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Il marchio comunitario collettivo nel Reg. (CE) n. 40/1994 e nel Reg. (CE) n

Per comprendere il significato e il valore dei marchi comunitari collettivi, è necessario ripercorrere i momenti più salienti che hanno condotto all’emanazione della Direttiva 89/104/CE – in attuazione della quale il legislatore italiano ha riformato la Legge Marchi nel ‘92 – e all’introduzione, per la prima volta a livello comunitario, della loro disciplina nel Regolamento (CE) n. 40/1994.

Sin dal mese di dicembre del 1959, la Commissione e gli Stati membri della CE avevano lavorato per ottenere l’unificazione e l’armonizzazione della proprietà industriale, attraverso la creazione di un sistema europeo del marchio d'impresa, destinato ad essere applicato da tutti gli Stati membri e integrativo della loro normativa nazionale.

Un gruppo di lavoro, composto dai rappresentanti dei sei stati fondatori della CEE e presieduto dal Dott. De Haan185, aveva redatto “the Preliminary Draft of a

Convention for a European Trademark Law”, che era stato pubblicato solo nel

1973186 lasciando aperte numerose questioni fondamentali187.

Subito dopo la pubblicazione del c.d. “1964 Draft”, molti privati e organizzazioni internazionali avevano manifestato l’esigenza della creazione, quanto prima, di un

184 C. GALLI, La legge di delegazione europea in G.U.: le deleghe su marchi, brevetti e know-how, in Il quotidiano giuridico, 7 novembre 2017.

185 Presidente dell’ufficio brevetti olandese.

186 Fu il governo francese a sollecitare la ripresa dei lavori, nel novembre del 1968.

Per ulteriori approfondimenti sul tema, si veda S. P. LADAS, Patents, Trademarks, and Related Rights:

National and International Protection, 1975, I, pag. 180 ss.

64 sistema europeo dei marchi d’impresa e avevano espresso la loro opinione su tali questioni che, in quanto non trattate da questo schema di Convenzione, erano bisognose di essere esaminate e risolte.

Anziché procedere alla revisione o alla redazione di un nuovo atto giuridico, la Commissione aveva preferito indicare il suo punto di vista in merito alla creazione di un sistema del marchio d'impresa nella Comunità Europea188 in un

Memorandum, redatto con l’assistenza di un gruppo di esperti e pubblicato nel

1976.

Ciò che interessa ai fini della presente trattazione è che, nella sezione dedicata ai concetti e ai principi fondamentali sui quali si deve basare “the Community system

of trade mark law”, veniva fatto espresso riferimento ai marchi collettivi (e ai

marchi di certificazione).

In particolare, veniva sottolineata la necessità che questi segni potessero essere registrati come marchi comunitari, al fine di soddisfare equamente gli interessi dei consumatori, dei produttori e dei fornitori189 e che venisse introdotta una disciplina a tutela di questi segni, dal momento che “they will play a significant role in the

common market as a means of marketing, of standardizing and developing quality products, and of informing the consumer. For small and medium-sized firms the use of a collective trade mark may often be the only means of extending their activities throughout the common market”190.

Negli anni successivi, le iniziative progettuali all’interno della Commissione sono aumentate e sono sfociate nella stesura di un progetto di direttiva e di una proposta di regolamento ad opera di due gruppi di lavoro.

Il progetto di direttiva, pubblicato il 31 luglio 1979, aveva lo scopo di armonizzare le legislazioni degli Stati membri in materia di marchi191 ma era costituito solo da 16 articoli, nessuno dei quali menzionava i marchi collettivi.

188 Lo ha definito “a necessary step towards attaining the objectives of the Community laid down in the

EEC Treaty, and is clearly in the interests of manufacturers, distributors and consumers in the common market”, vedi Memorandum della Commissione sulla creazione di un marchio comunitario [Sec(76)

2462], Bollettino CE, supplemento 8/76, pag 5, punto 1.

189 Ibidem, pag. 17, punto 53.

190 Ibidem, pag. 20, punto 71.

191 G. GUGLIELMETTI, Il progetto di direttiva CE relativo al ravvicinamento delle legislazioni degli

65 Invece la proposta di regolamento, pubblicata il 31 dicembre 1980 e preordinata alla realizzazione dell’obiettivo di “promuovere un armonioso sviluppo delle

attività economiche” e “una espansione continua ed equilibrata per l’instaurazione e il buon funzionamento di un mercato comune che offra condizioni analoghe a quelle di un mercato nazionale”192, aveva dedicato l’intero Titolo XI alla disciplina dei marchi comunitari collettivi (e dei marchi comunitari di garanzia)193.

