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2. Analisi teorica della comunicazione museale digitale

2.3 Approccio semiologico

James Carey, come già introdotto nel paragrafo precedente, nel suo «Communication as Culture»137 compie una disamina tra quelle che egli definisce concezioni di comunicazione all’interno della cultura138; l’antitesi tra i due termini e le due differenti definizioni sono un segno inequivocabile di una partizione anche derivata da due concezioni contrapposte nella storia del pensiero occidentale. Fin da quando il termine «comunicazione» è entrato nel senso comune, nel diciannovesimo secolo, afferma lo studioso si è potuto assistere a un processo di separazione di significati ricollegabile a due differenti modelli comunicativi.

A una visione della comunicazione che viene definita « trasmissiva»139 si contrappone una visione che è definita «rituale»; applicate, secondo quanto inteso da Carey in qualsiasi campo concernente al pensiero culturale in ogni sua specificità. La visione trasmissiva è, secondo quanto afferma Carey, un approccio maggiormente diffuso nelle culture industriali e tipica del pensiero occidentale. Il termine «communication» può avere due significati differenti e, infatti, può essere ricondotto a

137 Ibidem.

138 Carey mutua questa partizione soprattutto dagli scritti di John Dewey e cita in particolare:

JOHN DEWEY, Democracy and Education, New York, Macmillan, 1916 e J. DEWEY, Intelligence in the modern world, New York, Modern Library, 1939.

139

due campi semantici i quali rispecchierebbero le due visioni culturali. Per ciò che riguarda l’approccio trasmissivo, il termine «communication» può essere assimilato ai concetti di «impartire», «trasmettere», «inviare», «dare delle informazioni a qualcuno» e richiamare una metafora geografica o del contesto relativo ai trasporti e dello spostamento da un luogo verso un altro. I processi di trasporto di persone e di merci sono descritti utilizzando lo stesso termine, afferma Carey, infatti. In questa accezione, come già introdotto in precedenza, l’approccio di trasmissione si configura come un invio di segnali o messaggi attraverso una distanza spaziale. Non si può, allora, non individuare in questa visione, la modalità del processo del linguaggio, la prima forma di comunicazione, nelle teorie saussuriane. Saussure140, infatti, descrive il linguaggio come un atto riguardante il circuito delle parole, presuppone la presenza di almeno due individui che prendono parte al processo. Il punto di partenza è costituito dal cervello del primo dei due protagonisti, dove i concetti si trovano associati alle rappresentazioni dei segni linguistici e alle immagini acustiche che occorrono per esprimersi. Attraverso gli organi di fonazione, perviene all’orecchio di chi ascolta sotto forma di onde; tramite il processo inverso da una trasmissione fisiologica di immagini acustiche, si realizza la trasformazione in concetti corrispondenti. In questo particolare processo, esiste un’associazione e una coordinazione tra i concetti e le immagini che sono dati, afferma Saussure dall’intendere la lingua come un sistema, un prodotto che ogni individuo registra passivamente. Da queste necessarie precisazioni iniziali, Hooper Greenhill identifica questo particolare approccio trasmissivo con il modello di trasmissione presentato nella formula di Lasswell concettualizzabile secondo la risposta alla domanda «chi dice cosa? con quale canale? a chi? con quale effetto »141.

Il modello trasmissivo, come modello di comunicazione, viene contestualizzato142 in ambito museale e la studiosa afferma che esso è alla base dell’identità dei musei pubblici del XIX secolo. Hooper Greenhill definisce questa tipologia di museo come

140

FERDINAND DE SAUSSURE, Manuale di linguistica generale, Bari, Laterza, 2009, pp. 21 - 25.

141 L’originale Who Says What in Which Channel To Whom With What Effect? viene tradotto da E.

HOOPER GREENHILL, Nuovi valori, nuove voci, nuove narrative: l’evoluzione dei modelli comunicativi nei musei d’arte in Cit., pag. 11. Il riferimento al testo in cui viene fatta una trattazione della teoria: JOHN MORGAN - PETER WELTON, See what I mean: an introduction to visual communication, Londra - New York, Edward Arnold, 1986, pp. 4 - 6.

