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L’uso di HPP presenta una serie di potenziali benefici per la conservazione e modifica degli alimenti, spesso con modificazioni desiderabili degli stessi. Di particolare interesse sono gli interventi che tendono a prolungare la durata di conservazione degli alimenti refrigerati pronti da mangiare (Ready-to-Eat, RTE) attestandone il deterioramento e inattivando i microrganismi patogeni. Diversi sono gli alimenti attualmente disponibili sul mercato internazionale, come il prosciutto affumicato pressurizzato in Spagna; salse, guacamole, succhi, carni RTE e ostriche negli Stati Uniti; gelatine in Giappone; frutti di mare in Australia e prodotti a base di frutta frullata in diversi Paesi europei (Grant et al., 2000; Stewart & Cole, 2001).

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La tecnicizzazione dell’industria alimentare e, parallelamente, lo sviluppo del cosiddetto

convenience food (“mangiar comodo”) hanno portato alla continua elaborazione e

commercializzazione di piatti pronti, spuntini e pasti rapidi sempre più innovativi e sofisticati (ad esempio, confezionati con tecnologia ATM, gas flushing, skin pack). Tali prodotti ad alto valore aggiunto si sono però, in alcuni casi, rivelati problematici sul piano della sicurezza alimentare. Infatti prodotti a base di carne trasformata, come salumi, würstel di tacchino e hot dog, sono stati implicati in diversi focolai di listeriosi negli Stati Uniti (Tompkin et al., 1992; Zimmerman, 2001; Gombas et al., 2003) e altri due casi significativi, ricondotti a paté e cozze affumicate, si sono verificati in Australia (Sutherland & Porritt, 1997).

La facile contaminazione degli alimenti RTE da parte di Listeria monocytogenes, che desta non poca preoccupazione tra i trasformatori e i consumatori, ha portato a sperimentare l’applicazione di nuove tecniche di trattamento di questi prodotti, usate da sole o in combinazione con i tradizionali metodi di conservazione.

Tra questi, la pastorizzazione fredda HPP come metodo in-package, combinato con l'imballaggio sottovuoto e la successiva conservazione refrigerata, mostra un buon potenziale per decontaminare ed estendere la shelf-life di una vasta gamma di prodotti a base di carne, compresi quelle stagionati, carni disossate meccanicamente e prodotti RTE a base di carne (Lucore et al., 2000).

Hayman et al. (2004) hanno condotto uno studio finalizzato a indagare sulla fattibilità di utilizzo di HPP come tecnologia utile a prolungare la durata di conservazione e a migliorare la sicurezza di carni refrigerate RTE (pastrami, salsicce, salame Strassburg e manzo Cajun), selezionando L. monocytogenes come patogeno bersaglio, considerata la sua frequente associazione con le carni lavorate.

Le analisi microbiologiche, effettuate sui prodotti conservati a 4°C per 98 giorni, hanno dimostrato che l’HPP (600 MPa, 20°C, 180 secondi) è stato efficace nel mantenere i livelli di batteri aerobi, lattobacilli, Listeria spp., stafilococchi, coliformi, batteri anaerobi,

Brochothrix thermosphacta, muffe e lieviti al di sotto dei limiti rilevabili (<10 ufc/g) o a

bassi livelli, durante tutto il periodo di stoccaggio refrigerato.

Inoltre, in nessun momento, i campioni sono risultati positivi (tramite metodi di arricchimento) a L. monocytogenes o Salmonella spp. Questi risultati sono in accordo con quelli ottenuti da Lopez-Carballo et al. (1999), che hanno segnalato come l’HPP applicata a 400 MPa a 7°C per 20 minuti abbia ridotto in modo significativo la presenza di B.