In particolare, l’art. 87 prevedeva che i “marchi collettivi semplici” potessero essere depositati come marchi comunitari collettivi dai “gruppi di fabbricanti, di

produttori, di prestatori di servizi o di commercianti dotati di capacità giuridica”

e avevano lo scopo di distinguere i prodotti e/o servizi dei membri di tali gruppi, da quelli di altre imprese.

L’art. 89 prescriveva che alla domanda di registrazione di un marchio comunitario collettivo dovesse essere allegato un regolamento, ma non ne indicava il contenuto minimo194: da questa norma si poteva dedurre che potessero accedere al segno solo

una direttiva volta a ravvicinare le legislazioni degli Stati membri della Comunità Europea sui marchi, dal momento che queste norme non avevano una “incidenza diretta sull’instaurazione o sul

funzionamento del mercato comune”, cioè non violavano il limite che l’art. 100 Trattato CEE poneva

all’adozione di una direttiva di questo genere: si tratta delle “norme sull’ampiezza della tutela dei

marchi, sul loro utilizzo, sulla amichevole composizione dei conflitti e sugli impedimenti relativi e assoluti che si oppongono alla registrazione o al mantenimento di un marchio”; nello stesso senso, si

veda G. MORANDINI CHIOMENTI, Brevi osservazioni sul nuovo testo della Direttiva sul

ravvicinamento delle legislazioni in materia di marchi, in Riv. dir. ind., 1981, I, pag. 109 ss. secondo la

quale i risultati che la Direttiva si prefiggeva potevano essere ottenuti attraverso l’applicazione delle norme del TCE.

192 Proposta di regolamento del Consiglio, in Riv. dir. ind., 1982, pag. 87; sul punto, la Relazione alla proposta, in Riv. dir. ind., 1982, pag. 127 sottolineava la necessità di limitare il ravvicinamento alle sole “disposizioni dei diritti nazionali dei marchi che incidono direttamente sul libero scambio di merci e

servizi e sulla concorrenza nella Comunità” al fine di ridurre i casi di conflitto tra marchi (all’epoca 1,8

milioni), ma poiché questa soluzione non bastava (le persone potevano ottenere tutelare per marchi simili o identici in Stati diversi), occorreva anche istituire un marchio comunitario, valido per tutto il territorio della Comunità Europea. E aggiungeva che “il marchio comunitario…rende possibile

l’acquisizione, mediante il deposito di un’unica domanda presso un unico ufficio dei marchi, in base ad un’unica procedura fondata su un’unica legge, di un marchio valido per un unico territorio comprendente tutti gli Stati membri. In questo modo si otterrà che l’attività economica e la concorrenza non saranno più gravate e distorte, rispetto alla concorrenza a livello nazionale…vengono cioè create, a livello comunitario, condizioni giuridiche, organizzative e di costi analoghe a quelle attualmente esistenti a livello nazionale”.

193 Le norme che verranno analizzate di seguito si applicavano anche ai marchi comunitari di garanzia i quali, in passato, nel diritto italiano, rientravano nella categoria dei marchi collettivi e ora sono chiamati «marchi di certificazione». Per coerenza, ci limiteremo ad analizzare le disposizioni relative ai soli marchi comunitari collettivi.

194 L’art. 89 stabiliva, invece, quale dovesse essere il contenuto minimo del regolamento che doveva essere depositato unitamente alla domanda di registrazione di un marchio comunitario di garanzia: “si

devono indicare le caratteristiche comuni dei prodotti o dei servizi che il marchio garantisce e fissare le modalità di un controllo serio ed efficace dell’uso del marchio, nonché adeguate sanzioni”.

66 i soggetti in grado di soddisfare le condizioni oggettive di adesione al gruppo titolare del marchio comunitario collettivo.

L’art. 90 elencava ulteriori cause di rigetto della domanda di registrazione di un marchio comunitario collettivo, oltre a quelle previste dagli artt. 31 e 35 (ossia, per il verificarsi di un impedimento assoluto o relativo): la domanda veniva rigettata se violava l’art. 87 o l’art. 89 o se il regolamento era contrario all’ordine pubblico o al buon costume195.

Ai sensi dell’art. 93, l’uso di un marchio comunitario collettivo, da parte dei soggetti autorizzati ad utilizzarlo, “è conforme alle disposizioni del presente

regolamento, nella misura in cui siano soddisfatte le altre condizioni alle quali tale regolamento sottopone l’uso del marchio comunitario”: quindi, per i marchi

comunitari e per i marchi comunitari collettivi, valevano le stesse condizioni di liceità dell’uso di un segno altrui.

