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APPRENDIMENTO DELLE LINGUE STRANIERE, RAPPRESENTAZIONI LINGUISTICHE E STRATEGIE IDENTITARIE

141 2.1 Introduzione

Dopo la presentazione del contesto della ricerca, una regione del Nord-Est della Francia, e la descrizione delle trasformazioni d’uso che l’italiano ha attraversato in questo territorio negli ultimi centocinquant’anni, passando da lingua da etnica a lingua straniera, in questo capitolo saranno presentati e discussi i principali paradigmi teorici che fanno da sfondo ai fenomeni oggetto di studio di questa indagine sperimentale, ovvero le rappresentazioni delle lingue in relazione all’immaginario collettivo che veicolano, le strategie identitarie delle generazioni in formazione in rapporto alla scelta dell’apprendimento delle lingue straniere, le ricadute degli apprendimenti linguistici in termini di integrazione sociale reale o immaginata, comunque desiderata e, infine, il ruolo che lingua italiana può svolgere in questi processi.

Se, come afferma Piero Bertolini, «l’educazione è un discorso e quindi un evento anche linguistico»,283 le pratiche discorsive, anche in una lingua diversa dalla materna, rappresentano un aspetto fondamentale dei processi educativi perché, attraverso l’esposizione e la partecipazione interattiva, non solo si impara a parlare, ma a farlo in modi culturalmente orientati, apprendendo le conoscenze tacite, i principi dell'ordine sociale, i sistemi di credenze, le concezioni e le teorie che spiegano la realtà all’interno del gruppo sociale che le lingue esprimono.

Come argomenta Elinor Ochs,284 le lingue sono uno dei principali strumenti che veicolano la conoscenza culturale: oltre che essere un potente mezzo di socializzazione, permettono l’acquisizione della visione del mondo di una specifica comunità. A questo proposito, il documento di riferimento sull’educazione plurilingue del Consiglio d’Europa recita,

Les langues ont des fonctions sociales multiples : elles sont associées aux identités collectives (nation, région, communauté…), elles interviennent dans la formation de la personne et du citoyen, elles constituent un instrument de plus en plus indispensable pour les activités professionnelles, elles permettent la découverte d’autres cultures et d’autres sociétés, elles sont investies d’un rôle éducatif, dans la mesure où l’intolérance et le racisme passent aussi par le mépris pour la langue de l’Autre. Pour que les langues soient véritablement un mode de

283 Piero Bertolini, L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata, Firenze, La Nuova Italia, Firenze, 1988, p. 165.

284 Per approfondimenti si veda: Elinor Ochs, Introduction, in B. B. Schieffelin & E. Ochs (Eds.), Language Socialisation across cultures, New York, Cambridge University Press, 1986, pp. 2-3.

142 communication et d’ouverture à l’Autre, il faut inscrire profondément cette finalité dans les perspectives des politiques éducatives.285

Questo paradigma teorico, che affonda le sue radici nel socio-costruttivismo e nel culturalismo, ben si presta a essere fondamento del costrutto scientifico che permetterà di interpretare il fenomeno osservato da questa ricerca. La lingua straniera da apprendere, l'italiano, sarà considerata come un “artefatto culturale”, luogo, da una parte, della costruzione di apprendimenti relativi al linguaggio, come competenze comunicative e cognitive, e, dall’altra, di contenuti culturalmente determinati, entrambi implicati nella strutturazione identitaria dell’apprendente attraverso la strutturazione delle competenze sociali.

La cornice epistemologia interazionista, socio-costruttivista e socioculturale dei processi di crescita e sviluppo identitario, oggi dominante nel dibattito pedagogico, si è costruita attraverso un percorso che, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, ha attraversato le scienze dell’uomo, in un confronto serrato tra le teorie della costruzione della conoscenza e lo spazio che in esse ricoprono le lingue.

Ci preoccuperemo dunque di definire preliminarmente il vasto concetto di costruzione della conoscenza, linguistica in particolare, attraverso teorie e studi dei processi mentali, per giungere a inquadrarne gli sviluppi più recenti attraverso le teorie post-cognitive, il costruttivismo, il contestualismo e il culturalismo. Da una visione meccanicistica, che interpreta il soggetto come passivo recettore di stimoli, le ricerche del secolo scorso hanno progressivamente allargato la visione agli elementi del contesto, sociali e culturali, arrivando a concepire la mente come elaboratore di concetti, costruttrice attiva della conoscenza, della visione del mondo e delle relazioni con i simili, processo che si attua attraverso rappresentazioni, manipolazioni simboliche della realtà, che, comunque, si realizzano nell'interazione dialogica. All’interno di questo paradigma, i linguaggi, da semplici vettori di informazioni, medium trasparenti nel rapporto tra la mente e la realtà esterna, diventeranno oggetto di studio di per sé, come forma di azione e costruzione culturale e sociale.

