istituzioni argentine si sono in parte adoperate per ritrovare quei bambini e restituirli alle loro famiglie. Le nuove indagini fatte in questo senso sono state fondamentali per scoprire molte delle atrocità commesse dal regime militare. Inoltre, tali ulteriori approfondite inve-stigazioni hanno portato alla condanna di ex funzionari del regime che, per i reati stretta-mente politici, erano stati precedentestretta-mente prosciolti sulla base del loro inescusabile principio di «obbedienza dovuta».
Introduzione all'opera di Pavlovsky
L'opera di Pavlovsky, Potestad, un monologo drammatico del 1985 e quindi scritto a ri-dosso dei tragici eventi, decide di dar voce a questo che è stato uno degli aspetti più crude-li della dittatura micrude-litare argentina. Come egcrude-li stesso scrive nel prologo della sua opera «un gruppo di uomini e donne si è dedicato a rapire bambini come se fossero un bottino di guerra. Una nuova setta di uomini normali si dedicava a rapire i figli dei militanti caduti durante la repressio-ne, assassinandone i genitori e cambiando loro l’identità. Non solo assassinavano o erano complici degli assassini, ma giustificavano anche i rapimenti con una nuova etica. Erano i salvatori di bambini dall’inferno rosso. I nuovi buoni genitori, come si evidenzia marcatamente nell’opera».
Nella fattispecie giocano un ruolo fondamentale ancora una volta le donne che, con il loro coraggio e il loro generoso slancio tutto femminile, forniscono una grande lezione morale e non mancano di certo gli spunti di riflessione. Esse dimostrano a noi tutti in cosa consista la vera forza, una forza non fatta di vanagloriosi muscoli, di effimero egocentri-smo, di apatica indifferenza o di arrogante sopraffazione, ma piuttosto di senso di giustizia, pazienza, perseveranza, sopportazione, forza morale e solidarietà. Queste sono le qualità che dimostrano la vera essenza dell'individuo. Con la loro prorompente umanità ci aiuta-no a aiuta-non dimenticare mai di essere esseri umani concepiti per uaiuta-no scopo aiuta-nobile, aiuta-non fatti per vivere all'ombra della paura. Ci hanno lasciato una traccia da seguire e un modello da imitare.
S
TUDII
NTERCULTURALI1/2018
NOTE
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CONTRIBUTI E RECENSIONIHomo sum, nihil humani a me alienum puto, disse il comico latino. Io
direi piuttosto: nullum hominem a me alienum puto; sono uomo, nessun
altro uomo ritengo estraneo. Perché l’aggettivo humanus mi è sospetto
tanto quanto il sostantivo astratto humanitas, l’umanità. Né l’umano, né
l’umanità, né l’aggettivo semplice, né l’aggettivo sostantivato, ma piuttosto
il sostantivo concreto, l’uomo. [...] Esiste un’altra cosa che chiamiamo
ugualmente uomo, ed è il soggetto di non poche divagazioni più o meno
scientifiche [...] Un uomo che non è di qua né di là, né di questa epoca né
dell’altra; che non ha sesso né patria, insomma un’idea. Vale a dire un
non-uomo. Il nostro è l’altro uomo, quello in carne ed ossa; io, tu, lettore
mio, quell’altro più in là, quanti camminiamo sulla terra. E quest’uomo
concreto in carne e ossa è il soggetto e il supremo oggetto al tempo stesso di
ogni filosofia.
C
OSANON
È L’
INTERCULTURALITÀ GIANNI FERRACUTICredo che mai si sia parlato tanto di interculturalità come in questi ultimi dieci anni, soprattutto in ambito scolastico dove questo termine sembra essere inteso come la pana-cea che risolve ogni problema; singolarmente, questa attenzione ai temi interculturali con-trasta con i sondaggi odierni secondo cui il 70% degli italiani sarebbe favorevole ai respin-gimenti in mare: io ho il sospetto che tra questi due dati esista una correlazione, cioè che negli ultimi anni l’interculturalità sia stata talmente fraintesa da contribuire ad alimentare una sorta di rigetto. Vorrei, dunque, proporre all’attenzione alcuni esempi di errori comu-ni ma, a quanto si legge sui giornali, piuttosto frequenti.
I colleghi che mi hanno preceduto hanno messo giustamente in evidenza alcuni pro-blemi teorici l’insufficienza di certi modelli di analisi: la mia prospettiva, però, è molto
pra-110 «Studi Interculturali» n. 1 /2018
tica; io mi occupo dell’interculturalità intesa come un fatto sociale molto concreto, cioè come la relazione tra due persone di cultura diversa; di conseguenza non debbo risolvere dei problemi teorici, come ad esempio definire cosa s’intenda per cultura: qualunque ri-sposta si dia a questa domanda, mi occupo di persone concrete che hanno una loro realtà culturale, qualunque essa sia.
Nella relazione interculturale, presa come fatto sociale, il primo problema da risolvere è la comprensione del comportamento altrui. Ogni cultura (concretamente incarnata da un individuo) è un sistema di precomprensioni (pregiudizi e pre-giudizi), codici interpretativi, schemi mentali che non escludo ignoranza e paranoie, per cui non è difficile fraintendere il significato di un atto compiuto da un individuo appartenente a una cultura altra. Ab-biamo tutti sentito uomini e donne appartenenti al mondo della politica o dello spettaco-lo, o intellettuali televisivi, condannare il velo islamico come segno di oppressione e vio-lenza sulle donne, e altre cose simili: in questo caso l’errore, oltremodo diffuso, è interpre-tare il fatto culturale a noi estraneo con i metri di giudizio della nostra cultura. Se applicas-simo una procedura corretta, e quindi cercasapplicas-simo il significato del velo islamico nella cul-tura musulmana, anziché nella nostra, scopriremmo facilmente che la maggior parte dei giudizi di condanna da parte di occidentali è del tutto infondata ed anzi il velo, ove ovvia-mente non sia imposto, assume esattaovvia-mente il significato opposto di tutela della donna, secondo un uso che risale alle antiche culture mediterranee (nel mondo romano la matro-na portava il velo, la schiava no, proprio per segmatro-nalare che la sua persomatro-na non era a disposi-zione altrui).
Questa comprensione della cultura altra attraverso i suoi stessi criteri interpretativi de-ve avde-venire nella reciprocità: se io mi sforzo di capire la cultura di un immigrato, è gioco-forza che lui si sforzi di capire la mia. La cronaca ci fornisce qui ottimi spunti di riflessione, portando ad esaurimento la nostra pazienza nelle feste comandate, quando dirigenti scola-stici, insegnanti e persino parroci finiscono sui giornali per la loro sciocca idea di non fare il presepe nelle scuole per non offendere i musulmani presenti nella comunità. Lo scorso natale, in Friuli, si è avuto il caso geniale di una maestra che ha insegnato ai bambini una canzoncina in cui - per qualche strana forma di correttezza - il nome di Gesù era stato so-stituito con Perù. È vero che c’è almeno una perfezione nel mondo ed è quella del perfetto cretino, ma in questo caso possiamo vedere due errori macroscopici.