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Videointervista al Professor Vittorio Capecch

CAPITOLO 5 Un’identità plurale

5.1 Videointervista al Professor Vittorio Capecch

La videointervista a Vittorio Capecchi, Professore di Sociologia generale presso l’Università di Bologna è stata realizzata presso la sua abitazione a Bologna il 14 giugno 2016.

CHIARA VENTURELLI (d’ora in poi C.): So che tra lei e Malservisi c’era un

rapporto di amicizia.

PROF. VITTORIO CAPECCHI (d’ora in poi CA.): Sì molto. Cesare è stata una persona molto interessante. Abbiamo passato assieme le vacanze al mare con i nostri bambini, mi ha fatto conoscere Leonesi679, nostro carissimo amico, regista teatrale e figura importante della cultura comunista bolognese. C’è infatti una cultura interessante da sottolineare. Il meglio della cultura comunista cioè una cultura non settaria, ma profondamente radicata con la storia e la cultura artistica, letteraria, affabulatoria di Bologna. Questi incontri per me sono stati molto importanti perché sono toscano, mi sono laureato alla Bocconi di Milano, dopo di ché sono stato negli Stati Uniti, non era emiliano. Allora avendo avuto una vita un po’, così, spezzata tra diverse città, quando arrivai a Bologna, alla fine degli anni Sessanta, fu quasi come se mi ricostruissi un’identità, amando questa città ed appassionandomi della cultura bolognese, di cui sia Malservisi che Lionesi hanno rappresentato il meglio. Per quanto mi riguarda, al di là dei suoi meriti di insegnante, Cesare è stata la persona che mi ha trasmesso questa interessante cultura. Una cultura di sinistra, ma dentro ad una visione molto umana, senza rancori, rispettosa del patrimonio sia contadino che operaio, ed anche questo è molto interessante. Una cultura appassionata, radicata, piena di materialità, dove c’è il dialetto ed il ballo, ma con spessore. Una cultura anche molto raffinata perché tutto sommato una cultura letteraria fatta di riferimenti. E personaggi come Cesare Malservisi rappresentano proprio questa raffinatezza della cultura, in cui fare il pane, mangiare, correre, ballare non sono esteriorità, ma fanno parte di un mondo in cui ci sono anche politica e letteratura. Ripeto, venendo dal di fuori avevo bisogno di entrare in contatto con l’anima della città, avevo anche voglia di trovare

un’identità in un certo senso. E l’identità che ho assimilato da Cesare Malservisi e da Luciano Leonesi è l’identità operaia contadina. Un filone operaio con radici profonde nella campagna Tutto questo è Cesare in un certo senso. Al di là delle sue capacità pedagogiche di insegnante molto bravo, Cesare rappresenta proprio questa cultura che è tra la campagna e la città e che ha anche una radice storica, perché in effetti le capacità imprenditoriali della famiglia mezzadrile sono state trasferite nelle capacità metalmeccaniche. Spesso si ha da una parte un mondo urbano ed industriale e dall’altra parte si ha il mondo contadino in modo separato, mentre lì erano sempre intrecciati. Cesare riusciva a far emergere questa cultura con una grande finezza e moltissima umanità. Una cultura raffinata in cui non c’era spazio per l’egoismo, la violenza, il carrierismo, per tutte queste cose che oggi sento così sgradevoli. Cesare inoltre ha fatto parte di questa cultura con grande capacità creativa e didattica, con uno spessore complesso. Per questo dico che Cesare è stato un personaggio strepitoso, ma potrebbe essere stato anche sottovalutato perché non faceva parte dell’intellettualità o del potere politico. Sebbene abbia portato avanti delle linee politiche che oggi rimpiangiamo.

C.: Volevo chiederle infatti qual era il particolare clima culturale e storico e cosa

l’aveva colpito.