Le lingue si collocano dunque al crocevia delle scienze dell’uomo, dalla linguistica alla sociologia, e sono concepite come chiave di lettura di fenomeni complessi che riguardano l'essere umano in interazione: il parlare è considerato una pratica sociale, una co-costruzione

285 Consiglio d’Europa, From linguistic diversity to plurilingual education: Guide for the Development of Language Education Policies in Europe, 2007, p. 31.

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di significato in contesto, passando da elemento di sfondo a funzione e prodotto del tessuto delle relazioni sociali e delle manifestazioni culturali.

Dopo aver definito le coordinate epistemologiche che permetteranno di esplorare la conoscenza linguistica, fari che guideranno nell’indagine sull’italiano in Lorena, si definirà la nozione di rappresentazione, distinguendola dai concetti prossimi di immagine, stereotipo e opinione. Ciò facendo appello, in un’ottica interdisciplinare, agli apporti delle scienze umane e sociali che maggiormente l’hanno approfondita: la sociologia, la psicologia, la psicologia sociale e la sociolinguistica. Poiché proprio quest’ultima disciplina si occupa prioritariamente delle rappresentazioni in ambito linguistico, se ne approfondiranno gli assunti epistemologici e gli sviluppi scientifici, dagli inizi, di impronta macrosociale e variazionista, attraverso il passaggio dell'etnografia del linguaggio e l’introduzione di analisi qualitative, per approdare alla contemporanea sociolinguistica critica.

Facendo ricorso a una pluralità di contributi in ottica interdisciplinare, saranno analizzati i temi delle strategie identitarie e dell’integrazione sociale in società plurilingui e multiculturali: la sociolinguistica, la psicologia dell’età evolutiva e la psicologia sociale verranno in aiuto per interpretare come l’apprendimento linguistico possa giocare un ruolo all’interno delle dinamiche di costruzione identitaria di giovani nell’ambito di tessuti sociali compositi, risultato di un passato migratorio, come si presenta quello del campione della ricerca. L’approccio interculturale, che rappresenta la riflessione più recente in didattica delle lingue straniere, sarà onnipresente nella trattazione, non senza prima averne analizzato la polisemia che talvolta copre definizioni vaghe.

La presenza di più assi portanti (teorie della comunicazione e dell’apprendimento linguistico, rappresentazioni linguistiche e strategie identitarie) richiederà un approccio transdisciplinare, utile a illuminare tutti i terreni di analisi e trovare, nell’intersezione dei concetti, le chiavi di lettura del fenomeno studiato, ovvero dimostrare se, come e perché la scelta di studiare l'italiano in Lorena possa essere, in un campione di giovani di origine italiana e no, il segnale della presenza di una strategia identitaria finalizzata alla autorealizzazione, alla valorizzazione sociale e all’integrazione. L’italiano si presenta in questa ipotesi sia come lingua di contatto tra storie di giovani dalle origini diverse che si trovano ad apprenderla insieme in una dinamica di reciproco arricchimento, che, e soprattutto, come lingua franca, zona di libertà espressiva, idioma che permette di affrancarsi da immagini sociali stereotipate, legate alle origini etniche o sociali, per riproporsi attraverso un’identità

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linguistica arricchita di tratti apprezzati socialmente. Ciò soprattutto in Francia, dove le questioni linguistiche hanno un impatto potente sull’immaginario collettivo e alimentano rappresentazioni svalorizzanti nei confronti degli idiomi privi di prestigio sociale.

Le prospettive della psicologia dell’educazione, della pedagogia e della didattica delle lingue straniere aiuteranno a comprendere il portato di queste ultime nel contesto dei progetti formativi, identificando in esse l’asse centrale nella costruzione identitaria e della visione del mondo. Educazione linguistica come fondamento di tutte le educazioni, si potrebbe affermare, a maggior ragione in realtà multiculturali e plurilingui, nella consapevolezza che i futuri cittadini avranno bisogno di competenze e strumenti idonei ad affrontare i temi della complessità, diversificazione e globalizzazione in cui si troveranno a vivere con la capacità di dare senso al loro essere e agire, esprimere idee, saper ascoltare e confrontarsi utilizzando le competenze linguistiche e argomentative necessarie.

