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1.3.1 Introduzione

La griglia di lettura scelta per interpretare il processo che ha portato la lingua italiana ad essere insegnata nel sistema scolastico francese ricalca l’analisi sociolinguistica di ampio respiro effettuata da Massimo Vedovelli ne La storia linguistica dell’emigrazione italiana nel

mondo, opera pubblicata nel 2012.

Vedovelli identifica tre fasi storiche, ognuna caratterizzata da usi e funzioni diverse della lingua italiana all’estero, momenti che segnano i passaggi di progressiva integrazione all’interno delle comunità di accoglienza degli emigranti in partenza dallo stivale negli ultimi 150 anni. Il senso dell’evoluzione dei destini linguistici dell’italiano all’estero è anche richiamato dal titolo della presente ricerca, che interpreta i tre momenti come il passaggio da lingua etnica, a lingua straniera a nuova lingua franca. Le trasformazioni nell’uso e delle funzioni della lingua italiana all’estero sono interpretato nell’ambito del generalizzato processo di introduzione dell’insegnamento delle lingue straniere nei sistemi scolastici del Vecchio Continente avvenuto, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, in concomitanza con l’industrializzazione, la mobilità dei lavoratori, l'apertura delle frontiere, le nuove esigenze di intercomprensione a livello internazionale e, non ultimo, l'impulso unificatore proveniente dalle istituzioni europee.

Preliminarmente, si può osservare che le lingue straniere godano di una condizione atipica, se non privilegiata, rispetto alle altre discipline di studio di quasi tutti i sistemi scolastici, almeno quelli europei. Rappresentano infatti, insieme all’insegnamento della religione, laddove presente, l’unico ambito disciplinare che prevede una certa libertà di scelta da parte del discente: ciò rappresenta, a nostro modo di vedere, il riconoscimento, la considerazione e anche il rispetto, da parte delle istituzioni, del fatto che la lingue/le lingue attengano a dinamiche profonde e intime dell’essere, in connessione con le origini, la storia familiare, la dimensione sociale e le rappresentazioni che ne derivano.

Come si vedrà nel seguito della tesi, scegliere di apprendere una lingua piuttosto che un’altra è un modo di definirsi, identificarsi, orientarsi e prendere posizione nel mondo. Le lingue rappresentano dunque aspetti irriducibili dell’identità, davanti ai quali anche le istituzioni scolastiche generalmente non impongono soluzioni predeterminate, permettendo, almeno, di esercitare scelte all’interno di un ventaglio di opzioni offerte. A riprova di ciò, nei

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regimi autoritari e in situazione di occupazione straniera o dittatura, una delle prime libertà negate è quella dell’uso di lingue diverse da quella di chi detiene potere. In Lorena, per rimanere sul terreno della ricerca, questo fenomeno si è verificato ogni volta che la regione è passata dal controllo francese a quello tedesco, e viceversa.

Il secondo capitolo della tesi, che approfondisce il rapporto tra lingue e identità, metterà in evidenza come quanto e perché questo legame sia stretto e determinante nella vita, e ancor più nelle fasi della crescita e nello sviluppo delle persone, con ricadute che non investono solo la sfera personale, ma che le dinamiche sociali.

85 1.3.2 Dall’Unità d’Italia alla Seconda Guerra Mondiale – La fase del “parallelismo” linguistico

Sotto il profilo sociolinguistico, la lunga fase di flussi migratori che parte dagli ultimi decenni del XIX secolo e arriva fino alla fine del secondo conflitto bellico mondiale è definita da Massimo Vedovelli come fase del «parallelismo»162, intendendo con ciò che l’assetto linguistico degli emigranti italiani di quest’epoca fosse caratterizzato dall’analfabetismo e dalla dialettofonia163 in modo simile a quello della quota maggiore della popolazione residente nella penisola che apparteneva a ceti rurali o alla manodopera non qualificata.

A sostegno dell'ipotesi del parallelismo e della continuità, Massimo Vedovelli adduce l’argomento dell’identità linguistica:

Occorre considerare, a sostegno dell’ipotesi del parallelismo, una dimensione simbolica, semiotica, anche coinvolgente il linguaggio verbale: l’identità. Nonostante ogni sforzo di integrazione, nonostante ogni politica di assimilazione messa in atto dai paesi di arrivo dei migranti, nonostante le scelte individuali di assimilazione, il migrante è comunque portatore di un’identità altra rispetto a quella della comunità in cui si inserisce, e tale alterità si struttura attraverso codici simbolici: i nomi, le lingue, i cibi , i modi di stare insieme rendono sempre evidente che il migrante è “altro”, un elemento di diversità che ha increspato la superficie omogenea identitaria collettiva che le comunità spesso si autorappresentano. Il legame di identità con la comunità originaria, anche linguistica, non viene mai meno.164

L’italiano era presente nei repertori linguistici dei migranti analfabeti e dialettofoni, ma «Come elemento immaginario, immagine di una lingua, immagine sociale,165 non come competenza e uso.