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questi microrganismi non erano rilevabili oltre i 35 giorni di conservazione refrigerata. Ulteriori indagini sono state condotte per determinare se l’HPP potesse essere incluso come trattamento post-letale per ridurre o eliminare Listeria monocytogenes e quindi per valutare il suo potenziale uso in un piano di autocontrollo aziendale per la produzione di carni RTE. Campioni inoculati (livello iniziale di 104 ufc/g), pressurizzati (600 MPa, 20°C per 180 secondi) e conservati a 4°C sono stati monitorati per 91 giorni. L.

monocytogenes non è stata rilevata fino al giorno 91, ma gli arricchimenti selettivi hanno

mostrato un recupero sporadico in tre dei quattro prodotti esaminati (Tabella 17). I risultati mostrano che l’HPP a 600 MPa, a 20°C per 180 secondi può prolungare la durata del prodotto refrigerato di carni RTE e ridurre L. monocytogenes di oltre 4 log ufc/g nel prodotto inoculato (Hayman et al., 2004).

Tabella 17 - Trattamento HPP (600 MPa, 20°C, 180 secondi) su campioni di pastrami, salsicce, salame Strassburg e manzo Cajun. Risultati positivi (+) o negativi (–) a L.

monocytogenes (mediante arricchimento selettivo, doppio campione) durante 91 giorni di

conservazione a 4°C* (fonte: Hayman et al., 2004)

Risultati per giorno

1 3 14 28 42 70 91 Prodotto Pastrami -/- +/- -/- -/- +/- -/- -/- Salame Strassburg -/- +/- +/+ +/- +/+ -/- -/- Salsicce -/- -/- -/- +/- -/- +/- +/- Manzo Cajun -/- -/- -/- -/- -/- -/- -/-

*Conta iniziale di L. monocytogenes prima del trattamento HPP: approssimativamente 104 CFU/ g; peso dei campioni: approssimativamente 25 g. Limite di determinazione: 0,04 CFU/ g.

Da ulteriori test sulla cinetica di inattivazione della pressione è emerso che variando le concentrazioni di sale da 0,5 a 3,6% (massima concentrazione di NaCl nei quattro prodotti di carni testati), il livello di inattivazione diminuisce. Questi risultati indicano che l’NaCl può fornire una certa protezione a L. monocytogenes durante l’HPP, forse attraverso la stabilizzazione di proteine critiche della membrana cellulare, rendendo

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necessari tempi di trattamento, a 600 MPa, 20°C, più lunghi dei 120 secondi applicati per ottenere una riduzione di 4 log ufc/ml di L. monocytogenes.

In altre prove di shelf-life, come quelle effettuate da Rovere et al. (2006), l’HPP è risultata in grado di prolungare fino a 45 giorni la durata di conservazione di un tipico piatto italiano, il risotto ai funghi (pH:5,82 e aw:0,98) conservato a 4°C. La Figura 8 mostra l’evoluzione della conta aerobica totale durante la conservazione a 4°C durante 45 giorni di stoccaggio dopo trattamento HPP (600 MPa per 5 minuti). Il conteggio totale della microflora è rimasto sotto 1 log ufc/g. Secondo quanto emerso, è auspicabile aspettarsi un aumento della shelf-life oltre i 45 giorni per questo prodotto di gastronomia RTE.

Figura 8 - Conta aerobica totale in risotto precotto ai funghi RTE trattato con HPP (600 MPa per 5 minuti) e non trattato durante lo stoccaggio a 4ºC (fonte: Rovere et al., 2006)

Nello stesso studio, il trattamento di pressurizzazione è stato applicato su un altro piatto tipico della tradizione italiana, la peperonata (pH: 4,34 e aw 0,93). In questo caso, le condizioni di processo (600 MPa per 5 minuti), in sinergia con un pH basso, sono risultate sufficienti ad aumentare la shelf-life oltre i 45 giorni. La conta aerobica totale è rimasta sotto il limite di rilevamento per il campione trattato con HPP durante l’intero periodo di conservazione (45 giorni) come mostrato nella Figura 9.

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Figura 9 - Conta aerobica totale in peperonata RTE trattata con HPP (600 MPa per 5 minuti) e non trattato durante lo stoccaggio a 4ºC (fonte: Rovere et al., 2006)

Prove eseguite da Tonello e Voignier (1999) su quiche Lorraine, un tipico piatto francese a base di pasta brisée, uova, panna acida, cipolla, pancetta affumicata e formaggio, mostravano come il confezionamento sottovuoto estende la durata di conservazione da 21 a oltre 100 giorni, quando associato a una pressione di 600 MPa per 5 minuti (Figura 10).

