2.1 Il marchio collettivo nel diritto italiano
2.1.2 Disciplina attuale dei marchi collettivi nel C.P.I
2.1.2.1 Il marchio collettivo geografico
L’art. 11 comma 4 consente la registrazione dei marchi collettivi geografici costituiti da “segni o indicazioni che nel commercio possono servire per designare
la provenienza geografica dei prodotti o servizi”, in deroga al divieto di
registrazione dei segni privi di capacità distintiva contenuto nell’art. 13 c.p.i., ma subordina la registrazione a due condizioni:
- I marchi di cui si chiede la registrazione non devono determinare “situazioni
di ingiustificato privilegio”, e
- Non devono “recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative
nella regione”, ossia nel luogo geografico di cui è espressione il marchio.
Questa norma è il risultato dell’esercizio, da parte del legislatore nazionale, della facoltà concessa a tutti gli Stati membri dell’UE dall’art. 15 Direttiva 89/104/CEE di prevedere, nella propria legislazione, che possano essere registrati come marchi (collettivi o di garanzia e certificazione) i “segni o indicazioni che, in commercio,
possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi”.
53 La ratio di questa deroga si può rinvenire nell’esigenza di tutelare l’interesse alla registrazione di segni attraverso i quali si può garantire al pubblico determinate caratteristiche qualitative dei prodotti, legate all’origine geografica di cui è espressione il marchio145.
Tratteremo più approfonditamente della possibilità di registrare, come marchio collettivo, un’indicazione geografica e delle interferenze con la disciplina dei marchi nel Capitolo IV.
Invece, con riguardo ai marchi individuali, l’art. 13 c.p.i. vieta la registrazione dei segni “costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi
o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono" e, tra questi, i segni "che in commercio possono servire a designare [...] la provenienza geografica" del
prodotto o del servizio sul quale era apposto il marchio.
Se questa norma fosse applicata in modo indiscriminato, vieterebbe tout court la registrazione dei segni costitutivi esclusivamente da nomi geografici.
A questa interpretazione, una parte della dottrina ha obiettato che “i segni generici
o descrittivi di cui il legislatore mira ad evitare la monopolizzazione non sono…tutti quelli che possono astrattamente definire o descrivere un qualsiasi prodotto o un servizio o loro caratteristiche, ma sono soltanto quelli che vengano ad assolvere questa funzione in relazione agli specifici prodotti o servizi per i quali è richiesto il marchio”146. Se si aderisce a questa tesi, si deve ammettere la registrazione dei “nomi geografici di regioni o di località che, sempre nella
percezione dei consumatori, non influenzino le caratteristiche dei prodotti o servizi contrassegnati, e che quindi, anche quando indicano l’effettiva provenienza di
145 M. LIBERTINI, Indicazioni geografiche e segni distintivi, in Riv. dir. comm. 1996, I, pag. 1039-1041; D. SARTI, Il marchio collettivo, in L.C. Ubertazzi (a cura di), La proprietà intellettuale, in
Trattato di diritto privato dell’Unione europea, (diretto da) G. AJANI e G. A. BENACCHIO, XI,
Torino, 2011, pag. 136 ss.; contra P. PETTITI, Il marchio collettivo. Commento alla nuova legge sui
marchi, in Riv. dir. com., 1994, I, pag. 634, che ammette la registrazione, come marchi collettivi, anche
di nomi geografici “adottati in modo fantastico”.
146 C. GALLI, Il marchio come segno e la capacità distintiva nella prospettiva del diritto comunitario, in Il dir. ind., 2008, pag. 428; C. GALLI, A.M. GAMBINO, Codice commentato della proprietà
54 questi prodotti o servizi, si presentino agli occhi del pubblico come nomi di fantasia”147.
Sul punto, in alcune pronunce, la Corte di Giustizia UE ha precisato che il divieto di registrazione dei segni costituiti da nomi geografici non si applica solo nei casi in cui essi indichino luoghi caratterizzati da un nesso con la categoria di prodotti per cui viene richiesto il marchio, ma anche ai nomi geografici in grado di indicare la provenienza geografica di tali prodotti148.
