Approfondimento 1 - La lunga permanenza nella famiglia di
3.2 Una descrizione del processo di formazione della famiglia
Il processo di costituzione della prima unione coniugale e dell’arrivo del primo figlio hanno conosciuto, dal secondo dopoguerra in poi, variazioni rilevanti, soprattutto relativamente all’età di sperimentazione degli eventi. Il tempo di realizzazione e l’entità di tali variazioni risultano però differenziate sia rispetto al genere che alla ripartizione geografica. La dinamica per generazione presenta sostanzialmente due fasi. Nella prima si osserva un’anticipazione dell’età di formazione della famiglia. Più precisamente aumenta sia la propensione a sposarsi che ad avere figli in età giovanile (prima dei 25 anni per le donne e dei 30 per gli uomini) (Figure 3.1.a e 3.1.b, 3.2.a e
3.2.b). L’intensità finale rimane però sostanzialmente invariata. Se si passa infatti a considerare la situazione a 35 anni per le donne e a 40 per gli uomini, si nota come la quota di persone sposate e con almeno un figlio presenti variazioni trascurabili. In particolare tale livello non risulta più elevato per la coorte dei nati negli anni ‘40 rispetto a quella dei nati negli anni ‘30.
Segue una seconda fase di diminuzione di matrimoni e fecondità in età giovanile a cui però ora sembra corrispondere anche una contrazione dell’intensità finale. Ciò si vede chiaramente soprattutto nel Nord-centro, mentre nel Sud-isole si nota qualcosa solo in corrispondenza alla generazione più recente. Ad anticipare tale processo sono in particolare gli uomini settentrionali, per i quali la paternità sembra entrare in crisi già a partire dalla generazione degli anni ‘40. L’andamento è poi quello di una continua e progressiva riduzione. Tra i nati nella seconda metà degli anni ‘50 più di un uomo su quattro al Centro-Nord è arrivato a compiere i 40 anni senza aver ancora avuto alcuna esperienza di paternità, in proporzione superiore rispetto a quanto osservato per il Sud- Isole. Per le donne settentrionali la situazione (a 35 anni) è solo leggermente migliore.
Figura 3.1.a - Uomini che hanno avuto il primo matrimonio e il primo figlio entro specifiche età, per generazione. Nord-centro
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1930-39 1940-44 1945-49 1950-54 1955-57 Generazioni P ercentu al i matrimonio entro 30 anni paternità entro 30 anni matrimonio entro 40 anni paternità entro 40 anni
Figura 3.1.b - Donne che hanno avuto il primo matrimonio e il primo figlio entro specifiche età, per generazione. Nord-centro
Figura 3.2.a - Uomini che hanno avuto il primo matrimonio e il primo figlio entro specifiche età, per generazione. Sud-Isole
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1930-39 1940-44 1945-49 1950-54 1955-57 Generazioni P ercentu al i matrimonio entro 30 anni paternità entro 30 anni matrimonio entro 40 anni paternità entro 40 anni 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1930-39 1940-44 1945-49 1950-54 1955-59 1960-62 Generazioni P ercentu al i matrimonio entro 25 anni maternità entro 25 anni matrimonio entro 35 anni maternità entro 35 anni
Figura 3.2.b - Donne che hanno avuto il primo matrimonio e il primo figlio entro specifiche età, per generazione. Sud-Isole
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1930-39 1940-44 1945-49 1950-54 1955-59 1960-62 Generazioni P ercentua li matrimonio entro 25 anni maternità entro 25 anni matrimonio entro 35 anni maternità entro 35 anni
Se confrontiamo i tempi di nascita del primo figlio nel quadro dell’Europa occidentale, il ritardo italiano risulta eclatante. L’esperienza della paternità risulta notevolmente posticipata in Italia rispetto a qualsiasi altro paese occidentale. Nella figura 3.3 riportiamo solo una selezione in base ai dati disponibili e confrontabili. Per i nati all’inizio degli anni ‘60, l’età mediana al primo figlio si situa generalmente sotto i 30 anni negli altri paesi, mentre arriva ad oltre 33 anni per gli uomini
italiani4. Abbiamo visto nelle figure precedenti che al fenomeno della
posticipazione sembra essere legato anche quello di una riduzione dell’intensità finale. Ovvero non solo si hanno i figli in età sempre più avanzata ma anche sempre più persone rinunciano ad avere figli. I nati all’inizio degli anni ‘60 avevano meno di 40 anni al momento dell’indagine, è difficile valutare per essi quanto l’ulteriore rilevante posticipazione sarà connessa ad un ulteriore aumento della quota di infecondi, date anche le maggiori possibilità maschili di avere figli in età avanzata.
