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IL CONTESTO DELLA RICERCA

1.1.3 Un evento altamente simbolico: il Giuramento di Strasburgo

Pur dovendosi limitare a un breve riassunto della complessa e ricca storia della Lorena, pare importante citare almeno un evento significativo che presenta, a nostro modo di vedere, una stretta connessione simbolica con il tema della tesi.

Si tratta del Giuramento di Strasburgo, Sacramenta Argentariae, evento che produsse il primo documento in lingua romanza scritta, redatto in occasione dell’incontro, avvenuto il 14 febbraio 842, di due dei tre nipoti di Carlo Magno, Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, che si ritrovarono a Strasburgo per giurarsi fedeltà reciproca contro il terzo fratello, Lotario I,

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primo re della Lotharingia, terra di mezzo tra i due imperi, orientale e occidentale, del regno dei Franchi.

Al di là delle questioni storico-politiche, il documento, considerato il primo atto ufficiale redatto in due lingue,29 testimonia che i due re, rispettivamente di idioma proto-francese e antico tedesco, pronunciarono rispettivamente il giuramento nella lingua dell’altro davanti alle truppe schierate, a suggello maggiore della loro alleanza.

René Balibar, rinomato linguista francese, mette in luce le valenze simboliche di modernità di questo atto, messo a confronto con la situazione linguistica attuale nella quale:

La France présente le cas limite d’une nation totalement identifiée à une langue, et qui, en outre, défend l'intégrité de cette personnalité dans toutes les branches de la vie sociale, contre tout empiètement des langues venus du dehors ou du dedans de ses frontières. 30

La Francia è infatti l’unica nazione al mondo la cui legislazione impone, dal 1794, l'uso esclusivo della lingua nazionale nella redazione di tutti gli atti pubblici e privati.

La critica che René Balibar porta al monolinguismo francese è di carattere storico: la lingua francese è frutto di un “parto gemellare” (nostra metafora), evento che risale appunto al

Serment de Strasbourg, ove, sotto l’abile regia dei canonici dei regni franco e germanico,

alleati in un partito trasversale della pace, furono contemporaneamente inventate due lingue, combinando la scrittura latina rispettivamente agli elementi rappresentativi delle lingue localizzate sui territori dei due regni, il teudisco, parlato nel regno di Ludovico il Germanico, germe della futura lingua tedesca, e la lingua romana, idioma del regno di Carlo il Calvo, base della futura lingua francese.31

Con il Giuramento di Strasburgo nascono, secondo René Balibar «des langues laïques de droit divin en Europe»:32 questo evento è dunque interpretato come la fondazione del colinguismo europeo. Il monolinguismo francese si è imposto, invece, quasi mille anni più tardi, sotto l’impronta della Convention giacobina voluta dai rivoluzionari nel 1789, armata contro i dialetti, considerati sequela dell’Ancien Régime e ostacolo maggiore alla libera comunicazione tra cittadini.

29 Il manoscritto ufficiale, redatto dal cronista Nitardo, è conservato alla Bibliothèque nationale de France di Parigi.

30 René Balibar, Préface in Geneviève Vermes, Josiane Boutet, (dir.), France, Pays Multilingue - Les langues en France, un enjeu historique et social, Paris, L’Harmattan 1987, p. 6.

31 All'origine di questa “invenzione” Balibar associa l’opera di Alcuino, attraverso la sua opera di avvicinamento del latino alle lingue volgari, per favorire il consolidamento delle politiche di cristianizzazione (cfr. ivi, p. 12).

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René Balibar conclude la sua riflessione identificando nella traduzione e nell’intercomprensione il fondamento delle rivendicazioni democratiche, pilastri della futura Europa, e si posiziona in modo critico nei confronti dell’atteggiamento ancora molto presente all’interno della francofonia del privilegiare forme di monolinguismo, marginalizzazione e non valorizzazione degli altri idiomi e dialetti pur presenti e vivi sul territorio della Repubblica.

Il riferimento al Serment de Strasbourg è parso richiamo importante a un antecedente storico di contatto tra le lingue, cui seguì più di un millennio di consolidamento della lingua francese, fino alla condizione attuale, nel quale il sistema della francofonia si presenta, come sostiene ancora René Balibar nella prefazione all’opera citata, nella forma di un monolinguismo impermeabile alla penetrazione e refrattario alla variazione linguistica.