CA.: C’era tutto il mondo della FIOM con Claudio Sabattini, ma lì era già diverso perché era chiara la valenza politica di inchiesta, mentre secondo me prima ancora di una presa di posizione partitica stavano Malservisi e Lionesi, con la loro cultura profonda che rappresenta l’anima migliore della Bologna laica non religiosa. Una cultura in cui l’accuratezza nel fare un piatto di tortellini era la stessa accuratezza che serviva nel comporre delle canzoni o nel ballo, ma anche nel campo metalmeccanico. Significava cioè avere passione per il lavoro, per il fare artigiano. Non una cultura operaia esecutiva, ma una cultura operaia creativa che sa sì usare le macchine, ma che è anche piena di creatività. L’anima bolognese laica impersonata da Malservisi, Lionesi, così come da altri, è un’anima molto radicata sulla cultura materiale ed artistica. Tutte queste cose fanno parte di una cultura di sinistra, molto radicata già nell’Ottocento, che ha un’origine contadina in un certo senso. Infatti, nella storia bolognese la presenza politica di sinistra è arrivata prima nelle campagne e poi nella città. La campagna quindi è un punto di riferimento culturale e politico, non è qualcosa di periferico e marginale rispetto alla città. È importante a mio avviso sottolineare come questa cultura sia una cultura moderna

perché rappresenta dei valori che sono ancora attuali, che conteneva uno straordinario amore per la vita in tutte le sue espressioni. Se però questi valori sono soffocati da una modernità in cui prevalgono individualismo e corruzione allora è chiaro come emerga un certo modo di far politica, l’opacità del funzionario. Proprio oggi di fronte al problema dell’immigrazione, a maggiori tensioni, a periferie difficili, o si recupera questa cultura fatta di umanità, di capacità di conoscere, di fare inchiesta, di capire le cose, oppure si lascia spazio a messaggi di individualismo, di egoismo e di sopraffazione culturale. Il rischio cioè è quello di una cultura non attenta, senza attenzione all’altro, all’umanità, alle persone. È pericolosissima e può portare alla degenerazione.

C.: In un numero di «Inchiesta» del 1974 era stato pubblicato un articolo dal titolo

“Una rivoluzione pacifica”?680.

CA.: Sì, Cesare con i suoi alunni aveva fatto questo spettacolo teatrale dove c’era lo stesso tipo di intreccio. Avevano studiato il tema della rivoluzione industriale e avevano colto l’importanza di confrontare e intrecciare le diverse letture e discussioni affrontate per presentarle ai genitori, soprattutto operai e contadini, ma anche al quartiere. Lo spettacolo fu veramente particolare e di successo. Era composto da brani dei loro libri di testo, da interviste, da canzoni politiche e popolari. L’eccezionale riuscita di quell’incontro mi spinse a chiedere di ripeterlo per i metalmeccanici che frequentavano i corsi delle 150 ore a Bologna

Il Professore Vittorio Capecchi era giunto a Bologna come incaricato di Sociologia nell’anno accademico 1968/1969. Nel capoluogo emiliano-romagnolo, dopo molti anni trascorsi in diverse parti del mondo, aveva trovato una realtà culturale, politica e storica che ben si intrecciava a sua interessi. Da subito in stretto contatto con la FIOM e promosse i corsi delle 150 ore e sviluppò diverse ricerche legate al comparto della meccanica bolognese. La testimonianza del Professor Capecchi restituisce infatti la vocazione e l’origine contadina-operaia della Bologna dell’epoca, il trasferimento dei saperi e delle competenze legati al mondo della campagna nella nuova realtà industriale. Questa trasformazione, questo adattamento da parte di mondo rurale che utilizzava con precisione e creatività le macchine utensili per creare prodotti su misura e non seriali affascina in particolar modo il Porfessor Capecchi. Un’eccellenza rintracciabile in una cultura e una storia

che dura ad oggi su questo territorio e si esprime ad esempio nella esistenza dell’Istituto “Aldini Valeriani Sirani”.

Nell’intervista appare evidente un interesse non solo “sociologico” del Professor Capecchi per l’identità culturale operaia e contadina che Malservisi rappresentava e studiava con cura e raffinatezza, ma anche un’opportunità di allargare la conoscenza, l’interazione e la collaborazione con la nuova realtà in cui si era trasferito.