«museo modernista»143

: strutturato come un archivio universale in cui l’informazione proposta al pubblico è un’emanazione diretta dello studio e della conservazione e la funzione educativa del museo che si realizza praticamente nel trasferimento delle nozioni storico-artistiche al pubblico. E’ quindi basato sul principio di conoscenza oggettiva che parte da un comunicatore esperto verso il pubblico e, riguardando l’ ambito museale, le esposizioni stesse possono essere interpretate come espressioni di un curatore verso il pubblico del museo144.

Un punto di vista attuale sull’approccio trasmissivo ritengo sia da ravvedersi nelle teorie di Francesco Antinucci145; egli afferma che la comunicazione stessa è un trasferimento di conoscenze da qualcuno che le possiede a un secondo individuo che ne è privo, attraverso la trasformazione, già presentata da De Saussure, dei contenuti concettuali, che Antinucci definisce «interni», in una forma percepibile a chi riceve la comunicazione146 .

Nel sviluppare la propria visione sulla comunicazione in ambito museologico, Antinucci inserisce i concetti basilari di: significato, significante, codice e contesto che, da un’accezione comunicativa, verranno applicati alla situazione specifica museale.

I segni, ovvero: i significanti, sono definiti come tutto ciò che di percepibile ai sensi umani viene trasmesso nell’atto comunicativo; si stabilisce così una corrispondenza semantica tra elementi del contenuto ed elementi acustici, sebbene in ambito museale, sia da prendere in esame l’utilizzo degli elementi visivi, che è definita come codice o codificazione. E’ definito, invece, significante tutto ciò che costituisce il contenuto del messaggio con rimando alle teorie di linguistica di De Saussure147.

Per ciò che riguarda il codice, è bene specificare preliminarmente che, si tratta di un elemento arbitrario: la corrispondenza tra significante e significato, è appunto, arbitrario perché privo di aggancio naturale148 e, specifica Antinucci, pertanto, «va imparato»149. Senza conoscere il codice, dunque, i segni, qualsiasi siano le loro caratteristiche formali,

143 Cfr. E. HOOPER GREENHILL, I musei e la formazione del sapere. Le radici storiche, le pratiche del

presente, Cit.

144 Ivi, pp. 28 - 30.

145 Cfr. F. ANTINUCCI, Comunicare nel museo, Cit. 146 Cfr. Ivi, pp. 14 - 15, pag. 37, pag. 52 e 108. 147

Cfr. DE SAUSSURE, Manuale di linguistica generale, Cit., pp. 83 - 88.

148 Cfr. Ibidem. 149 Cfr. Ivi, pag. 17.

non possono significare nulla e ad ogni sistema di segni corrisponde un codice dalla cui formulazione dipende l’interpretazione del sistema stesso.

Anche ogni elemento visivo usato come significante è arbitrario, secondo quanto affermato e presuppone il codice di cui il destinatario dispone e da cui dipenderà l’interpretazione del segno.

Per ciò che concerne il contesto, invece, è definito come la situazione fisica o linguistica nella quale avviene la comunicazione: ogni atto comunicativo, infatti, ha presupposizioni contestuali che devono essere necessariamente condivise tra chi comunica e chi riceve il contenuto. Antinucci individua tra contesti differenti con caratteristiche proprie: nel caso in cui si intenda la condivisione fisica dello spazio della comunicazione, si considererà, il contesto «deittico», mentre nel caso in cui si richiami tutto ciò che è stato scambiato in precedenza tra i protagonisti della comunicazione, il contesto verrà detto «anaforico», oppure nel caso in cui ci si riferisca a tutte quelle conoscenze permanenti che sono presupposte dall’interlocutore del messaggio, si tratterà di contesto «enceclopedico».

Comunicare, allora, per Antinucci significa costruire ed emettere un segno in base a un codice e a un contesto condiviso affinché esso possa essere interpretato.

Utilizzando in ambito museale le definizioni identificate, seguendo la teorizzazione di Antinucci, le opere d’arte della collezione costituiscono i segni e il visitatore che si trova a ricevere, così, un messaggio nell’ambito della propria visita deve possedere i codici che sottendono alla comprensione delle opere e alla loro funzione culturale. Se, come detto, tutti i segni devono essere decodificati tramite la conoscenza del codice a essi sotteso, nel caso in cui il visitatore non possieda il codice relativo all’opera d’arte, il museo dovrà necessariamente fornirlo affinché le opere possano comunicare. Ciò vale anche per le conoscenze contestuali che sono uno dei principali agenti decodificatori di un’opera inserita all’interno di un contesto espositivo.

