamento di personale particolarmente qualificato e motivato e portando ad un continuo avvicendarsi di docenti352

fra gli insegnanti della scuola presso la caserma Mameli di Bologna, uno lavora nel doposcuola del Comune, un altro in una scuola privata, e uno è rappresentante di una ditta di detergenti. C’è poi chi lavora presso una ditta di autotrasporti, chi vende accendisigari di contrabbando, chi chiede ai segretari delle scuole elementari qualche giorno di supplenza e chi si prepara al concorso nelle ferrovie dello Stato.353

Si contribuiva così a creare quel clima di scarso interesse e quasi impotenza che Malservisi aveva avvertito nei primi giorni di servizio e riportato nell’introduzione del suo resoconto

nessuno ha il coraggio di chiedere una preparazione speciale per l’insegnante di queste scuole e nessun insegnante cerca di studiarne in qualche modo i problemi. Chi fa qualche altro lavoro non ne ha il tempo; chi invece avrebbe tempo lo impiega nel cercare un lavoro o nell’arrabbiarsi.

Tutto quello che gli insegnanti della scuola reggimentale fanno (in realtà non è molto), lo fanno più che per un alto senso del dovere, per umana simpatia verso gli altri ragazzi più sfortunati che non hanno potuto studiare e che inoltre stanno anche facendo il servizio militare.354

L’azione degli insegnanti poi si inseriva e dove confrontarsi con la complessiva educazione militare, su cui Malservisi rifletteva in particolare attraverso un lungo ed approfondito esame del volume Il buon comportamento355 distribuito ai soldati

con l’intento di aiutarli nell’adattamento con il nuovo ambiente e le sue regole.

351 AMC, C. Malservisi, Scuole reggimentali di Bologna. Bologna anno scolastico 1956-57, p. 12. 352 A. S. Catalano, op. cit., pp. 656-657.

353 AMC, C. Malservisi, Scuole reggimentali di Bologna. Bologna anno scolastico 1956-57, p. 12. 354 Ivi, p. 16.

355 Ministero della difesa, Stato Maggiore dell'esercito, Ufficio addestramento e regolamenti, sezione regolamenti, Il buon comportamento, s.l., s.n., 195.

Malservisine operava un’azione di svelamento, dietro i toni amichevoli o addirittura scherzosi di consigli e raccomandazioni, del fine di inquadramento e livellamento più generale

si tratta di un livellamento nel senso peggiore della parola. Il patrimonio intellettuale e affettivo che ogni persona ha portato con sé vien messo in disparte, viene sostituito da una mentalità diversa, di tipo standardizzato.356

Oltre alle esortazioni sugli aspetti della cura e dell’ordine della persona, della divisa o delle camerate, venivano formulati veri e propri ammonimenti sul comportamento da tenere in caserma e in pubblico, con particolare enfasi sull’onore di appartenere all’esercito ed attenzione ai pericoli della politica, fino a quello verso le donne. Regole e divieti trasmessi e rafforzati anche da superiori, istruttori e cappellani finché le reclute non imparavano a non lamentarsi più

molti che nei primi giorni di scuola erano sempre pronti a discutere, a lamentarsi di ciò che ritenevano ingiusto, hanno lentamente imparato a vivere da veri soldati. Pochi riescono a rimanere se stessi fino alla fine del servizio militare.357

In queste pagine non è difficile scorgere oltre alle personali posizioni valoriali di Malservisi, anche il segno dell’educazione democratica, dell’educazione alla libertà, affermata dalla pedagogia fiorentina e dunque la condivisione del rifiuto di ogni forma di autoritarismo e conformismo. Anche per questo Malservisi affermava come

i problemi che si presentano nelle scuole reggimentali sono quindi diversi da quelli delle altre scuole popolari; altro è l’ambiente e soprattutto molto differente è lo stato d’animo degli alunni. Costretti, quelli delle classi inferiori (I II III) a frequentare le lezioni, stanchi per un giorno di lavoro faticoso, o annoiati per una lunga giornata passata in ozio; svogliati e sospettosi verso tutto ciò che sa di vita militare, la maggior parte di essi si presenta nei primi giorni di scuola con lo stesso atteggiamento che assumono quando si preparano a spazzare un enorme casermone, o a pulire venti grandi marmitte.358

356 AMC, C. Malservisi, Scuole reggimentali di Bologna. Bologna anno scolastico 1956-57, p. 26. 357 Ivi, p. 28.

Dopo queste considerazioni lo spazio maggiore era riservato da Malservisi ai suoi studenti, giovani, praticamente a lui coetanei e provenienti in maggioranza dai