Figura 10 - Carica microbica aerobica totale in tipica quiche francese trattata con HPP (600 MPa per 5 minuti) durante lo stoccaggio a 4ºC (fonte: Tonello & Voignier, 1999)

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Ai fini della convalida dell’efficacia delle alte pressioni sulla stabilità microbiologica e sulle qualità nutrizionali e organolettiche dei pasti pronti al consumo (RTE) sono stati eseguiti test di inoculazione di cocktail di microrganismi patogeni target come Listeria

monocytogenes, E. coli e diversi ceppi di Salmonella (S. Enteritidis, S. Typhimurium).

L’effetto dell’HPP su un cocktail di quattro ceppi di Salmonella Enteritidis inoculati in

tortilla de patatas, piatto tipico spagnolo a base di uova, patate e cipolle, è stato studiato

nel 2012 da Toledo et al. In questa prova, gli autori hanno valutato l’effetto immediato dell’HPP a diverse condizioni di pressione. Eseguendo il test a 600 MPa per 5 minuti la conta di Salmonella Enteritidis si è ridotta, su terreno selettivo, di circa 6 log ufc/g (Figura 11).

Figura 11 - Conta di Salmonella Enteritidis durante il trattamento con HPP in tortilla spagnola (tempo di trattamento: 5 minuti) (fonte: Toledo et al., 2012)

Altri campioni di tortilla, inoculati e successivamente processati, sono stati conservati a 6°C per 15 giorni al fine di valutare il possibile recupero di Salmonella in queste condizioni. La Figura 12 rappresenta il numero di Salmonella durante il tempo di conservazione. Con un processo di 500 MPa per 5 minuti, è stata ottenuta una riduzione di 5 log e la conta di Salmonella è rimasta stabile a 3 log durante la conservazione a 6 ºC per 15 giorni.

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Figura 12 - Evoluzione della conta di Salmonella Enteritidis dopo trattamento con HPP (500 MPa per 5 minuti) durante lo stoccaggio a 6°C (fonte: Toledo et al., 2012)

Questi risultati indicano che l’HPP può essere utilizzata correttamente come metodo di pastorizzazione in-package per estendere significativamente la vita commerciale dei prodotti refrigerati RTE in relazione alla sicurezza microbiologica e alla stabilità chimica e sensoriale.

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IL TRATTAMENTO HPP COME REQUISITO

PER I PRODOTTI ALIMENTARI DESTINATI

ALL’EXPORT U.S.A.

Il mercato statunitense, contribuendo all’incremento delle esportazioni di un +20,6% su base annua, rappresenta il primo fra i Paesi extra-UE, seguito da Giappone e Regno Unito, verso il quale vengono esportati i prodotti Made in Italy e, tra tutti, in primis quelli del settore agroalimentare (dati ISTAT aggiornati a febbraio 2019).

Per quanto celebrati in tutto il mondo per la loro qualità, in particolare i prodotti tradizionali di salumeria italiana incontrano spesso ostacoli significativi alla libera commercializzazione in molte aree del mondo. Sono spesso chiamati in causa motivi zoosanitari o igienico-sanitari per impedire l’importazione di prodotti di questo tipo che, sulla base dei criteri adottati da alcuni Paesi terzi, potrebbero rappresentare un rischio per i consumatori o per il patrimonio zootecnico domestico perché molti Paesi non riconoscono la sostanziale indennità da Malattia vescicolare suina (MVS) o il fatto che l’Italia sia un Paese a rischio trascurabile per BSE (Bovine Spongiform Encephalopathy). L’unica via per abbattere queste fittizie barriere è quindi quella di dimostrare, con prove scientificamente valide (scientifically sound) che, benché prodotti in un Paese con criteri di sicurezza diversi, si tratta pur sempre di alimenti che rispettano appieno anche i requisiti del Paese al quale sono destinati.

La principale difficoltà da affrontare per esportare negli Stati Uniti riguarda il differente approccio igienico-sanitario adottato. Il settore delle carni e dei prodotti a base di carne è quello maggiormente regolamentato da accordi internazionali, che ne limitano la commercializzazione in rapporto alla specie animale ed all’area geografica di produzione.