4 L’età avanzata al primo figlio risulta in larga misura legata ad una età avanzata di entrata nella prima unione. L’età mediana alla prima unione risulta vicina a 29 anni per gli uomini italiani nati nella prima metà degli anni ‘60, mentre il valore più elevato tra i coetanei degli altri paesi è quello della Spagna (quasi 27 anni). Cfr. tab. 1 del Cap. 1 in questo volume.
Figura 3.3 - Età mediana al primo figlio per sesso. Nati all’iniziodegli anni ’60 - Alcuni paesi europei
Fonte: Family and Fertility Surveys
Passando a considerare la distribuzione per età della transizione alla paternità (Figure 3.4 e 3.5), quello che si osserva nel settentrione è, fino alla generazione del 1950-54, una progressiva diminuzione del primo figlio nella classe 30-34 controbilanciata da un quasi speculare aumento nella classe 20-24. Tale andamento si inverte con l’ultima generazione (1955-57) che evidenzia una ripresa del primo figlio soprattutto nella classe 30-34, che però solo in parte compensa l’abbassamento della fecondità nelle età precedenti.
20 25 30 35
Italia Spagna Francia Belgio (Fiandre)
Austria Norvegia Maschi Femmine
Figura 3.4 - Distribuzione per età al primo figlio. Uomini, Nord-Centro
Figura 3.5 – Distribuzione per età al primo figlio. Uomini, Sud-Isole
0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 <20 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 1930-39 1940-44 1945-49 1950-54 1955-57 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 <20 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 1930-39 1940-44 1945-49 1950-54 1955-57
Le variazioni più importanti riguardano in ogni caso la classe 25-29. In tale fascia d’età il massimo viene raggiunto con la generazione 1940-44, dopodiché nelle generazioni che seguono si assiste ad una forte progressiva riduzione. Nel meridione l’evoluzione sembra sostanzialmente analoga con un ritardo di un quinquennio. Interessante infine segnalare come prima dei 20 anni la fecondità maschile risulti essere su livelli praticamente irrilevanti.
Un ultimo aspetto da considerare è il fenomeno, sempre più diffuso in altri paesi occidentali, delle nascite fuori dal matrimonio. Abbiamo visto nei capitoli precedenti come attualmente in Italia le unioni informali siamo poco diffuse, anche se in forte crescita, e si configurino soprattutto come breve preludio al matrimonio. In tabella 3.1 si può vedere come, anche nell’Italia settentrionale, siano molto rari i casi di persone che risultano avere figli senza essersi mai sposate. Aumenta però, ma solo nel Nord-centro la quota di celibi e, soprattutto, di sposati senza figli.
Tabella 3.1 - Uomini per situazione rispetto ad entrata in unione coniugale e nella paternità entro i 45 anni per ripartizione geografica e generazione di nascita (per 100 uomini della stessa generazione
e ripartizione)
Senza matrimonio
Con matrimonio
GENERAZIONI DI NASCITA
Senza figli Con figli
Senza figli Con figli
Totale CENTRO E NORD 1930-39 8,8 1,2 4,9 85,1 100,0 1940-44 6,8 0,7 5,0 87,5 100,0 1945-49 9,5 0,6 5,7 84,2 100,0 1950-54 9,8 1,4 6,5 82,3 100,0 SUD E ISOLE 1930-39 5,3 0,9 6,5 87,3 100,0 1940-44 6,6 1,1 5,1 87,2 100,0 1945-49 7,1 1,1 3,7 88,1 100,0 1950-54 7,0 0,2 3,3 89,6 100,0
3.3 - Un’analisi della relazione tra arrivo del primo figlio e carat-teristiche dei coniugi
Analisi che si limitano a considerare solo le caratteristiche della donna, come avviene usualmente in letteratura, ignorano una componente (quella maschile) fondamentale del processo che genera l’arrivo nella popolazione di un nuovo individuo. Nell’analisi che qui proponiamo consideriamo come fattori esplicativi dell’evento di interesse alcune caratteristiche di base di entrambi i coniugi. Per ribaltare la prospettiva tradizionale in un primo modello inseriamo solo i fattori maschili, mentre nel secondo aggiungiamo le corrispondenti caratteristiche femminili.
