Approfondimento 1 - La lunga permanenza nella famiglia di
5. Tre figli o più
5.3 Un approfondimento
In un’ottica di tipo esplicativo diviene d’interesse lo specifico contributo dei singoli fattori di influenza sulla probabilità di realiz-zazione di una famiglia numerosa. L’istruzione, a parità di professione, verosimilmente, influisce negativamente sulle scelte di fecondità attra-verso il processo di emancipazione e di investimento in capitale umano;
mentre la professione, a parità di istruzione, avrà un effetto positivo suo proprio sulla fecondità in termini di disponibilità economiche create o di grado di flessibilità lavorativa.
Ricorreremo ad un modello logistico di regressione multipla per la probabilità di avere tre figli o più e faremo riferimento alle coppie che hanno concluso la loro vita riproduttiva e che hanno avuto almeno un figlio. L’enfasi sarà posta sulle caratteristiche dei padri, mentre quelle delle madri avranno funzione di controllo per la stima dell’effetto delle prime, cioè si cercherà di determinare l’influenza dell’istruzione e della professione paterna al netto dell’istruzione e della professione materna. Altre variabili sono introdotte nel modello con funzione di controllo o per spiegare meglio, attraverso la loro natura interveniente, la relazione tra posizione sociale e fecondità. Tra queste variabili vi è l’età al matrimonio, che se precoce favorisce la realizzazione di una famiglia più numerosa lasciando alla biologia un intervallo riproduttivo più ampio per realizzare le proprie scelte di fecondità. Posizione sociale ed età al matrimonio sono in genere fortemente legate e si rende necessario scindere i due effetti sulla fecondità.
Un’altra variabile d’interesse è la religiosità dei partners – nell’Indagine Multiscopo rilevata in termini di partecipazione dei partners alle funzioni religiose. Un più forte spirito religioso potrebbe essere tipico delle categorie sociali più basse, così che, nuovamente, è utile misurare l’effetto della posizione sociale al netto della religiosità attraverso un’analisi multivariata. In letteratura, sembrano esistere posizioni contrastanti circa un possibile effetto della religiosità sulla fecondità. Già nel 1978 Westoff e Jones osservavano una convergenza della dimensione familiare dei cattolici e dei non cattolici negli Stati Uniti, come conseguenza di un allontanamento di molti cattolici nei confronti degli insegnamenti della Chiesa in materia di contraccezione. Crediamo, seguendo Westoff e Jones, che il processo di adesione dei cattolici alla cultura contraccettiva prevalente sia continuato fino ai giorni nostri in tutti i paesi occidentali; tuttavia, questo potrebbe non essere in contraddizione con una maggiore probabilità di realizzazione di famiglie di grandi dimensioni tra i più religiosi, così come sostenuto recentemente da Dumont (2004).
In ultimo, la generazione di appartenenza dei padri è un’importante variabile di controllo: le generazioni più anziane posseggono in genere livelli di istruzione più bassi e l’effetto dell’istruzione sulla fecondità potrebbe sottendere un effetto generazionale.
In una prospettiva esplicativa dovremo porre attenzione a che le variabili indipendenti e portate a spiegazione della dipendente si caratterizzino per una antecedenza causale. La professione presa in esame sarà la “prima professione”, misurata prima dell’arrivo del primo figlio. Solo per la frequenza ai riti religiosi l’informazione colta è quella relativa al momento dell’intervista. Si ipotizza perciò l’invarianza della religiosità degli intervistati.
Prima di procedere alla stima del modello multivariato si ricorda che forti correlazioni tra variabili possono procurare problemi alla stima dei parametri. É il caso del livello di istruzione dei due coniugi per cui la misura di correlazione è pari a 0,6. In alternativa ai livelli di istruzione, la variabile utilizzata sarà, quindi, una combinazione dei due. Meno problematica la stima del rispettivo contributo della posizione nella professione dei due coniugi, il cui grado di correlazione non è elevato, quindi entrambe le variabili potranno essere inserite nel modello. Tanto più che in questa sede ci accontentiamo di controllare la professione materna nella dicotomia “mai occupata” e “già occupata”.
I principali risultati di stima del modello logistico sono esposti in appendice e descritti di seguito. Dalle analisi non risulta alcun effetto combinato dei livelli di istruzione dei due coniugi sulla probabilità di avere una famiglia numerosa (Vedi appendice). Abbiamo inserito allora nel modello il livello di istruzione in altra forma, e cioè come sola istruzione paterna – sebbene in questo modo l’effetto stimato includa in parte anche quello della variabile “istruzione materna” per la forte correlazione tra le due variabili. Si nota nel Nord Italia l’andamento ad U già riscontrato per le famiglie francesi (meglio sarebbe dire in questo caso a J rovescita): la probabilità di realizzare una famiglia numerosa sarebbe relativamente più alta tra chi ha un livello di istruzione basso rispetto a chi ha un titolo medio-alto ma, soprattutto, rispetto a chi ha un titolo medio (i risultati, statisticamente significativi, non sono mostrati). Quanto alla posizione nella professione, imprenditori e liberi professionisti hanno una maggiore probabilità di realizzare una famiglia numerosa rispetto agli operai. Se questo è riscontrato al Nord e al Centro, al Sud il risultato è concorde ma non significativo.