Le autorità americane del FSIS (Food Safety and Inspection Service) e dell’APHIS (Animal and Plant Health Inspection Service), agenzie appartenenti al Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA), consentono l’esportazione dall’Italia di prodotti a base di carne suina cotta sottoposta a trattamento termico che consenta il raggiungimento di 69°C al cuore del prodotto (mortadelle, prosciutti cotti), di prodotti sterilizzati (cotechino) e di prodotti a base di carne cruda (prosciutto crudo) con stagionatura superiore a 400 giorni.

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A partire dal 28 maggio 2013, con l’emissione della modifica del Code of Federal

Regulations 9 CFR Part 94.12, limitatamente alla produzione effettuata nelle regioni

italiane presenti all’interno della “macroregione” e riconosciute dall’APHIS indenni da malattia vescicolare comprendente Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Marche e province autonome di Trento e Bolzano, l’Italia può esportare verso gli USA anche carni suine e prodotti a base di carne suina, senza vincoli sulla durata della stagionatura (carni a breve stagionatura) come salame Felino, strolghino di culatello, pancetta, coppa e speck.

Tali alimenti devono essere comunque prodotti in stabilimenti autorizzati all’esportazione negli Stati Uniti, inseriti in un elenco del Ministero della Salute italiano e sottoposti a verifiche sanitarie periodiche anche da parte degli ispettori statunitensi (FSIS) che verificano l’idoneità del processo di produzione ai loro standard. Anche i macelli di provenienza della materia prima devono chiaramente essere precedentemente autorizzati. É consentita l’esportazione di prodotti a base di carne suina cruda che, tuttavia, risulta condizionata dalla presenza sul territorio italiano della Peste Suina Africana, presente in Sardegna, e della Malattia vescicolare del suino in diverse aree del Paese. Motivo per cui l’esportazione è ammessa solo se i prodotti hanno subito un periodo di stagionatura di almeno 400 giorni e se la carne proviene da macelli situati in altri Paesi UE indenni da MVS e abilitati per l’esportazione verso gli Stati Uniti.

Il divieto di esportazione di prodotti a base di carni bovine, ovine e caprine, invece, si basa su ragioni sanitarie connesse alla BSE e TSE (Transmissible Spongiform

Encephalopathies) che ha interessato nel recente passato l’intera Unione Europea. Gli

Stati Uniti attualmente applicano condizioni più restrittive rispetto a quelle previste dall’OIE (Organizzazione Mondiale per la Salute Animale) per limitare la diffusione delle patologie animali.

Un altro aspetto che limita la commercializzazione di prodotti di origine animale è rappresentato dai criteri di accettabilità per la presenza di alcuni microrganismi, come nel caso della Listeria monocytogenes per la quale negli Stati Uniti vige il principio della “tolleranza zero” nei prodotti pronti per il consumo (RTE). La normativa statunitense, infatti, prevede che un prodotto RTE entrato in contatto con una superficie positiva per L.

monocytogenes, Salmonella o per un altro patogeno o tossina, debba essere considerato

adulterato.

È stato pertanto importante capire come la tecnologia basata sull’utilizzo delle alte pressioni potesse trovare una sua applicazione sia nelle produzioni di salumi destinati ai

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mercati europei sia, a maggior ragione, a mercati che richiedano requisiti microbiologici più stringenti, come quelli statunitensi.

Con la Circolare del 29 settembre 2014, emanata dalla Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione (DGISAN) del Ministero della Salute, sono stati forniti, al territorio e agli operatori del settore, chiarimenti applicativi in merito al possibile utilizzo dei trattamenti con le alte pressioni su alimenti destinati all’esportazione, al sistema di tracciabilità e alle modalità per l’inserimento degli impianti abilitati in una specifica lista gestita dal Ministero stesso. Sono autorizzati a trattare con HPP ai fini dell’export solo pochi stabilimenti, tre al 2014, di cui due situati nella provincia di Parma e uno nella provincia di Teramo.

Per ogni impianto che intenda sottoporre i suoi prodotti al trattamento con alte pressioni, l’inserimento delle HPP nel diagramma di flusso del processo produttivo dell’azienda, è da considerarsi condizione imprescindibile, anche se il trattamento dovesse avvenire in uno stabilimento diverso da quello di lavorazione.