Gianfausto Rosoli sostiene che gli stessi fenomeni dell’emigrazione abbiano svelato l’analfabetismo degli italiani166 confermando la lettura della continuità tra le condizioni di vita diffuse in l’Italia e quelle tipiche della popolazione coinvolta nei processi migratori nello stesso periodo.

162 Vedovelli, Storia linguistica, cit., pp. 40-41.

Per una più ampia analisi dei fenomeni linguistici legati all'emigrazione italiana, vd. L. Lorenzetti, I movimenti migratori, in L. Serianni, P. Trifone (a cura di), Storia della lingua italiana, Einaudi, Torino, vol. 3, 1994, pp. 627-68; P. Bertini Malgarini, L’italiano fuori dall’Italia, in L. Serianni, P. Trifone, Ivi, pp. 883-922.

163 Solo a partire dal censimento del 1991 la percentuale degli analfabeti dichiarati è inferiore a quella dei laureati. Fonte: Vedovelli, Ivi, cit., p. 53.

164 Ibidem, pp. 40-41.

165 Ibidem, p. 54.

166 Gianfausto Rosoli, Alfabetizzazione e iniziative educative per gli emigranti tra Otto e Novecento, in Luciano Pazzaglia (Ed.), Cattolici, educazione e trasformazioni socio-culturali in Italia tra Otto e Novecento, Brescia, La Scuola, 1999, pp. 119-144.

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Gli italiani dialettofoni, una volta approdati in Francia, dovettero confrontarsi con condizioni di ampia diffusione dell’alfabetizzazione.167 Entrare in contatto con una società più evoluta, rese gli immigrati italiani coscienti della loro condizione culturale di inferiorità, freno alle possibilità di trovare impieghi professionali soddisfacenti, facile oggetto di discriminazione e deprezzamento sociale, terreno di coltura di stereotipi negativi. Nell’immaginario degli intellettuali e dei ceti dirigenti francesi, estimatori della purezza della lingua di Dante e della cultura del Belpaese, la condizione di analfabetismo degli immigrati provenienti dalla Penisola ottenne l’effetto di aumentare lo scarto tra la dimensione aulica dell’idioma e le condizioni di miseria di coloro che avrebbero dovuto esserne i rappresentanti. Gli eruditi francesi manifestarono reazioni di rifiuto e meccanismi di stigmatizzazione nei confronti della massa impressionante di lavoratori illetterati in arrivo dallo stivale, che furono appena tollerati in funzione delle esigenze del mercato delle professioni umili e discreditate.

L’opera di ricostruzione storica della presenza dell'insegnamento dell’italiano in Francia di Jeremy Dubois,168 attenta a descrivere il faticoso percorso e la progressiva conquista di spazi della lingua di Dante all’interno delle istituzioni scolastiche d’Oltralpe dagli esordi fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale, permette di comprendere che le ragioni della resistenza francese alla presenza dell’italiano nei percorsi di studi furono, da una parte, legate ai rapporti politici tra i due Paesi, e dall’altra, in modo ancora più marcato, una forma di ostruzionismo culturale verso l’Italia.

Fino alla metà del secolo XIX, erano quasi assenti in Francia strutture in grado di offrire l’insegnamento dell’italiano: l’unico modo per accostarsi alla lingua di Dante era lo studio come autodidatta o il ricorrere a lezioni private impartite da un colto madrelingua.

Secondo il censimento del 1891,169 i 286.000 italiani residenti in Francia costituivano la seconda comunità straniera, dopo i Belgi. Sebbene, dunque, la lingua fosse parlata, in tutta la gradazione delle accezioni dialettali, da una parte considerevole della popolazione emigrata dalla penisola e residente sul territorio dell’Esagono, le poche istituzioni dove all'epoca era insegnato l’italiano si trovavano nella capitale e nella zona Sud-Est del Paese, vicino al confine con l’Italia, provocando per decenni un effetto di distanziamento e allontanamento degli emigranti italiani dall’apprendimento della lingua universitaria e colta.

