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4 – L’approccio al rischio delle imprese familiari: una review della letteratura

La partecipazione dei membri della famiglia alla gestione porta una serie di vantaggi e svantaggi che non si riscontrano in altre attività non familiari. Da un lato infatti l’impresa è rafforzata dal particolare legame che i componenti della famiglia hanno nei confronti del business, dall’altro però il sistema di relazioni tra impresa e famiglia può presentare problemi specifici, legati al fatto che le dinamiche aziendalistiche e quelle relative alla famiglia non sempre riescono a raggiungere un equilibrio.

4.1 – Fattori che influenzano il profilo di rischio delle imprese familiari

Come evidenziato nella prima parte del presente lavoro la definizione del risk appetite è una delle decisioni fondamentali dell’attività di governo poiché influenza sia il business che le strategie da attuare e di conseguenza il profilo di rischio dell’impresa.

Le imprese familiari, a causa delle loro caratteristiche peculiari dovute al coinvolgimento della famiglia nel business, avranno un profilo di rischio diverso rispetto a quello delle altre aziende e, proprio su questo tema, numerosi studiosi hanno effettuato diverse ricerche. In particolare, Hiebl (2014) nella sua review sistematica della letteratura sulla propensione al rischio delle aziende familiari, evidenzia che tali ricerche hanno portato a risultati contrastanti.

92 Hiebl nell’articolo Risk aversion in family firms: what do we really know?154

raggruppa in cinque categorie i fattori in grado di determinare la maggiore o minore avversione al rischio delle imprese familiari.

Figura 2.9: Fattori che influenzano il profilo di rischio

Fonte: elaborazione personale

Il primo fattore individuato da Hiebl riguarda l’ambiente competitivo in cui l’impresa opera e alcuni studi evidenziano come le imprese familiari evitino il rischio. In particolare alcuni155 sostengono che l’incertezza ambientale

determini avversione al rischio, mentre altri156 affermano che le imprese che

operano in un contesto maggiormente dinamico si assumono più rischi rispetto a quelle che svolgono la loro attività in un ambiente meno competitivo.

Il secondo fattore è rappresentato dagli obiettivi e dai comportamenti dei membri della famiglia e anche in questo caso sembra che ci siano pareri contrastanti. Alcuni sostengono che la visione di lungo termine della famiglia e il desiderio di consentire il passaggio generazionale renda le imprese più

154 M. R. W. Hiebl, Risk aversion in family firms: what do we really know?, The Journal of Risk Finance,

2014

155 Bianco et al., 2012

93 avverse al rischio, perché i familiari ritengono che l’assunzione di rischio ostacoli la sopravvivenza dell’impresa157. Oltre a questo, se i familiari sono

maggiormente interessati al proprio benessere e fanno affidamento sui dividendi dell’azienda per sostenere i propri stili di vita, preferiranno far assumere all’impresa meno rischio in modo da non mettere in pericolo i regolari pagamenti dei dividendi158. Altri studiosi159 invece, sono dell’idea che se i

familiari sono seriamente interessati allo sviluppo nel lungo periodo questi lotteranno per un’innovazione più rischiosa che potrebbe portare al successo futuro dell’azienda.

Il terzo fattore che potrebbe portare ad evitare o ad assumersi rischio, riguarda le caratteristiche del manager di famiglia. Gli studi sul tema infatti, hanno dimostrato come l’età160, l’esperienza161, il sesso162 e altre caratteristiche

personali del manager, possano determinare una maggiore o minore avversione al rischio

Anche gli studi sui fattori riguardanti le caratteristiche dell’azienda forniscono risultati contrastanti sull’effetto che hanno sull’avversione al rischio. Mentre alcuni165 studi mostrano come imprese di dimensioni maggiori tendano ad

assumersi più rischi, altri166 sostengono esattamente l’opposto.

L’ultimo fattore riguarda il coinvolgimento della famiglia nel business e dalle analisi, emerge che tale tema sia uno degli argomenti più discussi e più contraddittori. Alcuni sostengono per esempio che il coinvolgimento di più generazioni della famiglia aumenti l’avversione al rischio167, mentre altri

trovano che la partecipazione attiva di più di una generazione diminuisca l’avversione al rischio e aumenti il risk taking168.