Al riguardo si precisa che l’HPP può essere usato sia come parte integrante del processo produttivo, quale strumento per il controllo dei microrganismi (come “trattamento letale” per i patogeni considerati), che come “trattamento post-letale” (in grado di assicurare come minimo -1 log per L. monocytogenes).

Per quanto concerne ulteriori microrganismi patogeni di interesse per i prodotti a base di carne, esportabili negli USA, i piani di autocontrollo implementati dalle aziende devono tenere in considerazione almeno la presenza di clostridi sporigeni, Staphylococcus aureus e, nel caso di prodotti contenenti carni bovine, di E. coli VTEC, in modo da assicurare adeguate misure di controllo dei sopracitati patogeni.

In ogni caso è necessario che a partire dalla predisposizione del manuale di autocontrollo ed in particolare dall’analisi dei pericoli, si prendano in considerazione le alte pressioni per il controllo dei patogeni. Lo stabilimento che intende avvalersi del trattamento con HPP per i propri prodotti dovrà dimostrare che il processo applicato sia adeguato per la gestione dei pericoli individuati; dovranno essere specificati i parametri tecnici da raggiungere (pressioni, tempi, temperature); dovrà, inoltre, raccogliere la documentazione scientifica di supporto per dimostrare il raggiungimento della riduzione logaritmica ritenuta adeguata per ogni specifico microrganismo patogeno identificato nell’analisi dei pericoli che ci si propone di controllare tramite l’applicazione delle HPP. A tal fine è utilizzabile la documentazione scientifica già esistente per ogni singolo prodotto, oppure dovranno essere eseguiti, nelle appropriate sedi, specifici studi di validazione del

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processo HPP tenendo anche in considerazione che il trattamento può differire a seconda delle matrici alimentari.

Il trattamento ad alte pressioni, su prodotti già confezionati presso il produttore, può essere effettuato in uno stabilimento diverso da quello di produzione. I singoli prodotti inviati all’impianto per il trattamento con HPP dovranno essere confezionati sottovuoto o in idonea atmosfera protettiva e forniti di marchio identificativo dello stabilimento che ha effettuato l’ultima manipolazione ed il confezionamento. I prodotti trattati non potranno, in ogni caso, essere avviati al commercio dall’impianto che tratta con HPP ma dovranno ritornare all’impianto di provenienza per la verifica documentale.

L’autorità competente dello stabilimento di provenienza dovrà verificare che lo stabilimento includa il trattamento con HPP nel suo diagramma di flusso, nell’analisi dei pericoli e nel piano HACCP e che sia disponibile tutta la documentazione di supporto. Ai fini della pre-shipment review e della successiva esportazione, l’autorità competente dovrà constatare la presenza delle registrazioni relative al trattamento effettuato sul lotto oggetto di esportazione e la presenza dell’attestazione che eventuali CCP sono stati rispettati. Il documento di tracciabilità che scorta le partite destinate ad essere trattate con le HPP, dovrà indicare che tali prodotti, già confezionati e quindi non più soggetti a manipolazione, sono da sottoporre ad ulteriori trattamenti decontaminanti. Presso stabilimenti dotati di apparecchiature per il trattamento con HPP, potranno essere trattati alimenti di origine animale, solo se gli impianti stessi saranno previamente riconosciuti ai sensi del Reg. CE n. 853/04. Inoltre, qualora il trattamento sia effettuato su prodotti destinati a mercati di Paesi Terzi, tali stabilimenti dovranno anche seguire la procedura semplificata di inserimento nelle liste export Paesi Terzi/USA. Tuttavia, solo per la lista USA, si provvederà ad inserire gli stessi impianti anche nell’elenco ufficiale detenuto dalle Autorità USDA/FSIS per esplicita richiesta di detto Paese Terzo.

Ad oggi, non è fatto obbligo di informare in etichetta i consumatori che un prodotto alimentare è stato trattato con HPP, tantomeno nel Reg. CE n. 1169/2011 è incluso alcun requisito specifico. Rimane un’indicazione su base volontaria e non disciplinata dalla legislazione in vigore, sebbene, ad esempio, la FSAI (Food Safety Authority of Ireland) raccomanda che il trattamento dovrebbe essere chiaramente indicato sull’etichetta in una forma non abbreviata, in quanto la sua assenza è potenzialmente fuorviante per il consumatore.