L’epoca degli imponenti flussi migratori, a partire dalla fine dell’Ottocento e fino ai nostri giorni, con l’arrivo di altre lingue sul territorio dell’Esagono, ha messo in discussione questo modello, con ricadute di carattere culturale e sociale sulle dinamiche di integrazione delle popolazioni approdate di Francia. Questa tesi ha l’obiettivo di indagare questo fenomeno in riferimento alla variabile rappresentata dalla lingua italiana in Lorena, attraverso un’indagine empirica sulle sue rappresentazioni in una popolazione giovane, in ambito scolastico, aderendo all’idea che non solo,

Le lingue non sono mai state un fenomeno statico, ma una specie di nastro magnetico in perpetuo movimento su cui gli accadimenti e le migrazioni hanno sempre lasciato tracce evidenti; pertanto dal contatto e dalla quotidiana vicinanza di idiomi differenti, spesso in contesti lavorativi o sociali, si sta realizzando un’ulteriore modificazione delle strutture espressive e del lessico,33

ma che possano essere agenti di cambiamenti sociali, per la loro funzione primaria nella comunicazione umana e per il portato culturale e identitario di cui sono vettore.

33 Lucia Cucciarelli, Paola De Matteis (a cura di), Le lingue d’Europa. in «Intercultura, Lingue e CLIL», [Collana Il filo d’Europa], Volume 1, Bologna, Eurocopy Format, 2008, p. 6.

41 1.1.4 La regione Lorena, crogiuolo di lingue nel panorama del monolinguismo francese

L’estensione del bacino minerario al di sotto delle frontiere doganali della zona centrale dell’Europa ha reso la storia delle popolazioni che hanno vissuto in questo territorio nel secolo scorso singolarmente simile: gli italiani che hanno lasciato la penisola spinti dalla miseria sono indifferentemente approdati nelle miniere della Francia o del Belgio, dove si sono confrontati con un dialetti germanici o con la lingua francese, continuando a parlare in famiglia gli idiomi delle loro regioni di provenienza.

Come accennato nel paragrafo precedente, la situazione linguistica particolare e unica della Lorena è il riflesso di una storia antica: quella di un territorio che si trova sullo spartiacque di due culture, zona di contatto tra l’Occidente, cristiano e gallo-romano, e il mondo pagano e germanico, divisi dall’unica barriera naturale del fiume Reno, arteria fluviale che attraversa il territorio europeo da Sud verso Nord.

Dal punto di vista linguistico, le zone romanza e germanica sono separate in Lorena da una immaginaria linea di demarcazione, non coincidente con le frontiere politiche, che attraversa da Nord- Ovest a Sud-Est il dipartimento della Mosella. Proseguendo verso Nord, essa taglia in due il Belgio, dividendolo nella zona Fiamminga di lingua olandese dalla Vallonia di lingua francese. Questa frontiera linguistica ha resistito alle vicissitudini e alle dispute territoriali delle quali il territorio è da sempre stato oggetto: attraversava già l’antica Lotaringia ove le lingue. parlate, erano, partendo da Sud, il Francese antico, il Sassone, l’alto Tedesco, il Frisone e l’Olandese antico.34

Proprio in questa zona di intenso contatto linguistico hanno progressivamente preso corpo una serie di lingue miste e dialetti, create dalla contaminazione tra i ceppi germanici e romanzi. Esse costituiscono il terreno, popolare e orale, che ha fatto da sfondo a vicende politiche dall’antichità fino a secoli più recenti, con l’alternarsi di presenze francesi e tedesche nella regione. Un territorio plurilingue e composito quindi, caratterizzato dalla compresenza di varietà alte, le lingue francese, tedesca e latina, e un sottobosco di varietà basse, dialettali, nate e sviluppatesi nel corso dei secoli per effetto del contatto linguistico.

Pare importante descrivere brevemente le caratteristiche di questi dialetti, che, insieme alle lingue ufficiali, hanno costituito il terreno composito sul quale si sono innestate le lingue delle migrazioni degli ultimi due secoli. Le caratteristiche sociali delle popolazioni in arrivo

34 Cfr. Maurice Toussaint, La frontière linguistique en Lorraine. Les fluctuations et la délimitation actuelle des langues française et germanique dans la Moselle, Paris, A. et J. Picard, 1955.