L’art. 94 consentiva al titolare di un marchio comunitario collettivo di apportare modifiche al regolamento d’uso, a condizione che non fossero contrarie alle disposizioni di cui all’art. 89, all’ordine pubblico o al buon costume (par. 2). Tali modificazioni dovevano essere notificate all’UAMI ed erano soggette alle procedure di rifiuto o di pubblicazione previste per le domande originarie.

L’art. 95 estendeva ai soggetti autorizzati all’uso di un marchio comunitario collettivo le disposizioni dell’art. 77 specificamente dettate per i licenziatari, sul presupposto che fossero titolari di diritti analoghi: in particolare, l’esercizio dell’azione per contraffazione era subordinato al consenso del titolare, ma l’utilizzatore era sempre legittimato ad intervenire nel giudizio per contraffazione instaurato dal titolare, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti196.

Come vedremo in seguito, l’art. 65 comma 2 Reg. (CE) n. 40/1994 descriveva il contenuto minimo del regolamento che doveva accompagnare la domanda di registrazione di un marchio comunitario collettivo.

195 Come vedremo in seguito, l’art. 66 Reg. (CE) n. 40/1994 aveva previsto una ulteriore causa di rigetto della domanda, quando il pubblico rischiava di essere “indotto in errore per quanto concerne il

carattere o il significato del marchio, in particolare quando questo non sembri un marchio collettivo”,

mentre la proposta di regolamento in esame limitava questa causa di rigetto alla sola domanda di registrazione di un marchio comunitario di garanzia.

67 L’art. 96 prevedeva che il titolare di un marchio comunitario collettivo decadesse dai suoi diritti quando autorizzava o consentiva un uso del segno non conforme alle prescrizioni contenute nel regolamento.

Ai sensi dell’art. 97, il marchio comunitario collettivo era nullo se era stato registrato nonostante fosse sopravvenuta una causa di rigetto della domanda o se era stata registrata una modifica del regolamento contraria alle disposizioni di cui all’art. 94 par. 2 (in quest’ultimo caso, gli effetti del segno si consideravano come non prodotti).

Infine, l’art. 98 vietava l’uso o la registrazione dei marchi comunitari collettivi che fossero stati cancellati dal registro “per prodotti o servizi uguali o simili a quelli

per i quali sono stati registrati”, nel triennio successivo alla mancata rinnovazione

della registrazione, alla decadenza dai diritti del titolare ex art. 96, alla rinuncia o al verificarsi di una causa di nullità del segno, salvo che si trattasse del precedente titolare del marchio o del suo avente diritto.

La ratio di questa norma risiedeva nell’esigenza di evitare un rischio di confusione o di associazione per il pubblico.

Le modalità di applicazione di questo regolamento erano state fissate da un Progetto di Regolamento di esecuzione, adottato dal Consiglio a maggio del 1981, su proposta della Commissione.

In particolare, nel Titolo VIII rubricato “Marchi comunitari di garanzia e marchi

comunitari collettivi”, due norme erano dedicate ai marchi comunitari collettivi: la

Regola 31 prescriveva il contenuto minimo che doveva avere il regolamento d’uso, da depositare unitamente alla domanda di registrazione197; la Regola 32 specificava che per “uso del marchio comunitario collettivo” si dovesse intendere “l’uso

effettuato da almeno tre persone autorizzate”.

197 La Regola 31 recitava così “…il regolamento deve contenere le seguenti indicazioni:

a) denominazione e sede del gruppo; b) scopo del gruppo;

c) rappresentanza del gruppo;

d) condizioni di ammissione dei membri;

e) identità delle persone autorizzate ad usare il marchio;

f) diritti e obblighi delle parti in caso di contraffazione.

Il regolamento deve recare la data e la sottoscrizione. Esso va presentato in duplice esemplare. Chiunque ha diritto di prendere visione del regolamento”.

68 Quest’ultima disposizione non è mai stata codificata in un regolamento.

Ci si era interrogati, in dottrina, sul motivo per cui la Commissione abbia deciso di abbandonare lo strumento della Convenzione (impiegato per introdurre la disciplina del brevetto comunitario) e abbia preferito introdurre la disciplina del marchio comunitario con un regolamento.

