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L’archetipo dantesco nell’incontro amoroso infantile: l’influsso del numero nove

La conoscenza tra Celio e Morosina risale all’infanzia, quando entrambi hanno nove anni:

Innanzi al la podesteria stendevasi un gran prato, e lì fra gli altri ragazzi del paese, convenivano pure a loro trastulli Celio e la Morosina; quegli già sui nove anni, ardito di animo e bene aiutante della persona (AB, p. 110). e proprio nove anni dopo, quando Morosina esce dal convento, si incontrano ancora:

La Morosina rivide per la prima volta Celio, il suo piccolo amico d’infanzia a Castelfranco […]. Era allora sui diciott’anni (AB, p. 126).

Il numero nove è anche alla base della precoce, come viene ricordato nel cap. III delle

Confessioni, storia amorosa fra Dante e Beatrice. La Vita Nova non è altro che il racconto di questo

sentimento straordinario: il prosimetro si apre con l’incontro di Dante con Beatrice all’età di nove anni:

Nove fiate già, appresso lo mio nascimento, era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto quanto a la sua propia girazione, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la qual fu da molti chiamata Beatrice, li quali non sapevano che si chiamare (Vn II I)

179 Dante nasce sotto il segno dei gemelli424, fra il 21 maggio e il 20 giugno 1265, dunque questo incontro sarebbe da riferirsi al 1274. Il cielo della luce a cui allude è quello del sole: il poeta segue il sistema tolemaico per cui è l’astro solare che si muove intorno alla terra; nove volte ha compiuto il suo moto di rotazione quando a Dante appare Beatrice, che ha circa otto anni e un terzo (cioè quattro mesi) come dirà immediatamente dopo:

Ella era già in questa vita stato tanto, che nel suo tempo lo Cielo Stellato era mosso verso la parte d’oriente delle dodici parti l’una d’un grado, sì che quasi dal principio del suo nono anno apparve a me, e io la vidi quasi dalla fine del mio nono. (Vn II I)

Il cielo stellato, cioè la sfera delle stelle fisse che ruota attorno all’asse del mondo, si è mosso con moto uniforme, da occidente verso oriente, di un dodicesimo di grado. Se in cento anni si muove di un grado, un dodicesimo di grado corrisponde a otto anni e un terzo, tempo che Beatrice ha trascorso nella vita terrena. La sfasatura temporale sarebbe allora di circa nove mesi se lui è quasi

dalla fine e lei quasi dal principio del nono anno di età. In più ne deriva che la data di nascita di

Dante coincide con il concepimento di Beatrice.

Nove anni passano perché lui possa incontrare ancora la sua donna:

Poi che fuoro passati tanti dì che apuncto erano compiuti li nove anni apresso l’apparimento soprascipto di questa gentilissima, nell’ultimo di questi dì avenne che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo […]. L’ora che lo suo dolcissimo salutare mi giunge, era fermamente nona di quel giorno. (Vn III II)

Ora i due hanno circa diciotto anni, e si rivedono alle tre.

Che valore dobbiamo dare al numero nove in questo stato di cose? Il lettore deve prendere tutto ciò alla lettera?

424 Ce lo rivela Dante stesso nel Paradiso:

O gloriose stelle, o lume pregno di gran virtù, dal quale io riconosco Tutto, qual che si sia, il mio ingegno, con voi nasceva e s’ascondeva vosco quelli ch’è padre d’ogne mortal vita,

180 Fino a prova contraria un autore medievale, in specie un poeta lirico, chiede di essere preso alla lettera; e lo richiede perché, molto spesso, ciò che afferma è vero. […] Il simbolismo di un autore medievale non è “suggestivo”, non ammette vaghezze e approssimazioni: segni precisi devono produrre segni precisi.425