Siamo soprattutto interessati a studiare l’impatto, sulla propensione ad avere il primo figlio, dell’età maschile e femminile (una al netto dell’altra) e delle differenze di genere (rispetto all’età, al livello di istruzione e all’occupazione). I risultati dettagliati dell’applicazione si trovano nell’appendice a questo capitolo.
Nel primo modello (Tabella A1), dove si considerano solo le caratteristiche del partner maschile, si ottiene un effetto significativo di tutte le variabili considerate. In particolare, la propensione ad avere il primo figlio diminuisce in modo rilevante sia all’aumentare dell’età al matrimonio che del livello di istruzione. Nel Nord-centro anche al netto delle variabili considerate rimane significativa la riduzione a partire dai nati negli anni ‘40. Nel Sud-isole è particolarmente rilevante invece l’effetto della posizione occupazionale, nella direzione attesa (ritorneremo più avanti sull’interpretazione di questo effetto).
Nel secondo modello vengono introdotte anche le caratteristiche femminili. Per motivi di collinearità e per valutare in modo più chiaro il contributo di ciascuno dei due sessi e la loro azione congiunta, è stata costruita un’unica variabile dalla combinazione (in classi quinquennali) dell’età dei due coniugi, lo stesso è stato fatto per il livello di istruzione.
A parità delle altre variabili inserite, il titolo di studio presenta un effetto molto forte. Se si confrontano le combinazioni con posizione di genere simmetrica, si nota come le coppie di laureati presentino in entrambe le grandi ripartizioni un rischio più basso di transizione al primo figlio. E’ interessante però notare come sia soprattutto la laurea della donna ad avere un effetto negativo. Rispetto infatti alla
condizione di entrambi laureati, se lui ha la laurea e lei no il rischio è maggiore, mentre se le posizioni sono invertite il rischio è minore (Figure 3.6 e 3.7; Tabella A2).
A differenziarsi rispetto al comportamento tradizionale di aver il primo figlio subito dopo il matrimonio tendono ad essere soprattutto le persone con elevato grado di istruzione. Sia per la loro mentalità più aperta a comportamenti non tradizionali, sia per la loro maggiore conoscenza e capacità d’uso dei metodi contraccettivi, sia per il loro maggiore orientamento all’investimento personale, che può portare a dilazionare l’arrivo del primo figlio in funzione di tempi e opportunità di carriera professionale della coppia. Tale meccanismo agisce in modo rilevante sia sull’uomo che sulla donna, ma è verosimilmente più rilevante per quest’ultima. In particolare una donna con livello di istruzione elevato, indipendentemente dal livello del marito, tenderà ad avere strumenti e motivazioni per gestire, meno tradizionalmente e più condizionatamente a proprie esigenze e aspettative, tempi ed intensità della propria fecondità. Ciò comunque verrà accentuato nel caso anche il marito possieda un elevato livello di istruzione, dato che si tratta di programmare un evento comune (la nascita di un figlio) condizio-natamente a tempi, vincoli ed opportunità dei percorsi professionali di entrambi.
E’ interessante inoltre notare come le forti asimmetrie di genere (lui titolo basso e lei medio-alto o viceversa) agiscano in modo favorevole sull’arrivo del primo figlio (Tabella A2).
Passando a considerare l’età, quello che si ottiene è un effetto più marcato per la componente maschile. In figura 3.8 sono riportate le stime ottenute dal primo modello. Come si vede l’effetto età per i maschi, al netto delle altre variabili, è molto forte per entrambe le ripartizioni. In figura 3.9 e 3.10 vengono riportate le stime ottenute dal modello finale in combinazione con l’età femminile. Si vede chiaramente che il declino della propensione al primo figlio rimane forte nella dimensione dell’età dell’uomo, mentre è molto più moderato per la donna. A parità dell’età maschile, l’età femminile sembra incidere sensibilmente solo quando supera quella del partner. E’ il caso della combinazione lei 25-29 & lui 20-24 rispetto a lei 20-24 & lui 20-24.
Come noto, all’aumentare dell’età diminuisce la capacità biologica di ottenere una gravidanza. Vari studi hanno mostrato come la fecondità femminile raggiunga il massimo tra i 20 ed i 25 anni e poi
declini progressivamente fino ai 35-39, per poi ridursi decisamente dopo i 40. Riguardo alla popolazione maschile il declino non sembra invece essere rilevante prima dei 35-39 anni (Dunson et al. 2002; Rosina, Colombo 2004). Se quindi l’unico effetto dell’età fosse quello biologico avremmo dovuto ottenere dalla nostra analisi un’azione negativa più forte per le donne rispetto agli uomini. A ciò si deve aggiungere il legame tra età e rischio di malformazioni congenite e complicazioni del parto, che potrebbero ulteriormente disincentivare alcune donne in età non più giovanile ad avere figli. Il fatto invece che domini l’effetto maschile suggerisce che l’azione dell’età possa cogliere anche meccanismi non biologici.