E’ importante, però, considerare come la comunicazione museale si verifichi in una situazione comunicativa asincrona, ovvero: l’emissione e la ricezione del messaggio non avvengono contemporaneamente e non è possibile esaminare le presupposizioni di chi

emette il messaggio. Il pubblico150 museale invece viene caratterizzato da una moltitudine eterogenea con cui è difficile entrare in contatto singolarmente. In conclusione, in un’esposizione museale, un’opera d’arte rivolta a una collettività diversificata e ampia, è caratterizzata da una ricezione dilazionata e diversificata da parte del pubblico.

Se si considera, però, il circuito comunicativo applicato in contesto museale, Antinucci precisa come l’emittente effettivo dell’opera d’arte esposta coinciderebbe con l’autore di essa o il committente di quest’ultimo151

.

Per ciò che riguarda, invece, la nozione di contesto applicata in ambito museale, secondo Antinucci, nel passaggio dal segno al significato di una singola opera si possono individuare contesti diversi, riprendendo la partizione realizzata a proposito del circuito comunicativo Il contesto si configura come parte integrante della situazione comunicativa e dell’opera stessa.

E’ importante considerare come le strategie di allestimento museale si relazionino o si siano dovute relazionare con opere che appartennero a contesti originari e, dunque, a circuiti comunicativi, molto differenti rispetto alle collocazioni attuali.

Il contesto enciclopedico, che, come già trattato, si riferisce alle conoscenze pregresse e supposte di chi riceve il messaggio, può variare a seconda della formazione e della composizione del pubblico; è specificato, infatti, come il pubblico che osserva il bene artistico all’interno di un’esposizione museale, spesso non coincide con i frequentatori del luogo cui era destinata l'opera152.

Per ciò che concerne il contesto deittico, in ambito di esposizione museale, si può identificare come l'ambiente che circonda l'opera; è necessario tenere in considerazione che il contesto deittico opera, allora, sia nel livello di cognizione dell’ambiente, ovvero il rapporto tra l’opera e il luogo al quale era stata originariamente destinata, sia nel livello fisico ovvero il rapporto tra la composizione dell’opera e lo spazio architettonico nel quale era originariamente inserita.

150 Antinucci nella sua trattazione definisce come «audience collettiva» il concetto di pubblico museale

che viene indicato in altri manuale come quello di «pubblici» di un museo per sottolineare l’eterogeneità dei visitatori di esso. Cfr. Ivi, pp. 29 - 35.

151 Gli esempi che sono riportati da Antinucci mostrano una serie di opere d’arte programmatiche per le

quali appare strategico il ruolo di committente o chi ne abbia ideato la composizione in senso programmatico. In questi casi analizzati, afferma l’autore, il significato dell’opera, ovvero: il segno, è stato esplicitato da queste figure agli artisti e reso, quindi, chiaro e palese. Cfr. Ivi, pp. 37 - 38.

152

In relazione al contesto anaforico, invece, si analizzano gli aspetti riguardanti la presenza di altre opere che originariamente si trovavano insieme all’oggetto esaminato e interagendo con essa, avrebbero probabilmente influenzato la sua comprensione.

Le opere d’arte presenti all’interno di una collezione museale, come precedentemente ribadito, vengono estrapolati da un circuito comunicativo molto differente dall’originario; oltre a un effettivo slittamento per ciò che riguarda il loro contesto, su cui necessariamente il museo dovrà intervenire nell’intendere le proprie strategie comunicative; l’estrazione in senso fisico dal loro contesto originario determinerebbe un dato più passivo: esse sono infatti private del contesto necessario alla loro comprensione e in un’accezione più attiva, possono, quindi, essere utilizzate per veicolare un significato differente da quello originario. Secondo Antinucci153 esse vengono depotenziate dal loro ruolo di «segni primari» ossia oggetti che portano chi riceve il loro messaggio direttamente ad esso, ma rinviano, piuttosto alla loro natura segnica perché inserite all’interno di una «meta operazione», cioè, la collezione museale nella sua interezza. Viene infatti definita la collezione come un oggetto comunicativo costruito su oggetti comunicativi cui si applicano, secondo Antinucci, le teorie comunicative; mentre le singole opere, qualsiasi siano i loro contenuti specifici, sono trattati come segni. Gli oggetti specifici all’interno di una collezione e il loro rapporto con la collezione stessa sono definiti da tipologie differenti154, basate soprattutto su criteri allestitivi differenti e sui quali si realizzano processi di significazione.

