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Applicabilità ai marchi collettivi delle norme dettate per i marchi individuali

2.1 Il marchio collettivo nel diritto italiano

2.1.2 Disciplina attuale dei marchi collettivi nel C.P.I

2.1.2.3 Applicabilità ai marchi collettivi delle norme dettate per i marchi individuali

Resta fermo che ai marchi collettivi si applicano le stesse disposizioni previste dal c.p.i. per i marchi individuali “in quanto non contrastino con la natura” dei primi (art. 11 comma 5 c.p.i.).

Quindi, valgono gli stessi requisiti di registrabilità previsti per i marchi individuali: novità (art. 12 c.p.i.), liceità, capacità distintiva (salva la deroga all’art. 13 prevista per i marchi collettivi geografici).

In particolare, l’art. 12 comma 2, come modificato dalla riforma del 2010, prevede che, nei casi di mancanza di novità, per conflitto con un marchio anteriore registrato, un certo segno possa essere registrato nuovamente come marchio solo se, al momento della presentazione della domanda o dell’eccezione di nullità, sono decorsi almeno due anni (se si tratta di marchio individuale) o tre anni (se si tratta di marchio collettivo) dalla scadenza del marchio anteriore o se può considerarsi decaduto per non uso ex art. 24 c.p.i. (protratto perun periodo ininterrotto di cinque anni).

La ratio della norma è “evitare il sovraffollamento del registro dei marchi da parte

di segni che costituiscono delle anteriorità puramente cartacee”174, scaduti o mai

173 P. MASI, op. ult. cit, pag. 87; P. PETTITI, op. ult. cit., pag. 626 ss.

174 G. GHIDINI, F. DE BENEDETTI (a cura di), Codice della proprietà industriale, Milano, 2006, pag. 41; nello stesso senso, G. SENA, Il diritto dei marchi: marchio nazionale e marchio comunitario, Milano, 2007, pag. 123; M. RICOLFI, Marchi di servizio, non registrati e collettivi, in A.A. V.V.,

61 usati, e impiegati unicamente al fine di ottenere la declaratoria di nullità di marchi posteriori noti sul mercato (perché conosciuti e/o utilizzati)175.

La previsione di un termine più lungo per i marchi collettivi, secondo una parte della dottrina176, può essere spiegata in questi termini “l’uso plurimo

contemporaneo ha una diffusività e quindi un effetto anticipatore, sia pure sul piano del collegamento del marchio a una categoria di prodotti nella opinione del pubblico, che merita una valorizzazione più ampia” ed ha la finalità di eliminare il

marchio anteriore dalla percezione del pubblico, cosicché si possa procedere alla nuova registrazione dello stesso segno senza incorrere in un rischio di confusione. È opinione dominante che questa norma si applichi a tutti i marchi anteriori registrati con effetti in Italia, siano essi nazionali, europei o internazionali177. Inoltre, si ritengono applicabili al marchio collettivo anche le cause di nullità e decadenza178 (le quali si aggiungono a quella prevista dall’art. 14 comma 2 lett. c) conseguente all’omessa irrogazione delle sanzioni o al mancato svolgimento dei controlli imposti dal regolamento d’uso), l’art. 21 sugli usi del marchio altrui, la disciplina della convalida ex art. 28 c.p.i. e l’estinzione per rinuncia179 del titolare, specificamente dettati per il marchio individuale.

La dottrina, poi, si è interrogata se il rinvio alla disciplina prevista per i marchi individuali, operato dall’art. 11 comma 5 c.p.i. (e anche dall’art. 66 par. 3 Regolamento n. 40/94), si estenda anche ad altri profili.

175 R. FRANCESCHELLI, Cimiteri e fantasmi di marchi, in Riv. dir. ind., 1974, I, pag. 5 ss.

176 F. ALBISINNI, Strumentario di diritto alimentare europeo, Milano, 2015, pag. 228; P. MARCHETTI, L. C. UBERTAZZI, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e

concorrenza, Padova, 2016, pag. 221.

177 A. VANZETTI, Codice della proprietà industriale, Milano, 2013, pag. 203-204.

178 La dottrina precedente alla Novella del ’92 aveva ritenuto che fossero configurabili, come cause di estinzione proprie del marchio collettivo, l’estinzione dell’associazione, conseguente alla chiusura delle operazioni di liquidazione, e la violazione da parte dell’associazione delle norme contenute nello statuto, ad esempio sulle modalità di controllo dei prodotti.