Però, la Corte non si è spinta fino al punto di precludere la registrazione, come marchi, dei segni distintivi che assumano per i consumatori un “valore evocativo
che prescinde dall'origine geografica in senso stretto”149: quindi, non è esclusa la registrazione – come marchi individuali – dei segni costituiti da nomi geografici, quando indicano luoghi che non influenzano le caratteristiche o la qualità dei prodotti per i quali è richiesto il marchio (ad esempio, nessuno potrebbe essere danneggiato dalla registrazione del marchio “Bari” per l’attrezzatura da sci, dal momento che il luogo di produzione conserva un valore obiettivo autonomo, rispetto ai beni in esso realizzati, che non può che rimanere di dominio pubblico150). Solo in questi casi è configurabile un marchio individuale “geografico”.
Si deve concludere che l’art. 11 comma 4, nella parte in cui consente di registrare, come marchio collettivo, “segni o indicazioni che nel commercio possono servire
147 La giurisprudenza più recente ha accolto un’interpretazione più restrittiva: così Trib. Voghera, 15 febbraio 2000, in Giur. Ann. Dir. ind., 2000, pag. 802 secondo il quale quando un nome geografico acquista una modesta notorietà, al punto da non venire più percepito dal pubblico come toponimo, può essere registrato come marchio, perché il consumatore non sarebbe in grado di ricondurre le caratteristiche del prodotto o servizio offerto dal marchio al luogo geografico da esso indicato; si è spinto oltre Trib. Firenze, 18 settembre 2006, che ha riconosciuto la validità del marchio “Verrazzano” (podere di notevoli dimensioni) in deroga al divieto di registrare nomi geografici che indichino luoghi fisici già noti per la categoria di prodotti a cui si riferiscono e che presentino un nesso con tali prodotti, agli occhi del pubblico.
148 Corte di Giustizia CE, cause riunite C-108/97 e C-109/97, 4 maggio 1999, par. 37.
149 C. GALLI, op. ult. cit., pag. 428; C. GALLI, I toponimi, tra tutele, volgarizzazione e diritti
consolidati, Relazione al Convegno “I beni immateriali tra regole privatistiche e pubblicistiche”,
Assisi, 25-27 ottobre 2012; nello stesso senso, la giurisprudenza Cass., 20 ottobre 1982, n. 5462, in
Giur. ann. dir. ind., 1982, pag. 63; Trib. Milano, 3 aprile 1973, in Giur. ann. dir. ind., 1973, pag. 558;
App. Milano, 29 dicembre 1967, in Riv. dir. ind., 1968, II, pag. 26; G. A. GRIPPIOTTI, Il marchio
geografico: condizioni di registrazione (commento a Commissione dei ricorsi 7 ottobre 1994, n. 77/91 e 78/91), in Il dir. ind., 1995, pag. 151-152; Trib. Catania, 12 maggio 2006, in Giur. ann. dir. ind., 2007,
5089, ha precisato che "Il nome di una contrada siciliana e di un omonimo castello (nella specie
Donnafugata) può essere validamente registrato per vini, non avendo alcuna aderenza concettuale con il prodotto che contraddistingue".
55 per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi” (e non anche in
funzione distintiva) è lex specialis rispetto all’art. 13 c.p.i.151.
Ciò non vuol dire che possano essere registrati, come marchi collettivi, segni che hanno perso un nesso con l’origine geografica agli occhi del pubblico152: ad esempio, il termine “acqua di Colonia” non può essere registrato come marchio collettivo perché indica una tipologia di prodotto, non una provenienza geografica153.
Tornando al marchio collettivo geografico, essendo costituto da un toponimo, dovrà garantire al pubblico anche la provenienza geografica dei prodotti, oltre ad esplicare la funzione di garanzia qualitativa attribuita dalla legge.
Di conseguenza, il titolare del segno dovrà verificare se tale indicazione corrisponde al luogo di produzione dei beni sui quali è apposto il marchio.
Per evitare che la registrazione di un marchio collettivo geografico possa dare luogo ad abusi o distorsioni della concorrenza, il legislatore nazionale ha circondato l’art. 11 comma 4 di una serie di cautele.