Applicando le teorie comunicative all’intera collezione, secondo quanto affermato, l’autore del messaggio può essere identificato come il curatore o il collezionista, il segno è da individuare nella collezione, quindi formata, a sua volta, da altri segni e il destinatario è il pubblico. La comunicazione della collezione, però, a seguito della trasformazione delle opere all’interno di essa, e dovendo considerare comunque le opere come segni, terrà conto ugualmente del loro codice comunicativo, del loro contesto, dei loro autori.

Se è vero, afferma Antinucci, che ogni tipologia di collezione può essere considerata come un atto comunicativo, quanto appena affermato, ossia la considerazione necessaria del circuito comunicativo originario delle opere identificabili come oggetti di una

153 Cfr. Ivi, pp. 49 - 52.

154 Cfr. ENRICH FRANCH, Il linguaggio espositivo: tre tipologie di base, «Nuova museoloogia», II,

collezione, può essere valido solo per le collezioni di opere d’arte, che Antinucci definisce «segniche»155.

La definizione degli elementi di un processo comunicativo in ambito museale è, però funzionale alla corretta ricezione al destinatario del messaggio desiderato156. Francesco Antinucci offre un contributo che può rappresentare un'interessante applicazione delle teorie semiologico e trasmissive nel processo di comprensione del destinatario del messaggio con l’obiettivo di «dare voce»157

a ogni singola opera.

Vengono distinti, quindi, due parti del processo non necessariamente rigide e scandite temporalmente: la lettura: l’azione di apprendere correttamente il significante, ovvero l’opera, e l’interpretazione, ovvero l’azione di trasformare il significante in significato. L’intero processo può compiersi soltanto se contraddistinto dalla motivazione del destinatario: tutto ciò che può incoraggiare e motivare il processo cognitivo di comprensione appare come elemento necessario, perché appropriarsi di codici comunicativi e di presupposizioni contestuali sconosciuti e relativi a un’opera d’arte è evidentemente un procedimento che, per il pubblico, necessita di una forte componente motivazionale.

La lettura rappresenta un compito primario da assolvere, senza il quale non è possibile procedere al successivo passo interpretativo. Le condizioni della forma dell’opera devono permettere, quindi, una corretta lettura rilevando i tratti pertinenti. Affinché questo possa verificarsi, è necessario prendere in esame gli obiettivi delle operazioni volte a restituire anche solo una parte dell’aspetto originale: il restauro, la ricostruzione, la restituzione. E’ necessario consentire al fruitore di possedere una forma dell’opera sufficiente a far comprendere il suo significato. E’ importante però, prendere in esame anche lo spazio esterno rispetto all’opera; in ambito museale questo concerne gli aspetti che permettono all’opera di essere collocata nelle stesse condizioni di visibilità stabilite per essa dall’autore158

che rientrano, secondo Antinucci, nell’intenzionalità comunicativa dell’opera e costituiscono presupposizioni contestuali alla comprensione. In questo frangente, è necessario considerare nuovamente quanto detto a proposito del

155 Cfr. F. ANTINUCCI, Comunicare nel museo, Cit., pag 52 - 53. 156

Cfr. E. FRANCH, Il linguaggio espositivo: tre tipologie di base, Cit.

157 Cfr. F. ANTINUCCI, Comunicare nel museo, Cit., pag. 108.

contesto deittico e del contesto anaforico che possono influire sulle caratteristiche fisico - percettive dell’opera considerata.

Alla lettura fa seguito l’interpretazione, laddove, dopo aver ben chiarito gli aspetti formali della forma dell’opera, ovvero, del segno, se ne comprende il significato anche tramite la conoscenza del codice e del contesto di riferimento per le quali appaiono necessari ausilii che permettano di fornire elementi utili a questo scopo. Il riferimento può essere ampio se si pensa alle forme e agli strumenti che vengono utilizzati per far comprendere il reale significato dell’opera in ambito di supporti all’esposizione.