Gli alimenti pressurizzati dovrebbero essere commercializzati in modo tale da non indurre in errore l’acquirente, come nel caso del succo di frutta trattato con HPP venduto

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erroneamente come “fresco” o “crudo”. Negli Stati Uniti, il CPC (Cold Pressure Council) ha promosso, a partire dal 2017, l’uso del logo “High Pressure Certified” su diversi prodotti HPP attualmente commercializzati, con l’auspicio che venga percepito come garanzia di qualità superiore, aiutando così la crescita delle vendite dei prodotti certificati ad alta pressione (https://foodnavigator-usa-com).

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CONCLUSIONI

La produzione globale di prodotti trattati ad alta pressione nel 2017 è stata stimata in oltre 1,2 milioni di tonnellate/anno e continua ad essere in costante crescita (https://www.figlobal.com). Questa espansione è principalmente guidata dalla domanda di prodotti sicuri, più freschi, naturali (organici), salubri (senza conservanti) e con una lunga durata di conservazione. La gamma di prodotti disponibili nei mercati internazionali, come guacamole, salse, barrette di frutta e verdura, carni, latticini, frutti di mare e pasti pronti da mangiare (RTE), cresce ogni anno, ma lo sviluppo commerciale più impressionante riguarda il settore di bevande con succhi, frullati, bevande probiotiche, zuppe fredde, tè, caffè e persino latte.

Le alte pressioni idrostatiche rientrano in quel gruppo di tecnologie innovative definite con il termine “New Mild Technologies”. Il trattamento a freddo, infatti, a ridotto impatto sensoriale, offre un'opportunità per l'elaborazione di cibi sani perché conserva le proprietà nutrizionali, mantiene la freschezza mentre aumenta la durata di conservazione, da pochi giorni ad alcune settimane o addirittura mesi. La tecnologia stabilizza alimenti e bevande con una quantità ridotta di sale o zucchero e senza conservanti chimici, o comunque in misura ridotta rispetto a quelli presenti nei prodotti convenzionali.

Un altro motivo del suo crescente successo è il continuo miglioramento della produttività e dell’affidabilità delle macchine sviluppate che rende ora l’HPP molto più accessibile rispetto a prima.

Il leader mondiale nella progettazione di impianti iperbarici, infatti, ha recentemente lanciato la sua ultima innovazione rivoluzionaria, che consente la lavorazione di grandi volumi di liquidi sfusi, cioè prima dell’imbottigliamento, aumentando così la produttività (fino a 5000 litri/h) e rendendo possibile l’uso di qualsiasi materiale di imballaggio oltre alla plastica (https://www.figlobal.com).

Il tipo di imballaggio alimentare utilizzato, infatti, ha un ruolo importante nell’applicazione della tecnologia dato che le proprietà fisiche e meccaniche del materiale influenzano notevolmente l’efficacia del trattamento sul prodotto alimentare. Attualmente, sono in uso diversi tipi di imballaggio, come sacchetti di plastica stomacher,

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sacchetti di polietilene, buste in polipropilene cast e vari altri sistemi di sacche flessibili. Il packaging, oltre ad avere la capacità di prevenire qualsiasi deterioramento della qualità del prodotto contenuto, deve mantenere la forma originale. Il cosiddetto spazio di testa, infatti, deve essere il più limitato possibile perché l’aria e altri gas compressi a volume zero ad alta pressione lasciano irreversibilmente deformata la confezione. Nonostante i progressi ottenuti ad oggi ci sono ancora dei limiti legati alla reologia e alla presentabilità della confezione, probabilmente dovuti ad una non chiara conoscenza dei fenomeni che avvengono all’interno di un prodotto trattato tramite le alte pressioni. È altrettanto vero che sono tutt’ora in corso studi mirati a dimostrare come questa tecnologia possa portare a cambiamenti nelle proprietà funzionali dei materiali di imballaggio utilizzati e se queste modifiche possano avere un impatto negativo durante l’elaborazione, lo stoccaggio, la distribuzione e il consumo del cibo pressurizzato (Marangoni Jr et al., 2019).