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in Lorena e nelle zone limitrofe, attirate dalle prospettive lavorative in ambito estrattivo e siderurgico, avvicinavano infatti i nuovi arrivati alla stratificazione più popolare della società locale, con la quale si realizzarono le prime forme di contatto linguistico. Nel mondo del lavoro, in miniera o nella siderurgia, la lingua comunemente parlata non era infatti il francese, ma il platt, un dialetto Francique che accomunava lavoratori dalle più svariate provenienze, unico fattore comune la povertà estrema.35

Varcata la soglia delle tenebre nelle gabbie di ferro che portavano i minatori anche a 100 metri di profondità, italiani, polacchi, lussemburghesi, magrebini e gli stessi francesi, tutti abbandonavano le rispettive lingue materne e utilizzavano una lingua quasi germanica per gli ordini, i saluti, per indicare gli strumenti di lavoro e la sequenza delle operazioni da compiere36. La lingua della miniera attraversava gli stati nazionali, Francia, Lussemburgo, Germania e Belgio, idioma di una categoria di lavoratori, prevalentemente stranieri, lingua di contatto e lingua franca, che permetteva di attivare la solidarietà di squadra, condizione indispensabile a garantire la sopravvivenza nell’ambito di lavori pericolosi come quelli dell’estrazione e della siderurgia. Se il platt era la lingua utilizzata per farsi accettare in miniera, il francese restava la lingua da parlare negli altri contesti sociali e anche con i figli che frequentano la scuola e imparavano a leggere e scrivere nella lingua ufficiale del luogo.

Il dialetto tedesco parlato in Lorena (Lothringisch o Francique mosellan) è un dialetto medio francone (Mittelfränkisch) del gruppo “tedesco centrale occidentale” e appartiene al ceppo della lingua tedesca, insieme alle varianti dette Renano o Pfälzisch, parlato nel Palatinato occidentale, del Luxemburgisch o Lëtzebuergesch, idioma del Lussemburgo e della lingua sassone di Transilvania, il Siebenbürgisch-Sächsisch parlato in Romania, molto simile al Mosellano, in quanto i tedeschi installatisi di questa regione provenivano originariamente proprio dalla zona della Mosella.37

I tre dialetti Franciques presentano un’enorme varietà e possono, rispetto alla terminologia e l’accento, variare da villaggio a villaggio. Sono comunque riconducibili a quattro varianti principali:

35 Si veda: Pietro Pinna, Operai italiani in una regione di frontiera. Storia delle migrazioni italiane in Lorena (1890-1939). in «Storicamente», n° 5, 2009.

http://dx.doi.org/10.1473/stor300

36 Per approfondimenti si veda: Piero-D Galloro, Ouvriers du fer, princes du vent. Histoire des flux de main-d'oeuvre dans la sidérurgie lorraine (1880-1939), Metz, Edition Serpenoise, 2001.

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Il Francique luxembourgeois è lingua ufficiale nel Granducato del Lussemburgo, dove possiede un’ortografia ufficiale. La scrittura in dialetto Francique Renan moderno, invece, è un fenomeno recente, in quanto l’uso del dialetto nella forma scritta si è da sempre limitato a opere poetiche o testi teatrali, e la lingua usata nella Lorena germanofona è sempre stata il tedesco standard.39

Anche il Francique mosellan è stato codificato solo nel 2003 attraverso la stipula e firma della

Charte de la graphie harmonisée des parlers alsaciens40 avvenuta nell’ambito del Simposio organizzato a Colmar dal GERIPA.41 Dal 1945 quest’ultimo dialetto ha subito un progressivo indebolimento mediatico a causa del sentimento di vergogna di coloro che, durante la guerra e l’occupazione, potevano esprimersi solo attraverso al lingua dell’invasore, e, dopo la fine del conflitto, erano ancora assimilati al nemico in ragione dell’idioma parlato e dell’accento. Ancora vivi sono infatti in Mosella i ricordi del fatto che, negli anni del secondo dopoguerra, parlare Francique fosse proibito a scuola, anche durante la ricreazione, e contravvenire a questo divieto esponeva all’infamante punizione della “chiave tedesca” appesa al collo dei i bambini (segno di collaborazionismo, per aver aperto la porta al nemico). Si noti che, almeno

38 Fonte: https://fr.wikipedia.org/wiki/Francique_lorrain

39 Daniela Dorner, Vitalité du francique en Lorraine germanophone?, in «Lidil» [En ligne], n° 44, 2011, http://journals.openedition.org/lidil/3135

40 http://christian.huber.pagesperso-orange.fr/graphie%20alsacienne.htm

41 Gruppo di Studio e di Ricerca Interdisciplinare sul Plurilinguismo in Alsazia e in Europa, basato presso l’Université de Haute-Alsace, a Mulhouse, Francia.