Poiché il cuore di questa ricerca è costituito dall’uso e le funzioni delle lingue, non sembra inutile sottolineare che questa indagine è culturalmente e contestualmente situata in ambiente francofono, ovvero in un Paese, che, come illustrato nel primo capitolo, ha fatto della difesa del suo idioma un fattore di unità nazionale, di identità sociale, una rappresentazione del consenso comune su cui si basano gli equilibri e il potere stesso dello Stato.

La tradizione francese di protezionismo linguistico si concretizza, come osserva Ager,286 in atteggiamenti e azioni di difesa rivolti contro quattro minacce maggiori al purismo della lingua di Molière: le lingue regionali, il modo di parlare dei social outsiders (donne, poveri, giovani e immigrati), gli outsiders, che non accettano l’idea di monolingua di stato e, infine, l’inglese, alla cui diffusione in ambito francofono si oppone la più strenua resistenza.

Nella primo capitolo della tesi, abbiamo illustrato le politiche linguistiche d’Oltralpe negli anni dei grandi flussi migratori, caratterizzate non solo dalla difesa, ma dall’imposizione della lingua francese, con effetti di assimilazione culturale e conseguente abbandono, da parte dei nuovi cittadini, degli idiomi delle origini, con effetti di non trasmissione di questo patrimonio alle giovani generazioni. Se da un lato, con la decolonizzazione, la Francia ha progressivamente mostrato la volontà di comprendere nel suo universo linguistico almeno il variegato fenomeno della francofonia, questo processo si è scontrato con politiche di fatto

286 Dennis E. Ager, French and France, Language and State, in Guus Extra, Durk Gorter, (a cura di) Multilingual Europe: Facts and Policies, Mouton de Gruyter, Berlin-New York, pp. 41-69.

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impostate sull’uso unico della lingua francese identificata e assimilata al “parigino”. La realizzazione di questo intento è affidata a una struttura protezionistica istituzionale ben organizzata, di cui la scuola rappresenta il terminale più attivo e l’istruzione lo strumento fondamentale di controllo.

La centralità della lingua in Francia, come sostiene Barbina287 lo Stato dell’Europa occidentale che più degli altri si sia identificato nel suo idioma, a parere di Zulì in modo anche oppressivo e «soffocante»,288 con pesanti ricadute sulle politiche linguistiche interne ed esterne, costituisce lo sfondo di questa ricerca. Proprio in questo scenario si colloca la nostra indagine sulle rappresentazioni e motivazioni che spingono alunni, solo in parte di lontane origini italiane, a scegliere di impegnarsi nell'apprendimento di questa lingua.

La motivazione ad apprendere una lingua straniera dipende, oltre che da fattori di carattere pragmatico o economico, come la spendibilità in ambito lavorativo, anche e soprattutto dal desiderio di identificarsi con coloro che la parlano. Questo desidero è strettamente connesso alla valorizzazione della cultura di cui la lingua è emblema e al posizionamento sociale in termini di prestigio e integrazione di cui godono coloro che la parlano, fattori che hanno un l’impatto sulla motivazione all’apprendimento linguistico in ogni momento dell’esistenza, ma in modo ancora più determinante nel periodo della crescita. Accostarsi a una lingua straniera da parte dei giovani è dunque significativo almeno sotto due punti di vista: quello della costruzione identitaria, processo cardine di questa fase della vita, e quello dell’identificazione/appartenenza al gruppo sociale e alla cultura di cui la lingua è l’aspetto più immediato.

Attraverso la disamina delle più recenti teorie sul legame tra rappresentazioni linguistiche e strategie e dinamiche identitarie, si metteranno dunque in evidenza le chiavi di lettura scelte per studiare il fenomeno del successo dell’italiano un pubblico di giovani apprendenti nell’ambito delle istituzioni scolastiche francesi del territorio della ricerca, la Lorena.

287 Guido Barbina, La geografia delle lingue, Roma, Carocci, 2004, p. 124.

288 Maria Rosa Zulì, Rapporto tra lingua e identità, Il ruolo del francese nella « Littérature-Monde », Torino, Libellula, p. 25.