Altri risultati hanno natura secondaria rispetto all’obiettivo precipuo di questa analisi incentrata sullo status sociale paterno, ma non per questo sono meno rilevanti. Il modello multivariato conferma l’effetto generazionale dell’analisi univariata, con una maggiore propensione della generazioni più anziane di padri a realizzare una famiglia
numerosa; questo a parità di altre condizioni, in particolare di scolarità raggiunta. Ancora, dal modello multivariato si evince per il Nord Italia che le donne che non sono mai state occupate hanno una probabilità maggiore di realizzare una famiglia numerosa. Il risultato, già evidenziato dall’analisi bivariata, sarebbe qui vero a parità di istruzione e di professione paterna. L’essere casalinga con maggiore probabilità sembra portare a realizzare una famiglia numerosa anche al Centro e al Sud, tuttavia i risultati non sono significativi. Ancora, la religiosità produce l’effetto atteso sulla probabilità di avere una famiglia numerosa: questa sarebbe più alta per coloro che più assiduamente partecipano ai riti. Tuttavia, ciò non si osserva al Sud e al Centro il risultato non è significativo.
In ultimo, a partire dal modello base riportato in appendice, si è introdotta una variabile volta a rilevare l’effetto del contesto di residenza in termini di dimensione del comune (centro metropolitano, periferia metropolitana, tra 2.000 e 10.000 abitanti, tra 10.000 e 50.000, oltre 50.000, quest’ultima presa a categoria di riferimento). Con la stima del nuovo modello gli effetti delle altre variabili non mutano in modo sostanziale. Risulta però, nel Nord Italia, un effetto della nuova variabile sulla probabilità di avere una famiglia numerosa, in particolare, risiedere in un comune tra 2.000 e 10.000 abitanti e, soprattutto, in un comune di dimensioni fino a 2.000 abitanti, è associato ad una maggiore propensione a realizzare una famiglia numerosa (i risultati relativi a quest’ultima variabile non sono mostrati).
5.4 - In sintesi
Nel nostro studio sulla relazione tra posizione sociale e alta fecondità in Italia si è evidenziato il ruolo della professione paterna e quello dell’istruzione. Il fatto che siano gli imprenditori e liberi professionisti a realizzare con maggiore probabilità una famiglia numerosa induce ad avanzare due tipi di spiegazione: da una parte, la maggiore disponibilità economica di questi darebbe maggiore sicurezza alla coppia che desidera tre figlio o più, che più probabilmente realizza i propositi di fecondità già orientati ad un elevato numero di figli; dall’altra, la flessibilità nella gestione del tempo che un lavoro autonomo comporta permetterebbe una maggiore partecipazione paterna al ménage familiare e alla cura dei figli. La seconda ipotesi, tuttavia, non
trova conferma nello studio sulla paternità nelle famiglie numerose incluso in questo volume (si veda il capitolo 8): se operai e impiegati realizzano con minore probabilità una famiglia numerosa, si occupano poi dei figli più di imprenditori, professionisti e quadri, sia in forma di cure serali che di gioco. Sembrerebbe, quindi, soprattutto la disponibilità economica degli imprenditori, e non la maggior flessibilità nella gestione del tempo, a pesare nella scelta della dimensione familiare. L’effetto della professione sulla fecondità osservato in Italia e non in Francia mostrerebbe l’efficacia delle politiche familiari d’oltralpe: i padri francesi rispetto agli italiani sono meno condizionati dalla loro capacità di reddito nelle scelte di fecondità perché generose sono le
allocations familiales di cui beneficiano.
L’istruzione dei padri, nel Nord Italia, conterebbe nelle scelte di fecondità secondo un andamento ad U, anzi, a J rovesciata: i livelli bassi, ma anche quelli alti (seppur in minore misura) favorirebbero la formazione di una famiglia numerosa rispetto a livelli medi di istruzione. I risultati di ulteriori analisi che distinguono per anno di nascita inducono a pensare che possa esservi un cambiamento generazionale in atto, con una maggiore propensione a realizzare famiglie numerose per i padri più giovani rispetto ai più anziani con livelli alti di istruzione. Quanto ai meccanismi sottostanti l’effetto dell’istruzione, vi potrebbe essere un effetto-reddito non pienamente colto dalla variabile “professione”. L’istruzione elevata potrebbe anche riflettere la maggiore propensione dei padri ad adottare comportamenti di organizzazione familiare di tipo simmetrico, e a cogliere pure più prontamente politiche con lo stesso orientamento, incentivando così la fecondità. Sulla base del modello Nord-Europeo, è possibile infatti ipotizzare che tutto quanto faciliti alle donne la conciliazione del lavoro con la famiglia – politiche di conciliazione, cultura di gender equality e analoghe politiche – aumenti la fecondità e in particolare il passaggio al terzo figlio.