Secondo una parte della dottrina, anche le modificazioni statutarie contrastanti con la natura del marchio collettivo potevano determinarne la decadenza. Sul punto, si veda D. PETTITI, op. ult. cit. pag. 89-93.

179 La dottrina precedente alla Novella del ’92, distingueva tra rinuncia dell’associazione e rinuncia del singolo utilizzatore. Nel primo caso, veniva meno il diritto al marchio collettivo, spettante all’associazione, e, di conseguenza, viene meno anche il diritto all’uso degli utilizzatori che siano legati al titolare da un rapporto associativo o di partecipazione (è dubbio se possa continuare ad assumere rilievo come marchio collettivo di fatto). Nel secondo caso, veniva meno solo il diritto del rinunciante (salvo che non si ravvisasse una revoca della rinuncia nella continuazione dell’uso). Sul punto, si veda D. PETTITI, op. ult. cit. pag. 88.

62 In particolare, con riguardo alla trasferibilità del marchio collettivo180, dopo la riforma del ’92 si sono registrati orientamenti contrastanti: una parte della dottrina propende per la soluzione affermativa, a condizione che il regolamento sull’uso del segno “contenga previsioni adeguate a garantire l’equivalenza tra alienante e

acquirente nella soddisfazione degli interessi connessi alla gestione del marchio”181 e che “il trasferimento avvenga nel rispetto del regolamento”182 d’uso, rendendo edotto l’Ufficio dell’avvenuto mutamento del titolare; invece, M. RICOLFI dubita che il titolare di un marchio che non può utilizzare possa cederlo a terzi “se non con il consenso di tutte le imprese abilitate all’uso e, forse, con

l’approvazione dell’Ufficio”. Del resto, un’impresa autorizzata all’uso di un

marchio collettivo non può trasferirlo ad un’altra impresa prima che quest’ultima abbia acquisito i fattori produttivi necessari affinché i suoi prodotti soddisfino le caratteristiche qualitative prescritte dal regolamento d’uso183.

Queste disposizioni e questi orientamenti dottrinali dovranno essere ripensati alla luce della nuova normativa europea.

Infatti, il 6 novembre 2017 è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana la Legge di delegazione europea 2016-2017 contenente la “delega al Governo per l’attuazione della Direttiva (UE) 2015/2436…e per

l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del Regolamento (UE)

180 Prima della riforma, poiché uno dei requisiti necessari di validità del marchio collettivo era la sussistenza di un rapporto associativo o di partecipazione tra il titolare e gli utilizzatori, era opinione pressoché unanime in dottrina che il marchio non potesse essere trasferito dal singolo imprenditore “se

non insieme alla qualità di membro dell’associazione” titolare. Invece, nel caso di trasferimento da

parte dell’associazione-titolare ad un’altra associazione i cui membri sono, in tutto o in parte, diversi, il trasferimento doveva “essere trascritto presso l’Ufficio brevetti…il quale potrà negare l’annotazione

del trasferimento, in analogia al disposto dell’art. 2 L. m., se l’associazione acquirente non abbia nel proprio statuto una disciplina che sia, come quella dello statuto della associazione cedente, congrua in ordine all’uso del marchio collettivo”: così D. PETTITI, Profilo giuridico del marchio collettivo privato, Napoli, 1963, pag. 55-56.

181 P. MASI, op. ult. cit., pag. 77.

182 P. PETTITI, Il marchio collettivo. Commento alla nuova legge sui marchi, in Riv. Dir. Comm., 1994, vol. I, pag. 635; nel senso di ammettere il trasferimento del diritto di usare un marchio collettivo solo in presenza di una successione d’impresa, M. CASANOVA, Impresa e azienda, Torino, 1974, pag. 467.

183 Approvazione richiesta dal diritto inglese per i soli marchi di certificazione: sul punto, si veda A. A.

63 2015/2424” da attuarsi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore di questa

legge (quindi, entro il 21 novembre 2018)184.

Entro questo termine, il Governo dovrà adottare uno o più decreti per “adeguare le

disposizioni del Codice della proprietà industriale” alle norme del Regolamento e

della Direttiva (ad esempio, abolendo il requisito della rappresentabilità grafica e consentendo la registrazione dei c.d. marchi non convenzionali) soprattutto in tema di marchi collettivi (art. 3 comma 3 lett. e) e di marchi “di garanzia e di certificazione” (art. 3 comma 3 lett. f).

2.2 Il marchio comunitario collettivo nel Reg. (CE) n. 40/1994 e nel Reg. (CE)