146 2.2 Relativismo linguistico versus universali linguistici

In questa parte della tesi si presentano le teorie e i modelli di comprensione dei fenomeni linguistici e della comunicazione che, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, hanno permesso di inquadrare il fenomeno dell’apprendimento delle lingue straniere, influenzando anche le metodologia e didattica dell'insegnamento.

Comprendere che ruolo giochi la lingua nella costruzione del pensiero e conseguentemente nella rappresentazione del mondo è questione su cui da sempre si sono interrogate le scienze dell’uomo, prima fra tutte la filosofia. Già Platone nel dialogo che tratta il problema del linguaggio, il Cratilo, rappresenta le due ipotesi, sostenute rispettivamente da Cratilo e Socrate, che sintetizzano e mettono a confronto due teorie, due modi antitetici di intendere il linguaggio, ovvero se esso sia un sistema di segni arbitrari o vi sia una corrispondenza tra realtà e parole. Preso atto dell’impossibilità di conciliare le due visioni, Platone comincia proprio in quest’opera a elaborare la teoria delle Idee immutabili, secondo la quale la natura avrebbe un'essenza stabile, uguale ed inalterata nel tempo, condizione che renda valida la sua nominabilità.

Data dunque per acquisita l’interdipendenza tra pensiero e linguaggio, è infatti questa la questione che anima da secoli il dibattito in seno alle scienze dell’uomo: se sia la lingua a influenzare la mente, presupposto che ha dato vita alla scuola di pensiero del relativismo linguistico, con approcci di studio a carattere empirico, o se, al contrario, sia il pensiero ad influenzare la lingua, con lo sviluppo di teorie afferibili all’universalismo linguistico e a visioni razionalistiche.

La corrente di pensiero detta dell’universalismo linguistico, sintetizzata dalla scuola di pensiero di Port Royal289 nel 1660, si fonda su principi razionalisti per dimostrare che alla base di ogni lingua ci sia un complesso di caratteri universali, come per la logica; parte dunque dal presupposto che, nonostante gli idiomi presentino grandi differenze, le strutture linguistiche della mente umana siano costruite similmente in tutti gli umani, attraverso categorie universali. La presenza di queste caratteristiche comuni non dipenderebbe da rapporti di parentela o di contatto tra le lingue, poiché analogie morfosintattiche, strutturali e anche fonetiche si ritrovano tra di idiomi parlati in territori non geograficamente contigui. Questo presupposto porta a considerare il linguaggio come una capacità innata dell’essere

289Si veda: Antoine Arnauld et Claude Lancelot, Grammaire générale et raisonnée, ou La Grammaire de

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umano, in prospettiva biologica e naturalistica: esso gli permetterebbe di comporre una miriade di significati complessi a partire da strutture semplici presenti nella mente, concezione riproposta da Noam Chomsky all’inizio degli anni Sessanta nella teoria degli universali generativi del linguaggio (cfr § 2.2.3).

L'idea che una struttura di base comune soggiaccia a tutte le lingue ha dato vita, all’inizio del secolo scorso, a tentativi di ricreare una lingua universale, i cui più noti costrutti sono l’Esperanto di Ludwik Lejzer Zamenhof290 e il Latino Sine Flexione o Interlingua di Giuseppe Peano.291 La constatazione che queste esperienze, pur geniali nella loro concezione, e sicuramente animate dall’obiettivo di risolvere il dilemma della Babele delle lingue, considerato da sempre ostacolo alla comunicazione e intercomprensione umana, non si siano sviluppate in progetti di concreto utilizzo, porta a riflettere sul fatto che operazioni meccaniche o astrattamente chirurgiche su una materia viva come il linguaggio non siano possibili. Sarebbe, con un’ardita metafora, voler ricostruire in laboratorio un unico colore medio della pelle umana per eliminare le differenze etniche, tratti della biodiversità della natura umana.

Nell’ambito di una visione radicalmente opposta all’universalismo, il contributo di John Locke,292 alla fine del Seicento, è precursore della corrente di pensiero del relativismo linguistico. Nel terzo libro del Saggio sull’intelletto umano, il filosofo inglese afferma che in ogni lingua ci sono un gran numero di parole senza corrispettivo in altre lingue. Ne conclude che le parole non nominano cose reali, ma sono segni delle idee, hanno uno scopo pratico, rappresentano un’utile convenzione da utilizzare per la comunicazione e sono il risultato di costumi e modi di vivere delle persone: in quanto segni convenzionali, sono il risultato di costumi e modi di vivere delle persone.