In primo luogo, con una formula identica a quella contenuta nel vecchio art. 2 L. Marchi, l’art. 11 comma 4 ha attribuito all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi il potere di “rifiutare, con provvedimento motivato, la registrazione quando i marchi
richiesti possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o comunque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione” e di richiedere,
a tal fine, “l’avviso delle amministrazioni pubbliche, categorie e organi interessati
o competenti”.
Per “situazioni di ingiustificato privilegio” si intendono i casi in cui gli imprenditori di una determinata zona geografica vengono arbitrariamente esclusi dall’uso del marchio, con la conseguenza che i loro prodotti non solo non sarebbero riconoscibili sul mercato come provenienti da quel territorio, ma potrebbero
151 F. ALBISINNI, op. ult. cit, pag. 231.
152 M. RICOLFI, Trattato dei marchi: Diritto europeo e nazionale, Torino, 2015, pag. 1760.
56 apparire anche di qualità inferiore rispetto allo standard di cui il marchio è testimone154.
Il “pregiudizio allo sviluppo di analoghe iniziative” si può configurare, ad esempio, quando il regolamento prevede “standard qualitativi non adeguati alla produzione
tipica della zona”155.
Il comma 4, poi, prevede una serie di cautele anche per la fase successiva al procedimento di registrazione: in particolare, stabilisce che il titolare di un marchio collettivo geografico registrato non possa vietare a terzi l’uso del toponimo a fini commerciali, qualora l’uso sia “conforme ai principi della correttezza
professionale” (comma così modificato dall'art. 8 comma 1, D.Lgs. n. 131/2010).
Ne consegue che non può essere vietato l’uso di un nome geografico a fini meramente descrittivi, ossia in funzione di indicazione di provenienza (e non distintivi), del prodotto di cui è richiesto il marchio, mentre deve essere impedito qualunque uso che nasconda un intento confusorio156 o tale da determinare un agganciamento o un pregiudizio alla rinomanza del marchio collettivo.
Resta fermo che questi concetti devono essere interpretati alla luce delle circostanze del caso concreto157.
Questa disposizione, come modificata dalla riforma del 2010158, trova corrispondenza nell’art. 21 c.p.i.159 (dettato per il marchio individuale) nella parte
154 C. GIACOMINI, M.C. MANCINI, D. MENOZZI, S. CERNICCHIARO, Lo sviluppo dei marchi
geografici collettivi e dei segni distintivi per tutelare e valorizzare i prodotti freschissimi, Milano, 2007,
pag. 15; F. ALBISINNI, op. ult. cit., pag. 230; M. LIBERTINI, Indicazioni geografiche e segni
distintivi, in Riv. dir. comm., vol. I, pagg. 1041-1042 che individua, come ipotesi di “ingiustificato
privilegio”, i casi in cui un gruppo organizzato privato ha il “potere di determinare arbitrariamente lo
standard di una produzione destinata a presentarsi sul mercato con caratteri di tipicità locale”. 155 A. VANZETTI, op. ult. cit., pag. 171; M. LIBERTINI, op. ult. cit., pag. 1042.
156 Sul punto, Trib. UE, T-534/10, Organismos Kypriakis Galaktokomikis Viomichanias c. UAMI e
Garmo, caso «Hellim/Halloumi», 13 giugno 2012, punto 54 “la mera somiglianza concettuale tra due segni, quando il marchio anteriore è un marchio collettivo, “non è sufficiente a creare un rischio di confusione… nonostante l’identità o la somiglianza dei prodotti in esame” confermato da Corte di
Giustizia UE, C-393/12 P., Foundation for the Protection of the Traditional Cheese of Cyprus named
Halloumi c. UAMI, 21 marzo 2013. 157 A. VANZETTI, op. ult. cit., pag. 171.
158 M. RICOLFI, Marchi collettivi geografici e marchi di certificazione, Relazione al Convegno “Informazioni sull’origine dei prodotti e disciplina dei mercati”, Roma, 6-7 giugno 2008, pag. 1757 ha precisato che, così formulata, la norma non era conforme al diritto comunitario, perciò avrebbe dovuto essere “corretta in via interpretativa”.