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nelle zone vicine alla frontiera, il Francique era all’epoca, dopo 50 anni di dominazione tedesca, la lingua normalmente parlata in famiglia, dove spesso il francese non era nemmeno conosciuto.42

La generazione del secondo dopoguerra non si è pertanto sentita incoraggiata a trasmettere il dialetto tedesco ai figli, anche in considerazione del fatto che i giovani, a partire dal 1945, abbiano seguito una scolarizzazione interamente francofona.43 Forme di recente supporto legislativo44 e amministrativo, come anche azioni di tutela da parte delle giovani élites locali in difesa del Francique con il motto «c’est chic parler du platt»,45 ne confermano comunque l’esistenza e una certa vitalità, pur all’interno di un panorama linguistico dominato dalla lingua francese.

Combattuto, come anche le altre lingue locali, dall’amministrazione centralista francese già a partire dai tempi della Rivoluzione, il Francique è dunque rimasto vivo fino ai nostri giorni sia in ragione dei periodi in cui la regione è passata sotto il controllo tedesco, che anche grazie alla dimensione frontaliera del lavoro locale, ai matrimoni misti e alla ricezione della televisione tedesca sul territorio francese. Non ha però acquisito lo statuto di lingua ufficiale, né un capoluogo di riferimento sul territorio francese (Metz è francofona), ma solo un recente riconoscimento ufficiale.

42 Per approfondimenti si veda: Marthe Philipp, Le Francique en Moselle, in B. Cerquiglini (a cura di), Les langues de France, Paris, PUF, 2003 pp. 45-57.

43 Henri Atamaniuk, Le francique en Lorraine: état des lieux et propositions, «Passerelles», n° 17, 1998, pp. 75-79.

44 Bulletin Officiel, Programme transitoire des langues étrangères et régionales au cycle des approfondissements de l’école primaire. IV - Langue régionale d’Alsace et des Pays Mosellans, hors-série n° 2 du 19 juin 2003; Bulletin Officiel, Programmes de langue régionales pour l’école primaire, hors-série n° 9 du 27 septembre 2007; Circulaire rectorale langue et culture régionale, Voie spécifique mosellane, 10 septembre 1990.

45 1.1.5 Il monolinguismo francese e il rapporto con le altre lingue

Se volessimo formulare paradossalmente la differenza fra le condizioni della Francia e quelle dell’Italia, diremmo che in Francia l’unità politica ha promosso l’unità linguistica, mentre in Italia l’unità linguistica ha promosso l’unità politica.46

Analizzando la questione linguistica dal punto di vista legislativo, l’articolo 2 della Costituzione francese del 1958 recita, dopo le modifiche introdotte dalla Legge costituzionale del 25 giugno 1992, che «La lingua della Repubblica è il francese», sola lingua ufficiale. La politica linguistica francese è dunque basata sulla scelta di un monolinguismo di Stato e questo atteggiamento politico di uniformità accompagna, a partire dal Rinascimento, il progressivo consolidamento dell’idea della nazione francese.

L’aggregazione precoce dell’insieme del territorio d’Oltralpe in una nazione unitaria distingue questo Stato da altri paesi europei, si pensi all’Italia, ad esempio. Proprio il dato storico precocemente unitario converge con le politiche di marginalizzazione sviluppate nei confronti delle lingue ‘altre’, prima fra tutte il latino, nei confronti del quale, a partire dal XII secolo si affermò la volontà politica di contrastare presenza e diffusione, anche al fine di ridimensionare il potere della Chiesa, rinforzando invece il potere della monarchia prima, dello Stato poi. Se già dal XIII secolo i documenti amministrativi delle corti erano scritti in lingua locale, a detrimento del latino, l’ordinanza di Villers-Cotterêts del 1539, promulgata sotto il regno di Francesco I, ratificò legislativamente questo statuto e fece del francese la lingua ufficiale del diritto e dell’amministrazione.

A partire dal Rinascimento, la lingua si affermò presso la popolazione urbana e colta, mentre la gran parte del popolo contadino né la conosceva, né la utilizzava correntemente, esprimendosi in una varietà di dialetti locali. La successiva graduale diffusione dell’idioma nazionale viaggiò di pari passo con l’idea di unità politica della nazione francese: presente solo in fase embrionale durante il periodo dell’Ancien Régime, si affermò progressivamente a partire dall’instaurazione della Prima Repubblica come vettore degli ideali della democrazia e delle idee di libertà, uguaglianza e fratellanza che ne costituivano la base ideologica.

Alla fine del XVII secolo, il francese fu dunque proclamato sola e unica lingua dell’amministrazione e i fautori della Rivoluzione fecero pressione per imporlo sulle lingue

46 Bruno Migliorini, Lingua e Civiltà, Roma, Tumminelli, 1940, citato in Lucia Cucciarelli, Paola De Matteis, (a cura di), Le lingue d’Europa, cit., p. VII.

