3.3 Il nuovo marchio di certificazione UE introdotto dal Reg. (UE) 2017/1001
3.3.1 Differenze rispetto alla disciplina dei marchi collettivi nazionali
Come abbiamo visto, i marchi collettivi sono disciplinati dall’art. 11 c.p.i. e dall’art. 2570 c.c.
Essi si distinguono dai marchi di certificazione UE per una serie di profili.
In primo luogo, la legittimazione a chiedere la registrazione di un marchio collettivo è estesa a qualunque soggetto, purché svolga la “funzione di garantire
l'origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi”.
Invece, per i marchi di certificazione UE, il ruolo di certificatore può essere svolto solo dai soggetti che non producono beni, né forniscono servizi in grado di soddisfare gli standard qualitativi che il marchio voglia garantire.
In secondo luogo, con riguardo ai marchi collettivi, la dottrina prevalente ha attribuito un rilievo preminente alla funzione di garanzia qualitativa, mentre dall’art. 83 Reg. (UE) 2017/1001 traspare che i marchi di certificazione UE assolvano una funzione distintiva dei prodotti o servizi in possesso delle caratteristiche predeterminate dal titolare, dai beni non certificati.
Inoltre, per i marchi collettivi, l’art. 11 comma 2 c.p.i. non stabilisce il contenuto minimo, né il termine per la presentazione del regolamento d’uso; si limita a prevedere, con una formula piuttosto generica, che le norme regolamentari debbano prescrivere quali controlli il titolare del segno debba esercitare (ad esempio, deve verificare se i prodotti o servizi sui quali è apposto il segno soddisfano le caratteristiche qualitative imposte dal regolamento d’uso, se sono stati realizzati da soggetti abilitati all’uso del marchio ecc.) e quali sanzioni debbano essere irrogate nel caso di inosservanza del regolamento da parte degli utilizzatori.
134 Con riguardo alla possibilità di apportare modifiche al regolamento d’uso, il Reg. (UE) 2017/1001 è più chiaro, perché precisa che, se vengono accolte dall’Ufficio, produrranno i loro effetti dalla data di iscrizione nel registro dei marchi UE, ma se violano l’art. 84 sul contenuto minimo del regolamento d’uso o contribuiscono a integrare gli estremi di uno degli impedimenti alla registrazione di cui all’art. 85, non possono essere iscritte332.
Un’altra grande differenza risiede nel fatto che, mentre l’art. 11 comma 4 c.p.i. consente la registrazione dei marchi collettivi costituiti da “segni o indicazioni che
nel commercio possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o servizi”, per i marchi di certificazione UE è preclusa la funzione di
distinguere i prodotti o servizi in relazione alla loro origine geografica (divieto derogabile dagli Stati membri ai sensi dell’art. 28 Direttiva 2015/2436/UE). È opportuno precisare, con riguardo all’uso lecito da parte di terzi del marchio altrui, che le espressioni “principi della correttezza professionale” (per i soli marchi collettivi geografici ex art. 11 comma 4 c.p.i.) e “pratiche di lealtà in campo
industriale o commerciale” (per i marchi UE ex art. 14 Reg. 2017/1001/UE) sono
sostanzialmente equivalenti333.
Un altro profilo distintivo riguarda le cause di rigetto della domanda di registrazione. Con riguardo ai marchi di certificazione UE viene dato rilievo alla violazione delle norme contenute nel regolamento e al rischio di confusione per il pubblico circa l’esatta natura del marchio di cui si chiede la registrazione; invece l’art. 11 c.p.i. autorizza l’Ufficio a rigettare la domanda di registrazione nei soli casi in cui si tratti di marchio collettivo geografico e qualora sussista almeno una delle seguenti condizioni: il marchio viola il principio della parità di trattamento nell’accesso dei produttori in grado di soddisfare le condizioni stabilite nel regolamento d’uso334 o pregiudica lo svolgimento di iniziative analoghe nello
332 Come avevamo visto nel capitolo dedicato all’attuale disciplina dei marchi collettivi nel c.p.i., l’art. 11 comma 2 c.p.i. si limita a prevedere che “le modificazioni regolamentari devono essere comunicate
a cura dei titolari all'Ufficio italiano brevetti e marchi per essere incluse tra i documenti allegati alla domanda”.
333 A. VANZETTI, Codice della proprietà industriale, Milano, 2013, pag. 434.
334 Sul punto, M. RICOLFI, Trattato dei marchi. Diritto europeo e nazionale, Torino, 2015, pag. 1764 ritiene che il principio del libero accesso a tutti i produttori in grado di soddisfare il regolamento d’uso dovrebbe essere applicato anche ai marchi di certificazione UE; del resto “è proprio la modalità aperta
135 stesso territorio regionale. Quindi, la disciplina nazionale dà rilievo al rispetto dei principi di libera concorrenza e libero mercato, al fine di “limitare l’impatto sul
mercato a quei casi in cui sia effettivamente necessario utilizzare un marchio come denominazione geografica”335.
Sono diverse anche le cause di decadenza e di nullità.