Dunque a partire dal vissuto, e vedendo che il numero torna, Dante costruisce sul numero un simbolismo che poi andrà a spiegare nel cap. 19 della Vita Nova, che è anche espediente per non dover trattare della morte della sua donna. Il numero non ritorna solo nella vicenda amorosa con Beatrice perché spesso le malattie durano nove giorni e le apparizioni avvengono alla nona ora. Da questo archetipo dantesco del tema amoroso si sviluppano anche gli incontri affettivi nieviani. Abbiamo già detto come il numero torni in Angelo di Bontà; potrebbe essere una mera coincidenza, se il nove non tornasse anche nel Varmo426 e nel Conte Pecoraio dove Nievo spiega, addirittura, che Maria e Natale si amavano proprio come Dante e Beatrice all’età di nove anni427. L’incontro infantile dantesco, e come questa esperienza sia capace di imprimere un segno duraturo, ricorda, in effetti, il tema nieviano delle unioni predestinate quale sono appunto quelle di Morosina e Celio, Maria e Natale, Sgricciolo e Favitta, fino all’amore fra Carlino e Pisana. La predestinazione è presente nello stesso Dante in E’ m’incresce di me si duramente dove racconta della sua folgorazione infantile:

Lo giorno che costei nel mondo venne, secondo che si trova

nel libro della mente che vien meno, la mia persona pargola sostenne una passion nova,

tal ch’io rimasi di paura pieno; ch’a tutte mie virtù fu posto un freno subitamente, sì ch’io caddi in terra,

425 M. Santagata, L’io e il mondo, un’interpretazione di Dante, Bologna, Il Mulino, 2011, p. 113.

426 Il Varmo è una novella del 1856. Altre novelle: La nostra famiglia di campagna (1855), La Santa di Arra (1855), La

pazza del Segrino (1859, ma scritta nel ’55), Il milione del bifolco (1856), L’Avvocatino (1856), La viola di San Bastiano (1859, ma scritta nel ’56). Il milione del bifolco, L’Avvocatino e La viola di San Bastiano Nievo immagina che

siano raccontate dal bifolco di nome Carlone, ingenuo narratore di storie campestri ad uno stuolo di donne e contadini radunati in un fienile. Carlone avrebbe dovuto essere il narratore anche di due novelle rimaste allo stato di frammenti: I

fondatori di Treppo e L’aratro e il telaio. L’intera produzione rusticale nieviana, comprendente i frammenti e la

revisione seconda della Viola, è ora, con altri testi dell’autore, in Novelliere campagnolo e altri racconti, a cura di I. De Luca, Torino, Einaudi, 1956 da dove sono tratte le citazione del Varmo. Sul Nievo rusticale, sul suo obiettivo popolare, sulla sua poetica sociale, anche nelle stesse Confessioni, rinvio a E. Mirmina, La poetica sociale del Nievo, Urbino, Longo Editore, 1972.

181 per una luce che ne cuor percosse::

e se ‘l libro non erra,

lo spirito maggior tremò sì forte che parve ben che morte

per lui in questo mondo giunta fosse:

ma or ne incresce a quei che questo mosse. (v. 57-70)

Il giorno della nascita di Beatrice, quando lui è solo un neonato di pochi mesi, viene preso da una crisi –metaforica o reale, chi lo sa- che attesta l’esistenza di una precocissima connessione misteriosa fra i due. Lo stesso Nievo non tratta mai degli affetti infantili come degli amorucci di poco conto perché sono proprio questi primi legami a guidare e a condizionare l’esistenza dei suoi personaggi. Utilizzando l’archetipo dantesco del numero, Nievo sembra voler ribadire come questi affetti che si vengono a creare siano legami misteriosi, inossidabili e mitici, ma non per questo destinati alla felicità.

Nel Varmo Pierino si innamora di Tina quando “allora il fanciulletto toccava i nove anni”(VM, p. 176). Insieme, come Carlino e Pisana, vivono il tempo senza tempo dell’infanzia, a contatto con la natura come in fondo il titolo già fa pensare, essendo il Varmo un fiume friulano affluente del Tagliamento, immagine stessa della natura libera e incontaminata428. E’ il luogo dove i due fanciulli possono giocare dimentichi della ragione, ribelli come lo è il fiume. Proprio sulle rive in cui Pierino, quando l’idillio amoroso infantile si è irrimediabilmente rotto, “per sé serbava l’unico sollievo di sedere alla sera […]; e in que’ soli momenti viveva per se stessa l’anima sua, ma più non viveva che di memorie […]” (VM, p. 211). La loro amicizia nasce prima dell’età della ragione e con il tempo si trasforma in un sentimento di vero amore tanto che vengono soprannominati Favitta e Sgricciolo “i quali sono per l’appunto due uccelletti saltinfrasca che sembrano beffarsi di chi li insegue lasciandosi quasi toccare e poi sfuggendo e cinguettando via tutti vispi e saltellanti per entro a’ roveti o a’ cespugli” (VM, p. 177). La fanciullezza è stata spesso considerata una fase transitoria verso una maturità nuova, mentre in Ippolito il mondo dell’infanzia vive di per sé stesso con regole proprie che quella maturità tanto auspicata viene sempre a rompere. Perché l’idillio nella

