Il primo consiste nel pensare che «noi» siamo gente neutra, che non tiene all’identità e può ritrarsi per fare spazio a «loro» che non capirebbero, che bisogna accogliere, ecc. ecc.: niente di più sbagliato, noi siamo etnici esattamente come gli altri, abbiamo usi e costumi e identità e, come gli altri, ne abbiamo diritto. Questa sorta di ritrazione mi suona molto co-loniale, perché ci leggo un retropensiero che dice: io, civile, faccio spazio a te, primitivo in-capace di comprendere. Mi sembra l’affermazione implicita di una superiorità culturale francamente fuori luogo. Il secondo errore viene da ignoranza: siccome la relazione inter-culturale richiede una comprensione reciproca, bisogna che qualcuno spieghi agli interes-sati che un musulmano non ha alcuna ragione di sentirsi offeso o imbarazzato per il prese-pe e il natale, visto che Gesù nella religione islamica è il profeta che precede Maometto e come tale viene venerato. Se a scuola qualche genitore musulmano si offende per il prese-pe, chiamate l’imam per spiegargli il corretto rapporto interreligioso. Senza pensare che il presepe lo inventa san Francesco in polemica con quelli che volevano la crociata per libe-rare i luoghi santi occupati proprio dai musulmani.
Passaggio successivo. In molti documenti ufficiali, anche elaborati dal Ministero della Pubblica Istruzione, si insiste sulla necessità della contaminazione culturale, cosa che rap-presenta una colossale sciocchezza. La contaminazione culturale può essere una scelta per-sonale, può persino essere reclamata come diritto individuale, ma non può essere un ob-bligo e ognuno ha il diritto di non volersi contaminare. Così, dopo la fase della reciproca comprensione si apre la fase in cui si misura SE e fino a che punto l’uno può accettare l’altro: la relazione interculturale non è necessariamente un fatto automatico né un obbli-go; ci sono condizioni in cui non può avvenire.
Per esempio, io posso avere una piena e completa comprensione del fenomeno chiama-to infibulazione - e proprio per queschiama-to non lo accetchiama-to. La mia identità etnica mi rende incom-patibile con questo fenomeno culturale, per cui chi lo volesse praticare o cambia paese o va in galera. Mi è stato obiettato in un’occasione che l’infibulazione «fa parte della loro cultura» e che io «non posso» pormi con questo atteggiamento; la mia risposta è molto semplice: di questa cultura non m’importa niente, e altroché se posso pormi con questo at-teggiamento: mi basta ricorrere ai carabinieri! Voglio dire che non stiamo facendo una di-scussione teorica tra le mie idee e le idee altrui: stiamo invece esaminando una relazione so-ciale, che avviene in un contesto storico concreto, nel quale la cultura maggioritaria non è solo composta di pensieri e pregiudizi, ma è anche strutturata in istituzioni e leggi. In
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lia, come in qualunque altro paese del mondo, vige un sistema di leggi e la legge si applica a tutti indistintamente. Non esiste possibilità di accettare l’infibulazione in Italia perché le mutilazioni personali sono proibite e perché la stessa legge che le proibisce obbliga a tutelare e
proteggere la persona che sarebbe mutilata. Non è questione di essere o non essere d’accordo
con le idee di Ferracuti: è questione di rispettare o non rispettare la legge vigente, che vale
erga omnes.
Il diritto vigente, non la contaminazione invocata non si sa bene come né perché, de-termina le forme e i limiti dell’integrazione. Se uno non vuole mandare la figlia a scuola violando ciò che è stabilito per tutti in fatto di obblighi scolastici, debbono intervenire i servizi sociali - che sia bianco, nero, rosso, zingaro o boscimano. Se uno vuole impedire ai figli maggiorenni di vivere secondo modi e costumi che nel sistema giuridico sono legali, devono intervenire i carabinieri, chiunque egli sia. Nello stesso tempo, il diritto determina gli spazi che le culture minoritarie possono esigere: il ramadan non è in contrasto con le leggi vigenti (in Italia la libertà religiosa è riconosciuta in Costituzione), quindi i musul-mani lo possono praticare liberamente, come hanno diritto a pregare in una moschea, o a piccole pause in orario di lavoro nelle ore della preghiera rituale, ecc. ecc.: credo sia chiaro il mio pensiero. Sapete che siamo in tempo di esami di maturità e che domani, sabato, non si svolgono le prove scritte per rispetto a shabbat: la cultura maggioritaria può ritrarsi, può fare spazio, ma con il criterio di mettere l’altro in condizione di poter vivere la sua specifi-cità culturale in ogni occasione in cui non c’è conflitto col diritto vigente: il diritto nega la possibilità di avere due mogli (reato di bigamia), ma riconosce il rispetto per le norme reli-giose come la proibizione di mangiare carne di maiale, per cui il bigamo deve andare in ga-lera e le mense scolastiche si debbono adeguare con menu compatibili con i tabù religiosi, se necessario.