Ai sensi dell’art. 11 comma 5 c.p.i., ai marchi collettivi si applicano le cause di nullità (art. 25 c.p.i.) e di decadenza (art. 26 c.p.i.) generalmente previste per i marchi individuali336, a cui si aggiunge lo specifico motivo di decadenza previsto dall’art. 14 comma 2 lett. c) “per omissione da parte del titolare dei controlli
previsti dalle disposizioni regolamentari sull'uso del marchio collettivo”337. Invece, come abbiamo visto nel capitolo precedente, la domanda di registrazione di un marchio di certificazione UE deve essere rigettata se non vengono rispettate le condizioni stabilite dagli artt. 83 e 84 sulla titolarità del segno e sul contenuto del regolamento d’uso, se quest’ultimo è contrario all’ordine pubblico o al buon costume o se il pubblico rischia di essere indotto in errore circa la tipologia di segno di cui si chiede la registrazione (quest’ultimo motivo di decadenza corrisponde all’impedimento previsto dall’art. 14 comma 2 lett. a) e si applica anche ai marchi collettivi in virtù del rinvio a tale norma contenuto nell’art. 26).
Alla luce della disciplina europea, personalmente non comprendo la ragione per la quale il legislatore italiano non abbia ancora previsto, tra gli impedimenti assoluti alla registrazione di un marchio collettivo, la contrarietà del regolamento d’uso all’ordine pubblico e al buon costume338 (ad esempio, qualora il regolamento d’uso
di questi ultimi che, storicamente, li ha contrapposti alla modalità chiusa dei marchi collettivi come si erano venuti delineando nella tradizione europeo-continentale”. Come sottolineano alcuni studiosi
inglesi “certification marks can be used by any person who satisfies the conditions of use of the mark” (A. MICHAELS, A Practical Guide to Trade Mark Law, Londra, 2002, pag. 86) “This very openness
of access to certification marks distinguishes them from collective marks, to which access is limited to members of an association” (J. BELSON, Certification and Collective Marks. Law and Practice,
Cheltenham, 2017, pag. 33).
335 V. FREDIANI, Commentario al nuovo Codice della proprietà industriale, Matelica, 2006, pag. 36.
336 In tal senso, M. SCUFFI, M. FRANZOSI, Diritto industriale italiano, Padova, 2014, pag. 319; A. VANZETTI, Codice della proprietà industriale, Milano, 2013, pag. 176.
337 Sul punto, M. RICOLFI, op. ult. cit., pag. 933 ha sottolineato che questa ipotesi di decadenza “comporta la perdita del diritto sulla registrazione del marchio a carico del soggetto che ne era titolare,
anche se il segno in quanto tale continua – a certe condizioni – a potere essere registrato e usato come valido marchio, ad opera di terzi e anche dal precedente titolare”.
338 Dal momento che l’art. 14 comma 1 lett. a) c.p.i. contempla la decadenza dei marchi d’impresa contrari all’ordine pubblico e al buon costume.
136 dovesse contenere una clausola che proibisca alle donne di usare un marchio collettivo, il relativo marchio non potrebbe essere registrato)339.
Con riguardo al contenuto della domanda di registrazione, l’art. 157 c.p.i. rinvia all’art. 156 c.p.i. relativo alla domanda di registrazione di un marchio individuale e aggiunge che deve essere inserita anche una copia del regolamento d’uso; invece, l’art. 2 del Regolamento di Esecuzione (UE) 2017/1431 impone al richiedente di inserire una dichiarazione con la quale egli attesti che la sua domanda si riferisce alla registrazione di un marchio di certificazione UE.
Infine, vi è una notevole differenza nell’importo da pagare al momento del deposito della domanda: 337€ per i marchi collettivi italiani, 1800€ per i marchi di certificazione UE.
In conclusione se, fino all’entrata in vigore del “pacchetto marchi”, la funzione di garantire l’origine, la natura e la qualità dei prodotti era attribuita principalmente ai marchi collettivi, oggi questo obiettivo può essere raggiunto attraverso i marchi di certificazione, il cui tratto distintivo rispetto ai marchi collettivi risiede nel fatto che possano essere registrati anche da una persona fisica come marchi individuali340.
La tutela dei marchi di certificazione UE è estremamente significativa, perché consente di superare il nesso tra il segno e l’associazione (ancora vigente nella disciplina dei marchi collettivi UE): il titolare di un marchio di certificazione non ha interesse a distinguere i propri prodotti o servizi, da quelli di altre imprese concorrenti; egli ha interesse a svolgere un’attività di certificazione (non produttiva) finalizzata al controllo delle modalità di utilizzo del marchio, da parte dei produttori o fornitori autorizzati, e a garantire al pubblico che i prodotti e/o servizi contrassegnati da quel marchio possiedano determinate caratteristiche qualitative341.
Quindi, si può dire che il marchio di certificazione UE svolga una duplice funzione: di garanzia, che i prodotti o servizi contrassegnati dal segno soddisfino determinati
339 Direttive EUIPO, Parte B, Sezione 4, Capitolo 15, 1° agosto 2016, pag. 7.
340 R. ROMANO, I marchi di certificazione alla luce della Direttiva 2015/2436: problemi e rimedi, in
Analisi giuridica dell’economia, dicembre 2017, pag. 594. 341 R. ROMANO, op. ult. cit., pag. 596.
137 requisiti qualitativi derivanti dal rispetto del regolamento d’uso, e distintiva, rispetto ai prodotti o servizi che non possiedono le caratteristiche certificate342. Così, il marchio diviene veicolo di un’informazione che deve essere veritiera e non ingannevole.