157 Lumpkin et al., 2010; Munoz-Bullòn e Sanchez-Bueno, 2011; Bianco et. al., 2012 158 Le Breton-Miller et al., 2011

159 Le Breton-Miller et al., 2011;

160 Xiao et al., 2001; Wang e Poutziouris, 2010 161 Zahra, 2005

162 Welsh e Zellweger, 2010. In particolare, affermano che le donne si assumano meno rischio

rispetto agli uomini.

165 Xiao et al.,2001; Casillas et al., 2010 e 2011; Gonzàlez et al., 2012 166 Welsh e Zellweger, 2010

167 Memli et al., 2011; Le Breton-Miller et al., 2011; Anderson et al., 2012 168 Zahra, 2005; Casillas et al., 2010; Casillas et al., 2012

94 Alcuni studi trovano che l’integrazione di membri esterni alla famiglia nel top management e nel Consiglio di Amministrazione abbia un’influenza negativa sull’avversione al rischio169. Questo è dovuto al fatto che i soggetti esterni

portano sia esperienza, inducendo l’impresa ad assumersi una quota maggiore di risk appetite, che segnali proattivi alla famiglia ad intraprendere azioni più rischiose170.

Inoltre, alcuni proprietari non familiari, come gli investitori istituzionali, possono far pressione sulla famiglia per assumersi più rischio e migliorare le prestazioni171.

4.2 – Il profilo di rischio delle imprese familiari

Come descritto nel paragrafo precedente, i diversi studi condotti sul tema hanno trovato risultati contrastanti sulla propensione al rischio delle aziende familiari rispetto alle altre categorie di impresa. In particolare, nella letteratura è possibile individuare tre filoni di ricerca principali, che verranno descritti di seguito.

4.2.1 – Teoria dell’agenzia

Una delle principali problematiche relative alla corporate governance è sicuramente quella legata alla separazione tra proprietà e controllo. La teoria manageriale evidenzia un divario in termini di obiettivi tra proprietà e controllo; infatti, non necessariamente l’obiettivo di massimizzazione della ricchezza degli azionisti coincide con l’obiettivo della massimizzazione del patrimonio aziendale172.

La teoria dell’agenzia di Jensen e Mekling173, studia i problemi che sorgono a

seguito delle divergenze degli interessi tra i vari soggetti e i conseguenti costi. I due autori definiscono una relazione di agenzia come un contratto in base al

169 Stanley, 2010; Casillas et al., 2011; Le Breton-Miller et al., 2011; Gonzàlez et al., 2012; Su e Lee,

2012

170 Casillas et al., 2011

171 George et al., 2005; Gonzàlez et al., 2012

172 G. Donaldson, Managing corporate wealth, Harvard University Press, 1986

173 M. C. Jensen, W. H. Meckling, Theory of the firm: managing behaviour, agency costs and ownership

95

quale una o più persone (il principale) obbliga un’altra persona (l’agente) a ricoprire per suo conto una data mansione, che implica una delega di potere all’agente. Oltre ad una divergenza di interessi tra le parti si ha anche

un’informazione imperfetta sugli stati di natura e sui comportamenti degli attori ed un’asimmetria informativa tra le parti. Il contratto tra le due parti non può che essere incompleto e, in ogni caso, il principale non è in grado di controllare completamente l’agente, mentre ogni tentativo di aumentare il grado di controllo implica dei costi174. L’opportunismo delle parti porta ad un uso delle

asimmetrie informative a vantaggio dell’agente, generando: selezione avversa, forma di opportunismo ex-ante, deriva dal fatto che il dipendente in fase di selezione fornisce informazioni inesatte su sé stesso per farsi assumere; l’azzardo morale, forma di opportunismo ex-post, deriva dalla possibilità dell’agente di non rispettare i propri impegni nell’esecuzione del contratto. L’agente raramente opera nell’interesse del principale, al quale non resta che cercare di ridurre tale divergenza attraverso strumenti di sorveglianza e sistemi di incentivi per limitare l’effetto di comportamenti opportunistici dell’agente. Nelle imprese familiari, la proprietà e il controllo sono concentrati nelle mani di una famiglia e ciò mitiga il problema dell’agenzia. I membri di una famiglia sono più orientati a massimizzare il valore dell’impresa nel lungo termine al contrario degli altri manager, che invece sono interessati ad attuare strategie di crescita di breve periodo per cercare di massimizzare i propri interessi.