La risposta è agevole: mentre la Convenzione, per sua natura, pur essendo aperta all’adesione di Paesi terzi, richiede di essere ratificata da parte degli stati aderenti, sicché qualora sorgano problemi in sede di ratifica, ne consegue un ritardo nella sua entrata in vigore, il regolamento è direttamente applicabile e vincolante in tutti gli Stati membri della Comunità Europea dal momento della sua adozione, senza che siano richieste ulteriori manifestazioni di volontà (ad esempio, la ratifica)198. A queste proposte, sono seguiti il parere del Comitato Economico e Sociale (settembre 1981)199 – il quale aveva accolto con favore la scelta della Commissione di ricorrere allo strumento del regolamento per la realizzazione dell’obiettivo di armonizzare le legislazioni nazionali in materia di marchi e rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione delle merci contrassegnate da marchi, attraverso l’introduzione del marchio comunitario – e il parere del Parlamento Europeo (ottobre 1983)200 che aveva apportato alcune modifiche ai testi normativi, lasciando pressoché immutate le disposizioni relative ai marchi comunitari collettivi.

In accoglimento delle correzioni apportate dal Parlamento europeo, il Consiglio ha emanato una nuova proposta di regolamento201 e una nuova proposta di direttiva202. Nella relazione preparata per il seminario organizzato dall’Associazione degli Industriali della Provincia di Venezia e dell’Università di Venezia, che si è tenuto il 29 settembre 1989, si era sottolineato come l’idea della Commissione fosse stata quella di creare un marchio comunitario che, con il tempo, avrebbe sostituito i

198 N. ZORZI, Il marchio comunitario, in Contratto e Impresa/Europa, Padova, 1996, pag. 260-261; G. GUGLIELMETTI, Commento alla proposta di regolamento del Consiglio sul marchio comunitario, in

Riv. dir. ind., 1982, pag. 212-213.

199 Per ulteriori approfondimenti, il parere è pubblicato in G.U., C-310, 30 novembre 1981 ed è riportato in Riv. dir. ind., 1982, I, pag. 169 ss.

200 Per ulteriori approfondimenti, il parere è pubblicato in G.U., C-307, 14 novembre 1983.

201 La proposta è stata presentata dalla Commissione al Consiglio, in virtù dell’art. 149 comma 2 TCE, e pubblicata il 31 agosto 1984. Si veda anche Riv. dir. ind., 1987, I, pag. 296 ss.

202 La proposta è stata presentata dalla Commissione al Consiglio, in virtù dell’art. 149 comma 2 TCE, il 17 dicembre 1985 ed è stata pubblicata in G.U., C-351, il 31 dicembre 1985.

69 marchi nazionali, impedendo così agli Stati membri della Comunità europea di disporre in tale materia, e come tale progetto si ponesse in contrasto con le esigenze economiche delle imprese, dal momento che i loro marchi avrebbero dovuto essere registrati a livello comunitario e si sarebbero confrontati con gli altri segni senza poter beneficiare delle dimensioni del mercato nazionale.

Si è parlato di “progetto di un regolamento sul marchio comunitario…sottoposto

ad un continuo affinamento”203 per i numerosi interventi di modifica e per i dibattiti che si erano accessi nel tentativo di ricercare un punto di equilibrio tra l’introduzione del marchio comunitario e la salvaguardia dei diritti di marchi nazionali.

Tra i vari progetti di modifica, merita di essere citata anche la proposta modificata di Regolamento del Consiglio sul marchio comunitario, del 27 maggio 1988, che ha dedicato un intero titolo (VII-bis) ai soli marchi comunitari collettivi204 e ha introdotto, per la prima volta, una definizione di tale istituto205.

Così, mentre i lavori della Commissione proseguivano, il 21 dicembre 1988 il Consiglio era giunto all’emanazione della prima Direttiva sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa.

L’intento perseguito dal Consiglio era quello di rimuovere gli ostacoli alla libera circolazione dei prodotti e alla prestazione dei servizi, causati dalla diversità delle legislazioni nazionali in materia di marchi, e ammettere una coesistenza tra marchi comunitari e marchi nazionali, quando i prodotti sui quali erano apposti provenivano da imprese di piccole dimensioni e interessavano solo il mercato nazionale.

Sebbene, ai sensi dell’art. 1, la direttiva fosse destinata ad essere applicata “ai

marchi di impresa di prodotti o di servizi individuali, collettivi, di garanzia o

203 L. SORDELLI, Significato e finalità della direttiva CEE sul ravvicinamento delle legislazioni degli

Stati membri in materia di marchi registrati n.89/104, in Riv. dir. ind., 1989, I, pag. 19.