Nel regime demografico moderno fare figli è frutto dell’agire razionale (inteso come capacità di mettere in atto una decisione esplicitamente assunta) delle coppie, tuttavia non si dispone in letteratura di riflessioni abbastanza accurate né sulla formazione di questa decisione, né sulle due modalità di rendersi esplicita per i due partner. Secondo Bimbi (1993) la bassissima fecondità può essere vista come esito di un modello di “iperrazionalizzazione” (sia della scelta che dei confini ad essa relativi). La negoziazione tra i partner può proseguire indefinitivamente, fino al momento in cui si realizza che è troppo tardi per avere un (altro) figlio. Secondo Micheli (1995; 2000) per avere un figlio bisogna “decidere di non decidere”, ovvero è necessario far prevalere logiche di razionalità non economica. La bassissima fecondità italiana sarebbe da ricondurre al fatto che la convenienza economica viene raramente allentata. Secondo tale autore, “come per il sonno”, la maternità/paternità è un risultato raggiungibile quando si allenta la “morsa ingabbiante del controllo della razionalità”.
E’ verosimile che l’”iperrazionalizzazione” di cui parla Bimbi e “la morsa ingabbiante”di cui parla Micheli, si accentuino con l’età. Si può pensare infatti che a vent’anni si tenda ad essere più spontanei, impetuosi, genuini nei confronti delle scelte di vita, mentre in età più matura si diventa più riflessivi, cauti, prudenti, meno disposti a mettersi in gioco o in discussione con eventi carichi di vincoli e responsabilità. Chi si sposa in età avanzata potrebbe avere quindi più facilmente un atteggiamento ipercontrollato e paralizzato nei confronti della scelta di avere un figlio, rispetto a chi si sposa in età più giovane, e ciò potrebbe valere soprattutto per gli uomini. Le donne hanno infatti un preciso limite del periodo fecondo, mentre gli uomini possono
diventare padri anche in età molto avanzata5. In altre parole per le donne la deriva dell’ipercontrollo ansioso viene arginata dall’avvicinarsi della menopausa che costringe a mettere da parte tutti i timori e le apprensioni se non si vuole rinunciare all’obiettivo desiderato.
E’ inoltre molto verosimile che ci siano delle differenze di genere nel valore dato alla genitorialità. Nella non estesa letteratura sulla paternità ci sono varie argomentazioni che sembrano avvalorare l’ipotesi di una minore importanza per gli uomini dell’esperienza della nascita di un figlio (Goldscheider e Kaufman 1996; Gerson 1993). In ogni caso praticamente nessuno in letteratura avanza l’ipotesi che la paternità possa avere per l’uomo un valore maggiore di quanto non sia la maternità per l’identità femminile. E’ quindi verosimile che la prospettiva di rimanere senza figli possa eventualmente essere più facilmente accettata dall’uomo che dalla donna. Del resto una recente indagine sui valori degli italiani (Gubert 2000), evidenzia come il 47% dei maschi ed il 42% delle femmine consideri importante avere figli per la realizzazione dell’uomo, mentre si sale rispettivamente al 55% dei maschi e al 58% delle femmine che considerano importante avere figli per la realizzazione di una donna.
Esistono altre interpretazioni concorrenti. Ad esempio l’età al matrimonio potrebbe avere un effetto negativo sull’arrivo del primo figlio anche per un effetto selezione, dovuto al fatto che si sposa più tardi chi è meno orientato alla famiglia e più all’investimento personale. Le persone maggiormente orientate alla carriera tendono ad avere un atteggiamento meno positivo rispetto alla fecondità (Rindfuss, Morgan, Swicegood 1988).