Queste idee trovarono eco, alla fine del Settecento, nella corrente filosofica e letteraria del Romanticismo tedesco: gli studi di Johann Gottfried Herder e Wilhelm von Humboldt approdando al concetto generale che ogni lingua è un’invenzione umana che si sviluppa in connessione alla storia del popolo che la parla, strumento che ne esprime la visione del mondo.

A partire dal primo ventennio del Novecento, negli Stati Uniti, il fondatore dell'antropologia culturale e linguistica Franz Boas riprese e sviluppò questa concezione

290 Cfr.René Centassi, Henri Masson, L’homme qui a défié Babel, Paris, Éditions Ramsay, 2002.

291 Si veda: Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Roma-Bari, Laterza, 1983.

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attraverso lo studio sperimentale delle lingue e culture dei nativi americani, che si esprimevano attraverso idiomi lontani per struttura e categorie morfosintattiche da quelli di matrice occidentale. Boas giunse a concludere che le diverse categorie grammaticali inducessero i parlanti di ciascuna lingua a concepire il mondo in maniera diversa. Questo modello di comprensione, noto come Ipotesi di Sapir-Whorf,293 postula che lo sviluppo cognitivo di ciascun essere umano sia influenzato dalla lingua che parla e, nella sua forma più estrema, che il modo di esprimersi determini il modo di pensare.

Nell’ambito degli studi umanistici, dall’inizio del XX secolo, le lingue attirarono sempre maggiore interesse, come testimonia l’affermazione di Ferdinand de Saussure,

Dans la vie des individus et des sociétés le langage est un facteur plus important qu’aucun autre. Il serait inadmissible que son étude restât l’affaire de quelques spécialistes.294

Sebbene la linguistica non sia nata con de Saussure, è unanimemente riconosciuto che con lo studioso ginevrino abbia assunto una configurazione scientifica nell’ambito delle scienze umane e sociali. Le famose dicotomie, langue-parole,295,significante-significato e diacronico-sincronico, messe in discussione dagli studi sociolinguistici della fine del XX secolo, restano comunque un passaggio obbligato per chi cerca di ricostruire il senso dell'evoluzione della ricerca sul linguaggio.

Il pensiero centrale della linguistica saussuriana è la nozione della radicale socialità della lingua, considerata frutto di convenzioni e prodotto della vita delle collettività, posizione molto influenzata dalle idee di Emile Durkheim, che negli stessi anni costruiva la sua teoria della società come un ‘tutto’ che sorpassa e ingloba l’individuo.

293Benjamin Lee Whorf, Language, Thought and Reality, selected Writings of Benjamin Lee Whorf, seconde édition établie par John Carroll, Stephen C. Levinson & Penny Lee, Cambridge (Mass.), Londres, The M.I.T. Press, 2012 [I ed. 1956].

294 Ferdinand De Saussure, Cours de linguistique générale, Payot, Paris, 2005 [I ed.1916; 1922], p. 21.

295Per de Saussure, la langue è «La parte sociale del linguaggio, esterna all’individuo, che da solo non può né crearla né modificarla; essa esiste solo in virtù di una sorta di contratto stretto tra i membri di una comunità [...] È dunque qualcosa che esiste in ciascun individuo pur essendo comune a tutti e collocata fuori dalla volontà dei depositari» (Cours, cit., p 23). Si tratta dunque di un codice di regole e strutture grammaticali che caratterizzano la comunità storica dei parlanti in cui l’individuo si trova a nascere e crescere, che viene assimilato dal momento della nascita, senza poterlo, secondo de Saussure, alterare. In questo modo di considerare la lingua si ritrova un aggancio con gli universali linguistici, anche se con un’impronta sociale.

La parole, invece, «utilizza il codice della lingua in vista dell’espressione del proprio pensiero personale» (Cours, cit., p 23) essa rappresenta dunque la possibilità di operare in forma di creatività personale. Langue e parole sono intimamente interdipendenti perché, «la lingua è necessaria perché la parole sia intelligibile e produca tutti i suoi effetti; ma la parole è indispensabile perché la lingua si stabilisca». (Cours, cit., p. 29). Per quanto riguarda il rapporto tra significante e significato, il primo trova la sua giustificazione nell’ambito di una serie di convenzioni sociali, mentre con il secondo intrattiene un legame che de Saussure considera «