428 “[…] al sentimento della fanciullezza il Nievo unisce l’immagine del Friuli, che della fanciullezza diventa il

simbolo più puro: fanciullezza e Friuli arrivano ad essere una sola cosa. La favola della Favetta e dello Scricciolo […] avrà il suo necessario sviluppo nella storia della Pisana e di Carlino nelle Confessioni dove pure il Friuli allarga i propri orizzonti […]. L’idillio della fanciullezza, strettamente legato all’immagine di un Friuli primitivo e patriarcale, costituiscono la premessa necessaria e la spinta alle successive Confessioni, segna cioè senza equivoci il destino di un uomo e di uno scrittore.” Novelliere campagnolo e altri racconti, cit., p. XLV.

182 novella non è solo la rappresentazione di un paesaggio, ma anche di uno stato d’animo che viene meno nel momento della crescita, infatti

[…] non si può fare a meno di notare che nel contesto complessivo del racconto il progetto dell’autore non trova una realizzazione piena e felice: sembra quasi di avvertire un fastidio trattenuto a malapena dal narratore, il rammarico di dover inquinare il quadro di un’infanzia pura e naturale con osservazioni e precetti, i quali hanno invece che fare con l’arida realtà adulta e con l’integrazione in un contesto sociale rigido e artefatto.429

Ciò significa che questi amori non possono esistere al di fuori dell’infanzia: Favitta è una sorta di antecedente dell’inquieta e capricciosa Pisana che può compiere il suo cammino di formazione solo allontanandosi da quel suo primo amore:

Il Giorgetto prese a poco a poco il posto dello Sgricciolo; soltanto per esser d’animo fermo e diritto, anziché lasciarsi soggiogare, piegava a modo suo la Favitta; e sebbene a costei sembrasse poca cosa il vedesi ad ogni tre giorni, pure esso non s’arrese mai a deporre il cestello per perdersi con essa in frascherie,e solo consentiva che gli venisse del paro lungo la via ridendo e ciarlando (VM, p. 189).

Fin dal loro primo incontro Favitta e Sgricciolo si appartengono, ma crescere significa pagare un prezzo che corrisponde al matrimonio, non troppo felice, della ragazza con il Giorgetto.

Il Giorgetto è laborioso e perfettamente inserito nella comunità agricola e nelle sue istituzioni che la compongono –la scuola, la chiesa e il mulino-, non ha mai giocato sulle rive del Varmo perché quello è il luogo dei bambini. “Il germoglio è nel seme, e la pianta nel germoglio” (CI, III, p. 125) dirà l’ottuagenario, forse dimentico, in questa tirata moralistica, che, perché la pianta cresca dritta, spesso è necessario anche dolorosamente potarla.

Anche il rapporto fra Maria e Natale è altamente problematico se lei rimarrà incinta del signorotto locale. L’idillio rusticale si conclude, non solo metaforicamente, quando per la gravidanza è costretta a lasciare il paese d’origine non per vergogna, ma per un suo desiderio di espiazione. Maria e Natale “s’amavano come Dante e Beatrice a nove anni” (CP, p.474) e, quando lei avrà bisogno di lui per non morire assiderata, lui passerà per la strada, per caso, di ritorno dopo molti

183 anni passati da soldato in Ungheria. Il bambino di Maria è morto di freddo, ma questo permette all’eroina di tornare al luogo nativo senza che nessuno dei paesani sappia mai della sua gravidanza. L’idillio ritorna anche nelle Confessioni sotto forma dell’amore tra Leopardo e Doretta. Il carattere del personaggio maschile, facciamo notare, offre poi all’ottuagenario di fare una digressione sull’amore. La fontana di Venchieredo è il classico locus amoenus che Nievo ha mostrato nel Varmo, o nelle novellette in generale. Ma nella descrizione c’è qualcosa che stride, e che trasmette al lettore un senso di innaturalità: è l’ostentato barocchismo di citazioni letterarie perché il luogo sembra dipinto da Virgilio, Leopardo mentre ne parla è un novello Tasso e l’allegra Doretta compare nella scena come un putto del Pordenone. Come nei precedenti scritti, l’amore tra Leopardo e Doretta sopravvive solo nei paraggi della fontana: il matrimonio che corona il legame affettivo, inizialmente contrastato come nei Promessi Sposi, non garantisce il finale felice come nel romanzo manzoniano. Alla fine Doretta tradirà Leopardo e lui deciderà di suicidarsi nel giorno del trattato di Campoformio. L’utopia amorosa si è scontrata con la realtà che nelle Confessioni non è più rappresentata dal mondo degli adulti, ma dalla Storia che congiunge, ortisianamente, vicende private e pubbliche.