Appendice: risultati dettagliati
A1 - Odds Ratios dei modelli logistici multivariati per la probabilità di avere una famiglia numerosa (3+ figli) rispetto averne 1 o 2
Modello 1 Modello 2 Modello 3
VARIABILI ESPLICATIVE
Nord Centro Sud-Isole
GENERAZIONE UOMINI (RIF. 40-49)
50-59 1,5** 1,6* 1,3
POSIZIONE NELLA PROFESSIONE DEL PADRE ALL’INIZIO DELLA PROPRIA CARRIERA (RIF. OPERAIO)
Imprenditore/in proprio 1,5* 1,7* 1,1
Dirigente/quadro 1,3 1,0 0,6
Impiegato/insegnante 1,0 0,9 0,8
POSIZIONE NELLA PROFESSIONE DELLA MADRE ALL’INIZIO DELLA PROPRIA CARRIERA (RIF. GIÀ OCCUPATA)
Mai stata occupata
2,0 ** 1,3 1,2
LIVELLO DI ISTRUZIONE DEI CONIUGI (RIF. LEI ALTO E LUI BASSO)
Lei alto e lui alto 1,2 1,8 0,9
Lei basso e lui basso 1,2 1,4 1,2
Lei basso e lui alto 1,1 1,4 0,8
ETÀ AL MATRIMONIO (RIF. LEI >23 E LUI>26)
Lei<=23 e lui<=26 1,8** 2,3** 2,6
Lei<=23 e lui>26 0,7 3** 2,0
Lei>23 e lui<=26 1,4 1,2 2,1
PARTECIPAZIONE ALLE FUNZIONI RELIGIOSE (RIF. MAI)
Spesso 1,5* 1,7 1,1
Qualche volta 0,9 1,0 1,1
Raramente 1,1 1,0 1,0
** p<0,01 ; * p<0,05
Bibliografia
Consiglio d’Europa, La situazione demografica nel 2002, Strasbourg: (2003).
Dalla Zuanna, Gianpiero, “Immigrazione e sviluppo in Europa, in Italia e nel Veneto”, Seminario di Studio La risorsa popolazione nel
Segreteria Generale, Servizio Studi, Documentazione e biblioteca (2004).
Dumont, Gérard-François. “L’Europe rétrécit ses familles”.
Informations Sociales, n. 115 (2004) : 6-15.
Pirus, Claudine. “L’évolution du nombre et de la taille des familles nombreuse”. Informations Sociales, n.115 (2004): 34-42.
Toulemon, Laurent, “Qu’est-ce que’une famille nombreuse? Définitions à partir d’indicateurs démographiques variés”. Informations
Sociales, n.115 (2004) : 18-26.
Westoff, Charles F., and Elise F. Jones. “The End of ‘Catholic’ fertility”. Demography, 16, n.2 (1979): 209-17.
A2.1 - La strategia del rinvio
In Italia, e più in generale nei paesi occidentali, il matrimonio viene progressivamente rinviato. Secondo i dati ufficiali Istat, l’età media femminile al primo matrimonio è passata da meno di 24 a più di 27 anni tra il 1975 ed il 1998, e nello stesso periodo l’età media maschile è passata da circa 27 a oltre 30 anni. Tra i nati negli anni ’40 solo il 15% dei maschi è arrivato in condizione di celibe ai 35 anni, mentre, per i nati negli anni ’60, la quota di chi arriva a tale età senza aver ancora trovato moglie è vicina ad uno su tre. Ancor più accentato è il fenomeno nei contesti urbani1.
Sposarsi dopo i 35 anni è diventata quindi negli ultimi decenni una scelta sempre più comune tra gli uomini italiani. Diventa quindi particolarmente interessante cercare di capire chi sono gli uomini che adottano tale comportamento, con chi si sposano e quali conseguenze si ottengono sulle scelte riproduttive.
Le ipotesi che formuliamo partono dalla considerazione che, a differenza delle donne, un uomo possa pensare di poter posticipare anche oltre i 35 anni l’entrata in unione senza rischi di compromettere la possibilità di aver figli. Per molti uomini potrebbe allora essere
Il capitolo è a cura di Alessandro Rosina, Silvano Vitaletti, Romina Fraboni
1 I dati del censimento del 2001 evidenziano come in molte città medio-grandi del nord-centro a 35 anni quasi la metà degli uomini risulti ancora celibe.