Il tempo stringe e credo di aver superato lo spazio che mi è stato concesso, ma credo di aver detto sinteticamente quali sono gli elementi strutturali di una corretta relazione in-terculturale. So che la mia posizione può sembrare poco o per nulla buonista, come si dice con un termine sciocco in voga, ma sono fermamente convinto che solo restando all’interno del diritto si possa prevenire la diffusione di atteggiamenti razzisti.
A
LLE ORIGINI DELLA FILOSOFIA IN OCCIDENTE:
DAL MITO A PLATONE ED ESITI SUCCESSIVI PIER FRANCESCO ZARCONE
PREMESSAi
Un autore che condividesse il radicato pregiudizio eurocentrico, egemone nella cultura occidentale, avrebbe scelto un titolo diverso, poiché è ormai acquisito da persone non solo di media cultura il considerare la filosofia come fenomeno inizialmente fisicista (o
i Si avverte che quando nel testo compare la traslitterazione di parole greche, essa non è avvenu-ta secondo la pronuncia insegnaavvenu-ta nei Licei classici iavvenu-taliani, della cui correttezza è molto dubbia, bensì si è fatto ricorso alla pronuncia di derivazione bizantina peraltro ancora in uso nel mondo di lingua ellenica.
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lista) poi diventato razionalista tout court. Secondo questo luogo comune l’origine della fi-losofia rappresenterebbe l’emergere di un pensiero rivolto a spiegare la realtà in contrap-posizione alla dimensione mitica in precedenza dominante. Anzi, dall’affermarsi della filo-sofia sarebbe derivata una diffusa e definitiva «demitizzazione».
In questa sede non si vuole, né si potrebbe, mettere in discussione il fatto che in Grecia la filosofia si sia posta come esercizio autonomo delle facoltà umane, ma va sottolineato che tra esse andavano incluse anche quelle spirituali, e va preliminarmente rivista l’asserita e totale opposizione tra filosofia e mito.
Ormai da vari secoli la filosofia occidentale è ben diversa da come era stata per tanto tempo, e in più progressivamente si sono resi indipendenti molti filoni di ricerca e di pen-siero diventati oggetto di studi «scientifici» a cui la vulgata dominante attribuisce, acriti-camente, un grado di certezza e «verità» che nulla avrebbe a che vedere con lo sterile sog-gettivismo della filosofia. Le conseguenze di questa riduzione di contenuto sono duplici per il lavoro filosofico: a) nonostante tutto, nelle discipline diventate indipendenti il filo-sofo «puro» ha ancora qualcosa da dire in termini di conclusioni critiche e di approfondi-mento riguardo al senso dei risultati raggiunti dagli specialisti, cioè di una loro sintesi su-periore nonché di individuazione dei significati e delle implicazioni speculative; ma inne-gabilmente il suo margine di lavoro non va al di là di questo; b) quali campi di indagine propriamente filosofica resterebbero la gnoseologia, la logica (oggi più che mai matematiz-zata), l’etica e la politica; da tempo è assente in Occidente la metafisica, che il razionalismo qui dominante ha abbandonato dopo la demolizione fatta da Kant a carico della preceden-te tradizione occidentale. In Orienpreceden-te la situazione è ancora diversa.
Detto ciò, passiamo all’origine storica della filosofia occidentale. Il primo filosofo, Tale-te, era del VI secolo a.C., quindi dello stesso periodo di Buddha e di Mahavira, del fonda-tore del Jainismo. Ebbene, già anteriormente a questi tre personaggi si erano sviluppati in India sistemi speculativi di notevole complessità in ordine ai tre problemi classici della fi-losofia - chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo - problemi definibili in un solo modo: «filosofici». È sufficiente pensare alla dimensione speculativa retrostante alla compilazione dei Veda, opera fatta risalire da studi più recenti a un’epoca ben anteriore al 2000 a.C.; op-pure pensare al sistema filosofico delle Upanishad, le cui parti più antiche vengono con-venzionalmente datate almeno al 900 a.C.