La concentrazione della proprietà sembra quindi ridurre il problema dell’agenzia, ma dall’altro lato diminuirebbe la propensione al rischio dell’azienda.

Come è stato mostrato nel corso del presente lavoro175 al Consiglio di

Amministrazione spetta il compito di definire il livello di rischio massimo accettabile dall’impresa (risk appetite). Questo parametro assume un ruolo fondamentale perché il livello di propensione al rischio condiziona sia le strategie da attuare che il profilo di rischio dell’azienda.

174 http://www.studiomylae.com 175 Si veda par. 3.5.1 del primo capitolo.

96 Sulla base della teoria dell’agenzia sono state effettuate numerose ricerche empiriche che hanno confrontato il profilo di rischio delle imprese familiari rispetto alle altre aziende.

La maggior parte degli studi176 sostiene che un’alta concentrazione proprietaria

influisca in modo negativo sulla propensione al rischio dell’azienda. Nelle imprese familiari in cui la proprietà è accentrata, difficilmente il management propenderà per intraprendere delle strategie aggressive con la conseguente possibilità di dover sopportare ingenti perdite. Nel contesto familiare, in cui la famiglia stessa deve farsi carico delle eventuali perdite, si avranno obiettivi meno ambiziosi e di conseguenza verranno intraprese strategie più conservative. Tra i tratti distintivi delle imprese basate su un management familiare rientra, dunque, anche un atteggiamento di avversione al rischio, il quale può impedire di cogliere opportunità imprenditoriali con maggiore aggressività e gioca un ruolo nel mancato perseguimento di strategie di crescita. Di conseguenza le imprese familiari avranno un profilo di rischio più basso rispetto alle aziende in cui la proprietà è dispersa.

Altri studi177invece, rilevano che la concentrazione della famiglia nella

proprietà porti l’azienda ad intraprendere strategie più aggressive e di conseguenza ad avere un profilo di rischio più alto. Secondo questi studiosi infatti, la presenza della famiglia nella proprietà e nel Consiglio di Amministrazione promuove l’imprenditorialità e quindi una maggiore propensione al rischio178. L’allineamento degli interessi tra famiglia e azienda

spesso corrisponde alla volontà di far sopravvivere l’azienda nel tempo, massimizzando la ricchezza della famiglia. In questo modo si favorirebbe lo sviluppo di iniziative innovative che portano l’impresa ad avere un profilo di rischio più alto.

176 Naldi et al. 2007, Su e Lee 2013, Huybrechts et al. 2013 177 Aldrich e Cliff 2003, Zahra 2003 e 2005

97

4.2.2 – Stewardship theory

La teoria dell’agenzia prevede l’esistenza di un solo rapporto, caratterizzato da interessi divergenti tra principale e agente, che possono convergere solamente mediante strutture di controllo e politiche di incentivazione economica. Nella realtà però non esistono solamente comportamenti opportunistici, ma si riscontrano anche fattori comportamentali diversi che a volte si discostano notevolmente da quelli previsti dalla teoria dell’agenzia. In particolare si rileva come l’altruismo, cioè la capacità di gestire congiuntamente il business, e un processo strategico partecipativo possano aumentare le performance dell’impresa e diminuire i conflitti tra i membri179. In questo caso, infatti, il

manager si comporta da “custode” (steward) e gli interessi tra principale e agente tendono a convergere poiché entrambi sono orientati alla sopravvivenza e al successo d’impresa.