167 In Francia, la scuola obbligatoria e gratuita dai 6 ai 13 anni, era stata istituita dalle Leggi Ferry del 1881-82.

168 Jeremy Dubois, L'enseignement de l’italien en France du 1880 à 1940, Grenoble, ELLUG, 2015.

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La borghesia francese dell’epoca non accomunava dunque nella stessa categoria l’aulica lingua di Dante e la massa di analfabeti dialettofoni che attraversava le Alpi, anche con mezzi di fortuna, per essere impiegata nei lavori più umili e malpagati

Secondo Jeremy Dubois170 e Pierre Milza,171 le relazioni politiche franco-italiane determinarono le scelte di diffusione della lingua, negli anni a cavallo del 1900, in funzione dello storico antagonismo fra i due stati vicini e dell’alternarsi di periodi di pace e guerra: alleanza durante il primo conflitto mondiale, freddezza nei rapporti diplomatici durante l’ascesa al potere del partito fascista, fino a un progressivo distanziamento politico che si acuirà allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Nel comprendere il percorso di integrazione nell’insegnamento accademico dell’italiano, non va peraltro ignorato il complesso rapporto di concorrenza con le altre lingue, lo spagnolo, prevalentemente presente nel Sud del paese, il tedesco e inglese nelle regioni del Nord e dell’Est della Francia.

A partire dall’inizio del Novecento, la presenza sul territorio francese di numerosi centri di diffusione dell’italiano, quali i Comitati Dante Alighieri e le attività di insegnamento organizzate dalle autorità consolari italiane attraverso una capillare rete di associazioni locali, tolse il monopolio dell’italiano all’Education Nationale Française. Nonostante ciò, il percorso di affermazione della lingua di Dante in ambito accademico fu difficile, soprattutto a causa della mancanza di percorsi universitari e concorsi per diventare professori presso le istituzioni superiori locali, cattedre che restarono riservate, fino all’inizio del Novecento, alle lingue tedesca e inglese. Il massimo titolo al quale si poteva accedere all’epoca era un

Certificat d’aptitude en italien, diploma minore che determinava la marginalizzazione della

lingua, oltre che la concentrazione quasi esclusiva dell’insegnamento nelle regioni del Sud-Ovest, in Corsica e a Parigi. Tale periodo, definito in maniera evocativa da Jeremy Dubois come quello de «l’italien sans maître»172, si protrasse fino alla creazione, nel 1900, dei primi veri concorsi di Aggregation, titolo di professore dell’insegnamento superiore, introdotti nel sistema di reclutamento insieme all’equivalente qualifica per la lingua spagnola.

I primi anni del XX secolo videro l’acuirsi delle tensioni politiche tra l’Italia e la Francia, con espulsioni di massa degli italiani e concomitanti manifestazioni antifrancesi in

170 Dubois, L’enseignement, cit., p. 21.

171 Pierre Milza, Français et Italiens à la fin du XX siècle. Aux origines du rapprochement franco-italien de 1900-1902, Roma, École française de Rome, 1981, vol. 2, 9, pp. 456-459.

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Italia. Per contro, nel 1894 Charles Denjob aveva fondato la Societé des Etudes Italiennes173 con l’intento di ricucire i legami di amicizia e collaborazione culturale tra i due Paesi, istituzione però praticamente riservata a soli eruditi francesi e implicito non riconoscimento della presenza dell’emigrazione italiana sul territorio dell’Esagono.

L’alleanza franco-italiana durante la Prima Guerra mondiale diede impulso all'insegnamento dell’italiano in territorio francese soprattutto per facilitare le traduzioni e lo scambio di messaggi per scopi bellici. Anche il successivo arrivo al potere di Mussolini sostenne il programma di promozione all’estero dell’italianità, incrementando i finanziamenti a favore delle scuole italiane, l’apertura di corsi serali e il sostegno economico alle associazioni locali, la nomina di lettori nelle università francesi (anche a Nancy, in Lorena); anche la società Dante Alighieri fu coinvolta nelle azioni di promozione linguistica italiana, comunque sotto severo controllo della loro “fascistizzazione”.174 Proprio nel Ventennio fascista, gli studi universitari dell’italiano, fino ad allora riservati sullo studio dei classici, si aprono alla civilisation e un interesse crescente per l’epoca moderna e contemporanea, non solo in ambito letterario.

L’azione di penetrazione culturale di matrice italica da parte del regime fascista in Francia fu dunque incisiva senza che, come sottolinea Jeremy Dubois,175 né le associazioni italiane, né le autorità scolastiche e culturali francesi vi si opponessero in modo esplicito. Gli italiani di Francia, gli emigrati, rimasero comunque totalmente esclusi da questi fenomeni di carattere culturale, in quanto la loro posizione nella società d’Oltralpe era ancora relegata alle professioni della manodopera operaia. Le grandi comunità italiane presenti sul territorio francese continuavano a parlare una miriade di dialetti regionali, mentre la lingua colta, insegnata e parlata da professori francesi, guadagnava spazi in un lento percorso di conquista di legittimità nelle istituzioni accademiche, costituendosi come disciplina di studio tra le

Langues Vivantes.