Il numero nove ritorna spesso nelle Confessioni in vari ambiti: l’ottuagenario, per esempio, scrive i suoi ricordi in “nove anni nel quali a sbalzi e come suggerivano l’estro e la memoria venni a scrivere queste note” (CI, I, p. 4). Nel cap. II Carlino, finalmente, si presenta al lettore e durante i fatti che si appresta a raccontare ci dice di avere nove anni (CI, II, p.77), Pisana ne ha sette essendo “minore […] d’alcuni anni” (CI, I, p. 47). La rubrica del cap. II recita :” […] Si dimostra di più, come le passioni degli uomini maturi si disegnino alla bella prima nei fanciulli […]” (ivi) e l’anziano Altoviti si appresta, dopo aver raccontato dei suoi giochi infantili, a fare una delle sue tirate moralistiche:

Se mi arresto a lungo sopra questi incidenti puerili, gli è perché ci ho le mie ragioni; e prima di tutto perché non mi sembrano tanto puerili come alla comune dei moralisti. […] anche i ragazzi hanno la loro malizia, non mi pare per nessun conto dicevole e profittevole quella libertà fanciullesca dalla quale sovente i sensi vengono stuzzicati prima dei sentimenti, con sommo pericolo dell’euritmia morale per tutta la vita. Quanti uomini e donne di gran senno ereditarono la vergognosa necessità del libertinaggio dalle abitudini dell’infanzia? (CI, II, pp. 51-52)

184 Cosa è successo al nostalgico Nievo del Varmo? E’ semplicemente cresciuto, le sue preoccupazione sono cambiate diventando un vecchio che predica “pel bene di tutti e pel vantaggio della società” (CI, II, p. 53). L’infanzia qui diventa un momento di prima consapevolezza nel quale l’uomo può scoprire il suo carattere e il tipo futuro di rapporti che può istituire con l’altro. L’accordo fra dimensione privata e dimensione storica che esiste nel romanzo fa sì che l’altro sia costituito dal mondo reale, quello della Storia: Carlino, dal microcosmo frattese, espande la conoscenza di sé stesso fino a che questa maturità, che è quella del singolo, si raccorda al processo di formazione di una nazione intera. Allora una buona educazione del fanciullo deve produrre non solo un uomo buono, ma anche un buon cittadino. E questo è in fondo lo scopo dell’ottuagenario: non è un bigotto conservatore, le sue memorie sono concepite per educare i lettori all’edificazione nazionale. L’amore non può più essere vissuto dimentichi di tutto, in un tempo senza tempo, e infatti Pisana è colei che lo giuda nel passaggio da Veneziano a italiano e che lo esorta, in un modo tutto suo, a non dimenticare mai i suoi doveri.

Torno al più volte citato cap. III delle Confessioni in cui la cui rubrica annuncia al lettore che si parlerà di “prime poesie, primi dolori, prime pazzie amorose, nelle quali prevengo anche la rara precocità di Dante Alighieri” (CI, III, p.93). Nonostante di Dante non si parli, non mi sembra un caso che questo tema della precocità vada ad aprire proprio il capitolo in cui avviene la suggestiva ed erotica visita della Pisana a Carlino quando egli ha proprio nove anni. E’ la notte in cui lei gli donerà il primo oggetto del reliquario della memoria: la ciocca dei capelli che Carlino porterà sempre con sé come simbolo di un impegno totale e perpetuo. E’ un oggetto, che con tutte le sue implicazioni, preannuncia il destino dell’Altoviti, e infatti quella notte il bambino si addormenta “in un ghiribizzo continuo di sogni, di fantasmagorie, di trasfiguramenti, che mi lasciò di quella notte l’idea lunga lunga d’un’intera vita” (CI, III, p.120). Il protagonista tornerà, ormai vecchio, a Fratta portando con sé un oggetto gemello a quello avuto da piccino durante la grande notte: una ciocca di capelli - non più strappati, ma tagliati- dalla fronte della Pisana morta. Il cerchio si è ormai chiuso: l’ottuagenario può leggere per intero la sua parabola anche grazie al ruolo di sostegno dell’amata. Gli amori nieviani sembrano essere legati ad un archetipo dantesco, il che non dovrebbe stupirci alla luce di ciò che abbiam detto fino a qui: l’Altoviti, ma lo stesso Nievo, considera Dante non solo maestro nelle questioni civili, ma anche nella tematica amorosa. Così gli amori di Carlo-Ippolito sembrano vivere sotto l’influsso, e la protezione, della stella dantesca.