159 I commi 2 e 3 precisano che cosa si deve intendere per uso non conforme ai principi della correttezza professionale “Non è consentito usare il marchio in modo contrario alla legge, né, in specie, in modo
57 in cui prescrive, come condizione di liceità dell’uso nell’attività economica da parte di terzi, la conformità ai principi della correttezza professionale160.
Prima della riforma del 2010, l’art. 11 comma 4 prevedeva che l’uso del terzo, per essere lecito, oltre ad essere conforme ai principi della correttezza professionale, dovesse essere “limitato alla funzione di indicazione di provenienza”.
La dottrina161 aveva osservato come tale inciso fosse stato impiegato “in una
accezione completamente diversa da quella in cui la stessa locuzione viene impiegata in dottrina, e cioè sta a significare l’uso di nomi geografici per indicare il luogo di produzione delle merci su cui compaiono” (mentre il vecchio art. 20
comma 3 parlava, più correttamente, di “uso del nome come indicazione di
provenienza”) e come esso fosse incompatibile con il diritto comunitario162, nel quale “l’uso in funzione non distintiva ma descrittiva è solo una fra le possibili
modalità di uso lecito del marchio altrui, essendo ipotizzabili modalità distintive professionalmente corrette di impiego del segno che altri usi come marchio collettivo, come anche situazioni nelle quali…l’uso sia descrittivo ma non leale”163. Si è spiegata in questa prospettiva la ragione della soppressione dell’inciso.
Tratteremo meglio della distinzione tra disciplina nazionale e disciplina europea in tema di marchi collettivi nel capitolo 2.2.
Di conseguenza, si dovrà verificare caso per caso se, agli occhi del pubblico, l’uso da parte di terzi di un nome geografico corrispondente ad un marchio collettivo
prodotti o servizi altrui, o da indurre comunque in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o servizi, a causa del modo e del contesto in cui viene utilizzato, o da ledere un altrui diritto di autore, di proprietà industriale, o altro diritto esclusivo di terzi.
È vietato a chiunque di fare uso di un marchio registrato dopo che la relativa registrazione è stata dichiarata nulla, quando la causa di nullità comporta la illiceità dell'uso del marchio”.
160 A. VANZETTI, op. ult. cit., pag. 171; C. GALLI, Codice della Proprietà industriale: la riforma del
2010, Milano, 2010, pag. 30.
161 A. VANZETTI, C. GALLI, La Nuova legge marchi: codice e commento alla riforma, Milano, 1993, pag. 60; C. GALLI, A. M. GAMBINO, Codice commentato della proprietà industriale e intellettuale, Milano, 2011, pag. 141.
162 Art. 15 comma 2 Direttiva e art. 66 comma 2, seconda parte, R.M.C. “un marchio collettivo non
autorizza il titolare a vietare a un terzo l’uso in commercio di siffatti segni o indicazioni, purché l’uso sia conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale o commerciale; in particolare un siffatto marchio non può essere opposto ad un terzo abilitato ad utilizzare una denominazione geografica”; si
veda anche Corte di Giustizia CE, C-100/02, Gerolsteiner Brunnen GmbH & Co. c. Putsch GmbH, 7 gennaio 2004; Corte di Appello di Copenhagen, 16 aprile 1998, Anheuser Busch Inc. e Posh Inc. A/S c.
Theodoridis Budveiser, punti 104 ss.
58 altrui è tale da determinare uno sfruttamento parassitario o altro pregiudizio alla sua rinomanza164.
Inoltre, la dottrina maggioritaria165 ritiene che l’osservanza della disposizione di cui all’art. 11 comma 4 c.p.i. comporti che l’Ufficio, nel corso della procedura di registrazione, debba “estendere la propria verifica anche alle regole, statutarie o
di altra natura, che presiedano all’ammissione delle imprese in possesso dei requisiti richiesti dal regolamento e si assicuri che queste (regole) garantiscano l’accesso a tutti gli operatori del settore che siano disposti a rispettarne il regolamento” nonché deve verificare se i controlli e le sanzioni sono
“correttamente previsti e dimensionati”166.