Come osserva Massimo Vedovelli, l'immagine negativa degli italiani rimandata dalla società francese, condizione che si ritrova anche nelle altre esperienze migratorie in Europa e nelle Americhe, unita all'esperienza dello sradicamento dalle origini, fece comunque emergere

173 La Société d'Études Italiennes pubblica ancora oggi La Revue des Études Italiennes,la più antica rivista francese dedicata alla lingua e alla letteratura italiana, un periodico cui collaborano ricercatori universitari, ma non esclusivamente destinato a un pubblico di specialisti.

174 Francesca Cavarocchi, Avanguardie dello spirito. Il fascismo e la propaganda culturale all’estero, Roma, Carocci, 2010.

Per approfondimenti si veda anche Matteo Pretelli, Il fascismo e gli italiani all’estero, Bologna, Clueb, 2010.

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negli emigranti provenienti dalla Penisola la riflessione metalinguistica:176 essi dovettero prendere atto dei propri elementi di debolezza linguistica attraverso il confronto quotidiano con il nuovo universo comunicativo, realtà con la quale si dovette comunque necessariamente trovare il modo di interagire per sperare di fare del progetto migratorio un’esperienza di successo. Si aprivano davanti all’immigrato italiano analfabeta e dialettofono due strade: o apprendere una nuova lingua, il francese, unita a una varietà di dialetti locali nel caso della Lorena, o scegliere di chiudersi nella comunità delle origini, anch’essa caratterizzata da una varietà di idiomi regionali non sempre mutualmente intelligibili, accettando ruoli di marginalità, anche professionale, e affrontando l’inevitabile conflitto generazionale intrafamiliare, per l'impossibilità di entrare in relazione con figli, educati nella scuola francese. Condizioni umane difficili, a rischio di rottura identitaria, che hanno costretto a mettere in gioco la totalità delle risorse presenti nei patrimoni linguistici,177 dando vita a processi di contatto acquisizionale e ridefinizione interlinguistica dei mezzi di espressione e comunicazione in un continuum di varietà miste, processo che portò gradualmente gli emigranti italiani della prima ora dalla condizione di monolingui dialettofoni a quella di plurilingui misti, soprattutto in Lorena, terra che da sempre ospita lingue di ceppo germanico e romanzo.

176 Massimo Vedovelli, Attività metalinguistica e apprendimento spontaneo dell’italiano L2, in P. Giunchi (a cura di), Grammatica esplicita e grammatica implicita, Bologna, Zanichelli, 1990, pp. 430-44.

90 1.3.3 Le scuole italiane all’estero e l’opera dell’associazionismo laico e cattolico

A partire dagli anni dell’unificazione nazionale italiana, l’accompagnamento culturale fornito agli emigranti da parte dello Stato italiano si era concretizzato, da un lato, attraverso l’istituzione di scuole italiane all’estero, soprattutto collocate geograficamente nella zona orientale del Mediterraneo,178 dall’altro tramite il sostegno alle azioni formative e assistenziali da parte dell’associazionismo laico e cattolico.

La prima legge organica sull'insegnamento all'estero fu emanata nel 1889, sotto l’esecutivo di Francesco Crispi, e rappresentò un chiaro segnale politico della volontà di gestire il fenomeno migratorio come un fattore positivo, favorendone e controllandone lo sviluppo, e mantenendo saldi i legami degli emigrati italiani con la cultura e la lingua delle origini.179 In concomitanza con l’aumento delle partenze dalla penisola registrato al tornante del secolo, la successiva legge n. 23 del 31 gennaio 1901, frutto di un ampio dibattito parlamentare, venne finalmente incontro agli emigrati prendendo in conto la tutela dei loro diritti e assicurando forme di protezione dallo sfruttamento. Furono previste nuove figure addette al controllo delle compagnie di navigazione, commissioni ispettive nei porti di partenza, commissari viaggianti e medici militari a bordo delle navi per garantire le condizioni di igiene e l'adeguatezza degli spazi di vita concessi ai migranti. Nonostante l’enunciazione di principi di tutela e salvaguardia dell’emigrato, anche sotto il profilo culturale, i finanziamenti destinati alle scuole italiane all’estero non videro però, all’inizio del secolo scorso, un sostanziale incremento.180