204 Probabilmente, l’eliminazione del riferimento ai marchi comunitari di garanzia si giustificava con la circostanza che molti ordinamenti nazionali avessero distinto nettamente tra marchi collettivi e marchi di certificazione.

205 È sulla base di questa proposta che è stato emanato il Reg. (CE) n. 40/1994, per questo le disposizioni contenute nel Titolo VII-bis verranno analizzate quando tratteremo di questo regolamento.

70 certificazione”, essa non conteneva alcuna definizione dei marchi comunitari

collettivi206, né indicazioni relativamente alla funzione da questi esercitata.

Questo istituto era menzionato esclusivamente dall’art. 15, il quale al comma 1 consentiva agli “Stati membri la cui legislazione autorizza la registrazione di

marchi collettivi o di marchi di garanzia o di certificazione” di introdurre, nella

propria legislazione nazionale, cause di decadenza o di nullità dei marchi collettivi, ulteriori a quelle previste dalla Direttiva 89/104/CE agli artt. 3 e 12.

Invece il comma 2, in deroga all’impedimento assoluto alla registrazione previsto dall’art. 3 lett. c)207, autorizzava gli Stati membri a registrare, come marchi collettivi geografici oppure come marchi di garanzia o di certificazione, “i segni o

indicazioni che, in commercio, possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi”208 e impediva al titolare di vietare a terzi l’uso di tali segni o indicazioni a fini commerciali se esso era conforme “agli usi consueti

di lealtà in campo industriale o commerciale”209, cioè se il segno non veniva usato in funzione distintiva.

Si trattava di una disposizione estremamente generica, soprattutto se confrontata con l’art. 2 comma 4 D. Lgs. n. 480/1992 che rimetteva alla discrezionalità dell’Ufficio la decisione se accogliere o meno la domanda di registrazione, al fine di prevenire situazioni di ingiustificato privilegio o di ostacolo alla libera iniziativa economica210.

206 P. MASI, op. ult. cit.; pag. 72; F. ALBISINNI, op. ult. cit., pag. 234.

207 Secondo questo articolo, sono esclusi dalla registrazione i marchi descrittivi, cioè “i marchi di

impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l'epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio”. Questo articolo corrisponde all’attuale art. 13 comma 1 lett. b) c.p.i. e, secondo la Corte di

Giustizia CE, cause riunite C-108/97 E C-109/97, 4 maggio 1999, caso « Windsurfing Chiemsee», punto 25, la sua ratio è quella di evitare che “siffatti segni o indicazioni siano riservati a una sola impresa in

forza della loro registrazione come marchi”.

208 In attuazione dell’art. 15 comma 2 Direttiva 89/104/CEE è stata introdotta la figura del marchio collettivo geografico all’art. 2 comma 4 D.Lgs. n. 480/1992.

209 Come abbiamo visto, l’art. 2 comma 4 (e ora l’art. 11 c.p.i.) subordinava la liceità dell’uso di un marchio collettivo altrui al rispetto dei principi della correttezza professionale (concetto “sostanzialmente equivalente” alla formula impiegata dalla direttiva, sul punto si veda A. VANZETTI, C. GALLI, La Nuova legge marchi: codice e commento alla riforma, Milano, 1993, pag. 32.

210 M. LIBERTINI, L’informazione sull’origine dei prodotti nella disciplina comunitaria, in Riv. dir.

71 Infine, l’art. 15 comma 2 prevedeva che se il marchio comunitario collettivo geografico fosse stato usato dal terzo con la funzione di assicurare la provenienza geografica di un prodotto, avrebbe potuto essere opposto solo ai soggetti i cui prodotti non erano stati realizzati nella zona indicata211.

Il Consiglio aveva preferito ricorrere allo strumento della direttiva, perché riteneva che l’attività di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri della Comunità europea in materia di marchi d’impresa fosse facile da compiere, essendo limitata esclusivamente ai settori fondamentali ai fini della realizzazione degli obiettivi perseguiti con essa; invece, il regolamento richiedeva l’introduzione di “una normativa puntuale afferente a qualsiasi aspetto della disciplina…strumenti

di tutela specifici con l’istituzione di organi e strutture nuove, e con la necessità di risolvere accanto ai problemi tecnici anche quelli politici connessi, relativi all’inquadramento delle indicate strutture, alla loro dislocazione sul territorio comunitario, ed alla scelta delle lingue procedimentali ufficiali”212.

In realtà, sarebbe stato più opportuno emanare subito un regolamento, dal momento