185 PARTE QUARTA

186 “Comunicare la propria esperienza vissuta non consiste nel trascrivere sulla carta un linguaggio preesistente: il vissuto non è formulato; per lo scrittore si tratta di strappare degli enunciati definiti e intelligibili alla confusa opacità del non detto.” S. De Beauvoir, La terza età

I. Appelli al lettore.

Qui procediamo alla discussione di un dispositivo narrativo particolare: l’appello al lettore. Ma chi è questo lettore? La domanda non è banale perché ve ne sono di vari tipi:

Il lettore, infatti, può essere quello reale (colui che effettivamente legge il libro) o quello previsto da uno scrittore (il destinatario) o, ancora, quello ideale (inscritto nel testo come categoria astratta).430

Ogni elemento scritto presuppone una istanza di ricezione e quindi l’esistenza di almeno uno di questi tre tipi di lettore se “ogni testo […] è pienamente compiuto quando realizza la funzione per cui è stato pensato” 431. Lettori ideali sono, per esempio, quei venticinque che Manzoni immagina come pubblico del suo romanzo, una piccola comunità definita che con l’autore condivide una determinata morale.

Qui ci soffermiamo, invece, sul destinatario, ovvero su quel lettore che il narratore chiama in causa direttamente sospendendo la propria narrazione. E’ un pubblico che non corrisponde a quello reale cioè a quei lettori che effettivamente andranno a leggere il libro. Faremo qualche riflessione sul carattere di questi appelli in Dante e Nievo: a livello stilistico, ovviamente, gli appelli sono di tipo assai diverso, ma si può tentare uno studio sulla funzione e sul rapporto che attraverso di essi l’autore vuole instaurare con il pubblico. Entrambi, attraverso modalità diverse, sono sempre spinti da una urgenza pedagogica allo scopo di mobilitare il lettore verso determinati valori di cui essi stessi si fanno portatori.

Leggiamo ciò che scrive Erich Auerbach, che si è molto interessato al problema del pubblico nei testi medievali, riguardo gli appelli danteschi:

430 A. Cadioli, La ricezione, Roma, Laterza, 1998, p. 13. 431 Ivi, pp. 20-21.

187 Come un uomo a cui è stata affidata la missione importante […] di rivelare all’umanità l’ordine eterno di Dio e d’insegnare agli uomini, in uno speciale momento storico, ciò che vi è di errato nella struttura della vita umana. 432

Appurata la mancanza dell’inflessione mistica nelle Confessioni ci sono degli elementi contenuti nel brano che abbiamo proposto che si possono accordare anche al disegno del romanzo di Ippolito: parlo della volontà dell’ottuagenario di insegnare e il fatto che insegni con la consapevolezza di aver vissuto in un momento storico decisivo.

La Commedia è un viaggio allegorico con valenza didattica, perciò presuppone l’interazione con quel “tu che leggi” (If XXII 118) che Dante spesso chiama in causa. In questo senso si capisce la linea interpretativa di Charles Singleton433 che si basa proprio sull’ipotesi che il poeta voglia rappresentare nel suo andare ciascun uomo, “Dante everyman”, perché nei primi versi del poema

nostra, aggettivo pronominale prima persona plurale, si scontra con il mi, pronome di prima persona

singolare: così il viaggio non ha più valenza singolare perché ogni uomo ne è attore e protagonista trasformando l’esperienza di Dante in quella di ogni cristiano. E' interessante notare come anche l'ottuagenario nel cap. XVIII, rievocando l'apertura del nuovo secolo e di una nuova stagione