Nel quadro di una progressiva presa in carico del fenomeno migratorio da parte del governo italiano deve comunque essere letta la legge quadro promulgata del 18 dicembre

178 Per informazioni sulle scuole italiane all’estero si veda il sito del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale italiano

https://www.esteri.it/mae/it/politica_estera/cultura/scuoleitalianeallestero

179 La legge Crispi segnò un momento fondante nell’organizzazione delle scuole italiane all'estero, perché le ricondusse alla gestione diretta del governo italiano sia per quanto riguarda l’istruzione, che i programmi di insegnamento, la selezione del corpo docente (mediante concorso), i regolamenti e ordinamenti. Essa determinò un aumento importante delle scuole, che raggiunsero, nel primo decennio del secolo scorso, la cifra di 98, frequentate da un totale di 15.000 alunni, di cui circa il 40% italiani.

Sull’argomento si veda: Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi, Emilio Franzina, Storia dell’emigrazione italiana, Volume 2, Roma, Donzelli, 2002; Patrizia Salvetti, Le scuole italiane all’estero, in Bevilacqua, Benedetti, Franzina, Storia dell’emigrazione italiana - Arrivi, Roma, Donzelli, 2002.

180 In conseguenza di ciò, il numero delle scuole private sussidiate aumentò considerevolmente, facendone contare, nell’Annuario del Ministero degli Affari Esteri del 1901-1902 ben 352, con 29.233 alunni. Un numero ancor maggiore di alunni, quasi 75.000, frequentava scuole private confessionali non finanziate dallo Stato, gestite da congregazioni o da Enti legati all'associazionismo italiano. Per approfondimenti si veda: Giorgio Floriani, Scuole italiane all’estero. Cento anni di storia, Roma, Armando, 1974.

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1910, n° 867, ricordata anche come Legge Tittoni, dal nome del Ministro degli Affari Esteri del tempo. Il principale obiettivo del provvedimento era la lotta all’analfabetismo, fenomeno ancora molto diffuso sul territorio nazionale a cinquant'anni dall’unificazione, con percentuali che toccavano ancora quasi il 30 per cento della popolazione residente e, in misura ancora maggiore, gli emigranti. La creazione della figura del ‘maestro-agente’, oltre a migliorare le condizioni economiche degli insegnanti all’estero, ampliava le loro funzioni, prevedendo azioni di assistenza da realizzare in collaborazione con le autorità consolari locali. Era affidato a queste figure anche il compito, per la prima volta, di diffondere la lingua italiana presso gli stranieri, allo scopo di mettere in valore il prestigio dell’Italia e gettare le basi per eventuali sviluppi commerciali.181

Parallelamente all’azione governativa, i primi decenni del secolo videro il grande impegno dell’associazionismo laico e cattolico nella realizzazione di iniziative educativo-assistenziali a favore degli emigranti. Dall’accertamento della condizione di lontananza dalla lingua italiana standard degli emigrati nacquero, allo scopo di favorire comunque il successo del progetto migratorio, iniziative popolari di alfabetizzazione di base, anche professionalizzante, gestite attraverso una capillare rete educativo-assistenziale.

La Francia, la Lorena in particolare, fu un terreno di azione importante delle Missioni cattoliche e dell’Opera di Assistenza agli italiani in Europa e nel Levante, fondata nel 1900 dal vescovo di Cremona Geremia Bonomelli. Scuole, ospizi, ospedali e biblioteche ambulanti erano alcune delle attività create a sostegno degli emigranti, oltre a Segretariati che assistevano nelle fasi delle assunzioni in miniera, li tutelavano in caso di incidenti, istituivano casse di risparmio e mense pubbliche in collaborazione con le autorità consolari italiane presenti sul territorio. La Missione cattolica fu attiva a Briey, nel cuore della zona estrattiva, Auboué (anche con un nido gestito da suore), Hayange (nido, scuola elementare e per adulti, scuola di economia domestica, di musica e servizio biblioteca), a Joeuf, Longwy e Moyeuvre-Grande, tutti villaggi della zona estrattiva e siderurgica.182

Alla fine del primo conflitto bellico mondiale, con la graduale ascesa del regime fascista in Italia, si aprì una nuova fase politica che ebbe ricadute e influenze anche nell’ambito dell’insegnamento dell'italiano all’estero. Se da un lato il governo fascista considerava

181 Cfr. Floriani, Scuole, cit.

182 Caroline Wiegandt-SaKoun (Pierre Milza, a cura di), Les missions catholiques italiennes dans l'entre-deux-guerres: l'exemple français, Publications de l'École Française de Rome, 1986, pp. 471-480,