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Approcci allo studio dei movimenti sociali mediorientali

1.4 La classe operaia della regione MONA: soggetto autonomo e degno di studio

1.4.1 Approcci allo studio dei movimenti sociali mediorientali

Avendo chiarito come i lavoratori della regione siano un soggetto degno di studio, occorre interrogarsi circa l’adeguatezza dei vari approcci allo studio dei movimenti sociali.

Come già si è sottolineato, si è cercato di applicare le teorie classiche allo studio dell’attivismo islamista. Molti di tali studi si limitavano, tuttavia, a sostenere l’applicabilità dei paradigmi sociali al contesto mediorientale, accettando acriticamente aspetti di tali teorie che mal si coniugavano con il contesto regionale.

A partire dagli anni ’60, inoltre, si immagina un ordine politico postmoderno in cui le mobilitazioni non sono più influenzate dal concetto di classe. Tuttavia, prendendo in esame la regione, è proprio in questi ultimi decenni che questa affermazione appare inapplicabile, in quanto i lavoratori egiziani, bahrainiti, tunisini o giordani hanno dato vita a una miriade di azioni, dimostrando quando la solidarietà di classe non sia morta né affievolita e che le condizioni

51Mustapha Tlili, “The Arab Spring and the independent trade unions: high hopes and new challenges”,

International Trade Union Confederation , 2012 http://survey.ituc-csi.org/The-Arab-Spring-and- independent.html?lang=en.

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economiche dei paesi ancora causano tensioni e mobilitazioni. 52L’approccio

strutturalista, che considera le variabili che condizionano le mobilitazioni come preesistenti, è certamente utile nell’analisi dei sindacati mediorientali, ma non sufficiente a cogliere tutti gli aspetti rilevanti. Come viene indicato da Beinin e Vairel53, i movimenti sociali e le mobilitazioni politiche nel Medio Oriente non

devono essere analizzati applicando approcci che sottolineano motivazioni esclusivamente economiche o logiche individualistiche, quanto piuttosto evidenziando il contesto sociale e storico. È, infatti, la dimensione storica la chiave per comprendere il contesto sociale e politico. Categorie quali quella di “nazione”, “classe” o “Islam” non hanno esistenza oggettiva ed immutabile, ma vanno contestualizzate. Ricostruendo le vicende riguardanti il movimento dei lavoratori egiziani che ha scosso il paese negli ultimi due decenni, lo stesso Beinin si è accorto del fatto che molte analisi (specialmente occidentali) facevano coincidere l’emergere di tale movimento con il fiorire del Movimento Egiziano per il cambiamento (Kifaya), nato nel 2004 tra le file della classe media cairota in opposizione al regime. Questi studi sostenevano, infatti, l’influenza di tale movimento su quello operaio, che avrebbe preso il via a partire dal 2006 con i grandi scioperi del settore tessile a Mahalla Al-Kubra. Rifacendosi all’approccio del processo politico, infatti, l’azione di un gruppo che ha sfruttato nuove opportunità all’interno della società può condizionare l’emergere di nuove forme di contestazione (Tarrow, 1994). Un’analisi più approfondita, invece, chiarisce i fattori in gioco che determinano l’emergere del movimento. Risulta, così, evidente come i cambiamenti imposti da Sadat negli anni ’70 all’economia del paese, attraverso la politica della porta aperta (open door) e successivamente con gli accordi siglati con il Fondo Monetario Internazionale per l’attuazione di aggiustamenti strutturali, hanno enormemente sconvolto la

52Vairel, Frédéric. Protesting in authoritarian situations in JohnBeinin, Frédéric Vairel, Social Movements,

Mobilization, and Contestation in the Middle East and North Africa, (Stanford: Stanford University Press, 2011).

53JohnBeinin, Frédéric Vairel,Social Movements, Mobilization, and Contestation in the Middle East and North

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vita di migliaia di lavoratori che non riuscivano più ad arrivare a fine mese a causa dell’aumento dei prezzi. Non è Kifaya a spingere i lavoratori all’azione, al contrario il numero di scioperi aumenta esponenzialmente a partire dalla metà degli anni ’90, in seguito all’attuazione da parte del governo Nazif di nuove misure economiche quali, la privatizzazione di molte compagnie, che generano rabbia e paura fra i lavoratori che temono di perdere il proprio impiego. Tali scioperi continueranno, inoltre, anche in seguito al declino di Kifaya nel 2006.54

Appare, quindi, necessaria una ricostruzione storica che possa cogliere i fattori economici, sociali e politici che contribuiscono alla nascita e strutturazione di un movimento.

Casi studio riguardanti movimenti della regione risultano particolarmente interessanti, in quanto la mobilitazione avviene spesso quando le opportunità sono poche o addirittura vi sono restrizioni e alto rischio di repressione. Non sono, dunque, come viene sostenuto dagli approcci strutturali, le aperture da parte di un governo, ma piuttosto la percezione condivisa di una “minaccia” a determinare lo scoppio di svariate forme di contestazione. Secondo la teoria della mobilizzazione delle risorse e quella del processo politico il rapporto fra repressione e mobilitazione è piuttosto lineare: se la prima è, infatti, estesa ed indiscriminata porterà alla radicalizzazione dei gruppi sotto attacco, se, invece, risulterà selettiva e preventiva avrà come risultato un attivismo più moderato. Nel mondo arabo, tuttavia, tale linearità non è affatto chiara, elevati livelli di repressioni hanno, infatti, prodotto risultati diversi durante gli anni ’90. I movimenti di sinistra egiziani, ad esempio, non hanno risposto alla repressione con azioni violente, ma, al contrario, hanno cambiato la propria strategia cercando di riformare dall’interno il sistema autoritario, abbandonando la militanza socialista e dedicandosi maggiormente alla difesa dei diritti umani e

54Beinin, Joel, Duboc, Marie, A workers’ social movement on the margin of the global neoliberal order in John

Beinin, Frédéric Vairel, Social Movements, Mobilization, and Contestation in the Middle East and North Africa, (Stanford: Stanford University Press, 2011).

39 dei lavoratori.55

Studiosi come Tilly e Tarrow56, inoltre, fanno riferimento a fattori esterni quali

la repressione, a cui si aggiungono la disillusione o il mutamento del sistema di alleanze, per spiegare la smobilitazione e il declino dell’attivismo. Tale visione strutturale, tuttavia, non tiene conto delle dinamiche interne ad un movimento. È necessario, infatti, prendere in esame anche le esperienze dei singoli individui che formano un gruppo e che possono attraversare fasi di alienazione, dovuta dall’impossibilità di modifica dello status quo. Le ragioni del declino del movimento egiziano Kifaya, ad esempio, non possono essere ridotte alla sola repressione, ma vanno ricercate nelle divisioni interne al gruppo, nell’incapacità degli aderenti di collaborare all’identificazione di una linea comune d’azione.57