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autoctone e i dialetti locali attraverso un’abbondante produzione di atti e decreti. Tutte queste misure, imposte nel periodo detto del Terrore, furono presto abrogate durante la Restaurazione, anni nei quali anche l’istruzione pubblica tornò ad essere dominio quasi esclusivo della Chiesa cattolica, che impose nuovamente il latino come lingua della cultura.

Dopo i moti rivoluzionari del 1830 e del 1848 si sviluppò, senza peraltro essere ancora reso obbligatorio, l’insegnamento primario pubblico in francese offerto dallo Stato, circostanza che, insieme ai fenomeni legati alla prima industrializzazione, l’esodo dalle campagne, l’apparizione della ferrovia e l’aumento della circolazione interna facilitarono l’introduzione dell'uso di questa lingua presso le classi popolari.

Alla caduta del Secondo Impero, nel 1870, la Terza Repubblica istituzionalizzò l’istruzione primaria, laica e gratuita dai 6 ai 13 anni con le Leggi Ferry (1881-1882), permettendo di generalizzare ed estendere l’utilizzo del francese su tutto il territorio della nazione, impero coloniale compreso, allo scopo di innalzare il livello culturale della popolazione attraverso la diffusione di una lingua comune, anche ad uso internazionale.

Solo dopo la seconda metà del XX secolo, le culture e lingue regionali cominciarono a essere percepite dalla Stato come patrimonio culturale e ricchezza da preservare. È interessante ricordare che durante il regime di Vichy si tentò di introdurre alla scuola primaria l'insegnamento delle lingue dialettali, ma le due leggi del 1941 e 1942 che muovevano in questa direzione furono abrogate nel 1945, dopo la Liberazione.

Le lingue regionali francesi sono state oggetto di un primo riconoscimento ufficiale nel 1951 con la legge Deixonne,47 che introdusse nell’insegnamento superiore le opzioni facoltative del basco, il bretone, il catalano e l’occitano. Seguirono altre lingue: il corso nel 1974, il tahitiano nel 1981, quattro lingue melanesiane, il gaelico, il francone e l’alsaziano nel 1992. Infine, la revisione costituzionale del 23 luglio 2008 riconobbe, all’articolo 75-1, il valore delle lingue regionali recitando: «Le lingue regionali appartengono al patrimonio della Francia»: la stessa legge prevede che, nell’ambito dell'insegnamento superiore, esse possano essere scelte come seconda, terza lingua o materia opzionale all’esame conclusivo del ciclo, il

baccalauréat. Nonostante il riconoscimento di rango costituzionale delle lingue regionali e

minoritarie presenti sul suo territorio, la Francia non ha comunque ratificato la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie.48

47 http://www.axl.cefan.ulaval.ca/europe/France-loi_Deixonne-texte-1951.htm

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Per chiudere con una riflessione personale questa parte della tesi dedicata alla dimensione plurilingue della regione Lorena, si cita l’incipit del lavoro di Colette Méchin ricercatrice del CNRS e antropologa dell’Università di Strasburgo. Se ne argomentano in seguito le conclusioni in modo critico.

Il existe, en Lorraine, une frontière linguistique qui sépare un espace de dialectes germaniques d’un espace de dialectes romans. Cette limite qui se poursuit vers le Nord et la Belgique, n’a pas de fondement immédiatement compréhensible. Cependant, la permanence pluri-séculaire de cette frontière dans un territoire qui fut, au long de l’Histoire, un perpétuel champ de bataille et un enjeu pour les puissants de chaque époque, a forgé le mythe que cette limite des langues, durable malgré les aléas de l’Histoire, représente une ligne de défense plutôt qu’une zone de contact.49

L’analisi di Colette Méchin, corroborata da una ricerca sul campo, esamina il fenomeno linguistico loreno focalizzando l’attenzione sui due gruppi linguistici di radice germanica e romanza, evidenziando la frontiera linguistica che attraversa il dipartimento della Mosella, che la ricercatrice definisce di “non-contatto”. Nell’argomentazione si dimentica però che, proprio dal 1870 alla fine del XX secolo, la regione si sia trasformata in terra di accoglienza di una varietà di altri idiomi, primo tra tutti l’italiano, pur nelle sue varietà regionali.

La nostra ricerca si interroga sulla possibilità che proprio questa lingua altra, smarcata rispetto opposizione tedesco/francese, confronto ora spostato alla bipolarità francese/lingue delle migrazioni, possa fungere da lingua franca, costituendo il terreno del contatto. Gli