Infine, relativamente alla posizione occupazionale si ottiene un effetto negativo per le donne che hanno iniziato a lavorare prima del matrimonio rispetto a coloro che si sono sposate senza aver mai avuto esperienze occupazionali. Per gli uomini rimangono confermati gli effetti ottenuti nel primo modello. Il fatto che l’occupazione presenti un effetto maggiore nel meridione è anche dovuto al fatto che nel Sud Italia è ancora largamente maggioritario il comportamento tradizionale di avere il primo figlio subito dopo il matrimonio e chi si discosta da
5 Ad esempio, un uomo che si sposa a 32 anni con una ragazza di 22 può permettersi di aspettare prima di decidere se diventare padre o meno. Una donna che si sposa a 32 anni, qualunque sia l’età del marito, se non vuole perdere l’esperienza della maternità, non può rinviare troppo la decisione altrimenti rischia che tale esperienza le sia preclusa per sempre.
tale comportamento sono soprattutto le donne con elevato livello di istruzione e orientate alla realizzazione professionale o quantomeno all’autonomia economica. Nel settentrione invece la posticipazione del primo figlio è più diffusa e praticata anche dalle classi sociali medio-basse.
Dato che praticamente tutti gli uomini entrano nel mercato del lavoro prima del matrimonio, la non occupazione femminile indica un’asimmetria di ruolo. Il fatto che le donne che non hanno mai lavorato prima del matrimonio presentino una maggiore progressione al primo figlio rispetto alle donne occupate rientra quindi nel risultato generale ottenuto di comportamenti più tradizionali per le coppie con asimmetria di genere che assegna più potere al partner maschile. Ciò vale sia per il lavoro che per il titolo di studio, che per l’età.
Figura 3.6 - Effetto livello istruzione, stime da Modello II (rischi relativi netti)
Nord-Centro 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0 1,1 1,2 Entrambi elementari Entrambi medie Entrambi superiori Entrambi univerisità M università, F superiori M superiori, F università Ri schi rel ati vi ne tti
Figura 3.7 - Effetto livello istruzione, stime da Modello II (rischi relativi netti) Sud-Isole
Figura 3.8 - Effetto età maschile, stime da Modello I (rischi relativi netti)
0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1,0 1,1 1,2 Entrambi elementari Entrambi medie Entrambi superiori Entrambi univerisità M università, F superiori M superiori, F università Ri schi rel ati vi nett i 0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 1,2 <=28 29-32 >=33 <=28 29-32 >=33 Classi di età R is ch io r ela ti vo ne tt o
Figura 3.9 - Effetto dell’età al matrimonio dei coniugi, stime da Modello II
(rischi relativi netti) Nord-Centro
Figura 3.10 - Effetto dell’età al matrimonio dei coniugi, stime da Modello II
(rischi relativi netti) Sud-Isole
3.4 - In sintesi
I risultati ottenuti in questo capitolo confermano prima di tutto, nell’analisi dei comportamenti riproduttivi, l’importanza di studi che
0,0 0,5 1,0 1,5 2,0 2,5 3,0 3,5 Meno di 20 20-24 25-29 30-34 35 e più
Classi di età di lui al m atrim onio
R is chi r el at iv i n et ti Lei meno di 20 Lei 20-24 Lei 25-29 Lei 30 e più 0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 1,2 Meno di 20 20-24 25-29 30-34 35 e più
Classi di età di lui al matrimonio
R is chi r ela ti vi ne tt i Lei meno di 20 Lei 20-24 Lei 25-29 Lei 30 e più
tengano esplicitamente conto delle caratteristiche maschili. Se infatti per livello di istruzione e lavoro risulta confermato quanto comunque ottenuto da studi condotti privilegiando la componente femminile della coppia, per quanto riguarda invece l’età il risultato risulta ribaltato, ovvero sembra contare di più l’età maschile. Si tratta evidentemente di risultati da approfondire. Non è detto infatti che l’effetto dell’età sia di tipo causale, ovvero che sia di per sé l’arrivare in età tardiva al matrimonio a ridurre (ad esempio attraverso l’ipotizzato meccanismo di “ipercontrollo”) la propensione all’esperienza di paternità. Il legame potrebbe essere infatti spurio (conseguenza ad esempio di un effetto selezione che porta a sposarsi più tardi le persone più orientate all’investimento personale e meno alla famiglia).
Lo studio della relazione tra età e fecondità è fondamentale soprattutto nel contesto italiano caratterizzato da un processo di continua posticipazione dell’età a cui si inizia a formare una famiglia (l’età mediana alla prima unione, in particolare per gli uomini, è tra le più alte al mondo) e da una fecondità tra le più basse al mondo. Comprendere ed approfondire la relazione che lega tali due fenomeni diventa cruciale anche in funzione di politiche che, aiutando i giovani a diventare autonomi ed a costituire un’unione in età meno tardiva, possa anche avere implicazioni positive sulla fecondità.
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Gubert, R. La via italiana alla postmodernità. Verso una nuova
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