Figura 2.10: Modello concettuale

Fonte: Destructive and productive family relationships: a stewardship theory perspective, Journal of

Business venturing, K. A. Eddleston, F. K. Kellermanns, 2007

In particolare, Davis e Donaldson (1991) ritengono che i manager si comportino non come agenti opportunisti, ma come custodi degli asset aziendali che privilegiano la cooperazione con gli azionisti e assumano comportamenti orientati alla creazione di ricchezza.

98 Ne consegue che i dirigenti sono degni della fiducia degli azionisti perché motivati dal bisogno di ottenere soddisfazione personale attraverso il successo personale e l’esercizio della responsabilità e dell’autorità. Sono quindi diverse le motivazioni che muovono gli attori: le motivazioni puramente economiche sono superate da quelle intrinseche, come il desiderio di autorealizzazione, l’identificazione con l’azienda e il legame tra autostima individuale e prestigio dell’azienda. In base a questa teoria non esiste un conflitto di interessi tra proprietà e management, poiché questi orientano il proprio comportamento verso la soddisfazione dell’interesse del principale.

L’altruismo e l’identificazione del manager con l’azienda sono caratteri fondamentali nella stewardship theory e si ravvisano comunemente all’interno delle aziende familiari. Nelle aziende familiari infatti, i membri della famiglia sono visti come custodi dell’azienda, disposti a mettere da parte gli interessi personali per raggiungere gli obiettivi dell’azienda.

A tal proposito, Pierce et. al (2011) sostengono che l’altruismo incentivi l’azienda a migliorare la posizione competitiva dell’azienda. Questo porterebbe l’impresa ad intraprendere strategie maggiormente aggressive e di conseguenza ad avere un profilo di rischio più elevato. Tuttavia, l’altruismo che caratterizza le aziende familiari può diminuire con l’introduzione di generazioni successive all’interno dell’azienda180 e può comportare la nascita di conflitti fra

generazioni, paralizzando i processi di cambiamento strategico dell’azienda181.

Tutto questo può portare alla creazione di un contesto non favorevole all’imprenditorialità, all’innovazione e all’internazionalizzazione, con conseguente impatto anche sul profilo di rischio che, in questo caso risulterebbe più basso.

4.2.3 – Socioemotional wealth perspective

Le imprese familiari costituiscono una realtà molto particolare in quanto l’attaccamento emotivo, il coinvolgimento fraterno, il senso di eredità, il

180 Kellermanns et al., 2012 181 Sciascia, 2011

99 controllo familiare e le preoccupazioni di natura reputazionale appartengono unicamente a questo tipo di imprese. Sulla base della socioemotional wealth perspective, gli autori sostengono che l’obiettivo ultimo delle aziende familiari sia la creazione e il mantenimento della ricchezza socio-emotiva.

Gòmez-Mejìa185 con ricchezza socio-emotiva, intende tutti quei fattori non

economico-finanziari dell’impresa o quelle dotazioni emozionali propri dei membri della famiglia. Il modello socioemotional wealth quindi, sostiene che le imprese familiari oltre a ricercare una performance economico-finanziaria puntano a creare e mantenere una ricchezza socio emotiva e cioè a mantenere il controllo dell’azienda, creare il lavoro per i propri membri e mantenere l’immagine della famiglia186.

Prendere in considerazione questo aspetto ci permette di riflettere sul fatto che i familiari, per raggiungere determinati obiettivi detti appunto socio-emotivi, tendono ad evitare strategie rischiose e si dimostrano più avversi al rischio, poiché l’obiettivo ultimo è quello di preservare l’integrità aziendale. Tuttavia, Gòmez-Mejìa et al. (2007) sostengono anche che la propensione al rischio delle aziende familiari dipenda sia dal contesto in cui l’azienda opera, sia dalla situazione in cui l’impresa stessa si trova. In particolare, loro sostengono che in determinate situazioni (per esempio in periodi di crisi o nel caso in cui rischiano di perdere il controllo sul business), al fine di mantenere il controllo sull’impresa, la famiglia potrebbe avere la necessità di intraprendere strategie più aggressive e di conseguenza presenterebbe un profilo di rischio più alto.